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LA RAGION COMICA di Almansi - IL LETAMAIO DI BABELE

letteratura italiana



LA RAGION COMICA di Almansi


IL LETAMAIO DI BABELE


L'ammicco di 'Comiche'


Dell'avanguardia letteraria italiana degli anni 60 fa parte anche il récit brut (= narrazione cruda) di Gianni Celati, a partire dal suo primo romanzo, Comiche. Stando alla presentazione di Italo Calvino, che di Celati è stato sin dall'inizio severo consigliere, lo scrittore arriva a Comiche e al suo linguaggio non attraverso una pura riflessione fantastica su un linguaggio inesistente, su una lingua letteraria che abbia valore solo all'interno di un testo; ma al contrario attraverso l'imitazione sapiente di un linguaggio clandestino, esistente ma illegittimo: quello degli allievi incolti quanto spericolati, sgrammaticati quanto fantasiosi, i bestioni pensanti delle scuole di campagna, da sempre esempio e modello di cattivo scrivere. Lo strafalcione grossolano diventa una preziosità linguistica; la bassezza grammaticale non viene punita ma glorificata nei templi della letteratura. Con Celati, non è solo la sintassi a saltare per aria, ma anche la morfologia e il lessico. Comiche è il punto d'incontro della tradizione neologistico-maccheronica (= vocaboli nuovi formati di elementi preesistenti nella lingua e di parole volgari) e del metodo celatiano di imitare il singolare prodotto dell'ignoranza adolescenziale in tutta la sua bella creatività che viene dalla più rigorosa insipienza. Tutto il libro è preziosa antologia di geniali imbecillità linguistiche e grammaticali, che trasforma lo strafalcione in artificio. Pure Comiche non vuole essere solo questo: Celati intende anche offrire un discorso linguistico tagliato su misura per il protagonista del romanzo, un professore dal nome fluido, dalla collocazione incerta e dalla malattia mentale vagamente persecutoria. Il luogo d'incontro dei suoi esperimenti linguistico-schizofrenici è un po' ospedale, un po' pensione balneare, un po' collegio. I personaggi che gli stanno intorno, a metà strada fra il corporeo e l'ectoplasmatico, ma tutti ugualmente aggressivi e con ampia esperienza nella pratica della tortura, lo opprimono in un universo di parole che sono lì lì per perdere il loro 424b13e significato, al limite del vuoto semantico. Pure questa selva di suoni mantiene ancora un residuo di significato, sufficiente a formare un documento d'accusa in un tribunale umano e divino, terrestre e celeste, che imputa al professore tutte le colpe. Ma, a guardar bene, queste colpe si assommano in una sola: quella di essere vivo. Ed è qui che Comiche rivela i suoi limiti: in quanto il tipo di lettura, il modo di consumo dell'opera non è chiaramente impostato dalla scrittura (non che la scrittura debba prescrivere i binari di una lettura obbligata, ma almeno indicare una direzione di percorso). Questa carenza di indicazioni potrebbe anche in alcuni casi essere un vantaggio, mantenendo il lettore in uno stato di incertezza e di tensione; non qui, in Comiche, dove l'autore stesso sembra un po' incerto su che cosa si aspetta da noi lettori. Celati ci avrebbe fornito un invisibile manuale d'istruzione su come leggere il suo libro non solo con informazioni contraddittorie per noi, ma con intenzioni fluide da parte sua. Da una parte noi vogliamo piacevolmente ordinare il suo linguaggio destrutturato; dall'altra l'autore sembra suggerire un'operazione interpretativa che va contro le intenzioni del romanzo come serie di vicende deliranti di un personaggio delirante in un territorio delirante: cioè come se qualcuno tenesse le fila del delirio, imponendo un metodo alla follia del nostro protagonista. Dovremo dunque tradurre il delirio secondo una solida tradizione interpretativa per cui tutto si spiega alla luce della ragione, anche a costo di rinunciare a godere l'orrore della pazzia? A volte sembra quasi che Celati voglia farci leggere Comiche con un cannocchiale chiaro e rigoroso, o forse addirittura simbolista.




Il guizzo di Guizzardi


Il titolo del secondo libro di Celati, Le avventure di Guizzardi, è già un inganno intenzionale, una truffa pianificata. Guizzardi è cognome impiegatizio e ragionieresco, tutto il contrario del protagonista del romanzo, Guizzardi detto Danci, buffone demente, analfabeta e quasi privo del dono della parola che la società costringe ad un'anarchica e travagliata esistenza. Forse Guizzardi perché Guizzardi guizza. Guizzardi sfugge, svincola, guizza, scatta, trasvola, svirgola: tutto l'alone lessicale, semantico e fonetico del guizzo di fuga è in lui. Ma come accettare quel finale borghese in -ardi? Forse dovremo cercare di ripescare la dimensione classe-media del protagonista (che Guizzardi sia un simbolo dell'uomo-massa alienato??). Conoscendo, però, l'astuzia dell'autore, già sfacciato contrabbandiere di un racconto volutamente illeggibile (Comiche), viene quasi da sospettare che anche il depistamento causato dal cognome sia stato voluto e premeditato da uno scrittore sadicamente sghignazzante. L'analfabetismo, l'inarticolatezza, gli speech impediments (= impedimenti del discorso), la balbuzie di Guizzardi, il protagonista che scrive in prima persona il romanzo, rappresentano per Celati una trovata per far capire poco anche a noi lettori, in una rigida adesione ad una quasi sgrammatica, in un culto perverso della scrittura stravolta e terremotata. Tutto quello che spiacque ai seguaci della bella scrittura, a Celati piace enormemente. Pur evitando gli eccessi neo-maccheronici di Comiche che rendevano il primo romanzo spesso di incomprensibile lettura, Celati a tratti raggiunge ne Le avventure di Guizzardi un felice compromesso fra un linguaggio sensato ed un linguaggio insensato. L'invenzione linguistica celatiana crea un impasto linguistico che riesce ancora a comunicare una vicenda narrativa (le 'avventure' di Guizzardi sono percorribili dal lettore), pur sviando l'attenzione verso le proprie componenti gergali o furbesche, le stravaganze linguistiche, gli elementi paranoici o da monologo delirante. Si ha lo sfruttamento di mots orgogliosamente in-justes, clamorosamente fuori luogo, chiaramente a disagio nella frase (e alla fine di scopre che i mots justes e i mots in-justes possono servire ugualmente a creare la tensione letteraria del testo). La lettura di Le avventure di Guizzardi è una corsa ad ostacoli in un continuo sforzo di superare la meraviglia, l'imbarazzo, a volte addirittura l'ira di fronte  tutte queste parole sbagliate. Anzi, sfacciatamente sbagliate, villanamente scorrette, ignorantemente improprie. Celati le usa, ti svia, finge di credere a quello che scrive, diminuisce la distanza fra sé e il suo personaggio, la annulla, poi scappa via e lascia Guizzardi solo alle prese con un enorme strafalcione. Il lettore si sente preso in giro, lusingato, imbrogliato di nuovo, e così via: mai che ti lasci in pace, quello sfacciato di uno scrittore! Leggere Le avventure di Guizzardi significa anche questo: arrabbiarsi con l'autore, e poi arrabbiarsi con se stessi perché ci si è arrabbiati. Celati conosce

l'epica del calcio in culo

l'epopea della polpetta

l'apocalisse dell'immondizia

Solo il calcio è universale, indiscriminante e buono a tutto fare; e di tutte le specie di calcio, il calcio in culo è modello di democrazia e di universalismo. La gamma del calciabile è infinita ed accogliente. Il calcio può essere aggressivo o difensivo, prevaricatorio o onestamente giustiziere, .. Di questo universalismo del calcio Le avventure di Guizzardi sono documento esemplare: abbondano i calci, e le loro varianti teatrali ed arlecchinesche, cioè le legnate in testa. Tutti si prendono gioiosamente a pedate o a bastonate, e giù calcioni e ruzzoloni e cascatoni e maledizioni.

es: scena dei calci in pancia alla madre isterica che si dibatte per terra

Si tratta di una lingua zoppicante e pasticciona che perde i pezzi per la strada, e allora afferra parole imprevedibili qua e là e se le ficca dentro. Una lingua che il protagonista parlante e scrivente sembra riuscire a far andare avanti solo a costo di un enorme sforzo di volontà, nonostante i gravi impedimenti della sua balbuzie articolata e cerebrale. Una lingua fatta tutta di parole di elemosina, mal scelte e mal coordinate (solo apparentemente, s'intende: dietro il caos della mala scrittura si cela la sapienza di un prezioso stilista). Lo sconcerto ci minaccia da tutte le parti: l'originalità dell'avverbio spicca irritantemente sulla pagina. La sua funzione è proprio quella di irritare, innervosire il lettore, di metterlo a disagio. L'epopea della polpetta: per il possesso di una polpetta di carne o di un panino con la mortadella si deve metter mano a cielo e terra. E il Padreterno lo perseguita un po' il povero Danci, anzi, gliene fa di tutti i colori. I brani tratti da Le avventure di Guizzardi dovrebbero dare un'idea della straordinaria felicità inventiva di Celati sul versante dell'accadimento non osceno, bensì semplicemente sporco, magari maleodorante. In realtà, tutta la storia sembra avvenire ai margini di un gigantesco e forse universale letamaio, con un protagonista che soggiorna in ripugnanti sottoscala, in stie per galline, .. Persino l'ospedale, dove si svolge tutta la parte centrale del romanzo, è un labirintico immondezzaio. In questo cosmo-poubelle si fa sentire però in significativo contrasto (non senza implicazioni genericamente etiche) il vestito bianco, da tutti desiderato, che Danci indossa nella prima parte del romanzo: magnifica invenzione figurativa e visionaria contro questa umanità torbida che palpotta, peta, palpeggia, divora, maledice, ruba, brama, bestemmia, ingurgita, sputa, richiede prestazioni sessuali impensabili, .. Danci è in bianco, nell'incipit con un mazzolino di fiori in mano. Non fa meraviglia che tutti mirino a conquistare il suo verginale ed innocente vestito. Vuoi per rendersi innocenti, vuoi per insozzarlo e quindi eliminarlo. Nella sua demenza, Danci è avvolto di purezza. Demente lo è. Non è solo l'ingorgo di sillabe nella sua lingua, o l'incomprensione di un mondo persecutorio e brutale che lo rendono tale: Danci fifone ha anche mente codarda. Il mondo lo perseguita, è vero, ma forse è Danci stesso che così vuole. Egli soffre di mania persecutoria, e nella sua ossessione tutto e tutti ruotano intorno all'inutilità della sue azioni e dei suoi pensieri. Per salvarsi, il protagonista cerca di afferrarsi alla certezza di un nome, alla solidità di un oggetto, ma tutto scivola, sfugge, cambia, si distorce, tramuta. L'architettura stessa dell'ospedale subisce una metamorfosi: i confini fra realtà e sogno diventano sfumati. Fino all'ultima pagina e all'ultima avventura, il meschino è tormentato dalla malevolenza altrui. La cessazione delle sue disavventure deve però coincidere con l'interruzione del testo, perché non c'è speranza di miglioramento per la condizione di Danci e per la condizione del mondo. In una pagina in cui Celati mima coscientemente il tono illuminato e predicatorio del romanzo tradizionale, e Danci imita incoscientemente un personaggio serioso e simbolicamente significativo, il romanzo presenta il quadro di un minaccioso futuro: 'come si dimostra ancora una volta vero l'antico detto che tutto cambia nel mondo infame ma sempre in peggio mai in meglio e chi sa perché'. Comunque, è chiaro che non si può imparare niente dalle avventure di Guizzardi e da Le avventure di Guizzardi, perché entrambe finiscono casualmente quando lo scrittore sembra essersi stancato di tenere la dolorosa penna in mano. Avranno un bel da fare i teorici per ritrovare degli schemi archetipi ne Le avventure. La sua stessa struttura rende improbabile ogni possibile utilizzo o praticità extraletteraria: si tratta di un testo di seria letteratura e perciò da non prendersi troppo sul serio. E l'ironia, dov'è finita?? Nella sua totalità, Le avventure di Guizzardi è un libro a doppia faccia che vuole dire qualcosa e afferma nel contempo che non c'è niente da dire. Ciò che il testo dice, anzi, dichiara, senza indugi e con soddisfazione a volte eccessiva, è la spensierata inconsequenzialità della propria scrittura. L'approssimata imitazione del monologo interiore, o meglio del borbottio interiore, di un bofonchiare fra i denti di un personaggio che non sa parlare e non sa pensare, può far suo l'effetto buffissimo di una ripetizione insensata come un disco rotto. Oppure, in brillante riproduzione di quella che è condizione abituale del pensiero umano, cioè uno stato di confusa preoccupazione in cui si chiarisce lentamente e faticosamente la confusa matassa di un linguaggio approssimato. Pensare bene fa male (magari procura solo mal di testa); e pensare male fa peggio. Per sfuggire al pensiero allo stato puro si può sempre ricorrere al suono allo stato puro, perciò all'interiezione: e Celati è anche un fanatico della trascrizione grafica dell'esclamazione e dell'urlo (già in Comiche); forse al di là della soglia di sorpresa e di tolleranza del lettore. A volte Celati ha le glapissement juste (= grido adatto), e i suoi grafismi insoliti sono accettabili e anche piacevoli purché giungano inattesi; ma se il lettore prevede l'apparizione inevitabile sulla pagina dell'urlo grafico, il meccanismo non scatta. Qui, più che altrove, il soggetto del romanzo è la lingua del romanzo. I pericoli della scrittura di Celati sono, però, nascosti in altre zone, dove il soggetto/soggetto viene sottomesso non tanto al soggetto/lingua, bensì ad una sorta di soggetto/ricordo (letteraria), ad un soggetto/parallelismo o soggetto/nostalgia, che vive di un continuo richiamo fra sé e il diverso da sé, il passato remoto del proprio stile o del proprio argomento di narrazione. Le comiche del cinema muto vivono riccamente nel passato e nel presente del romanzo. Gran parte del romanzo, come pure il precedente Comiche, mira a fornire un equivalente scritto del burlesco cinematografico o della Commedia dell'Arte, cioè 'un burlesco per intero affidato ai gesti, che rifiuta la mediazione della parola, che si rivolge ai sensi e sollecita nel pubblico una reazione di tipo fisico più che una risposta intellettuale'. Si ha una letteralizzazione della gag cinematografica.

es: scena della fuoriuscita dal monte di letame di Danci vestito da donna con l'ombrello in mano, e la sua successiva navigazione nel fiume

Si può notare il costante invito al lettore di sforzarsi ad ottenere un'immediata visualizzazione dell'esperienza. Nei luoghi decisivi della sua scrittura, Celati ci impone di non prestare troppa attenzione a ciò che avviene sotto i nostri occhi sulla superficie grafica del narrato, ma di vedere ciò che avviene sotto gli occhi della nostra mente; e sotto gli occhi della nostra memoria nell'evocazione e rievocazione filmico-visiva. Un processo di mascheramento di ciò che è scriptus in ciò che è pictus. Altrove, però, il modello filmico è imitato un po' pedissequamente; e anche qui il meccanismo si rifiuta di scattare perché idealmente la visualizzazione dev'essere posteriore e non anteriore alla scrittura (la quale deve dimostrare la sua esistenza attraverso una priorità immaginativa): il lettore deve, leggendo, trasformare il testo in immagini; e non ritrovare le immagini nel testo. L'altro documento culturale che grava sul passato di Guizzardi è Kafka; in particolare, quel misterioso Kafka autore di un romanzo che lui considerava comico-grottesco: Il processo. Il romanzo di Celati aspira ad essere anche Il processo, o almeno un testo kafkiano, buttato sul registro del grottesco-buffonesco. Si ha la confusione fra veglia e sonno, reale e surreale, .. Tutto esiste e non esiste; è vero e non è vero. È vero perché i fatti sono questi, i passi sono lì. Non è vero in quanto non funziona: i documenti del morbo kafkiano rimangono fenomeni isolati in Celati e non riescono a creare una catena significante, una struttura dell'angoscia. Il testo di ribella al suo inventore e rifiuta di assumere un significato angoscioso; il libro è soprattutto giocoso e ben venga così.


Un eroe fetente


Celati è abilissimo nel farci credere ad un suo prolungato letargo infantile. Quando non fa il finto tonto, che è uno dei modi più attraenti della sua scrittura, Celati fa il finto bambino. La banda dei sospiri, il romanzo apparso nel 1976, è un ritorno all'infanzia a 2 livelli:

sia   per la voce della narratore bambino che interpreta quel teatro di marionette che è per l'autore la vita sociale e familiare

sia   per la scalata a ritroso che lo scrittore ha compiuto nei suoi primi 3 romanzi, dall'angosciosa maturità del protagonista di Comiche alla tormentata adolescenza di Guizzardi nelle Avventure fino alla meravigliata ma ansiosa fanciullezza di Garibaldi, figlio piccolo e abbandonato e entità trascurabile di una famiglia rumorosa e casinara

La minutezza corporale e personale dell'eroe bambino è ciò che lo salva, e che gli permette di assistere alle commedie del sesso e del denaro (a cui tutti noi adulti e adolescenti contribuiamo) da un posto di osservazione privilegiato perché non di rilievo. A questa regressione dell'età del protagonista non corrisponde un'involuzione della lingua celatiana già gloriosamente sconnessa verso sempre più infantili balbettii; anzi, avviene quasi il contrario. Mentre Comiche esaltava ed esibiva una sua ribelle sgrammatica, e Le avventure di Guizzardi si aprivano al lettore proprio nelle pagine in cui Celati riusciva ad inventare un discorso sempre più sgangherato e scombiccherato: ebbene, La banda dei sospiri, pur nella spesso felice imitazione di un'inarticolatezza infantile, è di scrittura molto più piana ed accessibile anche al lettore più lettore, cioè più curioso dei giochi dell'infanzia e meno curioso dei giochi della letteratura. Non mancano nemmeno qui le strampalerie morfologiche e sintattiche, ma nel complesso Celati sembra preoccupato di voler raccontare, ad ogni costo, questa sua visione stravolta di quello che è il mondo per un fanciullo e per uno scrittore fanciullino. Il sesso, per esempio, non è (come spesso avviene) rievocato da uno scrittore ormai esperto che nostalgicamente richiama alla memoria gli impacci delle prime scoperte, ma vissuto in un tempo presente, or ora, nella confusa immediatezza del nostro non sapere cosa fare, del nostro ignorare le regole fondamentali del gioco. Come il sesso, così la cultura. L'operazione è ovviamente pop: l'arte pop livella il sapere sociale e culturale, riducendolo ad etichette, marchi di fabbrica, stereotipi coniati altrove ed usati fra virgolette. Se Guizzardi esprimeva l'epopea dell'immondizia e del calcio in culo, La banda dei sospiri raggiunge la dimensione epica attraverso il mito della diarrea e del meteorismo (= eccessivo contenuto di gas nello stomaco e negli intestini). Il piccolo Garibaldi si difende dall'ostilità del mondo in modi espletivi ed esplosivi: in forma orale con le bestemmie, di cui è gran baccalare, ammirato e consultato per la sua vasta cultura in materia; in forma anale con scariche fecali e rumoreggiamenti di basso ventre. Contro le sfuriate del padre, o contro i dischi di musica classica impostigli da un compagno ricco, Garibaldi scopre un sistema difensivo basato sulla diarrea. Loro prevaricano, lui defeca; e defecando si libera dalle loro imposizioni. Altrove Garibaldi imita la tecnica di sopravvivenza della puzzola, difendendo il suo territorio con la barriera della sue acri puzze, al riparo dietro i suoi gravi odori. Il padre non gli compra che scarpe di gomma, e Garibaldi si vendica con i suoi puzzolenti piedi e con altre presenze olfattive ben specificate (puzza di mutanda, puzza di ascelle, ..), di cui il romanzo ci offre abbondante documentazione. Ma è quando Garibaldi deve uscire allo scoperto e affrontare il nemico che si rivela il genio strategico del fanciullo nel suo sfruttamento intensivo del timpanismo (= suono chiaro provocato dalla percussione di organi o di parti del corpo in corrispondenza di cavità nelle quali vi sia accumulo di gas). In questa prospettiva, i romanzi di Celati si collocano nella tradizione della letteratura europea, da Rabelais a Céline, da Swiff e Beckett, di cui lo scrittore stesso nel suo risvolto di critico e saggista è cultore e studioso.


La testa e la pancia


Ci sono romanzi di testa e romanzi di pancia. Questa bipartizione esclude la categoria del romanzo di cuore. Per il momento ci soffermiamo su quello che viene definito 'romanzo di pancia'. Ci sono dei libri che tendono a scendere non verso la camera interna della psiche, bensì verso le profondità del corpo. Gli scrittori che si dedicano a questa categoria letteraria non sono studiosi che si calano nelle oscure caverne dove emozioni e sentimenti vengono formati; bensì fognaroli, lavoratori delle fogne, .. Essi si immergono all'interno della bocca, per descrivere quanto avviene negli strati più profondi del sistema articolatorio, giù nella gola dove si formano i suoni, o in alto sul palato, o sempre più giù, verso il basso ventre, o in precipitosa discesa lungo il sistema digestivo, attraverso stomaco ed intestino, in modo che il rumore letterario che emerge nella pagina venga ad assomigliare sempre più ad un rumoreggiare addominale o ventrale a cui l'autore avrebbe concesso un significato. 2 sono i grandi maestri della scrittura carnalista e del romanzo di pancia, Céline e il suo più importante allievo, Henry Miller. Ci sono dei passi in Henry Miller o in Céline dove la prosa non imita il palpito del cuore, come avviene spesso nella letteratura romantica, ma il tremito di un nervo, la tensione di un muscolo, la corrente del sangue, un brivido lungo la spina dorsale, sospiri, respiri affannosi, pruriti, peti, singhiozzi, sbadigli, il gesto di grattarsi, il suono spento, l'urlo, il lamento, il rantolo, .. sono dei momenti letterari che tendono idealmente a trasformare il dolore fisico e in alcuni casi più rari il piacere fisico non nel significato, bensì nel significante della prosa. Questi sono momenti di carnalità sublime, là dove la carne canta direttamente quasi senza intermediari. Non c'è pensiero, non c'è emozione, non c'è sentimento: solo un tentativo verbale e musicale di offrire una trascrizione diretta di una sensazione fisica. Celati è, nella letteratura italiana contemporanea, quanto di più vicino abbiamo ad un romanzo carnalista; ma l'analisi della scrittura celatiana deve fermarsi qui, a La banda dei sospiri, perché le opere successive appartengono ad un'area diversa. Per esempio, il quarto romanzo di Celati, Lunario del paradiso, non si riesce proprio ad inserire nel discorso. Nonostante alcune scene umoristiche, è un romanzo serio più che scherzoso, sentimentale più che comico, autobiografico più che favolistica, di cuore più che di pancia. Diverso è il caso della recente raccolta di Celati, Narratori delle pianure, dove avviene una metamorfosi della scrittura ben più radicale e forse tutto sommato più tragica perché rappresenta la fine della narrativa carnale dell'autore. Celati sembrava uno scrittore naturalmente grasso che amava la scrittura espansiva, chiassosa, comica, aggressiva, massimalista, carnale, violenta, sgrammaticata; ma dentro di lui c'è sempre stato uno scrittore magro che lo spingeva verso le distese del minimalismo, della letteratura povera, delle storie brevi, delle formulazioni minimali di secchissima scrittura (i 2 maestri confessati del primo Celati sono Beckett e Kafka, oltre ai suoi adorati comici cinematografici del periodo classico). In questo romanzo si riduce il mondo del racconto ad una scrittura quanto più possibile senza ondulazioni, piatta come la pianura Padana da cui prende spunto. Tutto gli uomini hanno una storia da raccontare, sembra credere Celati, e il cantastorie gira di paese in paese, cercando materiale per le sue filastrocche nelle confessioni e nei discorsi vuoti degli abitanti. In questo libro l'obiettivo della scrittura è tenuto basso. Celati non crede più che la macchina della sua scrittura possa creare un moto costante di vivacità e di inventività, ma rimane affascinato da questo strano meccanismo, che è il racconto, e fa delle macchine di moto quasi perpetuo: un modo perpetuo modesto, da 10 minuti. I racconti di Narratori delle pianure sono scritti da un narratore che forse aveva voluto conquistare il mondo dell'epica (al livello del grottesco) e ora si accontenta del livello del componimento popolaresco. E a questo livello semplice alcuni racconti sono esemplari, forse contro la volontà stessa dell'autore di tenere la voce bassa e di non farsi troppo notare: dove l'alleanza fra lo spericolato Celati di un tempo e il controllato Celati di oggi sembra ancora funzionare perfettamente.


GUIDO ALMANSI: Critico, saggista e scrittore (Milano 1931-Mendrisio 2001). Tra i suoi scritti: Estetica dell'osceno (1974), Amica ironia (1984), La ragion comica (1986), Teatro del sonno (1988), Donna da Quirinale (1990), L'incerta chiarezza (1990), Perché odio i politici? (1991), Il filosofo portatile (1991), Bugiardi. La verità in maschera (1996) e La nuova Alice (1998). Collaboratore di Repubblica e Panorama, nel 1993 assumeva la direzione della rivista Il racconto.

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