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Beppe Fenoglio, Una questione privata

letteratura italiana



Beppe Fenoglio, Una questione privata
Einaudi, 1986
pp.155


Una questione privata venne pubblicato postumo, per la prima volta nel 1963, in un volume comprendente anche Un giorno di fuoco. Questo abbinamento stava forse a suggellare la totale predominanza, in Fenoglio, delle due tematiche a lui molto care: quella contadina, vissuta nel contesto delle Langhe, e quella partigiana.

La trama è di per sé molto semplice e coinvolge un solo personaggio: il partigiano badogliano Milton. Questi, recatosi nei luoghi che 959e43j hanno visto nascere il suo amore per la giovane torinese Fulvia, viene a conoscenza della relazione esistente fra la ragazza ed il suo amico Giorgio, anch'egli partigiano. Da questo momento, il tempo sarà scandito dalla ricerca, da parte del protagonista, sia dell'amico, che della verità sulla realzione di questi con Fulvia. La ricerca lo porterà a tentare imprese disperate, a privarsi del sonno, a valicare nere colline battute incessantemente dalla pioggia.

All'interno di questa semplice struttura, grazie anche ad un uso sapiente dell' espediente del flash-back, Fenoglio riesce ad accumulare, nelle poche pagine di questo romanzo, una quantità impressionante di azioni, le quali si distinguono per l'intensità con cui vengono raccontate e per l'importanza che esse assumono all'interno della narrazione. In un gioco di rimandi, che mantiene sullo sfondo la lotta di liberazione, gli episodi che riaffiorano nella memoria di Milton vengono a contrapporsi alle prove affrontate da questi durante la ricerca. Le azioni e, con esse, i personaggi, le ambientazioni e i dialoghi, sono sempre le stesse; ciò che cambia è la motivazione che sta dietro ad esse. In questo senso, tanto i ricordi appaiono come racconti narrati da vecchi partigiani, cristallini nella loro nettezza e nella loro efficacia, giusti e irreprensibili nella loro morale, quanto le vicende connesse alla ricerca appaiono fluttuanti in un fango onnipresente, come sospese e destinate a fallire.



La memoria è la ricerca dell'origine della propria moralità presente già in Un giorno di fuoco. Alla base della disperata ricerca del giovane partigiano non c'è propriamente l'amore nei confronti di Fulvia, peraltro sempre assente (nei ricordi la sua fisicità non riesce mai ad imporsi), ma la solidità del sentimento, la certezza di non essere stato e di non essersi ingannato.

C'é un momento, tuttavia, in cui davanti al protagonista si apre una voragine (quasi un fianco di una delle sue amate colline lungo il quale, gettandosi a capofitto e senza pensarci, tante volte aveva avuto salva la vita), invalicabile, in grado da sola di scardinare tutte le certezze finora acquisite. E come queste certezze si creavano e solidificavano nella semplice pratica dell'azione e quindi nella scelta morale di compiere un'azione di guerriglia in quanto partigiano, ecco che ora esse si sfaldavano proprio sullo stesso piano: senza di esse tutto è destinato a fallire. Ecco quindi il vero senso della contrapposizione fra tempo presente e tempo rievocato, senso che si può compiutamente percepire se si confronta, ad esempio, l'episodio della battaglia di Verduno - in cui i partigiani uniti sconfiggono il nemico - con quello della cattura del sergente fascista da parte del solitario partigiano (si noti anche l'assurdità nel considerare come una sconfitta l'uccisione di un nemico).

La speranza di ricongiungersi con Fulvia, insomma, non è altro che un modo, per Milton, di guardare dentro di sé e scoprirvi un vuoto lancinante, una negazione di tutto ciò per cui si è combattuto e degli ideali stessi della Resistenza (verò é, ad ogni modo, che se per Fenoglio negare la Resistenza significa negare le proprie certezze, l'importanza di essa per il nostro autore affiora chiarissima). E questo vuoto, seppure di natura puramente esistenziale, é reso dalla guerra e dalla sua inflessibilità, assolutamente tragico. Le azioni rievocate, invece di essere usate per riempire questo abisso, sono negate per allargarne paurosamente i margini, per ribadire quella solitudine, sempre così presente nelle opere di Fenoglio, che spinge Milton a vagare disperato. La corsa finale, bellissima, assomiglia ad uno straordinario, ultimo tentativo di dare un senso alla propria esperienza umana, tentativo tutto interno al mondo della scrittura, che si esprime in una corsa inarrestabile, come le parole che l'accompagnano, destinata a finire, certo, ma incredibile testimonianza di un modo anticonvenzionale, franco, lucido, antiretorico, di guardare dentro di sé.



La natura sottolinea incessantemente gli aspetti che in precedenza messo in evidenza. Come una madre protettiva, essa capisce quando Milton imbocca la pericolosa strada che lo condurrà alla morte e si dimostra tenace nel tentativo di frenarlo. Nella sua disperata ricerca, Milton si muove fra colline nere e alberi grondanti, sopra strade colme di fango «giallo come zolfo, tenace come mastice», attraverso guadi resi impraticabili, in un paesaggio continuamente segnato dalla pioggia e dalla nebbia, che entra nei polmoni e tutto cancella. Il viaggio compiuto dal protagonista si tramuta quindi in una vera e propria lotta al fine di portare a termine il proprio vagare; lotta contro la natura, ormai divenuta gigantesco specchio del destino, che aleggia sul protagonista sempre più solo e folle nell' ansia di conoscere un segreto che nessuno può apprendere. Un segreto che la bellezza tutta letteraria del finale riesce solo a sfiorare. «Come entrò sotto gli alberi, questi parvero serrare e far muro e a un metro da quel muro crollò».







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