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I movimenti religiosi nel XIII secolo

letteratura italiana



I movimenti religiosi nel XIII secolo

La tendenza di un rinnovamento della Chiesa era già sentito nel a causa della nascita e impetuosa crescita di movimenti evangelici e pauperistici che si rifacevano allo spirito e alla lettera dei Vangeli e al modello di vita, povera e umile, di Cristo e Apostoli.

Già nel corso dell'XI secolo si erano sviluppate proteste contro il clero simoniaco, che vendeva e comprava cariche religiose. Nasce il movimento dei valdesi che prende nome dal mercante Valdo che ne è il fondatore, questi sostenevano che il diritto di predicare la fede deve essere di tutti i credenti, donne comprese, e non solo degli uomini di chiesa. Talora lo stesso corpo dottrinale della Chiesa viene attaccato alle radici: è il caso dei càtari che si organizzarono in una struttura alternativa alla gerarchi ecclesiastica e sostengono una visione dualistica dell'esistenza: da un lato il male, che governa i beni terreni e le opere dell'uomo, tra cui anche la Chiesa, dall'altro il bene, riconosciuto solo da pochi "puri" che tutto devono sacrificargli.

Altra corrente fu il gioachinismo, movimento fondato dal monaco calabrese Gioacchino da Fiore (1130 - 1202), che Dante loda mettendolo in Paradiso. La sua teoria era quella che il mondo sarebbe finito e sarebbe nato un nuovo millennio in cui Dio e Il Bene avrebbero governato la vita umana. Questa teoria influenzò anche molti movimenti apertamente ereticali, come quello di Fra Dolcino da Novara che guidò addirittura una rivolta contadina.



La reazione della Chiesa fu dapprima di repressione (si ricorda la Repressione contro i càtari della Provenza, con le stragi indiscriminate nel 1208) e poi l'istituzione nel 1233 del Tribunale dell'Inquisizione che, con l'aiuto delle autorità politiche, doveva scoprire e condannare gli eretici. Successivamente la Chiesa incoraggiò una reazione ideologica con l'affermazione della figura del Frate predicatore, che era assai diversa dalla figura comune del monaco. Infatti il frate predicatore aveva i 818e44i l compito di predicare la fede, intervenire nelle controversie in città, figura più vicina al popolo, ma appunto per questo soggetta ai coinvolgimenti nella vita di ogni giorno.

Con il Giubileo del 1300 voluto da Bonifacio VIII, la Chiesa segnò la sconfitta della rivolta eretica e il proprio trionfo.

Domenicani e Francescani.

L'ordine domenicano fu fondato dallo spagnolo Domenico di Calaruega e riconosciuto dal papa Onorio III nel 1216. I domenicani erano soprattutto frati predicatori, esperti nel contraddittorio con gli eretici e perciò profondi conoscitori della dottrina e della teologia. Attivi anche nelle università, come professori di quest'ultima disciplina. Tommaso d'Aquino fu il maggior teorico dei domenicani. Essi si integrarono facilmente nella struttura ecclesiastica una volta riconosciuti come ordine ufficiale.

I francescani, invece, si ispiravano alla vita di Cristo cercando di imitarla in ogni comportamento pratico, e a ideali di povertà, di carità, di umiltà. Francesco sosteneva che i membri della comunità dovevano vivere del proprio lavoro senza possedere beni materiali. La semplicità e l'ingenuità la caratteristica dei francescani, oltre a un forte anti-intellettualismo e una sorta di istanza anti-borghese. Fu più difficile, rispetto ai domenicani, l'integrarsi con la struttura ecclesiastica, la Regola dovette subire trasformazioni e lasciar cadere gli aspetti più rigidi.

Ciò non impedì una ricca letteratura, spontanea e di base, volta a recuperare le primitive istanze del francescanesimo. La biografia stessa di San Francesco divenne terreno di varie controversie.

Le parole dei francescani e le opere di San Francesco colpirono la fantasia dei contemporanei, perché si apri una chiara opposizione alla recente borghesia, fondata sui valori del commercio, del denaro e della ricchezza. Ciò spiega tra l'altro, il carattere più popolaresco della lauda, espressione del movimento francescano in Umbria, rispetto al poemetto didattico nel Nord Italia.

Generi e Aree geografiche

Nel medioevo buona parte della produzione letteraria tende ad essere religiosa. Gli autori provengono da movimenti religiosi che si affermano nel corso del secolo: oltre a San Francesco, c'è anche Jacopone da Todi e Giacomino da Verona entrambi francescani, mentre Bonvesin da la Riva, faceva parte dell'ordine terziario degli umiliati.

Si possono distinguere due generi poetici prevalenti: il poemetto narrativo e didattico che dette i suoi risultati più significativi nell'area lombardo-veneta e la lauda, lricia e poi drammatica che si diffuse nel Centro.

Il poemetto Narrativo didattico (in quartine monorime, i quattro versi hanno tutte la stessa rima) può contenere una "disputa" tipica della Scolastica, oppure visioni dell'oltre tomba, atte a terrorizzare i peccatori e incoraggiare i credenti sulla via del bene. La lauda (adotta la struttura della canzone a ballo, con l'impiego di rime intrecciate) invece canta le lodi di Maria, di Cristo e dei Santi, trasformando la sua originaria natura di lirica in dramma sacro.

Il poemetto didattico

Si sviluppò principalmente nelle aree del Nord, in particolare nei comuni dell'area lombardo-veneta, dove la mentalità era ancora di una religione semplice e schematica. Scritte in volgare, i vari poemetti, riflettono il volgare di tipo municipale delle varie città senza ambizione di costruire né un modello illustre, né una lingua comune dell'area padana. I maggiori esponenti furono Giacomino da Verona e Bonvesin da la Riva.

Giacomino da Verona: frate francescano, compose due poemetti in quartine monorime, De jerusalem celesti (la Gerusalemme celeste) e De Babilonia civitate infernali (La Babilonia città infernale) dedicati rispettivamente alle due città che si contrapponevano nell'immaginario religioso, Gerusalemme il Paradiso e Babilonia la città di Satana, l'Inferno.

Bonvesin da la Riva: (nato intorno al 1250 morto fra il 1313 e il 1315) appartenente all'ordine degli umiliati, scrisse in quartine monorime il Libro delle tre scritture, dedicate: la prima (scrittura negra) all'Inferno, la seconda (scrittura rossa) alla Passione di Cristo e la terza (dorata) al Paradiso.

In entrambi gli autori manca l'immagine del Purgatorio, che in Bonvesin corrisponde alla Passione del Cristo, che, con la sua morte, apre la strada alla beatitudine per l'uomo. L'esistenza del Purgatorio comincia ad apparire nella mentalità religiosa nel periodo da 1150 al 1250 e apparirà ufficialmente nella dottrina della Chiesa con Innocenzo IV. L'idea stessa di una parte intermedia fra Inferno e Paradiso, rende meno rigida la concezione dell'aldilà.

La lauda

La lauda prende il nome da "laus" latino che significa "lode". In principio infatti le lauda erano lodi alla Madonna, al Cristo e ai Santi. La lauda in volgare compare nel 1233 l'anno dell'Alleluja.

In principio le prime lauda erano, secondo la tradizione biblica e liturgica in latino, cantate dalle masse di contadini e piccoli borghesi durante le processioni cittadine. Poi si assiste all'evoluzione verso la scrittura della canzone a ballo (o ballata). Nascono confraternite di laudesi che cantano le loro lodi alla Vergine Maria e si specializzano nella trasmissione orale di questo genere.

La lauda tende a istituzionalizzarsi attorno al 1260 nella forma scritta e nella struttura della ballata secondo un modello già presente nel "Laudario di Cortona" che contiene le più antiche laudi scritte. L'ipotesi più probabile è che sia stata istituzionalizzata da Ser Garzo (forse bisavolo di Petrarca) altre ipotesi suggeriscono Iacopone da Todi o Guittone d'Arezzo.

In essa si ha l'alternanza fra la voce del solista, che canta le singole istanze, e la voce del coro dei fedeli che cantano la ripresa. Tale struttura permette facilmente il passaggio da lauda lirica a lauda drammatica. Presenta dal punto di vista metrico, grande varietà: settenari, ottonari, novenari, doppi quinari, doppi settenari) mentre il modello di rime è zagialesco (da zagial, forma metrica araba) praticato da Garzo e da Jacopone secondo lo schema xx (ripresa) aaax, bbbx.

Francesco d'Assisi.

Francesco, nasce ad Assisi, in Umbria, nel novembre del 1182. Il padre, Pietro Bernardone, è un ricco mercante. Francesco condusse una giovinezza spensierata e felice, fino alla crisi avvenuta durante una prigionia di oltre un anno: fu fatto prigioniero a causa della sconfitta di Assisi contro Perugia nello scontro di Ponte San Giovanni (1202). Alla prigionia susseguono la sua vocazione religiosa e la sua conversione (1206). L'imitazione fedele del Vangelo si attua con la condanna dei valori economici e della proprietà privata della società borghese. Convocato dal padre davanti alla corte di Assisi perché rinunci formalmente all'eredità (1207), Francesco si denuda pubblicamente e riconsegna al padre le vesti, con rifiuto radicale alla proprietà privata. Inizia così la predicazione associata al mendicare e ad aiutare i bisognosi. L'esempio di Francesco e poi imitato da molti seguaci, e organizzato da lui stesso secondo una Regola, che fu approvata in forma definitiva dalla Chiesa con Onorio III nel 1223.

La vita di Francesco è segnata da altri gesti simbolici, come quello del pellegrinaggio in Terra Santa dove incontrò il Sultano e la stessa invenzione del presepe, indicano il suo atteggiamento polemico nei confronti delle crociate: se Cristo può nascere ovunque si operi in suo nome, è inutile la necessità di riconquistare le regioni che storicamente si legano a Gesù.

Francesco muore nella Porziuncola il 3 ottobre del 1226. E fu fatto Santo nel 1228 dal papa Gregorio IX.

Poco prima di morire, compose una lauda in volgare umbro: Laudes Creaturarum (Lodi delle Creature) che ha anche il nome di Cantico di frate sole. Nel Cantico si ha una concezione ottimistica e felice della Natura e un rifiuto verso del mondo e delle sue convenzioni. L'idea evangelica dell'uguaglianza fra gli uomini è rilanciata da Francesco come il rapporto armonioso fra l'uomo e la Natura, con l'Universo e con Dio.

L'estremismo di Francesco si accompagna all'ottimismo nei confronti delle potenzialità spontaneamente sociali dell'uomo. Per questo egli conservò sempre fiducia nella riformabilità della Chiesa intesa come spirito guida e la criticò, seppur mai si distaccò da essa.

Il Cantico de frate Sole è il primo testo artistico della letteratura italiana, e anche uno dei pochi rimasti del Santo. Fu scritto eccezionalmente in volgare, per rivolgersi anche al popolo che ignorava il latino. La funzione ideologica di questa lauda e duplica: da una parte vuole contrastare l'eresia càtara che vedeva la terra come rappresentazione del male e il cielo del bene, e dall'altra contrastare la tradizione pessimistica apocalittica della tradizione millenaria, mostrando l'aspetto sereno del creato, della morte e del rapporto con Dio. Nel Cantico il linguaggio è gioioso e rasserenato, atto a descrivere e caratterizzare anche le cose più semplici e comuni dell'esperienza materiale dell'uomo, riscoprendo con serenità la bellezza fisica e naturale della terra, senza più sentirne la minaccia e il peso di una tentazione diabolica. Resta, tuttavia, invariato il rapporto che subordina il creato al creatore, la terra a Dio.

La stessa dignità e la bellezza della vita umana possono essere riscoperte valorizzando l'esperienza umana di Cristo. La vita di Cristo, che fino a Francesco era poco conosciuta, assume il carattere di modello retto. Il suo riferimento al Vangelo non è perciò metaforico ma mimetico, non interpreta cioè il significato degli episodi ma li imita letteralmente. L'imitazione della vita di Cristo narrata nel Vangelo determina anche la "teatralità" dei gesti del santo, cioè la dimensione insieme tragica ed eroica del suo comportamento, proteso verso un rapporto con la dimensione sociale.

Già durante la vita di Francesco si svilupparono due concezioni assai differenti del francescanesimo: quella dei fedeli e quella rappresentata dalla Chiesa ufficiale di Roma. Quest'ultima era stata spesso il bersaglio delle critiche del Santo. Il papa avrebbe potuto affrontare il movimento condannandolo come eretico, ma vista la sua rapida diffusione, gli fu suggerimento dall'abbandonare tale strada. Il modo in cui la Chiesa si "difese" dal francescanesimo fu l'appropriamento, quando nel 1228 Francesco fu fatto Santo, da già due anni il movimento da lui creato era divenuto un ordine, cioè una struttura ufficiale della Chiesa cattolica romana.

Sul piano sostanziale l'allontanamento dall'insegnamento di Francesco riguarda l'atteggiamento da tenere nei confronti del Vangelo e della vita di Cristo. L'opportunità di interpretare il Vangelo come metafora (che fu respinta dal Santo) fu recuperata dalla istituzione ecclesiastica, che modificò dunque la Regola. Perfino le questioni del voto di povertà furono cambiate: non era più proibita la proprietà privata, ma interpretata come condanna al lusso e al superfluo. Questa assunzione dell'ordine francescano nelle istituzioni della Chiesa fu la banalizzazione dell'ideale di Francesco: la violenta carica umana e ideologica nonché la tendenza estremistica allo scandalo, si trasformarono in una generica esortazione alla vocazione mistica; mentre l'impegno sociale così nuovo si trasformò in un invito alla fratellanza e all'amore universale. Le chiese erette in suo nome, le basiliche, hanno si l'amore della semplicità e umiltà di Francesco, ma la loro solennità e la loro sfarzosità sono del tutto estranee alla mentalità. Esempio: il Santo fu raffigurato da Giotto, tra il 1298 e il 1300 in un ciclo di 28 affreschi raffiguranti la vita. Solo in una di queste appare il tema della povertà, anzi venne rappresentato come uno onesto lavoratore borghese. Dante invece nel IX del Paradiso lo raffigura come un eroico combattente, mettendo l'accento in particolare sul tema caratterizzante della povertà.

Jacopone da Todi

Fu uno dei più originali poeti del Duecento e una delle personalità più inquietanti della nostra civiltà letteraria. Pur inserendosi nel solco della tradizione francescana, Jacopone non vive più il rapporto fiducioso e ottimistico con la natura che caratterizza Francesco d'Assisi. Egli non oppone all'ideologia della ricchezza e del potere i valori elementari della natura; la sua lotta è invece tragica e sfiduciata. L'uomo di Jacopone è interamente calato nella materia della società e della storia, mentre la natura si ritira sullo sfondo o invita a un rapporto di tensioni tragiche. L'equilibrio di Francesco risulta impossibile per Jacopone, il quale riprende del modello piuttosto gli aspetti polemici e le punte violente, costruendo un sistema fatto di eccessi, di disarmonie, di negazioni, di contrasti e di paradossi, senza giungere mai a un orizzonte rasserenante e positivo.

Fece un uso personale della lauda, piega la forma ormai tradizionale a un impiego: nelle laudi jacoponiche si esprime un tormento esistenziale e una battaglia politico culturale che eccedono di molto le tematiche, pure ancora presenti, delle "lodi" religiose.

Nasce intorno al 1236 a Todi (in Umbria) dalla nobile famiglia dei Benedetti, e fino alla conversione avvenuta nel 1268 vive esercitando la professione di procuratore legale ben addentro a quella fervida vita mondana. La morte tragica e improvvisa della moglie, e il ritrovamento di un cilicio sulle carni di lei, lo avrebbero spinto alla conversione, appunto nel 1268. La seconda parte della vita di Jacopone è segnata dal rifiuto di tutti i valori mondani (compresa la cultura). Dopo anni di vagabondaggio e penitenza, riuscì a farsi accogliere nell'ordine francescano come frate laico nel 1278. Quando Bonifacio VIII, che rappresentava le istanze più conservatrici e compromesse del potere ecclesiastico, divenne il successore di Celestino V, egli firmò il manifesto dei cardinali Colonna che dichiarava nulla l'elezione di Bonifacio (1297). Fu travolto dalla reazione papale subendo la scomunica e l'arresto. Dal carcere inviò varie epistole al papa, predicendogli la dannazione eterna e chiedendo la revocazione della scomunica. Scomunica che fu tolta nel 1303 per indulgenza di Benedetto XI, successore di Bonifacio VIII morto in quell'anno. Jacopone morì la notte di Natale del 1306 a Collazione non lontano da Todi.

Scrisse alcune opere latine, non tutte di sicura attribuzione. Fra le quali spicca la celebre sequenza dello Stabat mater. Ma il meglio della produzione è da cercarsi nelle laudi. I temi sono spesso quelli della tradizione francescana: l'umiltà dell'uomo, e delle cose finite rispetto alla grandezza di Dio. Il trattamento riservato dall'autore a queste opere è però profondamente originale, domina un senso di rabbiosa irrequietezza nei confronti della condizione umana, costantemente aggredita nella sua colpevole superbia; mentre l'altezza di Dio provoca un sentimento di indegnità e la vertigine della deistanza. Rispetto al valore assoluto della divinità ogni altra cosa perde significato, riducendosi a nulla. L'uomo resta schiacciato tra due diverse forme di nichilismo: quello relativo della Terra (che è nulla rispetto alla divinità) e quello assoluto di Dio (che è ad infinita e irrecuperabile distanza dalla limitatezza umana).

Affermazione del nulla: l' "alta nichilitade" (il profondo nulla) della divinità è un eccesso di luce che coincide con la tenebra, un eccesso di parole che coincide con il silenzio, un eccesso di certezza che coincide con l'ignoto. La tradizione mistica medievale è rivissuta da Jacopone con energia e finalità rinnovate.

L'io aggredito nel corpo: Jacopone invoca malattie e sofferenze, rovesciando le consuete richieste devote di protezione dai mali. La dimensione sociale è respinta come dimensione mondana e peccaminosa; e però al tempo stesso la incalzante oratoria jacoponiana implica un ascoltatore da catturare e convincere.

La scelta "politica" del dialetto umbro, compiuta in chiave anti-intellettualistica, non esclude il ricorso a termini e forme dalla più varia provenienza: il latino ecclesiastico, il gergo giuridico, il codice della lirica d'amore. Jacopone non si acqueta mai nell'accettazione dei confini della esprimibilità umana e torna insistentemente a forzarli. Di qui nasce l'arditezza del dettato, esasperato nel lessico e nello stile. Per lo più il risultato stilisticamente risentito è ottenuto attraverso l'impiego di mezzi semplici, sia sul piano lessicale, dove domina l'uso consapevolmente utile del dialetto umbro meno raffinato, sia su quello retorico, dato l'impiego frequente di figure di ripetizione e di contrapposizione. La sintassi si mostra spezzata, con frequenti asindeti, ellissi, cambiamenti di soggetti.

Spetta probabilmente a Jacopone il passaggio da lauda lirica a lauda drammatica. Tra i suoi testi più celebrati e riusciti (il Pianto della Madonna) vi appunto un intreccio di voci; e in questa oggettivazione "teatrale" di Jacopone sa trovare accenti teneri e dolenti, segno di una eccezionale possibilità di incontro.





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