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La dottrina kantiana del bello

psicologia



La dottrina kantiana del bello. Il suo fraintendimento ad opera di Schopenhauer e di Nietzsche


Sappiamo grosso modo fin d'ora che, come per il comportamento del pensare e del conoscere è determinante il vero, e per l'atteggiamento morale il bene, così ciò che è determinante per lo stato estetico è il bello.

Che cosa dice Nietzsche sul bello e sulla bellezza?? Anche qui Nietzsche ci fornisce soltanto singole affermazioni, quasi solo proclami e accenni. In nessun luogo troviamo un'esposizione costruita e fondata. Una comprensione oggettiva e complessiva delle tesi di Nietzsche sulla bellezza risulterebbe dall'esame specifico delle vedute estetiche di Schopenhauer; infatti, nel determinare il bello Nietzsche pensa e giudica dalla prospettiva della contrapposizione e quindi del rovesciamento. Questo modo di procedere diventa tuttavia fatale ogni qualvolta lo stesso avversario prescelto non sta su un fondamento solido, ma vacilla anche lui. Così stanno le cose nel caso delle vedute estetiche di Schopenhauer, esposte nel terzo libro della sua opera capitale Il mondo come volontà e rappresentazione. Non si può dire che siano un'estetica paragonabile, anche solo lontanamente, a quella di Hegel. Nei contenuti, Schopenhauer vive di coloro contro i quali impreca, di Schelling e di Hegel. Colui contro il quale non impreca è Kant; ma in compenso lo fraintende profondamente. Nell'origine e nella preparazione del fraintendimento dell'estetica kantiana, al quale pure Nietzsche soggiace e che è del tutto in voga ancora oggi, Schopenhauer svolge il ruolo principale. Si può dire che l'incidenza della Critica del Giudizio di Kant, opera nella quale è esposta l'estetica, ha finora avuto luogo solo sul fondamento di fraintendimenti, un 727c23h processo, questo, che è parte della storia della filosofia. Schiller è stato l'unico a capire cose essenziali in riferimento alla dottrina kantiana del bello e dell'arte; anche la sua conoscenza fu però occultata dalle dottrine estetiche dell'800.



Il fraintendimento dell'estetica kantiana riguarda un'asserzione di Kant sul bello. Si tratta di una definizione sviluppata nella Critica del Giudizio. Bello è ciò che piace soltanto in modo puro. Il bello è oggetto del semplice piacere. Questo piacere, in cui il bello si apre a noi in quanto bello, secondo le parole di Kant, è senza alcun interesse. Kant dice: "il gusto è la facoltà di giudicare un oggetto o un tipo di rappresentazione mediante un piacere o un dispiacere, senza alcun interesse. L'oggetto di un tale piacere si chiama bello".

Il comportamento estetico, cioè il comportamento nei confronti del bello, è il piacere senza alcun interesse. L'assenza di interesse è, secondo il concetto comune, l'indifferenza rispetto ad una cosa o ad un essere umano: nel nostro riferirci alla cosa o all'essere umano non investiamo niente della nostra volontà. Se il rapporto con il bello, il piacere, viene determinato come disinteressato, allora lo stato estetico è, secondo Shopenhauer, una sospensione della volontà, un calmarsi di ogni appetito, il puro riposare, il puro non-voler-più-nulla, il puro librarsi nella noncuranza.

E Nietzsche?? Egli afferma: lo stato estetico è l'ebbrezza. Questo è evidentemente il contrario di ogni piacere disinteressato, quindi l'antagonismo più netto rispetto a Kant nella determinazione del rapporto con il bello. Di qui comprendiamo l'osservazione di Nietzsche: "da Kant in poi tutti i discorsi su arte, bellezza, conoscenza, sapienza sono contaminati e insudiciati dal concetto di senza interesse".

Da kant in poi?? Se questo sta a significare ad opera di Kant, dobbiamo allora dire: no! Se però vuol dire: dal fraintendimento schopenhaueriano di Kant in poi, allora sì! E con ciò stesso è frainteso anche lo sforzo proprio di Nietzsche.

Ma che cosa intende Kant con quella definizione del bello come oggetto di piacere disinteressato?? Che cosa significa senza alcun interesse?? Interesse è il latino mihi interest, mi importa di qualcosa; avere un interesse per qualcosa vuol dire: voler avere qualcosa per sé, per possederla, adoperarla e disporne. Se abbiamo un interesse per qualcosa, poniamo questo qualcosa in una prospettiva che mira a ciò che vogliamo e che ci proponiamo di farne. La cosa per la quale abbiamo interesse è già sempre presa, cioè rappresentata, in vista di qualcosa d'altro.

Kant imposta la questione dell'essenza del bello nel seguente modo. Si chiede: per trovare il bello in quanto bello, da che cosa dev'essere determinato il comportamento nel quale noi troviamo che qualcosa in cui ci imbattiamo è bello?? Qual è la ragione determinante del trovare-bello qualcosa??

Prima di dire in positivo che cosa è questa ragione determinante del trovare-bello, e quindi che cosa è il bello in quanto tale, Kant dice anzitutto, in negativo, che cosa non può e non deve mai porsi come ragione determinante: un interesse. Ciò che ci induce al giudizio questo è bello non può mai essere un interesse. Questo vuol dire: per trovare bello qualcosa, dobbiamo lasciare che sia ciò in cui ci imbattiamo a venirci dinanzi puramente come tale, nel suo proprio rango e nella sua dignità. Non dobbiamo fin dall'inizio metterlo in conto in vista di qualcos'altro, in vista dei nostri scopi e intenti, di un possibile piacere e vantaggio. Il comportamento nei confronti del bello in quanto tale, dice Kant, è il libero favore; dobbiamo lasciare libero in quello che è, come tale, ciò in cui ci imbattiamo, dobbiamo lasciargli e favorirgli ciò che gli appartiene e che esso ci apporta.

Ma questo libero favorire, questo lasciare che il bello sia quello che è, è una sospensione della volontà, è indifferenza?? O questo libero favore non è piuttosto lo sforzo sommo del nostro essere, la liberazione di noi stessi per lasciare libero ciò che ha in sé una propria dignità, affinché l'abbia soltanto in modo puro?? Il senza interesse di Kant è un contaminare e addirittura un insudiciare il comportamento estetico, o non è piuttosto la sua prima grande scoperta e valorizzazione??

Il fraintendimento della dottrina kantiana del piacere disinteressato consiste in un doppio errore:

la determinazione senza alcun interesse, che Kant dà solo a mo' di preparazione e per aprire la strada, e che anche nella sua formulazione linguistica indica già in modo molto chiaro il carattere negativo, viene spacciata per l'unica asserzione di Kant sul bello e, al tempo stesso, per un'asserzione positiva, e fino ai giorni nostri è stata presentata come l'interpretazione kantiana del bello



la determinazione, così fraintesa nella sua funzione metodica, viene al tempo stesso pensata nel suo contenuto non in vista di ciò che rimane nel comportamento estetico una volta caduto l'interesse per l'oggetto

Questo fraintendimento dell'interesse conduce all'opinione erronea che con l'esclusione dell'interesse sarebbe impedito ogni fraintendimento essenziale all'oggetto. Accade invece il contrario. Lo stesso riferimento essenziale all'oggetto entra in gioco proprio in virtù del senza interesse. Non si vede che soltanto ora l'oggetto viene in luce come oggetto puro che questo venire-in-luce è il bello. La parola bello vuol dire l'apparire nella luce di questo venire-in-luce.

Se Nietzsche, invece di affidarsi soltanto alla guida di Schopenhauer, avesse interrogato direttamente Kant, avrebbe dovuto riconoscere che Kant è stato l'unico a capire l'essenziale di quello che egli, a proprio modo, vuole che sia compreso come il carattere decisivo del bello. Nel passo citato, dopo l'inaccettabile osservazione su Kant, Nietzsche non avrebbe mai potuto continuare dicendo: "per me vale come bello (da un punto di vista storiografico): ciò che si può vedere negli uomini più venerati di un'epoca, come espressione di ciò che è più degno di venerazione". Infatti proprio questo, vale a dire ciò che va apprezzato nel suo apparire mediante il puro apprezzamento, è per Kant l'essenza del bello, sebbene egli non lo estenda immediatamente, come Nietzsche, a tutto quello che è storicamente significativo e grande.

E quando Nietzsche dice: "il bello esiste tanto poco quanto il bene, il vero", anche questo coincide con l'opinione di Kant.

Tuttavia, il rimando a Kant nel contesto dell'esposizione della concezione nietzscheana della bellezza non ha soltanto il compito di eliminare il radicato fraintendimento della dottrina kantiana, ma di dare la possibilità di capire, in base al suo contesto storico originario, ciò che Nietzsche stesso dice sulla bellezza. Il fatto che Nietzsche stesso non abbia visto questo contesto è un limite che egli condivide con il proprio tempo e con il rapporto di quest'ultimo con Kant e l'idealismo tedesco. Così come sarebbe imperdonabile se consentissimo il permanere del fraintendimento dominante dell'estetica kantiana, sarebbe altrettanto sbagliato tentare di ricondurre la concezione nietzscheana della bellezza e del bello a quella kantiana. Adesso si tratta piuttosto di lasciare crescere la determinazione nietzscheana del bello dal proprio terreno e vedere in quale diversità essa venga tradotta.


Anche Nietzsche determina il bello come ciò che piace. Ma tutto dipende dal concetto di piacere e di ciò che piace in quanto tale. Ciò che piace, lo prendiamo come ciò che ci si ad-dice, che ci cor-risponde. Che cosa a uno piace, che cosa gli si addice, dipende da chi è colui al quale qualcosa deve addirsi e cor-rispondere. Chi sia costui lo si stabilisce in base a quello che egli esige da sé. Chiamiamo allora bello quello che corrisponde a ciò che noi esigiamo da noi stessi. Questa esigenza si misura a sua volta in base a ciò che pensiamo di noi, a ciò di cui ci riteniamo capaci, in base alla prova estrema che forse siamo appena appena in grado di superare.

In base a ciò comprendiamo l'asserzione di Nietzsche sul bello e sul giudizio del trovare bello qualcosa: "il fiuto di ciò contro cui ci sentiremmo pressappoco di spuntarla, se ci venisse incontro materialmente, come pericolo, problema, tentazione; questo fiuto determina anche il nostro sì estetico. (ciò è bello è un'affermazione)".

Così pure: "ciò che è saldo, potente, solido, la vita che riposa larga e possente e cela la sua forza, ciò piace: cioè corrisponde a quel che si pensa di sè".

Il bello è ciò che apprezziamo e veneriamo come l'immagine-modello del nostro essere; ciò a cui dal fondo del nostro essere, e per esso, noi doniamo (per dirla con Kant) il libero favore. Nietzsche dice in un altro passo: "l'essere liberati dall'interesse e dall'ego è un non senso e un'osservazione imprecisa: è piuttosto l'estasi di essere, ora, nel nostro mondo, di essere liberati dalla paura di ciò che è estraneo!".




Certo, l'essere liberati dall'interesse nel senso dell'interpretazione schopenhaueriana è un non senso. Ma ciò che Nietzsche designa come l'estasi di essere nel nostro mondo è quello che Kant intende con il piacere della riflessione. Anche qui, come per il concetto di interesse, i concetti fondamentali kantiani di piacere e di riflessione vanno delucidati in base al lavoro filosofico di Kant e al suo procedere trascendentale, e non possono essere aggiustati secondo rappresentazioni quotidiane. L'essenza del piacere della riflessione quale comportamento fondamentale in rapporto al bello è stata esposta da Kant nella Critica del Giudizio.

Stando alla molto imprecisa osservazione con la quale Nietzsche coglie l'essenza dell'interesse, egli dovrebbe designare ciò che Kant chiama il libero favore un interesse di grado sommo. Con ciò sarebbe attuato da parte kantiana ciò che Nietzsche esige dal comportamento nei confronti del bello. Sennonché, concependo l'essenza dell'interesse in modo più netto, ed escludendo quindi l'interesse dal comportamento estetico, Kant non fa di quest'ultimo qualcosa di indifferente, ma crea la possibilità che questo comportamento in rapporto all'oggetto bello sia ancora più puro e intimo. L'interpretazione kantiana del comportamento estetico come piacere della riflessione penetra in uno stato fondamentale dell'essere uomo, nel quale soltanto l'uomo perviene alla pienezza fondata della sua essenza. È quello stato che Schiller ha concepito come la condizione della possibilità dell'esistenza storica (fondatrice di storia) dell'uomo.


Il bello, secondo le spiegazioni di Nietzsche menzionate, è ciò che determina noi, il nostro comportamento e le nostre facoltà nella misura in cui richiediamo a noi stessi nella nostra essenza il massimo, cioè ci eleviamo al di là di noi. Questo elevarci-al-di-là-di-noi nella pienezza delle nostre facoltà essenziali accade per Nietzsche nell'ebbrezza. Dunque nell'ebbrezza si dischiude il bello. Il bello stesso è ciò che trasporta nel sentimento di ebbrezza.

Dalla chiarificazione dell'essenza del bello, la connotazione dell'ebbrezza, cioè dello stato estetico fondamentale, acquista una maggiore chiarezza. Se il bello è quella cosa determinante di cui noi riteniamo capaci le nostre facoltà essenziali, allora il sentimento dell'ebbrezza, in quanto riferimento al bello, non può essere un semplice ribollire e fluttuare. La disposizione d'animo dell'ebbrezza è piuttosto un essere disposto nel senso della più alta e misurata determinatezza. Per quanto il modo di esporre e di discorrere di Nietzsche assomigli alla wagneriana frenesia del sentimento e al semplice sprofondare nella semplice esperienza vissuta, è altrettanto certo che, nella sostanza, egli vuole il contrario. L'aspetto strano e quasi assurdo sta soltanto nel fatto che egli tenta di insegnare e di imporre ai propri contemporanei questa concezione dello stato estetico in un modo che parla il linguaggio della fisiologia e della biologia.

Il bello è, secondo il concetto, ciò che è degno di venerazione in quanto tale. In connessione con ciò, egli dice: "è questione di forza (di un individuo o di un popolo) se e dove si propone il giudizio bello".

Ma questa forza non è la semplice forza corporea come riserva di brutalità. Ciò che qui Nietzsche chiama forza è la capacità dell'esistenza storica di cogliere e attuare la propria suprema destinazione essenziale. Questa essenza della forza non viene però alla luce in modo puro e deciso. La bellezza viene presa come valore biologico: "riflessione: in quale misura il nostro valore bello completamente antropocentrico: alle condizioni biologiche della crescita e del progresso".

"Il fondamento di ogni estetica è dato dalla tesi generale: che i valori estetici riposano su valori biologici, che i sentimenti di benessere estetici sono sentimenti di benessere biologici".

Che Nietzsche concepisca il bello in modo biologico è certo; rimane solo la questione di sapere che cosa significa qui biologico (vita); non vuol dire, a dispetto di ogni apparenza nominale, ciò che intende la biologia.







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