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Intelligenza artificiale: dal concetto di post-human all'identità della persona

psicologia



Intelligenza artificiale: dal concetto di post-human all'identità della persona



L'affermazione secondo cui non esiste una natura umana definita una volta per tutte, ma che al contrario l'uomo sarebbe solo un prodotto della storia, della cultura, della latitudine, delle circostanze in cui vive, è molto antica e ricorre continuamente nel pensiero filosofico. Tuttavia, le prospettive aperte dalla ricerca nel campo della Intelligenza artificiale (A.I.), nelle sue ambizioni più spinte, ci metteranno di fronte - e già questo acca 131b18b de - a un nuovo tipo di obiezione: e cioè che, in fondo, ciò che noi abbiamo sempre ritenuto come "esclusivo" dell'uomo - le facoltà superiori nel loro complesso - sarà molto presto posseduto da entità artificiali che uomini non sono. Se dunque - secondo una prospettiva erronea ma assai diffusa - gli attributi coincidono con l'essenza stessa del soggetto che li possiede, dovremo concludere che una macchina è a tutti gli effetti una persona (concetto la cui definizione è oggi tutt'altro che univoca), mentre non tutti gli uomini sono persone. Insomma: ciò che il Movimento per la liberazione animale di Peter Singer ha predicato a favore degli esseri viventi non umani, potrebbe essere rapidamente applicato alle macchine "intelligenti". Con l'effetto perverso non tanto di "elevare" la dignità della macchine, quanto di "abbassare" la natura dell'uomo al livello di un manufatto sofisticato.

Particolari problemi in questo senso potrebbero venire da quel fenomeno nuovissimo e piuttosto inquietante rappresentato dalle ibridazioni. Mi riferisco agli esperimenti tesi a realizzare un collegamento fra il cervello (animale o umano) e il computer, che funzioni nei due sensi: tale cioè che il cervello sia in grado di inviare comandi al computer (e azionare così, per esempio, dei dispositivi), e il computer sia in grado di inviare al cervello dei feedback di tipo sensoriale. I due esperimenti che più di altri hanno catalizzato l'attenzione dei giornali sono stati quello di Kevin Warwick dell'Università di Reading in Inghilterra, che con un chip impiantato sottopelle intendeva controllare alcuni dispositivi elettrici di casa sua; e quello di Sanjiv Talwar del Downstate Medical Center di Brooklyn, che in un articolo pubblicato su Nature nel maggio del 2002 descriveva il controllo a distanza di alcuni topi a cui erano stati impiantati nel cervello degli elettrodi, e i cui movimenti venivano così direttamente guidati dai ricercatori.



Anche se in quest'ultimo caso si tratta ancora di piccoli mammiferi, e non di uomini, il senso della ricerca è chiaro. "Come è stato fatto notare da Antonio Caronia, "in meno di cinquant'anni la comunicazione fra il cervello e l'elettronica ha fatto passi da gigante, e con essa l'invasione del corpo da parte della tecnologia. La rivoluzione delle telecomunicazioni, iniziata un secolo e mezzo fa col telegrafo, sta ormai per insediarsi stabilmente all'interno stesso del nostro corpo. E si annuncia già una terza e più sconvolgente prospettiva nel processo di artificializzazione del corpo: quella del controllo del patrimonio genetico dell'individuo. Corpo invaso dalla tecnologia, corpo disseminato nelle reti di telecomunicazioni, corpo geneticamente modificato: il cyborg, l'organismo cibernetico che su una base umana innesta delle componenti artificiali, si sta spostando con velocità impressionante dalle pagine della fantascienza alla vita reale. Per la prima volta una specie animale su questo pianeta sembra in grado di «prodursi», e non più solo di «riprodursi». Certo, è legittimo nutrire dei dubbi che tutto ciò, come sostengono alcuni, configuri una liberazione dell'uomo dai vincoli della biologia. Ma non è più così fantastico o irrealistico chiedersi se l'umanità stia davvero incamminandosi a superare se stessa: e in questo caso, che cosa verrebbe dopo l'uomo?"

Da dove nasce il termine postumano, post-human? Nei primi anni novanta fece la sua comparsa nell'ambito di una mostra d'arte contemporanea curata dal critico Jeffrey Deitck, che in Italia è stata ospitata al Museo di Rivoli. Nel dibattito contemporaneo sono molti i "post-" che si sono affermati nel linguaggio e nella riflessione scritta e parlata; ma certamente questa idea inquietante di "post-umano" si è propone come il concetto più radicale della famiglia dei «post-» che imperversano nella cultura mondiale.

E' utile fornire qualche elemento del dibatitto filosofico intorno all'idea di post-umanità, per coglierne i riflessi nell'ambito del dibattito morale e giuridico connesso al multiforme scenario della bioetica.

In altre parole, interrogarsi sulla fondatezza scientifica e sulla sostenibilità antropologica della nostra «fuoruscita dalla biologia».

In Italia Giuseppe O. Longo, ordinario di Teoria dell'Informazione all'Università di Trieste, ha formulato l'ipotesi che l'impennata dell'ibridazione fra uomo e tecnica, verificatasi negli ultimi decenni con le tecnologie informatiche, stia avviando l'umanità verso una nuova specie ibrida, quella indicata dal titolo del suo libro Homo technologicus (Meltemi, 2001). Nel 2002 Roberto Marchesini ha pubblicato un lavoro monumentale (Bollati Boringhieri, pagine 578, euro 32,00) dal titolo significativo: Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza. Marchesini sostiene una tesi di fondo: che nella storia evolutiva dell'uomo l'ibridazione con la tecnologia non sia una novità assoluta, dato che la specie umana si è sempre caratterizzata per una elevata capacità di rapportarsi in modo collaborativo e ibridante con mondi ed esperienze lontane dalla propria: con gli animali in primo luogo, e non solo con la tecnica. E' questa capacità di apertura all'altro, e non già l'incompletezza ontologica (come sostiene l'antropologia filosofica di Plessner e Gehlen) a «definire» l'uomo secondo Marchesini. Secondo il quale è del tutto fuorviante concepire il linguaggio e la cultura come contrapposti alla natura: essi rientrano a pieno titolo nei processi naturali, e non ha alcun senso contrapporre l'artificiale al naturale.

Ancora una volta si deve notare come il linguaggio tradisca una sorta di confusione tra il "naturale" inteso come "ciò che accade nella natura", quindi come dimensione empirica della realtà; e il "naturale" come individuazione dell'essenza ontologica di un essere, in questo caso l'uomo, intesa come suo "dover essere per essere veramente sé stesso". L'equivoco può essere spiegato con un esempio che si riverbera sulla bioetica: è "naturale" che ci siano donne che abbandonano i loro bambini appena nati, nel senso che ciò accade normalmente in molte civiltà, forse in tutte, e che un sociologo potrebbe perfino dirci l'incidenza statistica di questi abbandoni per ogni milione di gravidanze in un certo tempo e luogo; ma è del tutto "innaturale" che questo avvenga, se ci si domanda molto semplicemente: "chi è il figlio?"; "chi è la madre?". E se si è in grado di fornire una risposta "vera", cioè autentica, cioè umana, a queste domande.



Scrive Marchesini: «Sono convinto che l'uomo si è differenziato (e sempre più si differenzia) dalle altre specie proprio perché ha saputo costruire eteroreferenze che lo hanno avvicinato, non allontanato, rispetto al mondo non-umano (... ) L'emergenza della cultura è un evento rivoluzionario nel panorama evolutivo - e quindi di fatto divergente rispetto ai percorsi intrapresi dalle altre specie - ma questo non significa che sia un allontanamento dai modelli naturali. La peculiarità dell'uomo sta, viceversa, proprio nel ripiegamento ovvero nella ricongiunzione, attiva e creativa quanto si vuole, ma fortemente indirizzata verso l'alterità».

L'accento posto da Marchesini su questa continuità dell'atteggiamento della specie umana verso la tecnica non significa affatto che egli sottovaluti gli elementi di novità, e cioè il salto di qualità dell'artificializzazione del corpo e della vita determinato oggi dall'incrociarsi delle tecnologie dell'informazione e delle biotecnologie, tanto è vero che accetta di discutere anche le tesi più estreme sul superamento dell'uomo, come quelle del movimento transumanista di Max More e Alexander Chislenko, ispirato alle idee di Drexler e Moravec) Ma naturalmente le respinge, perché vede in esse, più che un effettivo superamento dell'umanesimo, una specie di «iperumanesimo» o versione estrema dell'umanesimo, cioè dell'autoreferenzialità dell'uomo e della cultura.

Secondo Antonio Caronia, questa interpretazione di Marchesini è suggestiva, ma non riesce a dissipare due ordini di problemi. Il primo è quello del possibile attrito fra il funzionamento del nostro cervello e le caratteristiche del nostro più importante partner tecnologico, cioè il computer: "Mi chiedo - dice Caronia - se, in un mondo e un sistema che accentuano la valorizzazione degli aspetti quantitativi delle performance cognitive e comportamentali, il nostro cervello non possa subire un eccessivo stress dal rapporto con questo partner che di tutta evidenza ci surclassa proprio sul piano computazionale." In secondo luogo, bisognerebbe riconoscere una valenza politica - e quindi, aggiungo io, etico-giuridica, e dunque bioetica - al dibattito in corso sul post-human.

Il rapporto fra uomo e tecnologia, la necessità di utilizzare le tecniche per rinsaldare il nostro rapporto con i processi naturali e non per separarcene, il recupero di una sana distinzione tra natura empirica e natura ontologica dell'uomo, la necessità di andare oltre una visione puramente «conservativa», mitologica e paganeggiante dell'ecologismo; tutti questi temi richiedono il coinvolgimento degli attori politici ed economici della scena mondiale: stati, forze politiche, aziende multinazionali.







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