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IL SÉ E L'IDENTITÀ - I CONTORNI E LA SOSTANZA DEL PROBLEMA

psicologia



CAPITOLO 4 - IL SÉ E L'IDENTITÀ


L'attore sociale rappresenta se stesso sia come un oggetto fra gli altri e sia come iniziatore dei processi della conoscenza e dell'azione.


  1. I CONTORNI E LA SOSTANZA DEL PROBLEMA

L'attore sociale è il protagonista che vive ed opera ad un momento dato nella realtà fisica, psicologica, sociale e culturale. È in grado non solo di conoscere ma 838h78i anche di riflettere su se stesso e di prendere l'iniziativa nel contesto in cui è inserito.

L'attore sociale è quindi quella persona che:

entra in contatto con la realtà;

se la rappresenta;



conosce;

agisce in modi diversi su di essa;

nello stesso tempo riflettendo su se stessa;

rappresentandosi i cambiamenti provocati su di sé dall'incontro con la realtà, dalle rappresentazioni di essa, da come si modifica, anche per il suo intervento.


. La centralità dell'Io e del Sé nell'esperienza umana


Fu il filosofo William James ad introdurre la nozione di Sé, che consiste nel fatto che il pensiero è continuamente mobile e proiettato sul mondo degli oggetti (esterno), ma allo stesso tempo è sempre di qualcuno, fa parte di una coscienza individuale.

All'interno del Sé bisogna distinguere due componenti:

l'Io, che coincide con il soggetto consapevole, capace di conoscere ed intraprendere iniziative nei confronti della realtà esterna, oltre che di riflettere su di sé;

il Me è quanto del Sé è conosciuto dall'Io, cioè quello che vedo di me, percepisco di me, il modo in cui mi vedo: include le caratteristiche materiali (il corpo così com'è percepito), quelle sociali (come il soggetto si vede nel rapporto con gli altri) e quelle spirituali (il sapersi capace di pensare e riflettere su di sé).

Le relazioni sociali hanno un ruolo importantissimo nella definizione del Sé, e in particolare nella componente del Me sociale, e nello sviluppo della conoscenza di sé e del sentimento della propria identità.

Infatti, la consapevolezza di sé ha origine da come gli altri ci percepiscono e dall'opinione che hanno di noi, cioè da quanto di noi stessi vediamo riflesso dagli altri. È per questo che si parla di Sé rispecchiato (looking glass self).

Secondo Mead, il Sé non esiste alla nascita ma si sviluppa con il linguaggio che permette di dare un nome agli oggetti del proprio ambiente e quindi anche a Sé, che può essere così definito e differenziato come oggetto fra gli altri.

Per Mead la mente è prodotta dall'interazione sociale, che permette di assumere i ruoli e la prospettiva altrui, guardando così se stesso da quel punto di vista.

L'interazione fra l'Io e il Me (riflesso della società) produce il Sé in quanto non potrebbe esistere un'esperienza di sé semplicemente fornita da se stesso, quindi implica sempre la presenza di un altro.


1.2. L'Io e il Sé nella prospettiva gestaltista


Il Sé nella concezione gestaltista è l'Io fenomenico, cioè la rappresentazione fenomenica (psichica) dell'Io reale, nei suoi aspetti fisici e psicologici.

Il Sé non comprende tutto quanto è proprio dell'Io, che è invece precedente e più ampio del Sé.

È la stessa differenza tra come una persona è descritta dalle scienze fisiche o biologiche e come percepisce se stessa.

Il Sé è allo stesso tempo soggetto e oggetto dell'esperienza: infatti, quando si parla con se stessi, si elabora un Sé ideale, corrispondente a come l'individuo vorrebbe essere agli occhi propri e del suo mondo.

Secondo la concezione gestaltista, l'individuo diviene persona e attore sociale solo nel contesto delle sue relazioni con gli altri e con le realtà fisiche e isituzionali.


L'Io è il centro del mondo?


Secondo una tesi comportamentista, i bisogni a cui ogni organismo tenta di rispondere sono sempre riferiti all'organismo stesso perciò ogni individuo è il centro di tutte le cose, percepisce, sente e pensa solo in riferimento ai propri individuali interessi.

Al contrario, gli autori che si rifanno alla tradizione gestaltista, sostengono che l'Io non è il centro del mondo.

Infatti, in contrasto con una concezione egocentrica dell'agire, essi pensano che non tutte le esperienze che viviamo si riferiscono a noi stessi, anzi, queste ne sono solo una parte.

Perciò le motivazioni ad agire non sono soltanto utilitaristiche poiché vi sono situazioni in cui non sembra che l'azione sia motivata dalla previsione di ricompense o punizioni, come quando ci si preoccupa per un lavoro ce interessa altri o ci si indigna di fronte ad una palese ingiustizia e si tenta di farla cessare.

Perciò la ricerca del piacere o l'evitamento del dolore non sono le sole motivazioni alla base dell'azione umana.


  1. FORME MOLTEPLICI DI CONOSCENZA DEL SÉ

La scuola gestaltista insiste nel sostenere che l'Io è segregato fra i vari aspetti del campo percettivo; il Sé (o Io fenomenico) mostra confini variabili.

Infatti vestiti, giocattoli, amici possono essere considerati prolungamenti del Sé che viene percepito parzialmente in quanto noi riusciamo a vedere soltanto parti del nostro organismo.

Ulric Neisser, uno dei padri fondatori del cognitivismo, distingue 5 tipi di conoscenza di sé:

il  Sé ecologico, che ha origine dalla percezione che ogni individuo ha delle parti che può vedere del proprio organismo (compreso tutto ciò che si muove col corpo, il quale viene percepito come parte del Sé) fra gli altri oggetti dello spazio percettivo e anche dal fatto di sentirsi agire, quindi di percepirsi come attore;compare molto precocemente (dai 3 mesi di età) ma non dà luogo a una vera e propria consapevolezza di sé;

il Sé interpersonale, di cui ci si rende conto fin dalla prima infanzia, viene individuato in quanto coinvolto in un'interazione con un'altra persona; la sua caratteristica fondamentale è l'intersoggettività, quindi l'interattività; la consapevolezza del Sé interpersonale quasi sempre si accompagna a quella del Sé ecologico (tranne quando il contatto interpersonale si fa intenso ed intimo, come fra amanti);

il Sé esteso è il Sé com'era nel passato e come ci aspettiamo che sarà nel futuro, è la consapevolezza dell'esistenza al di fuori del momento presente, dunque è basato principalmente su quanto ricordiamo e quanto anticipiamo; non tutti i ricordi però implicano il Sé esteso: si tratta della memoria procedurale (sapere come);

il Sé privato, che si manifesta quando il bambino si accorge che alcune sue esperienze (sentimenti come la gioia, il dolore, la paura) non sono condivise con gli altri; è verso i 4 anni e mezzo che il bambino si rende conto che la sua vita mentale è esclusivamente sua; inoltre, le esperienze private, potendo essere ricordate, vanno ad arricchire il Sé esteso;

il Sé concettuale o concetto di sé (è una teoria su se stessi), che ognuno ha come persona particolare in un mondo familiare; ogni concetto di sé si forma nella vita sociale perciò in ogni società e cultura ci sono concetti di sé diversi; il concetto di sé si basa prima di tutto su quanto è stato detto dagli altri e questo, a sua volta, tende guidare ciò che ciascuno rivela di se stesso; il concetto di sé si compone di varie parti che riguardano il ruolo all'interno della società, il corpo (bello o brutto) e la mente (intelligente o stupido); queste dimensioni sono assai importanti poiché ad esempio, la credenza di un bambino sulla propria intelligenza può influenzare il suo rendimento scolastico; i quattro tipi di conoscenza di Sé sono tutti rappresentati nel Sé concettuale.

Nonostante la presenza delle sue varie dimensioni, non si può parlare di molteplicità del Sé, bensì di unità poiché ci sentiamo considerati dalla società come uno (e non più di uno), e questo costituisce un fattore essenziale del nostro sentimento di identità.

L'origine dei vari Sé è dovuta proprio all'interazione con l'ambiente; inoltre, tutti i Sé sono caricati di valore.

È in rapporto a questa centralità cognitiva e di valore che il Sé ha per ogni individuo, il quale cerca di mantenere unite le varie componenti di se stesso, che il Sé diviene il punto di riferimento a cui ogni esperienza viene ricondotta.

Neisser assegna al Sé concettuale la funzione di mettere in relazione il mondo interno dell'individuo e il mondo esterno.


  1. LA PROSPETTIVA DELLA SOCIAL COGNITION

L'affermarsi della corrente della social cognition a partire dalla fine degli anni '60 dà il via ad una serie di studi sul Sé concepito come struttura cognitiva che organizza in memoria tutte le informazioni che compongono la rappresentazione mentale che la persona ha dei propri attributi, dei propri ruoli, dell'esperienza passata e delle prospettive future.

Come Neisser, anche la social cognition riconosce l'esistenza di molteplici componenti del concetto di sé, si tratta di concezioni parziali, attivate a seconda dei vari contesti in cui l'attore sociale è di volta in volta inserito. Esiste quindi un rapporto fra contesto e concezioni di sé.

Secondo Markus, il concetto di sé è costituito da un insieme si schemi si sé, fine di recuperare rapidamente le informazioni dalla memoria grazie alle quali identificare ciò che è e ciò che non è, nonché prevedere ed orientare il proprio comportamento.

Gli schemi di sé variano profondamente da persona a persona, possono essere sia positivi che negativi e non sono facilmente modificabili poiché collegati al sentimento d'identità.

Gli schemi di sé permettono di elaborare anche altre informazioni, in particolare quelle riferite ad altre persone: infatti, il riferimento a sé ne migliora il ricordo.

Differenze fra conoscenza di sé e conoscenza degli altri:

gli schemi di sé sono più immediatamente accessibili in memoria (poiché utilizzati più spesso), più ricchi e complessi di quelli degli altri (l'effetto però si attenua nel caso di persone e noi familiari);

la conoscenza di sé è memorizzata in forma verbale mentre quella degli altri prevalentemente in forma visuale (perché l'esperienza che abbiamo degli altri è prima di tutto visiva, mentre la stessa cosa non è possibile per noi stessi);

la conoscenza di sé è più intensa dal punto di vista emotivo;

le informazioni su di sé vengono utilizzate per interpretare quelle sugli altri.





3.1. Il concetto di Sé operativo


I teorici della social cognition si sono occupati anche della funzioni regolatrici del Sé, cioè il modo in cui i soggetti assumono il proprio Sé come riferimento principale per controllare e dirigere le proprie azioni.

Non tutta la conoscenza di sé è sempre accessibile: quello che è accessibile è uno specifico sottoinsieme che deriva dalle caratteristiche della situazione contingente e costituisce il Sé operativo.

Si tratta in sintesi di quella parte del concetto di sé che è attivata in una situazione precisa: per questo, il Sé operativo è sempre attivo e si modifica in base alla situazione.


3.2 Altri elementi della funzione regolatrice del Sé


Altre componenti del Sé che assumono una funzione regolatrice sono:

il sentimento di efficacia del Sé, che riguarda l'aspettativa che ciascuno di noi ha di essere in grado di affrontare e superare certi compiti; infatti, l'attore sociale si impegna soltanto se pensa di poterlo fare con successo; quanto più si sentirà efficace in un ambito problematico, tanto più si sforzerà di farcela; in caso contrario abbandonerà ben presto l'impegno considerando inutile ogni sforzo;

la presentazione di sé e la gestione dell'impressione che si fa sugli altri; ciascuno di noi, infatti cerca di fare buona impressione assumendo il comportamento appropriato alla situazione; per evitare di fare una cattiva impressione sugli altri si può giungere persino a crearsi degli handicap: è la tattica del self-handicapping, attraverso la quale ci si crea un alibi per l'insuccesso; inoltre, il comportamento in pubblico è orientato a fare una buona impressone anche su di sé, nel senso che il soggetto, attraverso le interazioni sociali desidera confermare il sentimento positivo che ha di se stesso.


3.3. Sé possibili e discrepanze del Sé


Nel concetto di sé sono presenti anche concezioni ipotetiche di sé che il soggetto percepisce come realizzabili in futuro.

Alcune di queste immagini possono riguardare scopi e ruoli a cui il soggetto aspira o Sé potenziali che il soggetto vuole evitare, perché ciascuno ha le proprie ansie, paure, angosce, ma anche attese, aspirazioni ed entusiasmi per il proprio futuro.

I Sé possibili rappresentano quindi le idee degli individui circa quello che possono o che vorrebbero o che temono di diventare, e costituiscono delle guide e degli incentivi per l'azione.

In genere il contenuto dei Sé attesi è positivo, si parla quindi di un ottimismo irrealistico, cioè una distorsione sistematica di giudizio che implica la tendenza di ogni persona a pensare che certi eventi negativi non accadranno proprio a lei: è dovuta al bisogno di ridurre l'ansia del rischio e mantenere un buon livello di autostima grazie all'illusione di poter controllare gli eventi.

Ovviamente, aver avuto in passato esperienze negative diminuisce il grado di ottimismo irrealistico.

Quest'ultimo è funzionale all'individuo, al quale permette di non rimanere paralizzato dalla paura del rischio, ma può anche essere dannoso in quanto non ne permette una valutazione obiettiva.

Higgins individua le discrepanze del Sé dovute al fatto che ogni individuo ha una rappresentazione di come è (Sé reale), di come gli piacerebbe essere (Sé ideale) e di come dovrebbe essere (Sé normativo).

Se la discrepanza fra Sé reale e Sé ideale o fra Sé reale e Sé normativo non sono risolte, il soggetto potrà provare senso di insoddisfazione, tristezza, delusione o di agitazione (paura, irrequietezza, ansia) o addirittura di depressione (senso di scoraggiamento e di incapacità).



  1. IL SÉ NELLE CULTURE

La risposta alla domanda "chi sono io?" non viene formulata su base esclusivamente individuale in  quanto lo sviluppo del senso di sé è un processo non solo interpersonale, ma anche strettamente connesso alle idee condivise nei gruppi e nelle culture circa cosa significhi essere una persona come si deve, appropriata e morale.

Le rappresentazioni sociali del Sé sono quindi quell'insieme di caratteristiche che in una data cultura sono ritenute appropriate, positive e morali, e che forniscono una struttura primaria per il Sé di coloro che vivono in un determinato contesto.

Si differenziano a seconda che si tratti di culture individualiste (prevalentemente occidentali) o collettiviste (per lo più quelle orientali).

Nelle culture individualiste il Sé è l'unità di base della società, che è vista come un insieme di individui autonomi e indipendenti. Il principale compito di sviluppo individuale è la realizzazione personale, e in quest'ottica l'identità si costruisce attraverso l'elaborazione della propria differenza e unicità. Inoltre, si tende ad attribuire le cause degli eventi all'attore piuttosto che alle circostanze.

Al contrario, le culture collettiviste pongono il gruppo come unità di base della società, che è vista come un insieme di gruppi sociali. Il compito di sviluppo dell'individuo è quindi quello di raggiungere l'armonia con gli altri appartenenti al gruppo, oltre a rispettare le norme e i doveri per il raggiungimento degli obiettivi comuni e del successo collettivo.




Perciò, a seconda del tipo di cultura, i giudizi su di sé e sugli altri sono formulati in riferimento a diversi standard:

per le culture individualiste è il raggiungimento del successo personale, quindi esse tendono a valorizzare caratteristiche come l'intelligenza e la competenza personale; le culture individualiste sono per lo più centrate sull'idea dell'indipendenza e dell'autonomia (la timidezza viene vista come un handicap);

per le culture collettiviste è l'appartenenza ad un determinato gruppo (o famiglia) e il posto che questo occupa nel tessuto sociale, cosicché queste valorizzano maggiormente la costanza, la persistenza nel compito, lo sforzo; le culture collettiviste sono più protese verso interdipendenza (è la solitudine ad essere vissuta come un handicap).

Perciò, nella società occidentale, una persona che raggiunge un obiettivo facilmente viene giudicata meglio di una che raggiunge lo stesso con impegno e fatica; il contrario accade invece nelle società collettiviste, nelle quali la distinzione più importante è quella fra ingroups e outgroups (nelle società individualiste è quella fra Sé e non Sé), che si accompagna ad un atteggiamento di sospetto ed ostilità a priori nei confronti dei secondi.

Nel passaggio da una cultura ad un'altra si incontrano molte difficoltà in quanto c'è l'esigenza di riconcettualizzare il senso di sé in relazione a nuove domande.



  1. L'IDENTITÀ COME QUALITÀ RELAZIONALE E TEMPORALE DEL SÉ

L'identità è fatta di componenti individuali e collettive, cioè da quanto è personale e quanto deriva da una cultura condivisa.

La diffusione del Sé è l'incapacità dell'individuo di impegnarsi in un ruolo preciso.

Infatti, Marcia sostiene che gli stati dell'identità sono 4:

acquisizione dell'identità (assunzione di un impegno in base ad un ruolo sociale dopo l'esplorazione delle possibili alternative);

blocco dell'identità (i ruoli e i valori sono stati adottati evitando la fase di incertezza esplorativa e assumendo quelli ispirati dalle figure di identificazione infantile: è ciò che accade spesso ai figli di professionisti);

moratoria dell'identità (sforzo di esplorazione che però non conduce all'assunzione di un impegno preciso verso la realtà);

diffusione dell'identità (evitare lo sforzo di esplorazione e vagare da un'identificazione momentanea all'altra senza sviluppare alcun vero interesse).


5.1. Sentimento di identità e identità tipizzate


Il sentimento di identità è l'esperienza che l'attore sociale vive circa la continuità  nel tempo e nello spazio del proprio Sé, nonché la propria possibilità di intervenire sull'ambiente e sugli avvenimenti.

Il sentimento di identità, quindi non equivale all'identità tipizzata, cioè quella che corrisponde alla sua immagine pubblica ed è il prodotto di una specifica struttura sociale: infatti, un americano ha un'identità diversa da quella di un francese, ecc.

I tipi di identità, quindi, delineano degli stereotipi che semplificano e facilitano la conoscenza e la spiegazione degli eventi sociali e sono dovuti; inoltre, l'attore conosce quasi sempre come è definito socialmente e utilizza tale informazione come uno dei componenti del proprio sentimento di identità.  

L'identità sociale è quindi quella data dall'interdipendenza con gli altri membri del suo gruppo, mentre l'identità personale è caratterizzata dall'esigenza di autonomia, di fedeltà a se stesso, di indipendenza dal contesto.








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