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"Per la fisiologia dell'arte"
L'ebbrezza come presupposto: cause dell'ebbrezza.
Sintomi tipici dell'ebbrezza.
Il sentimento di forza e di pienezza nell'ebbrezza: il suo effetto idealizzante.
L'effettivo in più di forza: il suo effettivo abbellimento. (L'in più di forza, per esempio, nella danza dei sessi). La morbosità dell'ebbrezza; la pericolosità fisiologica dell'arte. Riflessione: in 838g69i quale misura il nostro valore bello è completamente antropocentrico: per presupposti biologici di crescita e progresso.
L'apollineo, il dionisiaco: tipi fondamentali. Più ampi, se confrontati con le nostre arti particolari.
Domanda: in quale ambito rientra l'architettura??
La collaborazione delle capacità artistiche alla vita normale, il loro esercizio è tonico: all'inverso il brutto.
La questione dell'epidemia e della contagiosità.
Problema della salute e dell'isteria: genio = nevrosi.
L'arte come suggestione, come mezzo di comunicazione, come sfera inventiva della induction psycho-motrice.
Gli stati non artistici: oggettività, furia di rispecchiamento, neutralità. La volontà impoverita; perdita di capitale.
Gli stati non artistici: astrattività. I sensi impoveriti.
Gli stati non artistici: consumazione, impoverimento, svuotamento: volontà del nulla (cristiano, buddista, nichilista). Il corpo impoverito.
Gli stati non artistici: idiosincrasia (intolleranza) morale. La paura dei deboli, mediocri, nei confronti dei sensi, della potenza, dell'ebbrezza (istitnto dei soccombenti nella vita).
Com'è possibile l'arte tragica??
Il tipo del romantico: ambiguo. La conseguenza dei romantici è il naturalismo.
Problema dell'attore. L'ipocrisia, la capacità tipica di trasformarsi come difetto di carattere .. La mancanza di pudore, il pagliaccio, il satiro, il buffone, il Gil Blas, l'attore che recita a fare l'artista ..
Siamo qui in presenza di una molteplicità di punti interrogativi, ma non abbiamo lo schizzo, il disegno di una costruzione, e nemmeno una prefigurazione dello spazio in cui tutto questo debba inserirsi. Ma in fondo le cose non stanno diversamente nel caso di alcuni frammenti raccolti nella Volontà di potenza; solo che per lo più questi sono sviluppati in modo più ampio, oltre le semplici parole o frasi ad effetto. A maggior ragione dobbiamo tentare di determinare meglio il materiale disponibile e di stabilire in esso una connessione essenziale. A tal fine seguiamo un duplice filo conduttore:
anzitutto la considerazione dell'insieme della dottrina della volontà di potenza
quindi la rievocazione delle dottrine capitali dell'estetica tradizionale
Ma per questa via non vogliamo limitarci a prendere atto delle opinioni estetiche di Nietzsche, bensì capire come nella sua posizione di fondo nei confronti dell'arte possano coesistere cose apparentemente contrastanti come l'arte in quanto contromovimento che si oppone al nichilismo e l'arte in quanto oggetto della fisiologia. Se qui sussiste un'unità, e se questa unità risulta dall'essenza dell'arte stessa così come Nietzsche la vede, allora, cogliendo la conciliabilità delle determinazioni contrastanti, dovremmo guadagnare un concetto più elevato dell'essenza della volontà di potenza. A questo mira l'esposizione delle dottrine estetiche capitali di Nietzsche.
Prima di iniziare, va ancora indicata una peculiarità che ricorre nella maggior parte dei frammenti più ampi: Nietzsche inizia le sue riflessioni da diversi interrogativi nel campo dell'estetica, ma arriva subito alla connessione del tutto; per questo molti frammenti trattano la stessa cosa, soltanto secondo un diverso ordinamento della materia e una diversa attribuzione di importanza. In quanto segue si lascerà da parte una discussione delle parti che sono facilmente leggibili sulla scorta dell'esperienza comune.
La questione dell'arte in Nietzsche è estetica. Secondo le determinazioni fornite in precedenza, in una estetica l'arte viene esperita e determinata facendo ricorso allo stato sentimentale dell'uomo dal quale nascono e al quale appartengono la produzione e la fruizione del bello. Quest'estetica dev'essere però fisiologia. Ciò implica che gli stati sentimentali, presi come stati puramente psichici, vengano indagati risalendo fino agli stati corporei loro corrispondenti. Nell'insieme, è appunto l'unità intatta e inscindibile dello psico-somatico, il vivente, ciò che viene posto come ambito degli stati estetici: la natura vivente dell'uomo.
Quando Nietzsche parla di fisiologia, intende, ponendovi sopra l'accento, lo stato fisiologico del corpo, ma lo stato fisiologico del corpo è già sempre qualcosa di psichico, quindi è anche questione di psicologia. Lo stato fisiologico del corpo di un animale o, più ancora, dell'uomo è qualcosa di essenzialmente diverso dalla conformazione di un corpo fisico, per esempio della pietra. Ogni corpo in carne ed ossa è anche un corpo fisico, ma non ogni corpo fisico è un corpo in carne ed ossa. Viceversa, quando Nietzsche parla di psicologia intende sempre anche il fisiologico. Spesso, invece che di stati estetici, parla molto più correttamente di stati artistici o non artistici. Sebbene Nietzsche veda l'arte dalla prospettiva dell'artista, l'espressione artistico non significa soltanto il riferimento all'artista, ma artistici o non artistici sono quegli stati che reggono e promuovono, inibiscono o mancano il riferimento all'arte, sia esso creativo o ricettivo.
La questione fondamentale di un'estetica come fisiologia dell'arte (e cioè dell'artista) deve dunque mirare a mostrare soprattutto quegli stati nell'essenza della natura psico-somatica, cioè vivente, dell'uomo nei quali il fare e il contemplare artistici si compiono per così dire in modo e in forma naturale. Nella determinazione dello stato estetico fondamentale ci atteniamo in un primo momento non al testo della Volontà di potenza, ma a quanto Nietzsche dice in uno degli ultimi scritti da lui stesso pubblicati, il Crepuscolo degli idoli. Il passo recita: "Per la psicologia dell'artista. Perché vi sia arte, perché vi sia un qualche fare e contemplare estetico, a tal fine è inevitabile una condizione fisiologica preliminare: l'ebbrezza. L'ebbrezza deve anzitutto avere potenziato l'eccitabilità dell'intera macchina: prima non si giunge ad arte alcuna. Tutte le specie di ebbrezza, per quanto diversamente condizionate, hanno la forza di realizzare ciò: in primo luogo l'ebbrezza dell'eccitazione sessuale, la forma più antica e originaria dell'ebbrezza. Del pari l'ebbrezza che viene al seguito di tutte le grandi brame, di tutti gli affetti forti; l'ebbrezza della festa, della gara, del pezzo di bravura, della vittoria, di tutti i movimenti estremi; l'ebbrezza della crudeltà; l'ebbrezza nella distruzione; l'ebbrezza suscitata da certi influssi metereologici, per esempio l'ebbrezza primaverile; oppure dall'influsso dei narcotici; infine l'ebbrezza della volontà, di una volontà gonfia e sovraccarica".
Possiamo riassumere tutto questo nella seguente tesi generale: lo stato estetico fondamentale è l'ebbrezza, il quale può essere a sua volta condizionato, suscitato e favorito in diversi modi. In alcuni passi della Volontà di potenza Nietzsche parla di 2 stati nei quali l'arte stessa insorge nell'uomo come una forza della natura; con questi 2 stati sono intesi
l'apollineo
e il dionisiaco
Nietzsche ha sviluppato questa differenza e questa antitesi nel suo primo scritto, La nascita della tragedia dallo spirito della musica (1872). Anche qui la differenza di apollineo e dionisiaco viene messa in corrispondenza con i fenomeni fisiologici del sogno e dell'ebbrezza.
Qui l'ebbrezza è soltanto uno dei 2 stati estetici accanto all'altro, il sogno. Dal passo del Crepuscolo degli idoli evinciamo tuttavia che l'ebbrezza è lo stato estetico fondamentale per antonomasia. In precedenza, soltanto il dionisiaco ha il carattere dell'ebbrezza, e l'apollineo quello del sogno; adesso (nel Crepuscolo degli idoli) il dionisiaco e l'apollineo sono 2 specie di ebbrezza; l'ebbrezza stessa è lo stato fondamentale. La dottrina definitiva di Nietzsche dev'essere capita in base a questo chiarimento, in un primo momento poco vistoso, ma del tutto essenziale. Oltre al primo passo citato del Crepuscolo degli idoli bisogna leggerne insieme un secondo: "che cosa significa l'antitesi, da me introdotta nell'estetica, tra i concetti di apollineo e di dionisiaco, entrambi intesi come specie dell'ebbrezza??".
Dopo queste chiare testimonianze non è più ammissibile ricondurre semplicemente la dottrina nietzscheana dell'arte all'antitesi di apollineo e dionisiaco che, dal tempo del suo primo scritto, è diventata ricorrente (e più ricorrente che capìta) e che pure conserva ancora oggi intatta la sua importanza.
Prima di esaminare questa antitesi nel quadro della nostra esposizione, chiediamo che cosa (stando all'ultima dichiarazione di Nietzsche) governi tale antitesi nella sua unità. Poniamo subito, con questo intento, una duplice domanda:
qual è l'essenza generale dell'ebbrezza??
in quale senso l'ebbrezza è inevitabile affichè vi sia arte?? In quale senso l'ebbrezza è lo stato estetico fondamentale??
A questa domanda Nietzsche ci dà una risposta concisa: "l'essenziale nell'ebbrezza è il sentimento del potenziamento della forza e della pienezza". Prima egli chiamava l'ebbrezza la condizione fisiologica preliminare dell'arte; ora nell'ebbrezza è essenziale il sentimento, cioè, secondo quanto chiarito in precedenza, il modo in cui noi ci troviamo presso noi stessi e al tempo stesso presso le cose, presso gli enti che noi stessi non siamo. L'ebbrezza è sempre il sentimento dell'ebbrezza. Dov'è finito il fisiologico, lo stato del corpo?? In fondo non possiamo separare le 2 cose come se ad un piano inferiore dimorasse uno stato fisiologico del corpo e al piano superiore il sentimento. Il sentimento, in quanto sentirsi, è proprio il modo nel quale noi siamo un corpo; essere un corpo non significa che a un'anima venga attaccata in più una zavorra chiamata corpo, ma, nel sentirci, il corpo è incluso fin da principio nella nostra identità, e precisamente in modo che esso, nel suo essere in uno stato, ci attraversa. Noi non abbiamo un corpo allo stesso modo in cui teniamo in tasca il coltellino; il corpo in carne ed ossa che siamo non è nemmeno un corpo fisico che semplicemente ci accompagna e che al tempo stesso noi possiamo anche constatare, in modo esplicito o meno, come lì presente. Noi non abbiamo un corpo, ma siamo corpi. Dell'essenza di questo essere fa parte il sentimento come sentirsi. Il sentimento opera fin da principio l'inclusione che mantiene il corpo nel nostro esserci. Ma poiché il sentimento, in quanto sentirsi, è sempre in modo parimenti essenziale l'avere-sentimento per l'ente nel suo insieme, con ogni stato fisiologico del corpo è rispettivamente in sintonia un modo in cui noi ci rivolgiamo o meno alle cose intorno a noi e agli essere umani che sono con noi. Un'indisposizione di stomaco può calare un'ombra su tutte le cose. Quello che altrimenti appare indifferente è d'improvviso irritante e fastidioso. Ciò che altrimenti funziona con la facilità di un gioco si inceppa. Certo, la volontà può mettersi di mezzo, può reprimere l'indisposizione, ma non può suscitare e creare direttamente la disposizione contraria: infatti le disposizioni d'animo vengono superate e trasformate sempre e soltanto da altre disposizioni d'animo. Rimane qui essenziale fare attenzione al fatto che il sentimento non è per niente qualcosa che si svolge soltanto interiormente, ma è quel modo fondamentale del nostro esistere in forza del quale, e in conformità con il quale, noi siamo sempre trasportati al di là di noi stessi nell'ente nel suo insieme che, in un modo o nell'altro, ci riguarda o non ci riguarda. La disposizione d'animo non è mai un essere disposto semplicemente interiore, chiuso in sé, ma è anzitutto un certo lasciarsi predisporre e porre in una disposizione d'animo. La disposizione d'animo è appunto il modo fondamentale in cui noi siamo al di fuori di noi stessi. Ma noi siamo così per essenza e per sempre.
In tutto questo pulsa lo stato fisiologico del corpo, ci trasporta al di là di noi o lascia che l'uomo si impigli in se stesso e intorpidisca. Noi non siamo anzitutto viventi e abbiamo poi un'apparecchiatura chiamata corpo, ma viviamo essendo corpo in carne ed ossa. Questo essere corpo in carne ed ossa è qualcosa di essenzialmente diverso da un semplice essere gravati da un organismo. La maggior parte delle conoscenze che abbiamo nell'ambito delle scienze naturali sul corpo e sul suo vivere in carne ed ossa sono constatazioni nelle quali il corpo in carne ed ossa viene fin dall'inizio male inteso e ridotto a semplice corpo fisico. In esse si possono scoprire molte cose, soltanto che l'aspetto essenziale e determinante è già sempre al di fuori della nostra vista e della nostra portata; la successiva ricerca dello psichico, in aggiunta al corpo in carne ed ossa che si è prima male inteso come corpo fisico, ha già negato la realtà delle cose.
Ogni sentimento è un essere corpo in carne ed ossa in una certa disposizione d'animo, è una disposizione d'animo in un certo corpo in carne ed ossa. L'ebbrezza è un sentimento, e lo è in modo tanto più genuino quanto più essenzialmente regna l'unità dell'essere in una disposizione d'animo in un corpo in carne ed ossa. Di qualcuno che sia completamente ubriaco possiamo dire soltanto: ha un'ubriacatura; ma non è inebriato. L'ubriacatura non è qui lo stato nel quale egli è presso di sé e al di là di sé, ma quella che noi qui chiamiamo ubriacatura è, secondo l'espressione comune, una semplice sbornia che priva per l'appunto della possibilità di uno stato.
Nell'ebbrezza Nietzsche sottolinea anzitutto un duplice aspetto
il sentimento del potenziamento della forza
il sentimento della pienezza
Secondo quanto chiarito in precedenza, questo potenziamento della forza dev'essere inteso come il potere-al-di-là-di-sé, come un rapporto con l'ente nel quale l'ente stesso viene esperito come più essente, più ricco, più trasparente, più essenziale. Il potenziamento non vuol dire che oggettivamente subentri un di più, una crescita di forza, ma va inteso nel senso della disposizione d'animo: star per salire (ed essere sorretti, di nuovo, da un salire). Così pure il sentimento della pienezza non vuol dire una crescente accumulazione di avvenimenti interiori, ma quell'essere disposto che si lascia predisporre in modo che niente gli risulti estraneo e niente di troppo, che è aperto a tutto e pronto a tutto: la massima esaltazione e il massimo azzardo, l'uno accanto all'altra.
Con ciò ci imbattiamo in un terzo aspetto del sentimento dell'ebbrezza: la reciproca compenetrazione di tutti i potenziamenti di tutte le facoltà del fare e del contemplare, del recepire e del rivolgere la parola, del comunicare e del lasciarsi andare liberamente. In tal modo sono intrecciati fra loro stati che avrebbero forse ragione di restare estranei. Per esempio: il sentimento di ebbrezza religioso e l'eccitazione sessuale (2 profondi sentimenti, alla fine quasi coordinati in modo sorprendente).
Ciò che Nietzsche intende per sentimento di ebbrezza quale sentimento estetico fondamentale si chiarisce anche in base al fenomeno opposto: gli stati non artistici di chi è sobrio, di chi è stanco, esaurito, inaridito, impoverito, di chi svanisce e impallidisce, di colui al cui sguardo la vita soffre. L'ebbrezza è un sentimento. Ma dal raffronto dello stato artistico con quello non artistico risulta particolarmente chiaro che con il termine ebbrezza Nietzsche non intende uno stato passeggero, che come una sbornia sbolle e svanisce rapidamente. È quindi difficile poter prendere l'ebbrezza per un affetto, anche qualora definissimo questo termine nel senso più preciso ottenuto in precedenza. Qui, come nel caso precedente, rimane difficile, se non impossibile, applicare termini correnti quali affetto, passione, sentimento come determinazioni essenziali, senza verificarli. Possiamo utilizzare siffatte nozioni della psicologia, con le quali si classificano le facoltà psichiche, sempre e soltanto come indicazioni, a condizione che noi poniamo di volta in volta le questioni partendo prima di tutto e sempre dai fenomeni stessi. Così, lo stato artistico dell'ebbrezza, se è più di un affetto passeggero, può essere forse inteso come passione. Ma allora si pone subito la questione: in quale misura??
Nietzsche adduce 2 ragioni per le quali gli artisti non possono essere uomini dalla grande passione:
gli artisti, essendo artisti, cioè creatori, devono guardare a se stessi, manca loro il pudore di sé e tanto più il pudore della grande passione; da artisti essi devono sfruttarla, farle la posta, sorprenderla e trasporla nella creazione delle forme. Gli artisti sono troppo curiosi per limitarsi ad essere grandi in una grande passione; giacchè quest'ultima non conosce la curiosità nei propri confronti, ma il pudore
gli artisti, con il loro talento, sono sempre anche le vittime del loro talento; quest'ultimo non concede loro la dissipazione pura, propria della grande passione
"Non si viene a capo della propria passione rappresentandola: piuttosto, quando la si rappresenta, se ne è già a capo".
Lo stato artistico non è mai esso stesso la grande passione, eppure è passione; per questo essa ha la costanza dello slancio nell'insieme dell'ente, e precisamente in modo che tale slancio non si sbilancia nel suo slancio, ma si tiene di vista e si costringe nella forma.
Da tutto quanto è stato ora detto a chiarimento dell'essenza generale dell'ebbrezza dovrebbe risultare palese che una pura fisiologia non basta, e che l'uso della denominazione fisiologia dell'arte ha piuttosto in Nietzsche un secondo senso essenziale.
Quello che Nietzsche denomina con il termine ebbrezza, e che nella sua ultima pubblicazione concepisce pure in modo unitario come lo stato estetico fondamentale, gli si è scomposto fin dall'inizio in 2 stati. Le forme naturali dello stato artistico sono quelle del sogno e dell'incanto, come diciamo rifacendoci ad un precedente uso linguistico di Nietzsche per evitare qui il termine ebbrezza da lui altrimenti usato; infatti, solo l'essere nello stato così denominato è quello in cui sogno ed estasi acquisiscono la loro essenza che sviluppa l'arte, e diventano gli stati artistici che Nietzsche denomina apollineo e dionisiaco. L'apollineo e il dionisiaco sono per Nietzsche le 2 forze della natura e dell'arte; nella loro controversia riposa ogni progresso dell'arte. La loro fusione nell'unità di una forma è la nascita dell'opera d'arte greca suprema: la tragedia. Ma se all'inizio del suo tragitto speculativo Nietzsche pensa l'essenza dell'arte, cioè dell'attività metafisica della vita, secondo la stessa antitesi di apollineo e dionisiaco in cui la pensa alla fine, dobbiamo allora sapere e imparare a vedere che la sua interpretazione è diversa in un caso e nell'altro. Infatti, all'epoca della Nascita della tragedia questa antitesi viene pensata ancora nel senso della metafisica schopenhaueriana, perché tale opera si confronta con quest'ultima, mentre all'epoca della Volontà di potenza viene pensata partendo dalla posizione di fondo designata con questo titolo. Finchè non vediamo in modo sufficientemente chiaro questo mutamento e non capiamo l'essenza della volontà di potenza, è meglio mettere temporaneamente da parte questa antitesi, che si è già fin troppo svuotata fino a diventare uno slogan. Da tempo la formula dell'antitesi di apollineo e dionisiaco è diventata il rifugio di ogni confuso e confusionario discorrere e scrivere sull'arte e su Nietzsche. Per Nietzsche questa antitesi rimase una fonte perenne di oscurità non risolte e di nuove domande.
Per quanto riguarda la scoperta di questa antitesi nell'esistenza dei Greci, da Nietzsche designata con i nomi apollineo e dionisiaco, egli può rivendicare di averla pubblicamente messa in luce e configurata per la prima volta. Tuttavia, ci sono diversi indizi per supporre che già Burckhardt, nei suoi corsi universitari sulla civiltà dei Greci, che Nietzsche aveva in parte frequentato, fosse sulle tracce di questa antitesi; altrimenti non si capirebbe perché Nietzsche stesso, ancora nel Crepuscolo degli idoli, lo citi espressamente. Ciò che naturalmente Nietzsche non poteva sapere, anche se fin dalla gioventù sapeva più chiaramente dei propri contemporanei chi fosse Hölderlin, è il fatto che questi aveva già visto e capito tale antitesi in un modo ancora più profondo e più nobile.
Hölderlin mette qui di fronte l'uno all'altro, nell'essenza dei Greci, il sacro pathos e la giunonica sobrietà occidentale del talento espositivo. Questa antitesi non va intesa come un'indifferente constatazione storiografica. Essa si fa vedere invece nella diretta meditazione sul destino e la missione dei Tedeschi. Ci si deve qui fermare a questa indicazione, poiché il sapere proprio di Hölderlin potrebbe essere determinato in modo sufficiente solo con un'interpretazione della sua opera. Qui è già sufficiente se da questa indicazione intuiamo che il contrasto (diversamente denominato) di apollineo e dionisiaco, della sacra passione e della sobria esposizione, è un'occulta legge stilistica della destinazione storica dei Tedeschi e un giorno dovrà trovarci pronti e preparati a darle forma. Questa antitesi non è una formula grazie alla quale non dovremmo fare altro che descrivere la civiltà. Hölderlin e Nietzsche, con questo contrasto, hanno posto un interrogativo sul compito dei Tedeschi di trovare storicamente la loro essenza. Comprenderemo questo interrogativo?? Una cosa è certa: la storia si vendicherà su di noi, se non lo comprenderemo.
Tentiamo anzitutto, limitandoci al fenomeno generale dell'ebbrezza quale stato artistico fondamentale, di tracciare il disegno dell'estetica di Nietzsche come fisiologia dell'arte. In riferimento all'ebbrezza come stato estetico dovremmo rispondere alla domanda: in quale senso l'ebbrezza è inevitabile perché vi sia arte?? Affinché essa sia in generale possibile?? Affinché si realizzi?? Che cosa, e come, è l'arte?? L'arte è nel creare dell'artista, nella fruizione dell'opera, nella realtà dell'opera stessa oppure in tutte e 3 le cose insieme?? Come sono allora reali queste 3 cose insieme?? Come e dove è l'arte?? Esiste in assoluto l' arte, oppure il termine l'arte è soltanto un nome collettivo a cui non corrisponde a sua volta niente di reale??
Già qui, mirando più precisamente con le nostre domande alla cosa stessa, tutto si fa oscuro ed equivoco. Si fa ancora più oscuro se vogliamo sapere quale specie di inevitabilità dell'ebbrezza sia necessaria perché si dia arte. L'ebbrezza è soltanto una condizione dell'origine dell'arte e, se sì, in quale senso?? L'ebbrezza è soltanto l'avvio e lo sbrigliamento dello stato estetico?? Oppure ne è la fonte e la portatrice perenne, e, se è così, come fa un tale stato ad essere portatore de l'arte, della quale non sappiamo come e che cosa è?? Quando diciamo che è una forma della volontà di potenza, per lo stato attuale della questione non diciamo niente; giacchè dobbiamo ancora capire quello che tale determinazione vuol dire. C'è inoltre da chiedersi se con questo venga definita l'essenza dell'arte in quanto arte, o se l'arte non venga invece determinata come un modo dell'essere dell'ente. Pertanto, ci rimane ora solo una via per la quale passare e procedere, ossia per continuare a domandare muovendo dall'essenza generale, provvisoriamente caratterizzata, dello stato estetico, cioè dell'ebbrezza. Ma continuare come?? Evidentemente nella direzione di una demarcazione dell'ambito estetico.
L'ebbrezza è sentimento, l'essere in una disposizione d'animo essendo corpo in carne ed ossa, l'essere corpo in carne ed ossa inglobato nell'essere in una disposizione d'animo, l'essere in una disposizione d'animo intessuto nell'essere corpo in carne ed ossa. Ma l'essere in una disposizione d'animo apre l'esserci facendo sì che salga e si espanda sino alla pienezza delle sue facoltà, le quali si stimolano e si esaltano a vicenda. Nel chiarire l'ebbrezza come stato sentimentale si è però sottolineato esplicitamente più volte che non dobbiamo prendere lo stato come qualcosa di lì presente nel corpo e nell' anima, ma come un modo dello stare (essendo corpo in carne ed ossa, essendo in una disposizione d'animo) nei confronti dell'ente nel suo insieme, il quale a sua volta pre-dispone e determina l'essere in una disposizione d'animo. Per caratterizzare ulteriormente, e in modo completo, la struttura essenziale della disposizione estetica fondamentale converrà pertanto domandare: che cosa è determinante in questa e per questa disposizione fondamentale, e precisamente in modo che essa possa essere chiamata estetica??
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