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Lezione 1, Eguaglianza, diseguaglianza e povertà. Notazioni introduttive.

economia politica



5168-ECONOMIA POLITICA (corso monografico), a.a. 2006/2007

Povertà, disuguaglianza e distribuzione del reddito.


Lezione 1, Eguaglianza, diseguaglianza e povertà. Notazioni introduttive.


Testi di riferimento.

- Baldini M., Toso S., Diseguaglianza, povertà e politiche pubbliche, Bologna, Il Mulino, 2004, cap.1


Letture di approfondimento

- Arnsperger C., Van Parijs P., Quanta diseguaglianza possiamo accettare, Il Mulino, 2003, pp. VII-XXVI.



- Pyketty M., Disuguaglianza. La visione economica, EGEA, 2003, pagg. I-XVII.

Somaini E., Uguaglianza. Teorie, politiche, problemi, Donzelli editore, 2002, pp. XI-XIX.

- Targetti Lenti R., Recenti teorie economiche sulla distribuzione personale dei redditi, in: Zenga M. (a cura di), La distribuzione personale del reddito: problemi di formazione, di ripartizione e di misurazione, Vita e Pensiero, 1987, pagg. 250-264.




1. Eguaglianza, diseguaglianza e povertà

Il tema dell'uguaglianza attraversa tutto il pensiero politico occidentale ed ha acquistato negli ultimi anni nuove dimensioni a livello internazionale con lo sviluppo dei processi di globalizzazione ed all'interno di ogni paese con le trasformazioni dei rapporti sociali e personali. A fianco di processi  di sviluppo economico straordinari continuano a sussistere forme di ineguaglianza, di discriminazione e di privazione semplicemente inaccettabili. L'affrontare questi temi richiede oltre ad informazioni e previsioni quanto possibile affidabili anche un affinamento critico dei concetti cui si fa continuamente ricorso quando si formulano giudizi etici sui fenomeni osservati o proposte politiche di intervento per modificarli.

Dal punto di vista teorico si è cercato di riformulare i concetti di eguaglianza, di disuguaglianza e di povertà, di identificare le variabili causali (di natura microeconomica e macroeconomica) che li determinano, di evidenziare le relazioni tra disuguaglianza e caratteristiche strutturali del sistema socio-economico, nonché tra disuguaglianza e politiche redistributive. Diseguaglianza e povertà sono f 343g63d enomeni interconnessi, ma distinti. La diseguaglianza è un concetto relativo. Il concetto è collegato a quello di variabilità nella distribuzione di una variabile cui si attribuisce valore: reddito, consumo, ricchezza, tenore di vita, utilità. Esige il confronto tra posizioni differenti. La povertà contiene anche una valenza assoluta. Riflette la mancanza di qualche cosa.

I metodi di analisi seguiti, per quanto diversi tra loro, possono essere ricondotti a due approcci principali. Il primo approccio è di natura positiva:  si cerca di capire quali siano le cause della diseguaglianza e le connessioni tra questo fenomeno e le regole di funzionamento di un sistema di mercato. Due linee d'analisi: 1) statistico descrittivo; 2) teorico e più strettamente economico. Teorie alternative in relazione all'importanza delle diverse cause.

Il secondo approccio è di natura normativa: ci si chiede se fenomeni come la diseguaglianza e la povertà siano accettabili in relazione alla loro compatibilità con altri valori come quello di libertà e di diritti. Dall'impostazione normativa discende l'esigenza di attuare politiche appropriate per ridurre la diseguaglianza e la povertà. La teoria normativa è stata se così si può dire confinata ad una sola branca della scienza economica, l'economia del benessere, alla quale hanno dato contributi importanti anche altre discipline, in particolare la filosofia politica e l'etica. Per l'economia in senso stretto l'unico valore che conta è l'efficienza. Questa impostazione risale agli anni trenta del secolo scorso. Lo studio dell'economia dovrebbe infatti esaurirsi nello studio dell'efficienza o, meglio, nello studio delle scelte razionali da attuarsi in presenza di risorse scarse e scopi alternativi. Questa visione, se presa alla lettera, non lascia grande spazio alle istanze etiche in quanto la scienza economica "è neutrale di fronte agli scopi, e non si può pronunciare sulla validità dei giudizi di valore" [Robbins 1932]. Sebbene i confini disciplinari imposti da tale visione non siano più oggi così stretti, molti studiosi continuano a ritenere che debbano essere privilegiati valori come l'efficienza rispetto all'equità (trade-off). Una delle ragioni per questo atteggiamento è che mentre esiste una definizione generalmente accolta di efficienza (quella paretiana) così non è per il concetto di equità, e conseguentemente per quello di giustizia distributiva. Ci troviamo infatti di fronte ad una molteplicità di teorie della giustizia, rispetto alle quali non è facile individuare criteri soddisfacenti di classificazione.

E' impossibile dare una definizione assoluta di eguaglianza, anche se rimane un valore fondamentale nelle società democratiche assieme a quello di libertà (positive e negative) e di diritti. La diseguaglianza è infatti un fenomeno complesso; essa dipende da numerosi fattori che non possono essere compresi in un solo schema teorico. L'uguaglianza presenta rapporti complessi e spesso conflittuali anche con altri valori fondamentali, come la libertà o l'efficienza.

Negli anni più recenti una serie di contributi, dovuti ad autori come Rawls, Sen, Nozick, von Hayeck, Van Parijs ed altri ancora, hanno messo in evidenza come i rapporti tra l'uguaglianza e tali valori, in particolare quello della libertà, fossero tutto sommato meno conflittuali di quanto si ritenesse in passato. La produzione scientifica sulla giustizia distributiva e i fondamenti etici della redistribuzione, dagli anni cinquanta in poi, è stata vastissima ed è culminata nella pubblicazione nel 1971 di Una teoria della giustizia di John Rawls, cui è seguita una discussione particolarmente ricca, a cui hanno partecipato non solo filosofi ma anche numerosi economisti. Teorie alternative della gisustizia distributiva in relazione al concetto di giusto e di bene.

Il tentativo di favorire l'eguaglianza in uno spazio valutativo può creare un maggior grado di diseguaglianze in altri spazi. D'altra parte l'eguaglianza è perseguita in determinate sfere in quanto viene considerata necessaria o comunque strumentale alla "realizzazione dell'eguaglianza in qualche altra sfera più importante" e nella quale essa è ritenuta essenziale. L'esempio più evidente è quello di "rendere effettivi certi diritti o libertà fondamentali formalmente uguali, ma il cui esercizio sostanziale dipende da una serie di condizioni materiali delle quali i soggetti dispongono in misura ineguale". Secondo alcuni autori, in particolare Somaini, occorre interrogarsi circa l'opportunità di tutelare un valore come quello dell'eguaglianza. Non vi è dubbio che lo sviluppo della democrazia sia stato accompagnato dall'affermarsi di movimenti politici che hanno posto al centro dei loro programmi l'eguaglianza. In molti casi il consolidamento delle istituzioni democratiche ed il rispetto delle libertà fondamentali è stato accompagnato dall'introduzione di meccanismi redistributivi e dalla formazione "di sistemi welfare state che hanno consentito di realizzare, in termini diversi da paese a paese e con esiti non sempre univoci, alcune parti dei progetti ugualitari". Tuttavia "il tentativo di ottenere rapidi e decisivi risultati sul versante dell'uguaglianza ha portato in alcuni casi ad abbandonare il sentiero democratico, o a scartarlo prima ancora di averlo imboccato".

All'interno dei diversi paesi, e primo fra tutti il nostro, le istanze ugualitarie si sono tradotte nella protezione di alcuni gruppi di lavoratori (gli insider), che godono delle protezioni dei sistemi di welfare e della rappresentanza sindacale, in contrapposizione, se non addirittura in conflitto con i gruppi che sono al di fuori di queste istituzioni (gli outsider) e "le cui condizioni diventano in qualche caso peggiori come conseguenza degli stessi fattori che migliorano quelle degli insider ". Alcune misure egualitarie e di protezione dei gruppi (insider) possono creare ineguaglianze per altri e/o in altre sfere fallimenti ugualitari".


Le prime lezioni del nostro corso saranno dedicate ad approfondire le tematiche della diseguaglianza distinguendo tra le due impostazioni. Innanzitutto si effettuerà una rassegna delle principali teorie proposte per spiegare perché si genera la diseguaglianza. In secondo luogo si presenteranno le principali teorie della giustizia distributiva. Non si può prescindere da un inquadramento delle principali teorie della giustizia e delle corrispondenti visioni del ruolo redistributivo dello stato ad esse sottese anche se tali temi non rientrano negli argomenti tradizionalmente studiati dall'economista. Le teorie che prenderemo in considerazione, in particolare, sono l'utilitarismo, il neocontrattualismo di John Rawls, e l'approccio delle capacità di Amartya Sen.


2. Perché studiare la diseguaglianza?

Domande cui bisogna rispondere:

Uguaglianza di cosa e tra chi? In quale prospettiva temporale ?

Perché alcune nazioni sono ricche ed altre povere? Povertà è insufficienza di reddito o anche qualcos'altro? Come valutare l'impatto di una riforma fiscale o di un programma di spesa pubblica per l'assistenza sulla distribuzione del benessere delle famiglie? Come si è modificata la diseguaglianza nelle economie avanzate e nei paesi in via di sviluppo nel corso degli ultimi decenni, e per quali motivi?

Non è sufficiente garantire identiche opportunità ed eguali posizioni di partenza per assicurare un'effettiva eguaglianza di risultati (Pantaleoni). Ugualitarismo dei risultati (UDR) ed ugualitarismo delle opportunità (UDO).

I principali fattori di ineguaglianza su cui è possibile intervenire sono : a) discriminazioni e privilegi, b) mancanza di uno standard minimo d'istruzione o di condizioni sanitarie, c) diversità di doti e di talenti naturali, d) ineguaglianze lungo il ciclo di vita dovute a differenze nella fase formativa.


E' possibile elencare numerosi argomenti a favore dell'eguaglianza:

a)   attribuzione di un valore intrinseco all'eguaglianza.

b)   condizione per la realizzazione di altri valori massimizzazione dell'utilità (i trasferimenti non riducono le risorse complessive, le funzioni di utilità sono simili). Principio dell'utilità marginale decrescente. Relazioni tra uguaglianza, libertà, democrazia.

c)   come requisito necessario di ogni teoria della giustizia che abbia valenza universalistica uguale titolo a ciò che ha valore (per Nozick i diritti).

d)   Eguaglianza e accordi stipulati «sotto il velo d'ignoranza ». Principio del maximin (Rawls).

Come manifestazione dell'avversione al rischio accordo preliminare su misure correttive. Principio assicurativo (pensioni, welfare state).

e)   Eguaglianza e diritti di cittadinanza condizione per esercitare diritti minimi (beni primari).

f)    Tendenze egualitarie nei processi politici democratici Redistribuzione.


Vi sono anche argomenti contro l'eguaglianza:

a)   Impossibilità di raggiungere l'eguaglianza in più sfere.

b)   Costi troppo elevati e difficoltà pratiche.

c)   Alcune ineguaglianze sono considerate legittime se conseguenza di comportamenti una volta che siano state assicurate eguali opportunità principio di responsabilità.


3. Quale variabile scegliere e come studiarla?

Eguaglianza di che cosa resta la domanda cui bisogna ancora dare una risposta. Per dirla con Sen l'idea di eguaglianza deve confrontarsi con due differenti tipi di diversità: 1) la sostanziale eterogeneità degli esseri umani in relazione alle caratteristiche personali (micro) ed alle circostanze esterne (macro). Quale peso ha la responsabilità individuale ? Quali sono i fattori determinanti (dotazioni materiali o capitale umano ?). 2) la molteplicità delle variabili in relazione alle quali l'eguaglianza può essere valutata (reddito, felicità, utilità).

Problemi di concettualizzazione e definizione del fenomeno:

a) Scelta delle variabili rilevanti.

Le variabile che generalmente, per lo meno dagli economisti, vengono assunte come riferimento per analizzare la disuguaglianza sono di natura monetaria: il reddito,il livello di consumi e/o la ricchezza.

Il reddito in un'economia di mercato resta la variabile focale in quanto: 1) potere di comando sulle risorse. 2) Le politiche redistributive sono in larga misura basate sul reddito. 3) Le diseguaglianze tra diversi paesi sono generalmente misurate in termini di reddito.

Tuttavia non è certo sufficiente assumere queste variabili come unica base di valutazione, soprattutto se il fenomeno da studiare è la povertà. Ve ne sono altre, infatti, altrettanto importanti che devono essere considerate come quelle legate allo stato di salute di una persona, al suo livello d'istruzione, al grado di partecipazione alla vita collettiva (Sen) multidimensionalità del fenomeno.


b) strumenti di misurazione e rappresentazione.

Come ed in base a quali criteri effettuare confronti ? Misurazione e aggregazione: indici positivi e normativi.

Distribuzione della variabile y tra individui e famiglie funzione di distribuzione paretiana: caratteristiche (moda, mediana, media)

Misurazione per confronti:

a)   ordinamenti parziali (Lorenz): confronti significativi dal punto di vista del benessere, con riferimento al concetto di utilità.

b)   completi: indici sintetici (statistico e di derivazione assiomatica).

c)   indici scompoinibili per aree o per gruppi: within (all'interno d'ogni gruppo o di ogni area territoriale) e between (tra redditi pro-capite dei diversi gruppi o delle diverse aree)



4. Quali politiche possono ridurre la diseguaglianza?

Welfare State trasferimenti monetari ed in natura

Ottima tassazione (progressività)



5. Quali relazioni tra diseguaglianza e crescita?

Come la crescita influenza la diseguaglianza (Kuznets)

Come la diseguaglianza influenza la crescita (modelli di crescita endogena via il capitale umano).


6. Come si è modificata la diseguaglianza nel lungo periodo?

a) nei paesi OCDE (Brandolini)

b) nei paesi in via di sviluppo (Cornia)

c) a livello internazionale (Sala-I-Martin)


7. Quali fattori hanno influito?

a)   riduzione del Welfare State e liberalizzazione del mercato del lavoro.

b)   politiche di riforma imposte dalle Organizzazioni Internazionali

c)   globalizzazione



8. Il processo di formazione e distribuzione dei redditi: distribuzione funzionale e personale

La rapida evoluzione che ha caratterizzato negli ultimi anni la letteratura sia economica che socio-politica ha portato alla formulazione di nuove e più articolate spiegazioni degli aspetti distributivi ed in particolare della distribuzione personale dei redditi. Si è cercato di dare risposta ai nuovi e numerosi problemi metodologici che si presentano nel momento in cui si voglia quantificare il fenomeno e riconducibili, sostanzialmente, alla scelta delle unità di riferimento e degli indicatori.

La distribuzione del reddito all'interno del sistema economico può essere analizzata sotto due profili: a) distribuzione funzionale tra classi di percettori; b) distribuzione personale tra individui e/o famiglie. Questi due concetti di distribuzione funzionale e distribuzione personale non sono coincidenti tra loro. Per quanto la distribuzione funzionale conservi ancor oggi un ruolo importantissimo nello spiegare la distribuzione, essa non è però più così significativa come in passato.

Fino ad anni recenti, la teoria economica si è occupata principalmente della distribuzione funzionale: il prevalere del modello di produzione fondato sulla grande impresa industriale (modello fordista) induceva infatti ad associare ad ogni classe sociale uno specifico fattore produttivo (i salari ai dipendenti, i profitti agli imprenditori, la rendita ai proprietari della terra), cosicché lo studio della distribuzione funzionale forniva anche utili indicazioni sulla distribuzione del reddito tra le varie classi sociali. Nel tempo, tuttavia, la struttura sociale delle economie industriali si è notevolmente complicata ed arricchita di figure nuove, ad esempio con la formazione di estese fasce di ceti medi (lavoratori autonomi, commercianti, impiegati, .) che rendono la divisione tradizionale tra lavoratori, capitalisti e proprietari terrieri non più rappresentativa della effettiva struttura di una società moderna.

Mentre quindi nella prima fase del processo di industrializzazione lo studio della distribuzione funzionale poteva fornire utili elementi anche per comprendere la distribuzione personale delle risorse, oggi la ripartizione delle risorse tra gli individui è profondamente diversa da quella tra i fattori produttivi. Il mercato del lavoro si è inoltre profondamente modificato in seguito alla crescente partecipazione della forza lavoro femminile. In altre parole l'unità sociologica da cui dipende in larga misura il benessere di un individuo, la famiglia o la convivenza, non è più tipicamente formata da un capofamiglia, quasi sempre di sesso maschile, che lavora a tempo pieno e da un coniuge a cui è affidata la cura della casa e gran parte dell'allevamento dei figli.... Le famiglie possono avere connotazioni molto diversificate, per numero di percettori di reddito, grado di stabilità dell'occupazione, durata dell'orario di lavoro. Oggi, dunque, occorre spiegare il fenomeno della diseguaglianza tra le persone, arricchendo e complicando notevolmente il quadro complessivo dei fattori all'origine della diseguaglianza.

Per molto tempo la distribuzione personale dei redditi è stata considerata come un processo stocastico di cui debbono essere determinate le leggi statistiche che lo governano, avendo come obiettivi primari la formulazione di leggi generali per descrivere la "forma" della distribuzione e, sulla base di queste leggi, la misura del relativo grado di disuguaglianza analizzata. Si sono privilegiati quindi gli aspetti statistici rispetto a quelli economici. Pareto, in particolare aveva individuato una relazione tra redditi individuali e numero di percettori, a partire da un valore del reddito minimo, così significativa da potersi ritenere un vera e propria legge. Questa impostazione statistico-descrittiva ha portato ad una sorta di separazione tra una teoria della distribuzione personale del reddito ed il "corpus" principale della teoria economica e, segnatamente, delle teorie della distribuzione funzionale. Nel corso del tempo, tuttavia, la distribuzione personale dei redditi è venuta acquistando importanza via via crescente anche per l'analisi economica non solo con riferimento ai concetti di equità e benessere ma anche in relazione allo studio dei comportamenti individuali e collettivi (concernenti il consumo, l'accumulazione in capitale fisico ed umano), alle caratteristiche dell'organizzazione produttiva e del mercato del lavoro nonché per il disegno delle politiche redistributive. In particolare sono stati fatti:

1) Progressi teorici in tema di economia del benessere. Progressi analitici in tema di costruzione e significato degli indici.

2) Progressi in tema di policy. Crescita del "welfare state" (elementi positivi e negativi). Fattori favorevoli all'eguaglianza come quelli legati all'azione dello Stato sociale che agiscono "una tantum". "Tutti i tentativi per dividere la torta in parti eguali riducono la dimensione della stessa....Il denaro deve essere trasportato dal ricco al povero in un secchio bucato. parte di esso sparirà semplicemente durante il tragitto" (Okun)

3) La maggior disponibilità di evidenza empirica ha consentito di analizzare il fenomeno della disuguaglianza: a) in Italia (Rapporti del CNEL, ISTAT, Banca d'Italia, Commissione per lo studio della povertà in Italia ed in Europa); b) nei paesi in via di sviluppo (Banca Mondiale, Nazioni Unite). E' aumentata tra paesi ed all'interno dei singoli paesi.

Qualunque sia il modello interpretativo prescelto, tutte le indagini in tema di disuguaglianza nella distribuzione personale dei redditi si basano su specifiche evidenze empiriche, nella maggior parte dei casi tratte da indagini campionarie. La significatività statistica del campione, il metodo di trattazione dei dati, la definizione delle variabili (unità di riferimento, componenti di reddito, periodo temporale di riferimento) condizionano l'interpretazione dei risultati. La definizione stessa di reddito non è priva d'ambiguità. Da un punto di vista concettuale, infatti, il reddito può

essere definito come "l'ammontare di moneta che un individuo potrebbe spendere in un dato periodo di tempo mantenendo immutato il valore della sua ricchezza". La definizione di reddito dal punto di vista statistico è, in genere, più restrittiva perché considera solamente le entrate monetarie che, in termini di reddito, derivano da lavoro dipendente, da lavoro autonomo e da capitale in senso lato.


Le teorie della distribuzione funzionale.

La distribuzione funzionale riguarda la ripartizione del prodotto tra i fattori che hanno contribuito alla sua realizzazione. Gli individui vengono considerati in quanto fornitori di specifici fattori produttivi, ad esempio il lavoro, o il capitale. I tipi di reddito presi solitamente in considerazione dalle teorie della distribuzione funzionale sono tre:

a) salari, cioè redditi percepiti come corrispettivo di una prestazione lavorativa di tipo subordinato;

b)    profitti, cioè redditi percepiti come corrispettivo dell'attività imprenditoriale, che consiste nell'utilizzare capitale di rischio (proprio e/o altrui) in combinazione al lavoro dipendente e ad altre risorse per svolgere una attività produttiva economicamente conveniente;

c) rendite, cioè redditi percepiti come corrispettivo per la cessione in uso di una proprietà (materiale o immateriale, mobile o immobile), ad esempio il canone di affitto di un immobile o di un macchinario, l'interesse su un prestito, i diritti ricevuti per l'uso di un brevetto.

Alcune teorie della distribuzione funzionale sono essenzialmente di natura macroeconomica. Riguardano gruppi di redditi eterogenei, classificati in categorie molto ampie come sono quelle dei salari e dei profitti e delle rendite (classica, keynesiana). L'impostazione neoclassica, invece, studia il fenomeno come processo di formazione dei prezzi dei fattori in mercati separati.


Le teorie della distribuzione personale.

La teoria, o meglio le teorie, della distribuzione personale del reddito si è sviluppata in modo del tutto separato dal "corpus" principale della teoria economica, ed in particolare dalla teoria della distribuzione funzionale. Ha risentito per lungo tempo della impostazione paretiana che considerava la distribuzione del reddito come una vera e propria legge naturale.

Il collegamento tra distribuzione funzionale e personale non è facile. Tuttavia il collegamento tra questi due tipi di distribuzione si presenta particolarmente necessario quando s'intenda non solo descrivere le caratteristiche del fenomeno distributivo, ma piuttosto individuarne le variabili determinanti.

Non v'è dubbio che i processi attraverso i quali i redditi individuali e/o familiari si determinano siano molto complessi. La disuguaglianza accertata nella distribuzione personale è la risultante delle disuguaglianze che s'instaurano nel momento della formazione delle diverse componenti del reddito. Queste disuguaglianze sono riconducibili sostanzialmente all'esistenza di percettori di soli redditi da lavoro in contrapposizione a percettori di redditi provenienti anche o solo dalla proprietà di beni capitali e/o di risorse naturali. All'interno della distribuzione dei redditi percepiti dai diversi gruppi di lavoratori si manifestano disuguaglianze determinate, tra l'altro, dalla posizione nella professione, dall'esercizio di determinate mansioni, dalle capacità individuali, dal livello d'istruzione, dalle caratteristiche tecnologiche dei diversi settori produttivi. Il mercato, la famiglia e lo Stato possono cioè essere considerati come i tre momenti nei quali si combinano i diversi fattori all'origine della disuguaglianza.

L'assetto della distribuzione personale delle risorse è, dunque, la risultante di una serie di processi e fenomeni socio-economici, di grande varietà e complessità.

a)   vi sono sostanziali differenze non solo tra diversi tipi di redditi, ma anche all'interno di una stessa categoria. Tra i redditi da lavoro dipendente, ad esempio, il salario di un dirigente è superiore a quello di un operaio; gli operai specializzati a loro volta percepiscono redditi superiori a quelli degli apprendisti. Una significativa parte dell'incremento della diseguaglianza verificatosi negli Stati Uniti a partire dagli anni '70 è ad esempio spiegabile come un aumento della diseguaglianza tra i redditi da lavoro. L'investimento in capitale umano (istruzione) è a questo riguardo essenziale: da tutte le indagini empiriche emerge chiaramente che il reddito personale aumenta all'aumentare del grado di istruzione, un elemento di cui le teorie della distribuzione funzionale non tengono conto;

b)   ogni individuo riceve tipicamente diversi tipi di reddito: un lavoratore dipendente oltre al salario può ad esempio percepire parte del profitto generato da una società di cui è azionista, o interessi su un deposito bancario o su un titolo di stato;

c)   esistono numerose istituzioni che si frappongono tra la distribuzione primaria e quella secondaria, ad esempio le società di capitali attraverso la politica di distribuzione dei profitti, o i fondi pensione o di investimento. La più importante di queste istituzioni è lo Stato, che attraverso le sue attività di tassazione e spesa fa sì che la distribuzione effettiva delle risorse tra le famiglie sia molto diversa da quella originariamente prodotta dal mercato;

d)   la trasmissione delle risorse attraverso trasferimenti tra vivi o eredità è un importante canale di formazione di diseguaglianze che non transita per il mercato;

e)   alla formazione delle diseguaglianze tra individui contribuiscono in modo cruciale anche le differenze negli ambienti familiare e sociale in cui le persone si formano.


Proprio la complessità del fenomeno distributivo ha fatto sì che in letteratura si sviluppassero numerose "teorie" che possono essere raggruppate in "tradizionali" e "strutturali". Le prime si basano su di un'impostazione di natura essenzialmente microeconomica e riconducono le cause della disuguaglianza tra i redditi personali solo, o comunque in modo prevalente, alle caratteristiche individuali (età, sesso, capacità generali, talenti particolari, caratteristiche fisiche, livello d'istruzione) nonché alla collocazione socioeconomica (patrimonio ereditato, provenienza sociale, condizioni ambientali, luogo di residenza). Le seconde, e cioè le cosiddette teorie di tipo "strutturale" proposte a partire da anni più recenti, anche se piuttosto eterogenee presentano una "radice" comune poiché considerano la distribuzione dei redditi personali disponibili come il risultato dell'influenza congiunta della struttura economica e socio-istituzionale dei diversi sistemi produttivi. Queste impostazioni cioè, assumendo come fattori determinanti la struttura organizzativa (gerarchica o a rete) delle imprese, la distribuzione delle occupazioni (influenzata dall'assetto tecnologico), la composizione dell'occupazione per settore e per categorie professionali, l'azione redistributiva dello Stato, finiscono con il ricondurre la distribuzione personale dei redditi non solo a variabili  di natura micro ma anche macroeconomica.

Dalla distribuzione funzionale del reddito (distinta nelle tre grandi categorie dei salari, dei profitti e delle rendite) si perviene a quella personale (primaria e secondaria) attraverso alcuni passaggi. Il primo è costituito dalla formazione e distribuzione del valore aggiunto ai diversi fattori di produzione in connessione alla produzione del prodotto interno e nell'ambito di una specifica struttura del sistema economico articolato in settori d'attività, imprese di varia dimensione, categorie professionali. Questo primo momento riflette sia le caratteristiche di natura macroeconomica sia le scelte tecnologiche delle imprese, ovvero le variabili che determinano la ripartizione del reddito tra le quote settoriali e funzionali.

Il secondo passaggio rappresenta il processo di distribuzione primaria del reddito dai fattori alle famiglie. La direzione e la grandezza dei flussi riflette la struttura proprietaria dei fattori da parte dei singoli individui, raggruppati in unità familiari di diversa composizione e ampiezza. Alcuni di questi fattori, come ad esempio i beni capitali, sono generalmente considerati di proprietà della famiglia. La capacità d'ottenere un determinato livello di reddito dipende dalle caratteristiche individuali (le abilità personali, innate od acquisite, l'età), ma anche dalla posizione relativa di ogni soggetto all'interno di una determinata struttura sociale ed economica.

Per ciascun individuo, poi, il peso d'ogni tipo di reddito su quello complessivo dipenderà dal livello e dalla composizione delle dotazioni (capitale umano e capitale fisico) che possono essere scambiate sul mercato. I modi attraverso cui le dotazioni di fattori produttivi si traducono in redditi dipendono dai prezzi (del lavoro dipendente, del lavoro autonomo, e del capitale) quali si determinano in relazione alle condizioni strutturali e congiunturali dei diversi mercati. La disuguaglianza risulterà tanto più elevata quanto più la proprietà delle dotazioni, ed in particolare dei beni capitali, è concentrata, quanto maggiore è la dispersione delle remunerazioni dei fattori ed in particolare del lavoro, quanto più l'esclusione dal mercato e l'emarginazione è un fenomeno che colpisce sistematicamente alcune componenti della forza lavoro, specifici settori produttivi, singole aree territoriali.

Il terzo momento infine è quello in cui viene determinato il valore dei redditi disponibili. Se si tiene conto dell'azione redistributiva del settore pubblico, esercitata attraverso il prelievo delle imposte dirette e degli oneri sociali (effettuato sia sui redditi da lavoro che sul risultato lordo di gestione), l'erogazione di prestazioni sociali (pensioni, indennità di disoccupazione, cassa integrazione guadagni, e così via) ed il pagamento degli interessi sul debito pubblico, si giunge a determinare, partendo da quella primaria, la distribuzione secondaria del reddito delle famiglie. Questo terzo momento, logicamente successivo, ma spesso contemporaneo al primo, riflette la struttura dei meccanismi redistributivi che legano il settore delle famiglie a quello della pubblica amministrazione. Esso riflette meccanismi distributivi che operano attraverso il sistema tributario (più o meno progressivo) e della sicurezza sociale.

Lo schema d'analisi appena introdotto evidenzia come ogni agente economico (individuo, impresa, Stato), grazie alla posizione che riveste all'interno del sistema economico ed alle interazioni con gli altri agenti, contribuisca a determinare la disuguaglianza che caratterizza la distribuzione del reddito individuale e familiare sia a livello primario che secondario. In particolare, interessa fissare l'attenzione sul ruolo che i diversi individui, interagendo con il sistema delle imprese, svolgono all'interno del processo produttivo in quanto detentori di risorse materiali (lavoro, capitale, terra), ma anche e soprattutto  immateriali quali l'istruzione o, più in generale, un determinato livello di "knowledge".

L'esperienza più recente dei principali paesi industrializzati ha mostrato come i processi di globalizzazione e di ristrutturazione industriale, l'introduzione delle nuove tecnologie informatiche, la modificazione del peso dei vari settori produttivi nonché le politiche di riduzione della spesa pubblica nell'ambito dei processi di trasformazione del Welfare State abbiano prodotto effetti sul mercato del lavoro che si sono tradotti in una sensibile crescita nei livelli di disuguaglianza. Ciò a conferma del fatto che esistono relazioni molto strette tra caratteristiche del sistema produttivo, effetti delle politiche economiche e distribuzione (primaria e secondaria) del reddito.







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