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Il welfare state

economia politica



Il welfare state (cap. XIII°)


Per welfare state (stato sociale) si intende l'insieme di istituti messi in atto dallo Stato con l'obiettivo di intervenire nella sfera economica e promuovere la qualità della vita dei cittadini, combattere le condizioni di povertà o d 545b17f i indigenza originate da motivazioni diverse (ad esempio: malattia, invalidità, vecchiaia, disoccupazione, etc.). Gli strumenti utilizzati, a tal fine, sono: - i trasferimenti alle famiglie; - fornitura di beni e servizi.

Origini storiche del welfare state.

La grande crisi economica iniziata nel 1929 in USA, e propagatasi in tutti i Paesi del mondo, ha accelerato il processo di adozione di istituti di protezione sociale che, in un primo momento, erano rivolti soltanto a specifiche categorie (ad esempio: i lavoratori dipendenti), ma poi estesi a tutti. Un primo passo importante fu compiuto dalla Gran Bretagna con l'adozione, nel 1942, del Rapporto Beveridge. In Italia, invece, già nel 1898, si adottava un'istituzione obbligatoria dell'assicurazione per gli infortuni sul lavoro e, grazie al regime fascista, fu istituito in Italia l'Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale (INFPS, ora INPS), negli anni Trenta.



Dopo la Seconda guerra mondiale, in tutti i Paesi occidentali con sistemi di libero mercato, si registra un'enorme espansione quantitativa e qualitativa dell'intervento pubblico nell'economia, con finalità sociali, favorita grazie: - al boom economico (che durò dagli anni Cinquanta agli anni Settanta); - al clima ideologico-politico, che sosteneva l'ampliamento dello stato sociale.

Ma, dopo gli anni Settanta, a seguito delle crisi economiche generate dal primo shock petrolifero del 1973-74 e, più in generale, a seguito delle contestazioni socio-politiche al modello fino ad allora stabile, sorsero i dubbi sulla "sostenibilità" dello stato sociale dovuti sia a fatti economici (riguardanti il rallentamento della crescita economica, cioè tassi crescenti di disoccupazione e di inflazione; e crisi del modello di produzione fordista); sia a fatti di origine sociale e politica (riguardanti all'instabilità del modello della famiglia con un solo dipendente generata dall'aumento di offerta del lavoro femminile).

La struttura della spesa per lo stato sociale in Italia ed Europa.

Verso la fine degli anni Novanta, in Italia, la quota della spesa sociale sul PIL era di poco superiore al 22% (un dato del tutto comparabile con il dato medio dei Paesi dell'Unione Europea).

Circa l'articolazione della spesa, invece, l'Italia presentava rilevanti diversità: a) previdenza (in particolare la spesa pensionistica); b) assistenza (contributi per particolari condizioni di lavoro, per esempio: disoccupazione); c) sanità. Il sistema dello stato sociale in Italia si è concentrato prevalentemente sui rischi di vecchiaia ed è stato meno attento rispetto ai "nuovi" bisogni.

La previdenza.

La spesa in previdenza sociale coincide con la spesa per le pensioni, infatti, il termine "previdenza" sta a indicare che in una fase della vita (la fase lavorativa), si versano contributi in modo da poter contare, nella fase successiva della vita (la fase del pensionamento), su una rendita, che rappresenta una fonte di reddito non-da-lavoro.

Ma perché, nell'ambito del welfare state, lo Stato interviene per rendere obbligatorio il risparmio pensionistico? Perché:

Il risparmio pensionistico è un bene di merito e gli individui privati, lasciati a sé, non sarebbero in grado di percepire quanto importante sia il risparmio finalizzato alla costruzione di una rendita pensionistica;

Le asimmetrie informative tra individui ed enti pensionistici sono rilevanti, e questo provoca fallimenti microeconomici di mercato;

La presenza di una parte della popolazione non coperta da forme di pensione configurerebbe una esternalità negativa per l'intera società.

Nella realtà italiana, come in altri Paesi, esistono diversi tipi di pensione:

a)  La pensione di vecchiaia (trasferimenti percepiti da persone che hanno raggiunto un'età avanzata e che sono tenute a ritirarsi dal lavoro);

b) La pensione di anzianità (trasferimenti percepiti da persone che, decidono di ritirarsi dal lavoro e di percepire quanto possono in base a quanto hanno versato ed alle normative vigenti);

c)  La pensione di reversibilità o per superstiti (trasferimenti percepiti dal coniuge o dai figli di chi ha versato i contributi ed è venuto a mancare);

d) La pensione di invalidità (trasferimenti percepiti da persone che si trovano in condizioni particolare tali da non poter esercitare una normale attività lavorativa);

e)  La pensione sociale (trasferimenti percepiti da soggetti che sono privi di mezzi di sostentamento).

Nell'erogazione delle pensioni di vecchiaia e di anzianità si configura la contropartita di una prestazione previdenziale, mentre tutte le altre hanno soltanto una natura assistenziale e quindi non vi è un pagamento preventivo.

I sistemi pensionistici possono essere organizzati secondo due logiche alternative:

o  Sistemi a capitalizzazione: ciascun lavoratore versa i contributi all'ente pensionistico, l'ente pensionistico impiega tali contributi in investimenti finanziari, che producono interessi; nel momento in cui il lavoratore inizia a percepire la pensione, questa viene coperta dai contributi che egli stesso ha versato più gli interessi maturati. L'ammontare della pensione viene stabilito secondo una logica di equivalenza tra il valore attuale dei contributi versati ed il valore attuale atteso delle prestazioni pensionistiche.

In un ideale sistema a capitalizzazione il tasso di rendimento dei contributi pensionistici è esattamente il tasso d'interesse.

o  Sistema a ripartizione: i contributi versati dai lavoratori vengono utilizzati per erogare le prestazioni pensionistiche ad altri lavoratori, in questo caso si possono adottare due metodi di calcolo:

Regime contributivo: l'ammontare della rendita pensionistica viene calcolata in base ai contributi effettivamente versati;

Regime retributivo: l'ammontare della pensione che si riceverà può essere determinato in base alla retribuzione ricevuta (facendo riferimento all'ultima retribuzione ricevuta).

Il rapporto tra l'entità della pensione e l'entità della retribuzione lavorativa, viene definito anche "tasso di sostituzione".

In un ideale sistema a ripartizione il rendimento del versamento è pari alla somma del tasso di crescita demografica più il tasso di crescita della produttività (cioè è pari al tasso di crescita della produzione aggregata).

In linea teorica risulta più conveniente, per chi versa contributi versarli a un sistema di capitalizzazione se si ritiene che il tasso d'interesse sarà > del rendimento del versamento, viceversa, risulterebbe conveniente il sistema a ripartizione se il rendimento del versamento fosse > del tasso d'interesse. Perché il sistema a capitalizzazione si affida al mercato, mentre il sistema a ripartizione richiede un patto intergenerazionale.

Sotto il profilo delle concrete scelte politiche, nell'immediato Secondo dopoguerra, vennero attivati sistemi che si basavano sulla ripartizione (proprio perché in quegli anni la crescita della produttività era superiore rispetto ai tassi d'interesse). Ma questo sistema entrò in crisi a partire dalla seconda metà degli anni Settanta perché i tassi di crescita della produttività diminuirono insieme alla crescita demografica; inoltre sui sistemi pensionistici iniziarono a gravare anche oneri di tipo assistenziali.

Per valutare quanto gravosa sia la spesa pensionistica rispetto al PIL è possibile utilizzare l'Indice di Gravosità della Spesa Pensionistica (IGSP), che è il rapporto tra la spesa pensionistica ed il PIL: IGSP = NPS / NLW. Successivamente, all'inizio degli anni Ottanta, gli economisti hanno iniziato a rilevare che esisteva un debito pensionistico notevole facendo, così, maturare l'idea di attuare una riforma sul sistema pensionistico.

Il sistema pensionistico italiano e le riforme degli anni Novanta.

In Italia le riforme più significative operate negli anni Novanta furono:

o  La "Riforma Amato" (1992-1993): una rilevante modifica di tale riforma è la cancellazione dell'indicizzazione (cioè l'autonomo agganciamento) delle pensioni ai salari, questa disposizione ha fatto in modo che il rapporto tra spesa pensionistica e PIL proiettato nel 2040 calasse dal 23% al 18%. Inoltre ha stabilito che la pensione di vecchiaia spetti a chi ha almeno 20 anni di contributi e abbia raggiunto i 65 anni di età (60 per le donne); ha previsto che la pensione di anzianità può essere goduta con 35 anni di contribuzione.

o  La "Riforma Dini" (1995): la sua principale novità è rappresentata dal passaggio al metodo di calcolo secondo il principio contributivo e, all'interno della gestione INPS, viene più chiaramente separata la spesa assistenziale dalla spesa previdenziale.

o  La riforma del Governo Berlusconi (settembre 2003): esso punta ad accelerare il passaggio al metodo contributivo, e a favorire la scelta di permanere al lavoro delle persone che avrebbero maturato già i requisiti per il collocamento in pensione, grazie all'incentivo rappresentato dall'erogazione dei contributi che sarebbero invece da devolvere al sistema pensionistico.

Le azioni dei Governi che si sono succeduti hanno teso al sostegno di strumenti pensionistici privati, invocando l'attivazione di un sistema "a tre pilastri" (con questo si fa riferimento alla presenza contemporanea di tre differenti sistemi pensionistici):

Sistema pensionistico ad adesione obbligatoria e basato sul criterio della ripartizione;

Sistemi pensionistici (pubblici o privati) provvisti da associazioni su base aziendale (obbligatoria o facoltativa) basato sul criterio della ripartizione o della capitalizzazione;

Piani pensionistici individuali e volontari offerti da istituzioni finanziarie private e basati sul meccanismo della capitalizzazione.

L'assistenza.

L'assistenza è una categoria generale di spesa per social-welfare, e possiamo ricordare:

Le misure intese a combattere la povertà e i disagi: cercare di garantire a tutti i cittadini un reddito di minima, un sussidio di entità prefissata non soggetto a imposizione. In alternativa, si può immaginare un'imposta sul reddito negativa (si tratta di individuare una soglia di reddito pari a y* e di stabilire che l'imposta sul reddito percepito dall'individuo i è: T = t(yi - y*), dove t indica un'aliquota di imposizione. Ora, se il reddito è maggiore del valore soglia (T>0), allora si dovrà pagare un'imposta positiva; mentre se il reddito è negativo (T<0), allora si dovrà rimborsare l'imposta (sussidio).

L'istituzione di un reddito di minima potrebbe:

Disincentivare gli individui a offrire lavoro e a risparmiare;

Rafforzare i rapporti di lavoro sommerso ;

Esercitare un effetto stigma, cioè la vergogna di ricevere il sussidio porta i beneficiari a forme di auto-esclusione sociale.

Gli ammortizzatori sociali: sono istituti che intendono lenire situazioni di disagio temporanee legate a interruzioni del rapporto di lavoro (i sussidi di disoccupazione). In riferimento all'Italia gli ammortizzatori sociali sono: a) la Cassa integrazione ordinaria; b) la Cassa integrazione straordinaria; c) l'indennità di mobilità; d) l'indennità di disoccupazione.

Le politiche per la casa (NO!!!): sono costituite da tutte quelle misure che intendono favorire il reperimento di abitazioni da parte delle famiglie. Le misure di assistenza propriamente dette consistono nella concessione di contributi alle famiglie bisognose, e nella fornitura di alloggi appositamente costruiti da enti;

Le politiche per il diritto allo studio (NO!!!): intendono rendere sostanziale il diritto allo studio, che in Italia è sancito dalla Costituzione. L'offerta di un sistema pubblico di istruzione, con tasse legate al reddito familiare rappresenta già di per sé un'istituzione di redistribuzione. Le misure di assistenza per il diritto allo studio consistono nella concessione di contributi o di esenzioni al pagamento parziale o totale delle tasse.

La sanità. (NO!!!)

La sanità non è un bene ma piuttosto un insieme di differenti beni e servizi. Le voci della spesa sanitaria sono riconducibili a: cure mediche di base; prestazioni specialistiche; ricoveri ospedalieri; interventi chirurgici e farmaci. Il motivo dell'intervento pubblico può essere ricondotto sia a fallimenti microeconomici del mercato sia a motivazioni redistributive.

I sistemi sanitari possono essere distinti in tre grandi categorie:

a)  Il modello pubblico che prevede che tutti i cittadini abbiano la possibilità di usufruire dei servizi sanitari, il cui costo è coperto dalla fiscalità generale o da contributi obbligatori.

b) Il modello privato, che prevede che tutti i beni e servizi siano scambiati tramite meccanismi di mercato, ma che prevede, tuttavia, che chi non ha i mezzi possa essere coperto da assicurazioni pubbliche finanziate dalla fiscalità generale;

c)  Il modello misto in cui sono presenti sia un servizio pubblico sia un servizio privato.

La legge 833/1978 ha istituito in Italia un sistema sanitario nazionale che è universale, cioè rivolto a tutti i cittadini; esso ha preso il posto del precedente sistema che era basato sulle mutue. Tale legge è poi stata modificata in molte sue parti. Le regioni svolgono un ruolo assai rilevante poiché a questi livelli vengono prese le decisioni di programmazione e finanziamento di offerta dei sevizi. In Italia l'offerta dei sevizi sanitari è in larga parte pubblica ma affiancata da strutture private spesso fegate al settore pubblico da apposite convenzioni. Negli anni Novanta è stata ampliata la quota di contributi richiesta a cittadini i cosiddetti ticket. Inoltre sotto il profilo della gestione delle strutture è stato avviato un processo di aziendalizzazione infatti dal 1992 è stata riconosciuta agli ospedali una spiccata autonomia. Dal 1998 è stata riconosciuta una più ampia autonomia alle aziende socio sanitarie e vi è stato un ampliamento della sfera in cui applicare contratti privati anziché pubblici. La spesa sanitaria è finanziata da un Fondo Sanitario nazionale da finanziamenti regionali e da ticket pagati dai fruitori dei servizi.









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