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Le principali cause di povertà nei paesi industrializzati

economia politica



5168-ECONOMIA POLITICA (corso monografico), a.a. 2006/2007

Povertà, disuguaglianza e distribuzione del reddito.

Prof.sa Renata Targetti Lenti


21/12 Lezione 13, La povertà in Italia.



Testi di riferimento.



Baldini M., Toso S., Diseguaglianza, povertà e politiche pubbliche, Bologna, Il Mulino, 2004, cap 5, pagg. 165-171

Letture di approfondimento

-ISTAT, La povertà relativa nel 2005, Famiglia e società, 6 ottobre 2005 https://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20061011_00/testointegrale.pdf






1. Le principali cause di povertà nei paesi industrializzati:


A partire dalla metà degli anni 80, a livello istituzionale sono state create apposite Commissioni d'indagine ed Osservatori permanenti della povertà (sia a livello UE che in Italia). La  maggior disponibilità di evidenza empirica ha mostrato la reale gravità del fenomeno in tutti i paesi.

Il livello di povertà dipende all'intreccio tra modificazione della struttura produttiva (post-fordista, declino del peso del capofamiglia lavoratore dipendente e società dei servizi con crescita di lavori precari e poco remunerativi) e sistemi di Welfare. L''esistenza o meno di ammortizzatori sociali (CIG, reddito minimo garantito, indennità di disoccupazione) può attenuare il livello di povertà. Nelle economie caratterizzate da un avanzato sistema di Welfare il valore dei trasferimenti monetari da parte dello Stato svolge un ruolo di ammortizzatore sociale. Questo valore, tuttavia, dipenderà in larga misura dalle caratteristiche istituzionali, quali la struttura del sistema pensionistico, assicurativo, assistenziale e così via. Non v'è dubbio, ad esempio, che nel nostro sistema economico, fino a qualche tempo fa, il ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni abbia impedito a molti soggetti di cadere in condizioni di povertà. Uno studio riferito ai paesi europei ha messo in luce come in Danimarca ed in Italia il reddito medio di alcune categorie di pensionati sia inferiore a quello di coloro che abbiano perso un'occupazione. In altri paesi come il Belgio, la Svezia o la Germania, dove esistono forme di reddito minim 323e44d o garantito accade esattamente il contrario.

E' opinione diffusa che, soprattutto in Italia, siano stati deludenti i risultati delle politiche di "welfare" nonostante la crescita dei costi e della diffusione degli interventi. In sintesi si può distinguere tra: 1) effetti perversi dovuti al ricorso alle indennità di disoccupazione ed ai sussidi (trappola della povertà), 2) distorsione dei benefici a favore delle classi medie (inefficacia nei confronti di chi ha bisogno, welfare disegnato per un sistema fordista) 3) costo crescente e crisi fiscale dello Stato (rigidità ed effetti cumulativi).

Tra i diversi fattori che generano povertà si possono distinguere le variabili di natura strutturale (demografiche, sociali ed economiche) da quellle congiunturali.

In tutti i paesi industrializzati le principali cause strutturali di povertà sono:

1) Livello d'istruzione e qualifica (del soggetto o del genitore). Circolo vizioso scarsa qualifica-disoccupazione-povertà. Il legame può essere interrotto solo se esistono adeguati strumenti di sostegno. I fattori che hanno contribuito ad accelerare questo processo, ed in particolare ad allargare il divario tra crescita della produzione e crescita della disoccupazione sono: progresso tecnologico (organizzazione a rete, espulsione di lavoratori, innalzamento dei livelli preparazione formale e non formale della forza lavoro), deindustrializzazione, commercio internazionale (concorrenza dai paesi in via di sviluppo, mancato decollo in aree del Sud), aumento della forza lavoro femminile, espansione dei servizi a scapito dell'industria. Grazie al sistema di relazioni industriali prevalenti fino a qualche anno fà in Italia si é verificato un dualismo tra "insider" e "outsider". Per i giovani sta scomparendo nel senso che cresce il peso degli outsider.

2) Ciclo di vita. La percentuale dei poveri é molto elevata tra i bambini di famiglie numerose al Sud, tra i giovani disoccupati (circolo vizioso che provoca dequalificazione e permanenza in uno stato di povertà), tra gli anziani soli al Nord, tra le famiglia con capofamiglia donna con figli a carico.

3) Contesto territoriale. Differenze che riflettono i diversi meccanismi che operano nel mercato del lavoro e creano esclusione. In Italia il rischio di povertà é molto più elevato al Sud a parità di altre condizioni. Una recente analisi comparativa ha mostrato come quasi sempre i lavoratori disoccupati siano anche poveri, indipendentemente dall'età e dal livello d'istruzione. Sta emergendo, tuttavia il fenomeno degli "working poors". Nel Mezzogiorno l'essere occupato non impedisce di cadere in una situazione di povertà (mercato del lavoro fortemente segmentato, precario, dequalificato, nell'economia sommersa, a tempo parziale). La disoccupazione é di lunga durata. Paradossalmente il salario di riserva é più elevato che al Nord. La disoccupazione diventa "titolo" per accedere a sussidi o per ottenere lavoro nel pubblico impiego attraverso legami clientelari.

4) Struttura familiare. Numero dei componenti e presenza di handicap. Numero di percettori. Sesso del capofamiglia.


Tra le variabili di natura congiunturale si può ricordare:

1) La progressiva decelerazione nel saggio di crescita del prodotto nazionale con il corrispondente aumento del saggio di disoccupazione. è da ritenersi una delle principali cause della crescita sistematica della povertà in tutti i paesi industrializzati. L'evidenza empirica mostra una significativa differenziazione tra paesi e tra regioni, ed una maggiore incidenza e diffusione della povertà:


2. La metodologia per la stima della povertà

1) In Italia: i Rapporti della Commissione per lo studio della povertà in Italia (fino al 1999), Commissione d'indagine sull'esclusione sociale (a partire dal 2000 insediata presso il Ministero del Lavoro e del Welfare), i Rapporti del CNEL, l'ISTAT (Indagine sui consumi e Indagine multiscopo), Banca d'Italia (Indagine sui redditi familiari disponibili, Indagine panel).

2) Commissione C.E.E., Eurostat (European Community Household Panel).

3) LIS (Luxembourg income study).

4) OCSE


Elementi comuni alle indagini:

- Impostazione tradizionale basata sull'identificazione di una linea della povertà: nei paesi europei, ed anche in Italia, la linea della povertà è relativa pari ad una percentuale del reddito (e/o della spesa per consumi) medio e/o mediano. Naturalmente il numero dei poveri cambia, anche considerevolmente, a seconda che si fissi come parametro di riferimento il valore medio o mediano. Così come cambia a seconda che la percentuale sia fissata al 40% (povertà estrema), al 50% (povertà in senso stretto), al 60% (disagio economico). La scelta arbitraria rende ambigua l'interpretazione ed i confronti.

In taluni paesi (Regno Unito, Germania, Francia) la linea della povertà è "ancorata" ad un livello di reddito minimo vitale garantito. Anche in Italia, a partire dal quarto rapporto della Commissione per lo studio della povertà, per la prima volta, si é individuato un paniere minimo di beni necessari in termini monetari.

Fino al 2002 l'ISTAT calcolava sia una linea di povertà relativa che una linea di povertà assoluta. Dal 2003 si calcola solo quella relativa.

Problemi connessi con scelta della famiglia come unità di riferimento

- non accettabile l'assunzione di eguaglianza di benessere all'interno della famiglia. (Differenze nelle condizioni di vita e nelle opportunità soprattutto nei paesi arretrati per quanto riguarda le donne e i minori).

- le famiglie messe a confronto sono diverse in quanto a dimensione, composizione e caratteristiche necessità di ricorrere a scale di equivalenza

Il confronto tra unità familiari di diversa ampiezza e composizione demografica comporta l'adozione di scale di equivalenza, e cioè di un vettore di coefficienti di conversione che standardizzi le diverse tipologie familiari trasformandole in "adulti equivalenti". Il reddito equivalente viene ottenuto dividendo il reddito familiare per il coefficiente della scala corrispondente a quella tipologia familiare.

Una scala molto rozza potrebbe essere costituita dal numero dei componenti reddito pro-capite. Questa scala escluderebbe l'ipotesi di economie di scala legate alla dimensione. Esse invece esistono così che è sufficiente che il reddito cresca meno che roporzionalmente rispetto al numero dei componenti per mantenere inalterato il livello di benessere coefficiente relativo alla coppia senza figli<2.

Utilizzando diverse scale di equivalenza i risultati cambiano anche sensibilmente.

a)   il reddito pro-capite è la più semplice (ma "rozza") scala di equivalenza

b)   scale di equivalenza più "raffinate" considerano elementi quali:

- le economie di scala ("beni pubblici familiari")

- la differenziazione dei bisogni (ad esempio, fra adulti e bambini)

- altre caratteristiche rilevanti che influenzano i bisogni e la capacità di soddisfarli (l'età, la professione, la salute e le invalidità, la localizzazione geografica, ecc.)

I Rapporti della Commissione d'indagine sulla povertà e sull'esclusione sociale in Italia utilizzano come fonte per l'analisi dei diversi aspetti del fenomeno i dati ISTAT sui consumi delle famiglie italiane. Si tratta di un'indagine, che per sua stessa natura, non è del tutto attendibile per stimare la distribuzione dei redditi personali, e tanto meno la povertà. Sulla base di questa indagine il fenomeno povertà risulta certamente sottostimato dal momento che sono esclusi: coloro che non hanno fissa dimora, coloro che vivono nelle convivenze (caserme, istituti di pena, case per anziani), gli stranieri.


Criteri di determinazione delle scale di equivalenza:

- in base ai consumi osservati (spese per beni alimentari e legge di Engel; analisi econometrica della domanda),

- in base a valutazioni soggettive delle famiglie (approccio della Leyden University) ;

- "ufficiali" o "statistiche", come la scala dell'OCSE (coefficienti: 1 al primo adulto, 0.7 agli altri adulti, 0.5 ai bambini)

Eesempi di scala di equivalenza (Scala Carbonaro, Commissione di Indagine sulla Povertà)

1 componente = 1   4 componenti = 2.7

2 componenti = 1.7 5 componenti = 3.2

3 componenti=2.2 6 componenti = 3.6


Ulteriori problemi nella comparazione fra diverse configurazioni distributive.

- Confronti intertemporali:  ricorso a grandezze nominali o a grandezze reali? Deflazione

- Confronti spaziali poteri di acquisto differenti PPP (parità dei poteri d'acquisto)

- Struttura dei campioni, accuratezza e precisione nella rilevazione

- Strutture familiari (vedi scale di equivalenza)

Se si adotta un concetto assoluto di povertà sembra essere più adatto il consumo, se invece il concetto è relativo il reddito (come rappresentazione di un ammontare di "diritti minimi") sembra più adatto.  Questa è la variabile adottata al livello europeo. In particolare in Italia la linea dellla povertà relativa è costituita dal 50% del reddito medio pro-capite, in Europa dal 60% del reddito mediano.

- Il consumo poi è più stabile nel tempo proxy del benessere individuale. Esso, tuttavia, riflette anche le preferenze ed il grado di parsimonia.


- Gli indici sintetici calcolati sono generalmente i due tradizionali: "head count ratio" per misurare la diffusione, "il poverty gap" per misurare l'intensità.

1) Incidenza della povertà: H = q/N. Si ottiene dal rapporto tra il numero di famiglie con spesa media mensile per consumi pari o al di sotto della soglia di povertà e il totale delle famiglie residenti.


è l'intensità della povertà emisura di quanto in percentuale la spesa media delle famiglie definite povere è al di sotto della soglia di povertà.



3. Evidenza empirica in Europa (Baldini, Toso, pag.164).

Utilizzando i dati del LIS è possibile stimare la dinamica dellla povertà in alcuni paesi industrializzati negli ultimi vent'anni. "L'ordine dei paesi, sulla base di tassi di povertà crescenti, riflette da vicino quello costruito sulla base della diseguaglianza. I paesi scandinavi presentano bassi livelli di povertà, quelli anglosassoni si trovano in posizione opposta. Nel corso degli anni '80-90, la povertà è aumentata in quasi tutti i paesi considerati; questo incremento ha interessato soprattutto le famiglie con minori, mentre è generalmente migliorata la condizione degli anziani".


Tab.1.  Povertà relativa nelle economie avanzate: evoluzione e livelli recenti


Valore più recente del tasso di diffusione (e anno)

Periodo di variazione

Variazione dell'indice di diffusione tra l'inizio e la fine del periodo

Variazione dell'indice di diffusione calcolato sui minori (<18)

Variazione dell'indice di diffusione calcolato sugli anziani (>64)

Svezia






Finlandia






Olanda






Germania






Francia






Belgio






Canada






Italia






Regno Unito






Irlanda






Australia






Israele






Stati Uniti






Fonte: www.lisproject.org



3. Evidenza per l'Italia tratta dall'ultima indagine ISTAT relativa al 2005

Nel 2005 la stima puntuale dell'incidenza di povertà relativa (cioè la percentuale di famiglie povere) è pari all'11,1% e pari al 13,1% se riferita agli individui. L'incidenza della povertà relativa resta sostanzialmente inalterata rispetto agli anni precedenti, così come i profili che maggiormente caratterizzano le famiglie povere. La linea dellla povertà era pari a 936,58 euro al mese. Gli aumenti statisticamente più significativi riguardano le famiglie residenti nel Mezzogiorno, le famiglie numerose (cinque o più componenti) e quelle con figli minori o con anziani (del Centro e del Mezzogiorno). Gli unici segnali di miglioramento si osservano nel Nord. L'intensità della povertà, che misura di quanto, in termini percentuali, la spesa delle famiglie povere è mediamente al di sotto della linea di povertà, è pari al 21,3% (in leggero aumento rispetto al 2003). Essa indica che la spesa media equivalente delle famiglie povere (737 euro) è al di sotto della linea dellla povertà.


La percentuale di famiglie relativamente povere, osservata a livello nazionale, è il risultato di situazioni differenziate a livello territoriale: si passa dal 4,5% del Nord, al 6,0% del Centro, al 24% del Mezzogiorno. In particolare, nel Centro-nord l'incidenza di povertà relativa assume valori modesti - attorno al 4%- in Emilia Romagna, Lombardia, Veneto e in provincia di Bolzano. Queste ultime presentano incidenze significativamente inferiori a quelle di Umbria, Lazio e della provincia di Trento, dove invece i valori si attestano tra l'8% ed il 9%. Nelle regioni del Mezzogiorno l'incidenza di povertà relativa è significativamente più elevata rispetto al resto del Paese e raggiunge le percentuali più alte in Basilicata (28,5%) e in Sicilia (29,9%). Fanno eccezione l'Abruzzo e la Sardegna, che mostrano valori significativamente inferiori alla media ripartizionale (16,6% e 15,4% rispettivamente) ma comunque superiori a quelli di tutte le regioni Centro-settentrionali.


Fig. 1 Quota di famiglie povere per area di residenza

Con riferimento alle caratteristiche dellla famiglia tra il 2004 e il 2005, a livello nazionale, la diffusione della povertà appare significativamente in crescita tra le famiglie più numerose (tra quelle di cinque o più componenti passa dal 23,9% al 26,2%), tra le coppie di giovani-adulti (dal 5,4% al 4,8%) e tra le coppie con 1 o 2 figli (l'incidenza nel 2005 raggiunge rispettivamente l'8,8% e il 13,6%), soprattutto quando almeno un figlio è minore (in questo caso si arriva al 10,1%). Le famiglie con cinque o più componenti presentano ovunque livelli di povertà elevati. In media, quasi un quarto di queste famiglie risulta relativamente povero, ma nel Mezzogiorno la percentuale sale ad oltre un terzo di quelle residenti. Si tratta in generale di coppie con figli e di famiglie con membri aggregati (in tabella "altra tipologia"), tra le quali si osservano le incidenze più elevate: il 24,5% per le coppie con 3 o più figli e il 19,9% per le famiglie con membri aggregati. Critica appare anche la condizione degli anziani: l'incidenza della povertà è pari al 13,6% tra le famiglie con almeno un componente di oltre 64 anni di età e raggiunge il valore massimo (15,2%) quando in famiglia è presente più di un anziano.


Bassi livelli di istruzione, esclusione dal mercato del lavoro o bassi profili professionali si associano strettamente alla condizione di povertà. Tra le famiglie con persona di riferimento in possesso di un elevato titolo di studio (scuola media superiore e oltre) meno di una su venti risulta povera, mentre lo è una su cinque se la persona di riferimento non ha alcun titolo o ha la sola licenza elementare. Il divario è particolarmente importante nelle regioni del Centro-nord. In crescita è stata la percentuale di famiglie povere anche tra quelle di lavoratori dipendenti, per le quali si passa dal 9,3% al 9,4%.


Il 7,9% delle famiglie residenti in Italia risulta a "rischio di povertà" (quasi povere con consumi compresi tra la linea standard e quellla superiore del 20%) Il 5,1% presenta condizioni di disagio estremo ("sicuramente povere" con consumi inferiori alla linea standard di oltre il 20%). Di queste ¾ circa risiede nel Mezzogiorno sale al 13,2%. Le famiglie "sicuramente non povere" (consumi superiori alla linea standard del 20%), a livello nazionale rappresentano l'81,0% del totale delle famiglie, variano tra il 90,4% del Nord, l'88,2% del Centro e il 62,7% del Mezzogiorno.



Osservazioni conclusive sull'indagine:

In sintesi, il rischio di povertà è aumentato per le famiglie più numerose e per quelle in cui la persona di riferimento ha un basso livello d'istruzione. Parallelamente si è allargata la distanza tra il Nord ed il Mezzogiorno del paese.


1) Oscillazioni di rilievo nel tasso di povertà relativa si potrebbero avere solo in presenza di significativi movimenti  nella distribuzione delle famiglie per classi di reddito (o di spesa). La povertà relativa finisce con il riflettere la diseguaglianza.

2) Gli indici di povertà sono sottostimati dal momento che i consumi rilevati dall'indagine sono soprattutto quelli correnti, più difficilmente comprimibili. La linea della povertà risulterebbe più elevata se si tenesse conto dei consumi in beni durevoli.

3) I mutamenti nei vari anni potrebbero dipendere dai pesi dei vari gruppi utilizzati per riportare il campione all'universo.

4) Per certi gruppi (anziani, territoriali) il numero di famiglie del campione è troppo ridotto per essere significativo.

5) Srebbbe utile calcolare ancora una linea di povertà assoluta, più vicina al concetto di "bisogni di base". La linea relativa, infatti segue la dinamica del reddito medio. Pardossalmente quando questo aumenta la povertà cresce perchè un maggior numero di famiglie scende al disotto di quellla linea. I dati nel 2002 consentono un raffronto tra livelli di povertà calcolati adottando una linea relativa rispetto a quelli calcolati in base ad una linea assoluta. Per una famiglia di due componenti, la linea di povertà relativa (data, si ripete, dal valore della spesa media pro-capite) è nel 2002 pari a 823 euro mensili. La linea di povertà assoluta è invece, sempre nel 2002, uguale a 574 euro al mese. Per famiglie diverse, la linea si ottiene applicando a questi valori la scala Carbonaro. La tabella 2 mostra le principali caratteristiche della povertà assoluta e relativa nel nostro paese, nel 2002. La struttura della povertà rimane eguale a quellla calcolata con la linea relativa: le condizioni di maggior disagio si riscontrano nel Meridione, con più del 20% delle famiglie in condizioni di povertà relativa, e circa il 9% povere assolute, tra gli anziani e tra le famiglie numerose. Tuttavia i valori dellla povertà diminuiscono significativamente.

Tab. 2 Diffusione della povertà assoluta e relativa di consumo in Italia nel 2002


Povertà relativa

Povertà assoluta

% famiglie povere per tipologia familiare



Persona sola < 65 anni



Persona sola >=65 anni



Coppia con persona di riferimento < 65 anni



Coppia con persona di riferimento >=65 anni



Coppia con 1 figlio



Coppia con 2 figli



Coppia con 3 o più figli



Monogenitore



% famiglie povere per area geografica



Nord



Centro



Sud






% famiglie povere



% individui poveri



Numero famiglie povere



Numero persone povere



Fonte: Istat [2003]


Ricorrendo alla fonte Banca d'Italia è possibile ricostruire la dinamica dellla povertà individuale. Come osservano Toso e Baldini (pag.168-170) nel corso del periodo considerato, e cioè tra il 1977 ed il 2002 l'indice di diffusione della povertà relativa tra gli individui ha mostrato un andamento piuttosto simile a quello della diseguaglianza: dopo una riduzione fino alla metà degli anni '80, si verifica un successivo incremento fino alla fine del periodo, che porta gli indici a livelli leggermente superiori a quelli di inizio periodo. Il dato aggregato nasconde però importanti peculiarità relative a specifici gruppi sociali. La stessa figura mostra infatti l'evoluzione dell'indice per tre gruppi di età; mentre la fascia centrale, e più numerosa, presenta un profilo molto simile a quello complessivo, i giovani fino a 17 anni e gli anziani oltre i 64 hanno visto invece i rispettivi indici di diffusione muoversi in modo opposto. Fino alla metà degli anni '80, questi due gruppi di età presentavano una probabilità di povertà sostanzialmente simile, e superiore a quella della società nel suo complesso; nel successivo periodo si apre una forbice sempre più ampia a vantaggio degli anziani. Attualmente la quota di poveri tra i minorenni è decisamente superiore a quella delle altre fasce di età, mentre quella degli anziani è inferiore alla media italiana.

Dalla figura 2 si nota quindi chiaramente che durante gli ultimi 25 anni è avvenuto un cambiamento strutturale nelle caratteristiche dei soggetti poveri nel nostro paese, almeno quando la povertà viene valutata in base al reddito disponibile: l'incidenza complessiva della povertà non è cambiata significativamente, mentre la sua composizione interna ha visto un forte aumento della quota dei minorenni, ed una drastica riduzione della diffusione della povertà tra gli anziani. E' difficile non collegare questi andamenti al forte aumento che ha interessato la spesa pensionistica, sia in assoluto che rispetto ad altre voci della spesa per la protezione sociale.


Fig. 2 Italia: diffusione della povertà relativa tra gli individui, 1977-2002

Fonte: Banca d'Italia, Indagine sui bilanci delle famiglie, archivio storico.


I dati Banca d'Italia mostrano che è salita la quota di famiglie povere con persona di riferimento occupata come operaio. E' aumentata la probabilità di essere poveri per tutte le famiglie con persona di riferimento occupata, mentre si è ridotta in modo significativo per i pensionati ed i loro familiari. Quanto all'area geografica, la probabilità della povertà è in aumento solo per le famiglie del meridione. Infine, e coerentemente con i dati precedenti, la quota di poveri per numero di componenti si è ridotta per le famiglie con una o due persone, mentre è in crescita per le altre famiglie, e soprattutto per quelle con quattro o più componenti.






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