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PAGAMENTO DI ASSEGNO <<NON TRASFERIBILE>>

economia



PAGAMENTO DI ASSEGNO <<NON TRASFERIBILE>>
























PAGAMENTO A PERSONA DIVERSA DAL LEGITTIMATO

E DILIGENZA DELLA BANCA.






La funzione della clausola <<non trasferibile>> è impedire la circolazione del titolo su cui viene apposta, assicurando al prenditore in esso menzionato che nessuno, al di fuori di lui, potrà incassare l'importo indicato sull'assegno qualora questo dovesse essere smarrito o sottratto.

Purtroppo, però, non sempre questo tipo di tutela viene garantito: accade, infatti, che un assegno munito di clausola di non trasferibilità venga pagato a chi, illecitamente, ne sia venuto in possesso e che, spacciandosi per il legittimo beneficiario, presenti il titolo all'incasso.

In questo caso il falso legittimato, per garantirsi la prestazione, avrà alterato il titolo cancellando:

la clausola <<non trasferibile>>;

oppure, il nome del vero prenditore, apponendovi il proprio;

Si ricorre spesso anche alla semplice esibizione al bancario di un falso documento d'identità riportante  i dati del vero legittimato.



Il pagamento potrà essere eseguito:

dalla banca trattaria, vale a dire dall'istituto di credito indicato sul titolo

presso il quale il traente ha a disposizione la provvista;

dalla banca negoziatrice, cioè da un istituto diverso dal precedente, al quale

il titolo viene presentato per l'incasso.

Il pagamento di assegno <<non trasferibile>> a persona diversa dal prenditore ha sviluppato, nel corso degli anni, un nutrito dibattito tra dottrina e giurisprudenza circa:

la responsabilità da riconoscere alla banca che abbia mal pagato;

la natura della responsabilità stessa (contrattuale o extracontrattuale):

la diligenza che il bancario deve adottare nell'identificazione del

presentatore dell'assegno.

In merito al primo punto, il dibattito riguardava, sostanzialmente, l'applicabilità o dell'art. 43 comma 2° l. a., che condanna la banca che paga a persona diversa dal legittimato, oppure dell'art. 1992 comma 2° c.c. che, invece, libera il <<debitore (la banca) che, senza dolo o colpa grave, adempie la prestazione nei confronti del possessore>> anche se questi non è titolare del

diritto (norma, questa, meno rigida di quanto disposto dall'art. 43 comma 2° legge assegni, dal momento che consente alla banca di liberarsi dimostrando d'essere stata in buona fede all'atto del pagamento e che l'errore era stato determinato da circostanze univoche)[1].

In merito alla natura della responsabilità, continua la disputa tra chi la qualifica come contrattuale e chi, invece, ne riscontra le caratteristiche tipiche di quella extracontrattuale.

Rinviando al successivo paragrafo l'analisi relativa ai primi due punti, è utile soffermarsi sul problema inerente l'onere di identificazione del legittimato, incombente sull'istituto di credito cui sia stato presentato l'assegno intrasferibile, e la diligenza da usarsi a tal fine.

Lo studio della fattispecie assegno bancario non trasferibile, non si esaurisce con la semplice osservazione della struttura del titolo, della funzione della clausola di non trasferibilità e della responsabilità seguente, come si diceva, al pagamento al non legittimato, ma riguarda anche i principi inerenti la diligenza che il bancario deve adottare per la corretta identificazione del portatore

d'assegno che ne chiede il pagamento.

Certamente l'accorto banchiere terrà un comportamento finalizzato a ridurre al minimo i rischi di un eventuale pagamento errato, tanto per non danneggiare il vero prenditore del titolo, quanto per non incorrere nella responsabilità per aver adempiuto la prestazione nelle mani del falso accipiens.

Il compito del bancario, nel momento in cui gli viene presentato il titolo e richiesto il pagamento, si sostanzia in due passaggi fondamentali:

identificare il legittimato cartolare;

individuare fisicamente il presentatore del titolo di credito.

L'identificazione del legittimato cartolare viene espletata seguendo il disposto di cui all'art. 1992 comma 1° c.c., quindi ictu oculi, deducendo l'identità dell'avente diritto alla prestazione dal nome di chi è indicato come beneficiario sull'assegno bancario, perché solo l'ordinatario è legittimato cartolarmente alla prestazione.

L'identificazione fisica, invece, va effettuata secondo il criterio ex art. 1176 comma 2° c.c., nel senso che il bancario dovrà aver cura di verificare l'esatta corrispondenza tra persona fisica e legittimato cartolare con la dovuta diligenza professionale[2].

La vasta casistica giurisprudenziale e dottrinale offre lo spunto per illustrare come si sia evoluto il pensiero sulla diligenza che il bancario deve utilizzare nell'espletamento del servizio bancario.

Non si può non fare riferimento al profondo mutamento cui è andata incontro l'opinione della Cassazione, radicalmente rivisitata nei dieci anni successivi a quella famosa sentenza avente ad oggetto la responsabilità della banca per inesatto adempimento e nella quale il criterio della diligenza non costituiva elemento degno di rilevanza.

Stiamo parlando della sentenza 3133/58[3] con la quale la S. C. stabilì che accertare in sede di giudizio se la banca avesse, o no, utilizzato la corretta diligenza prima di procedere al pagamento di assegno <<non trasferibile>> a persona, scopertasi successivamente come falso legittimato, era totalmente irrilevante in quanto, comunque, l'istituto veniva dichiarato responsabile dell'errata prestazione (art. 43 comma 2° l. a.).

La Cassazione, quindi, intese affermare che la banca pagava sempre a suo rischio e pericolo, principio ribadito anche dal tribunale di Verona[4].

In una nota alla sentenza 3133/58, Bianchi D'Espinosa[5] fissava nell'identificazione del portatore d'assegno l'elemento necessario perché il pagamento si potesse considerare valido: ecco quindi che, trattandosi di una banca, l'operazione suddetta doveva avvenire usando la diligenza connessa all'esercizio dell'attività professionale secondo l'art. 1176 comma 2° c.c..

A distanza di dieci anni, però, la Cassazione muta opinione sulla rilevanza della diligenza e in una sentenza ormai divenuta punto di riferimento di buona parte della giurisprudenza sancisce l'applicabilità dell'art. 1992 comma 2° c.c. in luogo dell'art. 43 comma 2° l. a., statuendo che la banca che paga erroneamente al falso accipiens è liberata se non abbia agito con dolo o colpa grave[6].

Costituiva, quindi, elemento determinante per stabilire "l'innocenza" dell'istituto di credito caduto in errore sapere, in sede giudiziaria, se questo aveva adempiuto gli obblighi di identificazione del portatore dell'assegno: in caso affermativo, l'istituto era esente da ogni colpa; viceversa, quando avesse agito con dolo o colpa grave, cioè sapeva della, o poteva riconoscere la, falsa identità del presunto accipiens, sarebbe stato considerato responsabile del pagamento inesatto.

E' discusso quale debba essere l'esatta procedura da esperire per giungere ad un corretto processo identificativo del presentatore d'assegno e fino ad oggi non

sembra sia stata fissata una singola linea guida; si è tuttavia concordi nel definire che essa sia stabilita in relazione alle circostanze concrete in cui avviene l'operazione di accertamento, vale a dire caso per caso[7]. La Cassazione ha ribadito che <<la diligenza deve essere valutata non sulla stregua di criteri rigidi e predeterminati, ma tenendo conto degli accorgimenti e delle cautele che le circostanze del caso suggeriscono in relazione al luogo del pagamento, all'importo del titolo, alla persona del presentatore, al documento di identificazione esibito>> .

A tal proposito ricordiamo che la S. C.[9] è molto severa quando si parla di identificazione a mezzo documenti di riconoscimento, perché alcuni di essi (carta d'identità, ad esempio) potrebbero essere falsificati con estrema semplicità; si impone, quindi, al banchiere l'onere non solo di verificare, nei limiti del possibile, l'autenticità del documento esibito, ma anche di trascriverne gli estremi sul titolo di credito. Un certo favore ha incontrato, invece, da una minoritaria parte della giurisprudenza, la possibilità che il presentatore dell'assegno sia identificato tramite persona molto nota al bancario.

Si è già accennato ai due momenti in cui è racchiuso il compito del bancario in sede di identificazione del portatore d'assegno, ma sarebbe utile approfondire l'argomento.

Accertare se il portatore sia legittimato a ricevere il pagamento è un dovere di facile esecuzione in quanto, come già detto, è l'art. 1992 comma 1° c.c. che ne suggerisce la linea guida: <<il possessore di un titolo di credito ha diritto alla prestazione in esso indicata verso presentazione del titolo purché sia legittimato nelle forme prescritte dalla legge>>.

Si tratta di una posizione giuridica, nota come legittimazione attiva, rafforzata dall'art. 1994 c.c. che impedisce al titolare del diritto l'esercizio dell'azione di rivendica verso chi ha acquistato il titolo in assoluta buona fede.

La disposizione in esame è poi ricollegabile al disposto di cui al 2° comma dell'art. 1992 c.c. che ritiene responsabile il debitore che abbia pagato con dolo

o colpa grave: in questo caso i concetti di dolo e colpa grave vanno intesi, rispettivamente, come certezza da parte del solvens dell'inesistente corrispondenza tra titolarità e legittimazione, o possibile conoscenza, accertabile con un minimo di diligenza, che il portatore del titolo non era titolare del diritto[10].

Il frequente richiamo all'art. 1176 comma 2° c.c., che fissa l'entità della diligenza da usare sia al momento dell'identificazione fisica del portatore (primo dovere del bancario), sia nel controllo della sua eventuale legittimazione cartolare (secondo dovere), costituisce il tentativo di stabilire una prassi che ogni accorto banchiere è chiamato a rispettare.

La diligenza nella verifica della legittimazione cartolare si sostanzia in un'indagine mirata ad appurare la regolarità dei requisiti formali dell'assegno; quando, invece, si parla di identificazione del presentatore s'intende l'accertamento finalizzato a stabilire se questi sia, o no, legittimato a ricevere il pagamento.

L'indagine sulla legittimazione del portatore si ricollega alla funzione svolta dalla clausola d'intrasferibilità: la circolazione dell'assegno è impedita e si è sicuri che chi presenterà il titolo all'incasso sarà solo il prenditore.

La banca avrà l'incombenza di accertare che le qualità di presentatore-prenditore risiedano in un unico soggetto .

Ad oggi, parte della giurisprudenza[12] ha inteso esprimere parere favorevole all'adozione di una diligenza certamente più rigorosa di quella indicata nell'art. 1176 comma 2° c.c. (forse più idoneo, quest'ultimo, ad identificare il prenditore di qualunque altro titolo di credito che non sia un assegno non trasferibile), riferibile a <<quella di un osservatore attento e previdente>>: sembrerebbe quasi che questa scelta contrasti col disposto prima citato perché fa riferimento ad una valutazione attuata sulla base di una diligenza considerata eccezionale che, di conseguenza, fissa in capo al bancario un elevato grado di responsabilità .

Si riscontrano pareri contrari a questo pensiero in quanto, si dice, seguendolo pedissequamente si rischierebbe di determinare in capo alla banca una responsabilità "figlia" non solo della colpa grave, ma anche della colpa lieve.

Si giungerebbe così a neutralizzare la funzione di pagamento del titolo non trasferibile con la conseguenza che il cliente che chiede ad una banca l'emissione di uno o più assegni circolari non trasferibili, si vedrebbe respingere

la richiesta sol perché l'istituto di credito cui è stata avanzata la proposta, non conoscendo il portatore (intestatario) e temendo di cadere in responsabilità anche per colpa lieve, non trovi altro modo per tutelare i propri interessi[14].

In definitiva, dunque, la giurisprudenza appare determinata nel ribadire quell'indirizzo secondo cui, in sede di giudizio, bisogna appurare con la massima cura quali siano state le cautele adottate dall'istituto di credito nell'identificazione del portatore del titolo, lasciando, tuttavia, al giudice di merito il commento sulle altre circostanze che hanno, di fatto, influenzato il comportamento della banca[15].

L'unico caso in cui la diligenza usata dal banchiere potrebbe essere, però, totalmente inutile si verifica quando tra il vero beneficiario ed il falso legittimato portatore del titolo vi sia omonimia: in questo caso potrebbe essere assurdo responsabilizzare la banca per l'errato pagamento dovuto non a negligente o superficiale identificazione del presentatore dell'assegno, ma ad una circostanza certamente singolare.

Onde evitare inconvenienti del genere, il beneficiario il cui nome sia molto comune potrebbe cautelarsi chiedendo, al momento dell'emissione del titolo, che sul documento siano apposte indicazioni supplementari finalizzate alla sua individuazione, quali la data di nascita, la paternità o altro ancora[16].

Un ultima precisazione va fatta per gli assegni circolari non trasferibili.

In considerazione del fatto che quanto sancito per gli assegni bancari non trasferibili viene esteso anche agli assegni circolari non trasferibili, la giurisprudenza impone alla banca, anche per questo tipo di titolo, un grado di diligenza superiore a quello medio quando non vi sia coincidenza tra luogo d'emissione dell'assegno e luogo di pagamento.




RESPONSABILITA' DELLA BANCA TRATTARIA.




Il precedente paragrafo è stato dedicato al dovere imposto ad ogni bancario di identificare con la dovuta accortezza il portatore di un assegno bancario non trasferibile, noto come obbligo di diligenza.

Si tratta della fase precedente l'adempimento della richiesta di pagamento e come tale costituisce la premessa per una corretta realizzazione della prestazione vantata dal presentatore del titolo di credito.

Come abbiamo già avuto modo di vedere, non sempre questa operazione giunge a buon fine perché potrebbe accadere che il portatore d'assegno, pur non essendo titolare della legittimazione a ricevere la prestazione, perché venuto illecitamente in possesso del titolo, riesca ad ingannare il banchiere e ad incassare l'importo in luogo del vero accipiens.

Nasce da questa circostanza il dubbio legittimo di dottrina e giurisprudenza sulla eventuale responsabilità da addossare al banchiere per l'errato pagamento, sulla natura della responsabilità stessa e sulla disciplina da applicare al caso di specie.


L'argomento di cui tratteremo, la responsabilità della banca, ha quindi prodotto un dibattito molto complesso ed articolato anche, e soprattutto, per i suoi connotati variabili in funzione del tipo di assegno negoziato (bancario o circolare), della qualifica del banchiere che paga (emittente, trattario, giratario per l'incasso) e del soggetto danneggiato dall'errato pagamento (richiedente, traente, prenditore).













3.2.1. (segue): L'EVOLUZIONE DELLA GIURISPRUDENZA.




Il problema della responsabilità della banca che paga al non legittimato, venne affrontato dalla Corte di Cassazione nel lontano 1958 allorquando, con la sentenza n° 3133, la S.C. stabilì la piena responsabilità dell'istituto caduto in errore a norma dell'art. 43 comma 2° l.a., sostenendo che la banca sarebbe stata considerata responsabile in ogni caso dell'errato pagamento anche se avesse dimostrato d'aver fatto uso della più rigorosa diligenza nell'identificare il portatore del titolo[17].

La regola principale che ogni banchiere avrebbe dovuto applicare da quel momento in poi fu che il pagamento di un assegno con clausola di non trasferibilità doveva essere realizzato soltanto nelle mani del legittimo prenditore[18]: la Cassazione, infatti, stabilì che la banca pagava a suo rischio e pericolo secondo il cosiddetto principio del rischio.

Questa sentenza provocò parecchie critiche da parte, soprattutto, di chi temeva che tale scelta giurisprudenziale avrebbe potuto svuotare di significato l'assegno non trasferibile e costringere i banchieri a non pagare più quegli assegni se non ai soggetti direttamente conosciuti.

Veniva cioè sancita una responsabilità di carattere oggettivo a carico del banchiere, il quale non avrebbe avuto modo di dimostrare la sua buona fede in caso di errato pagamento perché, comunque, aveva realizzato la prestazione al falso accipiens e violato il disposto ex art. 43 comma 2° l.a..

Questa responsabilità, secondo alcuni, contrastava fortemente con la scelta di liberare l'istituto da ogni colpa quando pagava al falso prenditore ma omonimo del legittimato cartolare: si obiettò che se si fosse dovuto applicare l'art. 43 comma 2° l.a. al caso di specie, non avrebbe dovuto avere rilevanza più di tanto la difficoltà incontrata nell'identificazione del portatore del titolo omonimo[19].

L'obiezione più aspra alla sentenza del 1958 nacque dalla convinzione che

la strada seguita dalla Cassazione non rispettasse, ma anzi derogasse, il dettato

dell'art. 1992 comma 2° c.c.: se, infatti, l'obbligo indicato nel disposto della legge assegni avesse voluto confermare quanto già sancito dal codice civile, esso non avrebbe avuto ragion d'essere .

Per consentire alla norma di reggersi "in piedi" autonomamente si decise, allora, di leggere ed interpretare il suo contenuto sì da generare una deroga all'art. 1992 comma 2° c.c. e ribadire in chiave diversa la responsabilità della banca.

Conclusione, questa, cui la S. C. giunse intendendo la funzione della clausola di non trasferibilità come diretta ad assicurare al prenditore l'assoluta certezza del pagamento. L'esclusione dalla procedura di ammortamento per i titoli non trasferibili, inoltre, forniva un valido sostegno alla tesi della Cassazione: se, infatti, il pagamento al non legittimato fosse stato ritenuto liberatorio, pur se effettuato in buona fede, si sarebbe prodotto un danno enorme in capo al prenditore reale spogliato di uno strumento di difesa accordato dalla legge al portatore legittimo di un titolo cambiario.

Vi furono anche commenti in favore della sentenza in oggetto, che giunsero a

sottolineare la totale inapplicabilità dell'art. 1992 c.c. alla fattispecie del pagamento al falso legittimato.

Si discuteva anche animatamente sul diverso contenuto degli artt. 1992 comma 2° c.c. e 43 comma 2° l.a. in quanto il primo, secondo alcuni, non specificava i criteri d'individuazione della responsabilità della banca e, il secondo, intendeva fare riferimento alla legittimazione cartolare e non alla persona fisica del prenditore quando parlava di <<persona diversa dal prenditore>> (tesi, oggi, largamente consolidata e confermata, come vedremo, anche dalla Cassazione).

Da qui la consapevolezza che la clausola di non trasferibilità era finalizzata ad impedire la circolazione del titolo e non, come erroneamente interpretato in un primo momento, ad assicurare al beneficiario la certezza del pagamento[21].

La conseguenza più immediata di una nuova e corretta interpretazione della utilità della clausola, fu di riconoscere nel prenditore l'unico soggetto a cui attribuire tutti i diritti cartolari, sì da rendere l'assegno incedibile ed intrasferibile.

Qualora il titolo fosse divenuto oggetto di cessione o trasferimento, sarebbe venuta a mancare ogni differenza tra la clausola <<non trasferibile>> e quella <<non all'ordine>>[22].

Nel 1968, però, si ebbe la svolta: con la sentenza  n° 2360, la Cassazione, <<al lume del prevalente orientamento dottrinale e della esigenza di una più proficua utilizzazione dell'assegno non trasferibile>> , mutò indirizzo ed opinione, riguardo al problema della responsabilità della banca, disponendo che l'istituto che paga al falso accipiens è liberato solo se non abbia agito con dolo o colpa grave.

Veniva, quindi, respinto e rinnegato il precedente principio del rischio, in luogo del quale trovò applicazione il principio della colpa stabilito dall'art. 1992 comma 2° c.c., che riconosceva all'istituto pagante la possibilità di discolparsi dimostrando di aver usato la corretta diligenza nell'identificazione del prenditore.

La S.C. chiariva altresì, prendendo atto delle forti critiche seguite alla decisione 3133/58, che l'art. 43 comma 2° l.a. non costituiva deroga alcuna ai

principi generali in tema d'identificazione del beneficiario dei titoli a legittimazione nominale, e ribadiva con decisione che la frase <<a persona diversa dal prenditore>> si riferiva non alla persona fisica del prenditore, ma alla persona che non si legittimi come tale, quindi alla legittimazione cartolare[24].



Costituendo a tutt'oggi un principio ampiamente applicato da buona parte

della giurisprudenza, anche la sentenza del 1968 non venne purtroppo esentata da numerose obiezioni, la più autorevole delle quali ad opera del Gualtieri[25] in opposizione al principio della colpa.

L'autore esprime tutte le sue perplessità in ordine al fatto che dando ampio favore alla sentenza del 1968, al giudice sarebbe improvvisamente venuta a mancare quella linea guida per la risoluzione dei casi di specie offerta, invece, dalla precedente decisione del 1958. Infatti il problema cui andrebbero incontro i giudici, sarebbe sostanzialmente quello di riuscire a valutare con la dovuta sicurezza le scelte operate dalla banca in relazione agli strumenti da utilizzare per l'identificazione del portatore d'assegno non trasferibile, per poi definire il grado di diligenza usato dall'istituto di credito nel momento in cui si è dato seguito alla richiesta di prestazione.

Non esistendo più un riferimento giurisprudenziale chiaro ed univoco per la

soluzione dei casi, i giudici sarebbero stati chiamati a dirimere le controversie unicamente sulla base di principi variabili in funzione delle caratteristiche delle contese, pervenendo inevitabilmente a giudizi difformi.

Possiamo, in definitiva, affermare che le due sentenze proposte dalla S. C. si differenziavano notevolmente per le conseguenze dalle stesse generate e inerenti <<al problema dell'interpretazione del diritto da parte del giudice>>[26].

La sentenza 3133/58 consentiva al giudice di regolare ogni disputa semplicemente applicando il principio del rischio e condannando la banca indipendentemente dalla diligenza utilizzata; la decisione del 1968, invece, altro non faceva se non aprire un difficile momento valutativo per il giudice il quale, in ossequio al principio della colpa, avrebbe dovuto indagare meticolosamente sul grado di diligenza impiegata dalla banca nell'atto di identificare il portatore del titolo.

Ancora, mentre il principio del rischio considerava solo <<i risultati che derivano da determinati comportamenti umani>> specificandone l'esatta

disciplina, la teoria della colpa stabiliva un criterio di valutazione per diversi comportamenti: ecco perché il compito del giudice divenne più arduo ed impegnativo rispetto al caso in cui si applicava una disciplina per fattispecie già tipizzate[27].

La difformità dei giudizi emessi deriverebbe non solo dal fatto che i mezzi usati dalla banca per identificare il presentatore del titolo di credito, e quelli che si sarebbero dovuti utilizzare in rapporto alle varie circostanze, a volte potevano essere considerati fondamentali per escludere la responsabilità (secondo alcuni giudici), ed altre volte ritenuti insufficienti <<a configurare quel grado di diligenza professionale richiesta perché il pagamento possa considerarsi liberatorio>>, ma anche dalla presenza di più giudizi sulla stessa fattispecie[28].

Prescindendo dalle numerose critiche, la sentenza 2360/68 ha rappresentato una svolta molto importante e si considera tuttora un principio guida fortemente consolidato, anche se la Cassazione è ritornata, di recente e per un attimo, al vecchio principio del rischio[29].

La scelta, quindi, se prediligere la norma di carattere generale, art. 1992 c.c., o piuttosto quella di carattere speciale riguardo gli assegni bancari, art. 43 l.a., ha impegnato moltissimo la giurisprudenza negli ultimi anni che, però, sembra aver ormai acquisito conoscenza e consapevolezza degli strumenti cui far riferimento per risolvere dispute aventi ad oggetto il pagamento errato di assegni non trasferibili.

Veniamo adesso allo studio delle due disposizioni di legge citate e delle relazioni tra esse esistenti.

L'art. 43 R.D. 1736/33, al comma 1°, stabilisce che l'assegno munito di clausola <<non trasferibile>> debba essere pagato solo al prenditore o accreditato sul suo conto corrente; non è consentito girare il titolo se non in favore di un banchiere. Le girate comunque apposte si avranno per non scritte; non è neanche tollerata la cancellazione della clausola che, in caso contrario, si considererà per non avvenuta.

Il comma 2° stabilisce che chi paga l'assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l'incasso, risponde del pagamento. Interpretare questa disposizione non è stato semplice, soprattutto per i suoi contenuti alquanto controversi[30].

Questo comma ha dato luogo a forti contrasti giurisprudenziali e dottrinali sul significato da attribuirgli .

Secondo una corrente rigorosa, l'effetto liberatorio del pagamento è condizionato dall'effettiva coincidenza del suo destinatario con il soggetto indicato chiaramente sul titolo; in caso di divergenza, la banca sarà responsabile del pagamento errato nonostante la diligenza usata nell'identificazione del presentatore e nell'esame della regolarità del documento[31].

Un indirizzo più liberale parte dal presupposto che l'assegno potrebbe essere sempre soggetto all'art. 1189 c.c. riguardo il pagamento a chi appare legittimato a riceverlo (creditore apparente), liberando così la banca adempiente.

Supporta questa interpretazione la funzione di strumento di pagamento svolta dall'assegno, nonché di titolo idoneo alla conversione in denaro, finalità, questa, che verrebbe svuotata di ogni significato se si desse seguito alla rigida interpretazione di cui sopra.

Altra fonte d'incertezze potrebbe derivare dal tipo di relazione in essere tra la disposizione speciale (art. 43 l.a.) e quella generale (art. 1992 c.c.).

Se, come prima accennato, la norma speciale davvero derogasse a quella generale, a carico della banca si avrebbe una responsabilità pesante anche quando questa abbia pagato senza dolo o colpa grave.

Nel momento in cui, invece, la deroga menzionata non avesse ragion d'essere, il debitore sarebbe liberato anche se la prestazione sarà stata realizzata nelle

mani del creditore apparente. In questo contesto parte della dottrina ha pure espresso parere favorevole all'applicazione dell'art. 1189 c.c. in luogo della, o accanto alla, regola di cui all'art. 1992 c.c.[32].

Proprio quest'ultimo articolo è stato oggetto di grande interesse soprattutto nella sua struttura. Sappiamo che il debitore è liberato, nonostante la cattiva prestazione, se ricorrono due condizioni di carattere: oggettivo, la prima; soggettivo, la seconda.

La condizione oggettiva si riferisce al caso del pagamento effettuato al possessore di un titolo di credito; quella soggettiva concerne l'assenza di dolo o colpa grave nel solvens.

Il dolo è quella condizione in cui all'elemento psicologico della conoscenza di ledere l'altrui diritto si associa anche l'elemento volontario della intenzionalità di adempiere nelle mani di chi non sia il vero legittimato. L'intenzionalità ricorrerebbe quando <<il debitore avrebbe potuto agevolmente [.] provare il difetto di titolarità nel possessore legittimo del titolo>>[33].

La colpa grave è intesa, invece, come possibile conoscenza del difetto di

titolarità del diritto in capo al portatore del documento[34].

Perché, quindi, il debitore si liberi non è necessario che paghi al titolare del diritto incorporato nel documento, ma è sufficiente che la prestazione sia diretta al possessore dello stesso secondo la legge di circolazione del titolo di credito (è così rispettata la condizione oggettiva)[35].

La condizione soggettiva potrebbe non rilevare quando il pagamento non sia effettuato al possessore legittimo: la presenza di dolo o colpa grave può essere invocata soltanto quando il possessore non abbia anche la titolarità e non quando, invece, ci sia <<insussistenza della legittimazione di chi presenta il titolo per il pagamento>>[36].

La liberazione, secondo una parte della dottrina, potrebbe raggiungersi sulla base dell'art. 1189 c.c. in virtù del quale il debitore non è responsabile dell'errato pagamento se realizzato al creditore <<apparentemente legittimato in base a circostanze univoche>>[37], purché ci sia stata buona fede.

Ci si chiede a questo punto se la responsabilità del banchiere sia di natura contrattuale o extracontrattuale.

Si è molto dibattuto sul fatto che l'art. 43 l.a. non specifichi esattamente questo aspetto, né il suo grado, acquisendo così un carattere quasi neutro[38].

Da qui la scelta di credere che l'articolo in questione sia carente di un richiamo all'obbligo di risarcimento, perché esso si limiterebbe solo a sancire che la banca debba pagare al vero accipiens[39], senza prevedere una sua liberazione dopo il pagamento eseguito al falso creditore.

Parleremo di responsabilità contrattuale quando il comportamento produttivo dell'evento dannoso sia stato tenuto nel corso di una relazione giuridica

intervenuta tra due soggetti; sarà extracontrattuale, viceversa, se il comportamento lesivo degli interessi di un soggetto sia stato tenuto da altro soggetto ma al di fuori di una preesistente relazione giuridica[40].

E' stato stabilito che la responsabilità extracontrattuale sia estensibile, e veniamo al nostro caso, anche nell'ambito di lesione di un diritto di credito, purché il comportamento dannoso provenga da un terzo estraneo al rapporto, altrimenti, qualora dovesse trattarsi di comportamento lesivo tenuto dal debitore,

si ricadrebbe nella sfera della responsabilità contrattuale per inadempimento[41].

Parte della dottrina[42] ha, invece, ravvisato nell'art. 43 comma 2° l.a. gli estremi di una responsabilità aquiliana erga omnes in capo alla banca che così sarà obbligata a rendere conto dell'errato pagamento non solo al traente, ma anche a tutti coloro i cui interessi erano coinvolti nel caso di specie. Trattasi di interpretazione giurisprudenziale che, facendo rientrare la responsabilità nell'art. 2043 c.c. (ambito della colpa), dispone che la clausola di non trasferibilità impone <<una particolare diligenza della banca nell'accertamento della legittimazione del portatore>> .

Si tratta di terzi estranei al rapporto cartolare i quali, ravvisata una violazione del diritto soggettivo (il titolo non può essere pagato se non al legittimato), invocano la responsabilità conseguente[44]. Chi deciderà di agire in giudizio dovrà dimostrare, da un lato, di aver subito un danno diretta conseguenza

dell'errato pagamento e, dall'altro, che il pagamento stesso non corrispondeva alla effettiva volontà del danneggiato[45].

La Corte di Cassazione ha inoltre stabilito che <<il traente di un assegno bancario munito di clausola di non trasferibilità, che sia stato pagato a persona diversa dal prenditore, non può pretendere la restituzione della somma pagata

ove il prenditore si sia astenuto dal richiedere un nuovo pagamento>>[46].

Potrebbe tuttavia obiettarsi che la responsabilità aquiliana non sia da accogliere perché l'unico rapporto giuridico esistente nell'assegno bancario si realizza solo fra traente e trattario e nessun altro: quindi la responsabilità del banchiere dovrebbe essere solo contrattuale verso il traente[47].

L'istituto di credito che paga al non legittimato resterebbe inoltre, secondo una risalente sentenza[48], vincolato all'originaria prestazione cambiaria non positivamente adempiuta, dovendo rispondere nei limiti dell'importo dell'assegno bancario .

La nostra legge dispone che ognuno è responsabile del proprio operato, quindi del lucro cessante (il mancato guadagno derivante da illecito altrui) e del danno emergente (la reale diminuzione patrimoniale conseguente ad un illecito altrui), previa rilevazione dell'esistenza del nesso di causalità; la limitazione alla risarcibilità del danno avrà natura eccezionale occorrendo una specifica previsione normativa. La liquidazione del danno potrebbe essere definita secondo il principio di cui all'art. 1223 c.c. (risarcimento del danno)[50].

Il pagamento dell'assegno sappiamo essere concretamente realizzato quando il bancario, cui il prenditore ha presentato il titolo, soddisfa la richiesta da questi avanzata: a volte, però, l'operatore bancario, sospettando della bontà del titolo e dell'identità del portatore, chiede istruzioni al suo direttore. La Corte di Cassazione è stata chiamata a risolvere una causa intentata contro un banchiere ed il suo direttore, ai quali venne mossa l'accusa di aver pagato al falso accipiens. La S.C. decise che <<il pagamento di assegno non trasferibile a persona diversa dall'intestatario comporta nei confronti della banca la responsabilità extracontrattuale sia del cassiere che su istruzioni del direttore sia consapevole di effettuare il pagamento al soggetto non legittimato, sia quella concorrente e solidale del direttore che abbia, attraverso specifica autorizzazione, fondato nel dipendente il convincimento che quella condotta corrispondesse agli interessi della banca o alla volontà del direttore stesso, con la conseguenza di rispondere a titolo contrattuale anche verso la banca per la violazione dei doveri derivanti dal rapporto di lavoro con essa intercorrente>>[51]: come dire che la responsabilità di una prestazione mal eseguita non sempre ricade solo e soltanto sul banchiere autonomamente attivatosi per soddisfare il portatore del titolo.

Fin qui, il problema della responsabilità da rinvenirsi in capo alla banca così come lo ha strutturato il legislatore.

Ci chiediamo, per concludere, come questi abbia inteso tutelare il danneggiato dalla prestazione mal realizzata.

La nostra legge riconosce al vero beneficiario pregiudicato, o a chi abbia subito un danno conseguenza dell'errore nel pagamento, la legittimazione attiva.

Essa si presume attribuita al soggetto legittimato cartolarmente, ma potrebbe spettare anche al traente[52].

L'art. 43 comma 2° l.a. usa l'espressione <<colui che paga>> riferendosi al soggetto che realizza la prestazione verso il (presunto) legittimato, termine valido tanto per il trattario quanto per il banchiere giratario per l'incasso secondo un orientamento giurisprudenziale largamente accolto[53].

Basti solo dire che è facoltà non solo di chi abbia emesso e firmato l'assegno, ma anche di colui a favore del quale avrebbe dovuto essere realizzata la prestazione, citare in giudizio la banca che ha sbagliato l'adempimento e chiedere il versamento della somma da essa pagata a chi non aveva la legittimazione. Chi si ritiene danneggiato dall'inesatta opera dell'istituto pagante, traente o beneficiario che sia, avrà l'onere di dimostrare che

l'identificazione del portatore d'assegno era avvenuta senza l'adozione delle necessarie cautele e, di conseguenza, far valere la responsabilità della banca per aver commesso quel tipo di errore[54].







3.2.2. (segue): PAGAMENTO AL DELEGATO DEL

BENEFICIARIO.



Di stretta attualità sono i casi in cui l'assegno intrasferibile venga pagato a chi non sia legittimato, bensì vero e proprio delegato del beneficiario. Neanche a dirlo, la fattispecie ha generato un grande interesse verso chi, in merito, ravvisa gli estremi di una chiara e manifesta violazione dell'art. 43 comma 2° l.a..

Illustriamo i casi più ricorrenti:

pagamento all'incaricato del beneficiario-cliente abituale: ad una prima

analisi del fenomeno, e seguendo il pensiero di parte della giurisprudenza, non sembra sia possibile scorgere tentativi di deroga all'art. 43 comma 2° l.a..

Infatti, pur trovandoci solo in apparenza di fronte ad un pagamento a persona diversa dal prenditore, solitamente il titolo viene firmato per quietanza dal beneficiario e consegnato all'incaricato il quale non viene considerato quale

legittimato cartolare quanto, piuttosto, un nuncius del reale prenditore.

Qualora la banca dovesse sbagliare il pagamento, potrebbe respingere ogni addebito invocando l'art. 1189 comma 1° c.c. per aver, cioè, pagato a colui che in base alle circostanze doveva considerarsi autorizzato a far da tramite per l'incasso.

L'argomentazione addotta dall'istituto potrà essere convalidata solo se essa dichiarerà di conoscere il "tramite" e se l'operazione descritta si verificava con una certa frequenza .

pagamento al rappresentante necessario del beneficiario incapace di agire:

in questo caso sarebbe impossibile adempiere la prestazione al vero prenditore,  rendendosi quindi necessario il ricorso allo strumento della rappresentanza, peraltro non ostacolato dall'art. 43 comma 2° l.a.;

pagamento agli eredi del prenditore defunto: si potrebbe, anche in questo

caso, parlare di prestazione eseguita al non avente diritto, ma non vi sono ragioni per impedire che l'erede venga investito di un diritto patrimoniale, quale quello incorporato nell'assegno, prima spettante al prenditore venuto a mancare. 

La banca per liberarsi dovrà accertare con la dovuta diligenza lo status di erede in chi esige il pagamento a mezzo atto di notorietà o testamento;

pagamento al rappresentante necessario: l'ipotesi rientra nella fattispecie del

mandato ad esigere l'assegno non trasferibile dal beneficiario conferito a terzi e la giurisprudenza maggioritaria ha ritenuto valido il pagamento così realizzato


perché il mandatario esercita lo stesso diritto del prenditore pur essendo privo della legittimazione cartolare. Il beneficiario si serve del mandatario per chiedere il pagamento in favore di sé stesso: d'altronde, se la legge consente ad eredi e rappresentante necessario di incassare l'importo, non si capisce per quale motivo dovrebbe impedirlo nel caso di specie[56].













3.3. LA BANCA GIRATARIA PER L'INCASSO: MANSIONI E

RESPONSABILITA'.




Abbiamo qualificato la banca trattaria come l'istituto sul quale il cliente correntista (traente) trae l'assegno: esiste un'altra importante "figura", alternativa a quell'anzidetta, che prende il nome di banca girataria per l'incasso.

E', infatti, frequente che il beneficiario di un titolo intrasferibile giri il documento ad un banchiere il quale, esercitando un diritto di credito in nome e per conto del girante, ne incassi l'importo che, se non precedentemente anticipato a mezzo versamento sul conto corrente del cliente, viene a quest'ultimo consegnato brevi manu.

Si è molto disquisito sulla posizione giuridica assunta dalla banca girataria per l'incasso tanto verso il traente, quanto nei confronti della banca trattaria.

Prima di chiarire il dubbio, illustriamo come banca trattaria e girataria operino congiuntamente al momento di soddisfare la richiesta di pagamento del legittimato.

Una volta accettata la girata per l'incasso, il banchiere giratario presenterà in stanza di compensazione il titolo alla trattaria la quale dovrà verificare:

la copertura dell'assegno;

la regolarità formale del titolo;

la conformità della firma sul titolo a quella depositata dal traente (specimen);

l'esistenza di eventuali alterazioni sul documento.

A seguito dei suddetti controlli, conclusisi supponiamo con esito positivo, la banca trattaria "accetterà" l'assegno ordinando alla girataria di adempiere la prestazione verso il portatore girante.

Si suole, allora, riscontrare in capo alla banca girataria la duplice veste di:

mandataria del proprio correntista per l'incasso del titolo, in stanza di

compensazione, presso la trattaria[57];

mandataria della trattaria per il successivo pagamento dell'assegno al proprio

correntista[58].

La banca girataria per l'incasso è considerata la diretta responsabile dell'identificazione del portatore del titolo di credito, sostituendosi alla trattaria la quale, per ovvi motivi, non può giudicare in merito[59].


Al momento del pagamento dell'importo, la banca girataria diviene vera e propria sostituta del traente, avvicendamento contemplato dagli artt. 1717 comma 1° c.c. e 1856 comma 1° c.c., qualificato come mandato nonché attributivo, alla girataria, della veste di acquirente del titolo verso l'istituto trattario[60].

In caso di errore nel pagamento operato dalla banca girataria, nasce il problema di stabilire chi debba rispondere dello sbaglio: la Corte di Cassazione[61] è favorevole a responsabilizzare la girataria in quanto, adempiendo il dovere di identificazione del prenditore del titolo con la diligenza professionale e le cautele che la circostanza suggerisce, essa si sostituirebbe alla banca trattaria verso la quale dovrà rispondere a titolo di responsabilità extracontrattuale, su di essa incombente ex art. 43 comma 2° l.a..

La soluzione proposta dalla S.C. non è stata, tuttavia, ben accolta perché, si replica, la girataria agisce su mandato del girante e non, invece, in sostituzione del trattario.


La dottrina preferisce seguire altra strada ricordando che l'espressione <<colui che paga>>, a cui già facemmo riferimento in precedenza, contenuta nell'art. 43 comma 2° l.a., intende riferirsi tanto alla banca trattaria quanto alla girataria, potendosi ravvisare una responsabilità aquiliana nel momento in cui la girataria commette l'errore, dannoso per il traente e per il vero beneficiario;  l'unica critica mossa alla tesi esposta deriva dal Pisani il quale, ritenendo non valido in senso tecnico il pagamento operato dalla girataria, considera quest'ultima immune dalla sanzione di cui al precedente articolo della legge assegni.

Riteniamo che, allo stato attuale, la soluzione fornita dalla Cassazione sia la più seguita.

La legittimazione ad agire in giudizio per tutelare i propri interessi danneggiati spetta al traente verso il sostituto del proprio mandatario: la banca

girataria, infatti, essendosi sostituita alla trattaria nella identificazione del prenditore d'assegno, viene a trovarsi in rapporto col traente il quale, contro di essa, potrà <<esercitare l'azione contrattuale basata sulla convenzione d'assegno, diretta alla ricostituzione dei fondi disponibili presso la banca trattaria per la somma corrispondente a quella indicata nell'assegno>>[63]. A sua volta, il prenditore danneggiato potrà esercitare azione cambiaria verso il traente .

L'unico caso in cui la banca girataria non potrà rispondere è quello in cui essa avrà pagato al non legittimato <<in presenza dell'assenso del titolare del diritto cartolare provato dalla girata da lui volontariamente apposta sul titolo e riconosciuta come propria>>[65].










3.4. L'ASSEGNO CON FALSA FIRMA DI TRAENZA.




Il titolo di credito che reca una firma di traenza falsa, è considerato come documento deficitario del necessario presupposto della delegazione di pagamento, cioè l'autorizzazione del traente; è caratterizzato, inoltre, dall'assenza di un rapporto cartolare tra portatore ed apparente traente.

Il titolo non trasferibile, come già sappiamo, non sempre viene presentato all'incasso dal vero portatore: illecitamente un terzo estraneo potrebbe impossessarsi dell'assegno ed operarvi delle alterazioni al fine di rendere quanto più lecita possibile la sua posizione agli occhi del banchiere che si appresta a realizzare la prestazione.

Le alterazioni più frequenti possono consistere in:

falsificazione della firma di traenza;

cancellazione della clausola;

alterazione del nome del prenditore.

L'assegno così modificato viene poi presentato al banchiere il quale ha l'obbligo di verificarne l'integrità usando la diligenza professionale ex art. 1176 comma 2° c.c..

Il controllo del titolo è operazione molto delicata che, se eseguita correttamente, potrebbe costituire una prova perché il solvens, in sede di giudizio, non venga responsabilizzato dell'errata prestazione. Alcuni controlli possono essere svolti dalla banca trattaria e da quella girataria (la rilevazione di eventuali alterazioni del titolo), altri solo da uno dei due istituti: ad esempio, la banca trattaria verifica la conformità della firma di traenza a quella depositata (specimen); oppure, la banca negoziatrice controlla ed accerta l'identità del presentatore del titolo[66].

E' opinione comune che la trattaria consulti il traente prima di procedere all'estinzione dell'assegno in stanza di compensazione.

La banca trattaria cui venga presentato  un assegno con falsa firma di traenza, ha l'obbligo di dar seguito alla richiesta di pagamento se l'irregolarità presente sul documento non sia rinvenibile con l'uso della normale diligenza bancaria,

dal momento che l'istituto non è tenuto a possedere strumenti tecnici idonei alla rilevazione di qualsivoglia contraffazione eventualmente apportata ai titoli presentati all'incasso; essa potrà, però, agire in un secondo momento contro l'accipiens[67].

Di recente formazione è il dibattito sulla possibilità di esercitare questo diritto anche quando il prenditore sia in buona fede: l'orientamento prevalente tende ad assicurare l'esercizio dell'azione di ripetizione pure in questo caso, dato che la prestazione eseguita è da considerarsi come pagamento non dovuto . Nessun addebito può essere riconosciuto in capo alla banca trattaria quando questa paghi un assegno la cui firma falsa sia indistinguibile dallo specimen depositato

Nella ipotesi in cui la falsità della firma sia rilevabile dalla banca girataria con la dovuta diligenza, il pagamento errato non potrà certamente essere imputato all'istituto trattario dal momento che esso è, da un lato, autorizzato a pagare alla girataria per l'incasso ex art.43 comma 1° l.a. e, dall'altro, chiamato a verificare solo la regolarità formale del titolo e non anche l'autenticità della girata (art. 38 l.a.)[70].

La girataria, realizzando col suo comportamento negligente l'evento dannoso, deficitando cioè di diligenza nell'esame della regolarità della firma di traenza, sarà responsabile secondo l'art. 2043 c.c. per aver <<creato colposamente quell'apparenza di situazione creditoria che ha direttamente causato l'irregolare pagamento pur liberatorio per la banca trattaria>>[71].

La decisione proposta non ha raccolto consensi dalla giurisprudenza napoletana che, invece, le preferisce una responsabilità congiunta e solidale delle banche girataria e trattaria, poiché entrambe potrebbero accertare la regolarità della firma: la trattaria in stanza di compensazione e la girataria al momento della presentazione del titolo allo sportello[72].

Una terza corrente di pensiero ha sancito, invece, l'innocenza della banca trattaria riconoscendo nella banca negoziatrice e nell'illegittimo prenditore i principali responsabili del danno cagionato al traente[73].

Appurato ciò, resta da chiarire se il pagamento con firma di traenza falsa rientri nella categoria dell'indebito soggettivo o oggettivo.

La fattispecie indebito soggettivo si realizza allorquando colui che ha ricevuto il pagamento aveva tutto il diritto di ottenerlo ma non da chi ha effettivamente pagato, bensì da un terzo (indebito soggettivo ex parte debitoris). In questo caso la ripetizione sarà subordinata ad un errore scusabile commesso da chi ha adempiuto la prestazione ed al fatto che il creditore non abbia già ceduto il titolo, seppur in buona fede (art. 2036 c.c.)[74].

La tesi opposta, indebito oggettivo, stabilisce che si può <<prescindere da ogni valutazione sulla diligenza usata dalla banca trattaria nel controllo della firma e senza che abbia alcuna rilevanza un eventuale errore della banca trattaria>>[75] e, quindi, procedere ad una ripetizione del pagamento , perché chi l'ha ricevuto non era a tanto legittimato.

Il caso che stiamo trattando rientrerebbe nella sfera dell'indebito soggettivo ex parte creditoris, perché è vero che la banca trattaria aveva l'obbligo di pagare, ma chi ha incassato l'assegno non n'era stato debitamente autorizzato per via della firma falsa riportata sul titolo.

Quale disciplina applicare? Si ritiene che l'argomento trattato possa trovare una soluzione richiamando la tesi dell'indebito oggettivo, da cui la <<ripetibilità incondizionata della somma pagata, indipendentemente dalla diligenza usata nel controllo della firma e dalla buona o mala fede di colui che ha ricevuto il pagamento>>[77].




Cfr., A. LABANCA, Il criterio dell'accorto banchiere e la clausola di non trasferibilità nell'assegno bancario, in Banca borsa e titoli di credito, 1992, II, p. 116.

Cfr., F. MAIMERI, Ancora sulla responsabilità della banca che paghi un titolo <<non trasferibile>&g 454e42e t;, in Giurisprudenza di merito, 1981, I, p. 906.

Cfr., Corte di Cassazione 7 ottobre 1958 n° 3133, in Giustizia civile, 1958, II, p. 1839.

Cfr., Tribunale di Verona 6 novembre 1989, in Banca borsa e titoli di credito, 1991, II, p. 706.

Cfr., L. BIANCHI D'ESPINOSA, Pagamento di assegno <<non trasferibile>>, e identificazione del prenditore, in Giustizia civile, 1958, II, p. 1840.

Cfr., Corte di Cassazione 9 luglio 1968 n° 2360, in Rivista del diritto commerciale, 1969, II, p. 332.


Cfr., L. BIANCHI D'ESPINOSA, op. cit., p. 1842.

Cfr., Corte di Cassazione 6 maggio 1987 n° 4187, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 1988, I, p. 359.

Cfr., Corte di Cassazione 9 maggio 1985 n° 2885, cit., p. 242.

Cfr., A. SCIALOJA, In tema di responsabilità della banca per il pagamento di assegni non trasferibili, in Rivista del diritto commerciale, 1969, II, p. 346.

Cfr., A. SCIALOJA, op. cit., p. 346.

Cfr., Tribunale di Napoli 30 novembre 1994, in Banca borsa e titoli di credito, 1996, II, p. 205.

Cfr., R. FRAU, Responsabilità della banca girataria per l'incasso di assegni non trasferibili contraffatti, in Responsabilità civile e previdenza, 2000, I, p. 131.

Cfr., F. MAIMERI, op. cit., p. 907.

Cfr., A. SCIALOJA, op. cit., p. 350.

Cfr., L. BIANCHI D'ESPINOSA, op. cit., p. 1844.


Cfr., Corte di Cassazione 7 ottobre 1958 n° 3133, in Giustizia civile, 1958, I, p. 1839.

Cfr., L. LAMBO, Appunti sulla responsabilità della banca per il pagamento di assegno non trasferibile al falso legittimato, in Il Foro Italiano, 1999, III, p. 806.


Cfr., L. LAMBO, op. cit., p. 802.

Cfr., L. BIANCHI D'ESPINOSA, op. cit., p. 1843.



Cfr., L. LAMBO, op. cit., p. 803.

Cfr., G. MOLLE, Clausola <<non trasferibile>&g 454e42e t; e responsabilità nel pagamento, in Banca borsa e titoli di credito, 1968, II, p. 496.


Cfr., Corte di Cassazione 9 luglio 1968 n° 2360, in Rivista del diritto commerciale, 1969, II, p. 332.

Cfr., G. MOLLE, op. cit., p. 499.

Cfr., P. GUALTIERI, Responsabilità della banca per il pagamento di assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore, in Giustizia civile, 1968, I, p. 1774.

Cfr., A. SCIALOJA, op. cit., p. 348.

Cfr., A. SCIALOJA, op. cit., p. 348.

Cfr., A. SCIALOJA, op. cit., p. 349.

Cfr., Corte di Cassazione 9 febbraio 1999 n° 1098, in Il Foro Italiano, marzo 1999, p. 799.

Cfr., G. SANTONI, Gli assegni non trasferibili, Napoli 1988, p. 93.

Cfr., F. MARTORANO, Lineamenti generali dei titoli di credito e titoli cambiari, Napoli 1979, p. 510.


Cfr., G. SANTONI, op. ult. cit., p. 5.

Cfr., F. MARTORANO, op. ult. cit., p. 88.

Cfr., A. SCIALOJA, op. cit., p. 346.

Cfr., G. SANTONI, op. ult. cit., p. 111.

Cfr., G. SANTONI, op. ult. cit., p. 112.

Cfr., G. SANTONI, op. ult. cit., p. 113.

Cfr., A. SCHERMI, Assegno non trasferibile e responsabilità del banchiere, in Giustizia civile, 1999, III, p. 3027.

Cfr., Corte d'appello di Firenze 28 ottobre 1966, in Il Foro Padano, 1967, I, p. 610.

Cfr., A. SCHERMI, op. cit., p. 3029.

Cfr., A. SCHERMI, op. cit., p. 3029.

Cfr., F. MARTORANO, op. ult. cit., p. 511.

Cfr., Corte d'appello di Milano 27 aprile 1971, in Repertorio del Foro Italiano, 1971, voce Titoli di credito, n° 83.

Cfr., A SEGRETO - A.CARRATO, Il pagamento dell'assegno non trasferibile e relativi profili di responsabilità, in Pratica giuridica, a cura di O. FANELLI, Milano 1997, p. 282.

Cfr., Corte di Cassazione 13 ottobre 1993 n° 10111, in Banca borsa e titoli di credito, 1995, II, p. 188.

Cfr., Corte di Cassazione 14 dicembre 1987 n° 9267, in Il Foro Italiano, 1988, I, p. 324.

Cfr., A. SCHERMI, op. cit., p. 3033.

Cfr., Corte d'appello di Napoli 17 dicembre 1964, in Rivista del diritto commerciale, 1965, II, p. 445.

Cfr., G. MOLLE, I titoli di credito bancari, in Economia e credito, 1972, I, p. 603.

Cfr., L. BUTTARO, Responsabilità nel pagamento dell'assegno. Limiti legali al risarcimento, in Banco di Sardegna-Cidis, Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale delle banche, Milano 1986, p. 84.

Cfr., Corte di Cassazione 3 luglio 1990 n° 6778, in Banca borsa e titoli di credito, 1991, II, p. 706.

Cfr., G. PELLIZZI- G. PARTESOTTI, Commentario breve alla legislazione sulla cambiale e sugli assegni, Padova 1995, p. 359.

Cfr., Tribunale di Milano 21 novembre 1991, in Banca borsa e titoli di credito, 1993, II, p. 142.

Cfr., Corte di Cassazione 5 luglio 1978 n° 3317, in Banca borsa e titoli di credito, 1979, II, p. 263.

Cfr., R. LENER, Assegno non trasferibile e ipotesi di pagamento a persona diversa dal prenditore, in Il Foro Italiano, 1986, II, p. 2894.

Cfr., R. LENER, op. cit., p. 2894.

Cfr., Corte di Cassazione 17 maggio 2000 n° 6377, in Massimario del Foro Italiano, 2000, p. 602.

Cfr., Corte d'appello di Milano 15 luglio 1997, in Giustizia civile, 1998, I, p. 544.

Cfr., Corte d'appello di Milano 10 novembre 1995, in Banca borsa e titoli di credito, 1997, II, p. 31.

Cfr., Corte d'appello di Milano 15 luglio 1997, cit., p. 544.

Cfr., Corte di Cassazione 20 settembre 2000 n° 12425, in Massimario del Foro Italiano, 2000, p. 1119.

Cfr., L. PISANI, nota a Tribunale di Milano 4 giugno 1992, in Banca borsa e titoli di credito, 1993, II, p. 631.

Cfr., Corte di Cassazione 17 maggio 2000 n° 6377, in Massimario del Foro Italiano, 2000, p. 602.

Cfr., L. LAMBO, op. cit., p. 810.

Cfr., Tribunale di Milano 3 marzo 1994, in Banca borsa e titoli di credito, 1996, II, p. 361.


Cfr., G. TARZIA, Pagamento di assegno bancario alterato: concentrare o estendere la responsabilità?, in Il Foro Padano, 1995, I, p. 37.


Cfr., Corte di Cassazione 19 maggio 2000 n° 6524, in Massimario del Foro Italiano, 2000, p. 616.

Cfr., D. ROVERSI, Azione di ripetizione dell'indebito in caso di pagamento di assegno non trasferibile con firma falsa di traenza: individuazione dell'accipiens, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 1995, I, p. 802.

Cfr., G. L. PELLIZZI, L'assegno bancario, Padova 1964, p. 372.

Cfr., V. MANFREDONIA, Osservazioni sulla responsabilità della banca girataria per l'incasso di un assegno non trasferibile, in Banca borsa e titoli di credito, 1980, II, p. 284.

Cfr., V. MANFREDONIA, op. cit., p. 285.

Cfr., Tribunale di Napoli 22 giugno 1994, in Banca borsa e titoli di credito, 1995, II, p. 737.

Cfr., Tribunale di Milano 12 maggio 1995, in Banca borsa e titoli di credito, 1997, II, p. 313.


Cfr., Corte di Cassazione 15 aprile 1953 n° 989, in Banca bora e titoli di credito, 1954, II, p. 170.

Cfr., D. ROVERSI, op. cit., p. 803.

Cfr., Tribunale di Como 24 aprile 1990, in Banca borsa e titoli di credito, 1991, II, p. 758.


Cfr., G. MOLLE, op. ult. cit., p. 254.





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