|
|
Le politiche di rilancio
Il New Deal negli Stati Uniti
La situazione economica negli Stati Uniti nei primi anni '30 era drammatica. La crisi colpiva ogni settore
agricolo e industriale e i drastici tagli di personale, uniti alle diminuzioni dei salari, rendevano penose le
condizioni della popolazione, anche perché il governo non corrispose mai le indennità di disoccupazione.
Il disagio popolare e lo scarso successo che ebbe la politica deflazionistica del partito repubblicano
spianarono la strada al successo del democratico F. D. Roosevelt, che con la sua innovativa politica del New
Deal per la prima volta adottò importanti misure di intervento governativo nell'economia, in campo
monetario, industriale, agricolo e dei lavori pubblici.
In campo monetario e bancario si volle promuovere il rialzo dei prezzi per dare fiducia agli investimenti: ci si
propose la reflazione, ovvero l'espansione della base monetaria. A questo scopo, con l'Emergency Banking
Act, si conferirono al presidente poteri straordinari in materia finanziaria e bancaria. Roosevelt impose quindi
agli istituti bancari la sospensione dei pagamenti in oro e obblig 939d35j ò i possessori d'oro a consegnare le loro
proprietà alle Federal Reserve Banks.
Inoltre il presidente ebbe una serie ulteriore di poteri. Il primo fu la possibilità di svalutare il dollaro fino al
50% del suo valore, per rialzare i prezzi senza aumentare la circolazione monetaria. Il prezzo dell'oro salì
quindi fino a 35 dollari l'oncia, al quale fu fissato. Gli Stati Uniti tornarono così al gold standard, ma l'oro era
usato esclusivamente come moneta internazionale.
Il secondo fu la facoltà di far coniare una quantità illimitata di monete d'argento, ritornando così al
bimetallismo nell'interesse dei produttori americani d'argento e per ampliare la circolazione monetaria.
In campo bancario si ridussero le possibilità di abuso con una decisa riorganizzazione del sistema. Si impose
una riserva minima alle banche e alle casse di risparmio; le banche di investimento furono distinte da quelle
commerciali (le uniche autorizzate a accordare crediti a breve termine); fu creato un sistema di assicurazione
dei depositi bancari. Il Federal Reserve System ebbe inoltre poteri più ampi: il controllo sulle operazioni di
Borsa e il controllo sulle riserve delle 12 banche federali.
In questo modo fu riequilibrata la bilancia dei pagamenti e riprese l'afflusso d'oro dall'Europa agli Stati Uniti,
anche per l'instabilità politica lì sopraggiunta.
In campo industriale nel 1933 fu approvato il National Industrial Recovery Act (NIRA) con lo scopo di
promuovere il rilancio dell'attività economica, evitando nel contempo la sovrapproduzione. A questo scopo il
presidente ebbe il potere di stilare un "codice" per ciascuna industria, codici che costituivano veri e propri
contratti collettivi stipulati tra lavoratori e imprenditori, regolando le condizioni di lavoro (orari, salari, ecc.) e
quelle di produzione (quantità, prezzi, ecc.). Con il NIRA si sperava che l'aumento dei prezzi avrebbe
stimolato gli investimenti, mentre l'incremento dei salari avrebbe consentito di accrescere il potere di
acquisto dei lavoratori. Ma i suoi risultati non furono molto soddisfacenti: l'andamento dei prezzi avvantaggiò
solo le grandi imprese, mentre la popolazione vide aumentare il costo della vita (specialmente le categorie
non protette dal NIRA). Nel 1936 la Corte Suprema lo dichiarò incostituzionale e Roosevelt poté così
ritornare alla tradizionale politica antitrust del suo partito.
In campo agricolo, per consentire l'ascesa dei prezzi dei prodotti agricoli, con l'Agricultural Adjustment Act
del 1933, il governò si impegnò a versare un'indennità agli agricoltori che avessero ridotto le superfici
coltivate, e in seguito a coloro che avessero contribuito alla conservazione del suolo, lasciandola incolta
oppure piantandola a leguminose. In questo modo la disoccupazione agricola aumentò del 7% e la superficie
coltivata diminuì di circa il 20%. Tuttavia l'aumento della produttività fece in modo che il surplus agricolo
restasse elevato, e quindi il governo fu costretto a intervenire fissando limiti minimi ai prezzi, corrispondendo
agli agricoltori anticipazioni sul raccolto e consentendo loro la restituzione in natura dei prestiti contratti. Di
conseguenza il prezzo dei prodotti agricoli americani aumentò al di sopra di quello mondiale e il governo fu
costretto a sussidiare le esportazioni. Inoltre gli agricoltori videro aumentare notevolmente il loro reddito.
Per fronteggiare la crisi Roosevelt praticò la politica di derivazione keynesiana del deficit spending, vale a
dire che nel caso in cui i fattori della produzione risultino solo in parte utilizzati, l'azione dello Stato deve
tendere a compensare il ristagno dell'iniziativa privata e di consentire una ripresa del livello di occupazione.
A questo scopo Roosevelt decise di aumentare la quantità di denaro circolante per stimolare gli investimenti,
promuovere l'economia e far fronte al problema della disoccupazione. Per questo Roosevelt attuò anche una
politica di espansione creditizia, resa possibile dalla svalutazione del dollaro, con varie facilitazioni del
credito. La concreta espressione della politica del deficit spending fu un ampio programma di lavori pubblici,
con la gestione statale diretta dei vari investimenti pubblici (come il TVA, Tennessee Valley Autority, con lo
scopo di sviluppare la valle del Tennessee). In questo modo la spesa pubblica crebbe notevolmente.
Queste iniziative furono ispirate dal pensiero economico di Keynes, secondo il quale in un'economia matura
si assiste alla progressiva diminuzione della propensione marginale al consumo e della efficienza marginale
del capitale, mentre aumenta la preferenza alla liquidità. Di conseguenza si andrebbe incontro ad una crisi
profonda ed alla disoccupazione, se non si intervenisse con opportuni rimedi. Essi sono: una politica
monetaria che tenda ad abbassare il tasso di interesse, attraverso operazioni di mercato aperto e variazioni
del tasso di sconto, allo scopo di ridurre la preferenza alla liquidità; la rinuncia al gold standard e la
conseguente inflazione con aumento di moneta circolante, che stimolerebbe l'attività produttiva; una politica
fiscale tesa a promuovere lavori pubblici anche inutili nell'immediato ma che consentano di ridurre
l'occupazione, far crescere la domanda grazie alla redistribuzione del reddito da essi attuata e quindi di
risollevare il processo produttivo.
La Gran Bretagna
La svalutazione della sterlina fece diminuire le importazioni ed aumentare le esportazioni, con benefici effetti
sulla bilancia commerciale. Tuttavia l'abbandono del gold standard da parte del dollaro comportò un
allineamento tra i prezzi britannici e americani, facendo perdere alle esportazioni inglesi i precedenti
vantaggi.
In politica economica, l'Inghilterra abbandonò nel 1932 il sistema del libero scambio e adottò il
protezionismo. Alla svalutazione della sterlina nel 1931 seguì la formazione dell'area sterlina, composta da
quei Paesi che volevano mantenere rapporti commerciali con l'Inghilterra e che di conseguenza svalutarono
la propria moneta per allinearsi alla sterlina. Inoltre alcuni di questi Paesi (Commonwealth e Canada)
stipularono accordi doganali vantaggiosi con l'Inghilterra ("preferenza imperiale"), il cui commercio estero
beneficò così di un importante aumento. Anche con gli altri Paesi dell'area sterlina furono stipulati patti
simili. Inoltre, a partire dal 1931, l'Inghilterra concesse ai Paesi dell'area sterlina dei prestiti vincolati,
condizionati all'acquisto di macchine o prodotti inglesi. In questo modo l'Inghilterra intendeva sostenere la
propria industria e rinsaldare i legami con questi Paesi. Infatti i rapporti ad esempio tra Canada e Inghilterra
si intensificarono notevolmente.
Infine, per rafforzare la coesione nei Paesi dell'area sterlina, l'Inghilterra creò banche centrali alle dirette
dipendenze della Banca d'Inghilterra.
Nonostante questi sforzi, il commercio internazionale a livello mondiale era in ribasso, per cui la bilancia dei
pagamenti inglese dal 1932 alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale rimase costantemente passiva.
Anche la politica interna mutò radicalmente. Si affrontò con decisione il problema della disoccupazione,
allargando a tutti i lavoratori l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione, moltiplicando gli uffici di
collocamento, programmando lavori pubblici, trasferendo i lavoratori nelle aree industriali e istituendo centri
di addestramento per dare ai lavoratori un impiego adatto alle loro attitudini.
Il governo inoltre incoraggiò con aiuti finanziari l'attività industriale e autorizzò la concentrazione industriali,
allo scopo di integrare l'industria, unificare le vendite e controllare prezzi e prodotti.
In politica monetaria il tasso di interesse rimase basso per incoraggiare gli investimenti.
Grazie a tutte queste manovre, l'economia inglese nel 1939 era ormai quasi riassestata, se si esclude il grave
problema della disoccupazione.
La Francia e il Fronte Popolare
Il Fronte Popolare, guidato dal Léon Blum, fu il primo governo francese a direzione socialista e prese il
potere dopo la crisi conseguente alla politica deflazionistica di Laval.
La priorità di questo governo fu data alla politica sociale: si riconobbe il diritto sindacale dei salariati; furono
resi obbligatori i contratti collettivi di lavoro; furono aumentati i salari; furono concesse due settimane di
ferie pagate all'anno a tutti salariati. Una importante legge fu quella che ridusse la settimana lavorativa da
48 a 40 ore, per tentare di riassorbire la disoccupazione.
Tuttavia la politica salariale di Blum causò una aumento dei costi di produzione che comportò un rialzo dei
prezzi che risultarono superiori a quelli mondiali. Di conseguenza le esportazioni diminuirono come la
produzione industriale ed il costo della vita aumentò in modo superiore a quello dei salari.
Il governo Blum statalizzò numerose industrie e attività come le imprese aeronautiche e le officine Renault,
le compagnie ferroviarie e la Banca di Francia. In campo agricolo si fissò il prezzo minimo del grano e ci si
impegnò a pagare agli agricoltori un premio per gli eventuali ammassi di grano.
L'economia rimase comunque in cattive acque tanto che nel 1936 fu abbandonato il gold standard e furono
vietate le esportazioni di oro. Il franco si svalutò dal 25% al 34% rispetto al franco Poincaré e continuò a
scendere nonostante gli interventi statali, mentre le riserve auree diminuivano.
Il Fronte Popolare era riuscito nell'intento di ottenere la piena occupazione, ma nel contempo la produzione
industriale era diminuita. Questo fenomeno apparentemente contraddittorio si può spiegare con il crollo delle
immigrazioni e con il fatto che molti disoccupati erano tornati alla campagna.
Nel 1938 il governo moderato di Daladier ridusse le spese statali, riassorbì gli effetti della legge sulle 40 ore
e svalutò nuovamente il franco. Gli effetti di queste manovre furono estremamente positivi: la produzione
ricominciò a crescere come le esportazioni, rientrarono i capitali fuggiti all'estero e crebbero le riserve d'oro
della Banca di Francia.
L'esperienza francese del Fronte Popolare ebbe alcuni punti di contatto con il New Deal americano
(intervento statale nell'economia, rilancio dei consumi e assorbimento della disoccupazione con i lavori
pubblici), ma a differenza di quest'ultimo non ebbe risultati positivi. Infatti le esportazioni su cui si basava
l'economia francese si ridussero per il rincaro dei costi di produzione e la svalutazione del franco intervenne
troppo tardi.
La Germania di Hitler
La crisi economica in cui versava la Germania favorì l'avvento del nazismo di Hitler. Antisemita e
antimarxista, il nazismo fondava il suo programma su uno Stato centrale forte, su una rigida disciplina
militare in grado di assoggettare l'individuo alla collettività, sull'opportunità di riservare il comando ad un'elite
e sull'organizzazione della vita politica e sociale sotto il controllo del governo.
Il successo elettorale del nazismo fu causato dalla profonda crisi alla quale il governo della Repubblica di
Weimar (il governo precedente, ispirato a modelli di libertà e democrazia non certo coerenti con le
aspirazioni di un popolo legato ad una tradizione di militarismo e disciplina) non era riuscito a rispondere.
Hitler riuscì ad attirare voti da tutte le classi sociali (industriali, ceti medi, studenti) promettendo loro di
risolvere i vari motivi del loro scontento.
Una volta eletto, Hitler ottenne i pieni poteri e pose le basi di uno Stato totalitario, retto da una dittatura
sostenuta da propaganda, spionaggio, diniego di libertà, di associazione, di parola, in cui non c'era posto per
partiti dissenzienti e sindacati e che perseguitò con la forza gli ebrei, avvalendosi della polizia segreta di
Stato, la Geheime Staats-Polizei (Gestapo).
Per risollevare l'economia tedesca in profonda crisi, Hitler si convinse della necessità di evitare l'inflazione e
la svalutazione del marco e di assicurare stabilità ai prezzi interni e ai salari. Questo obiettivo si poteva
raggiungere solo mediante rigidi controlli statali, che consistettero nel ricorso al corporativismo, alla
pianificazione e all'autarchia.
Per quanto riguarda il primo punto, i sindacati furono sciolti e al loro posto nacque il Fronte del Lavoro, che
riuniva imprenditori e lavoratori e aveva funzioni assistenziali. Furono sciolti anche i partiti e furono istituite
le Corporazioni, ossia associazioni di imprenditori guidate da funzionari nazisti che indicavano i livelli
produttivi, i prezzi delle materie prime e dei prodotti finiti e i mercati di sbocco.
Quanto alla pianificazione, furono varati piani di lavori pubblici per riassorbire la disoccupazione e sul campo
privato furono stimolati gli investimenti, con sussidi agli industriali e favorendo la creazione di cartelli.
Anche in campo agricolo tutti i soggetti interessati furono riuniti sotto il Dipartimento dell'Alimentazione
dell'Impero, che avrebbe dovuto assicurare la stabilità degli affitti, i giusti prezzi e l'aumento della
produzione. Molti piccoli contadini di razza ariana ottennero poderi "ereditari", che non potevano essere
alienati e che sarebbero passati al figlio maggiore alla morte del padre. Nonostante questa misura, che
effettivamente migliorò le condizioni dei contadini, i risultati non furono particolarmente soddisfacenti,
perché essi non disponevano dei mezzi necessari per accrescere la redditività del terreno.
Tuttavia il primo Piano Quadriennale riuscì nel suo scopo di ridurre la disoccupazione.
Il secondo Piano Quadriennale aveva invece lo scopo di realizzare l'autarchia, ovvero l'autosufficienza
economica riguardo ai generi alimentari, alle materie prime e ai prodotti finiti. Nell'impossibilità di coprire il
disavanzo della bilancia dei pagamenti attraverso le esportazioni, si cercò di contrarre le importazioni, e a
questo scopo fu promossa la ricerca scientifica, in campo alimentare e chimico, ma soprattutto in campo
militare. L'economia tedesca fu asservita definitivamente alla preparazione alla guerra, coerentemente con la
teoria hitleriana dello spazio vitale. Secondo Hitler infatti la Germania era sovrappopolata e l'eccedenza dei
tedeschi, superiori alle altre razze, doveva necessariamente espandersi alla conquista dei territori vicini.
Effettivamente la produzione industriale tedesca (le cui risorse erano ormai completamente destinate al
riarmo) crebbe enormemente, mentre il governo adottò la politica del deficit spending triplicando dal 1928 al
1938 la spesa pubblica.
Tuttavia la Germania non riuscì a raggiungere l'autosufficienza economica e dovette instaurare relazioni
commerciali con i Paesi della penisola balcanica, per i quali si erano chiusi a causa della depressione i
mercati inglese e francese, e con i Paesi dell'America Latina.
Il capitalismo tedesco si trasformò e divenne oligopolistico, un capitalismo in cui i risultati del progresso
tecnico si risolvano solo in parte limitata in una riduzione dei prezzi, mentre la parte maggiore, dipendente
dal grado di concentrazione delle imprese, va ad aumenti di salari e profitti, in modo simile a quello di
un'economia di guerra: le risorse furono orientate alla produzione di mezzi di distruzione; la libera iniziativa
fu completamente asservita alle decisioni del gruppo dirigente hitleriano: ed infine nel 1938 ebbe inizio la
"politica di potenza" con l'espansione territoriale e la soppressione delle libertà.
L'autarchia in Italia
La depressione si avvertì fortemente anche in Italia, tuttavia Mussolini non ricorse alla svalutazione ma ribadì
la sua volontà di mantenere la parità aurea della lira. Le misure adottate dal Duce furono dirette
essenzialmente a mantenere il commercio e il cambio esteri, inasprendo i dazi sulle importazioni e favorendo
le esportazioni con il sistema del drawback (il governo restituiva ai produttori il costo dei dazi pagati sulle
materie prime purché queste fossero trasformate in prodotti finiti ed esportati). Inoltre era proibito comprare
titoli all'estero o esportare capitali.
In questi anni il dirigismo fascista ebbe la sua completa attuazione con la legge del 1934 sulle Corporazioni
quali organi di controllo dell'amministrazione statale sulla struttura produttiva del Paese. In questo modo si
crearono accordi tra produttori che soffocarono la competitività a scapito dell'efficienza industriale; queste
operazioni favorirono gli imprenditori ma furono a scapito della collettività che dovette sostenerne i costi.
La concentrazione industriale fu favorita dalle banche, che concedevano prestiti a lungo termine agli
imprenditori, ma la loro azione creditizia si rivelò insufficiente, per cui furono fondati due enti pubblici di
finanziamento, l'IMI (Istituto Mobiliare Italiano) e l'IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), quest'ultimo
avente anche il compito di salvare le banche private indebitate con la Banca d'Italia. In questo modo l'IRI
rilevò dalle banche indebitate parte dei titoli industriali che avevano subito forti ribassi e si trovò quindi a
controllare direttamente queste aziende. Nel 1937 l'IRI fu trasformato in istituzione permanente e divenne il
principale strumento di intervento dello Stato nell'economia.
Dal punto di vista finanziario, si cercò di ridurre il deficit con aumenti delle imposte e diminuzioni dei salari,
ma senza successo. La disoccupazione restava alta e anche la bilancia commerciale e dei pagamenti erano in
deficit.
La grave crisi economica rafforzò i progetti coloniali di Mussolini, e nel 1935 le truppe italiane invasero
l'Etiopia. La Società delle Nazioni condannò l'aggressione italiana, sanzionando il commercio internazionale
da e verso l'Italia stessa. Tuttavia queste sanzioni furono aggirate facilmente e alla fine favorirono il
processo di coesione interna attorno all'impresa bellica. Le commesse statali fecero diminuire la
disoccupazione, ma la guerra ebbe breve durata perché già nel 1936 l'Italia conquistò l'Etiopia e la Società
delle Nazioni si affrettò a ritirare le sanzioni.
Le vicissitudini internazionali convinsero Mussolini della necessità dell'autarchia, cioè dell'autosufficienza
dell'economia italiana. Furono stimolate la produzione agricola e quella industriale (petrolio e altre fonti di
energia, fertilizzanti, prodotti farmaceutici, cellulosa, fibre sintetiche) e soprattutto i rami produttivi in
relazione con la guerra.
La politica autarchica ebbe benefici effetti sull'industria e sulla disoccupazione, ma unita ai costi della guerra
etiopica fece aumentare paurosamente il deficit.
Il sistema bancario fu riformato: la Banca d'Italia divenne un istituto di diritto pubblico e le tre banche
maggiori (Banca Commerciale, Credito Italiano e Banco di Roma) furono destinate ad occuparsi di
finanziamenti commerciali evitando gli investimenti industriali.
Fu abbandonata la politica di deflazione adottata per difendere la lira che nel 1936 fu svalutata del 41%
rispetto all'oro.
Ma nel frattempo il governo italiano era ormai avviato ad imitare quello autoritario della Germania: furono
approvate le leggi razziali; fu soppressa la Camera dei Deputati e fu istituita quella dei Fasci e delle
Corporazioni, a carattere permanente; fu firmata l'alleanza con la Germania (il Patto d'Acciaio); in questo
modo il Paese era pronto per la guerra.
Il Giappone imperialista
il Giappone era ormai avviato verso una politica di militarizzazione e di espansione in Asia. Il ministro
Takahashi si adoperò per attuare una politica economica coerente alla realizzazione degli obiettivi
espansionistici. Per assicurare la ripresa delle esportazioni e della produzione industriale fu sospesa la
convertibilità della moneta che si svalutò del 65% rispetto all'oro. Per assicurare gli investimenti e il pieno
impiego il tasso di sconto fu ridotto dal 6,5% al 3,5%, mentre aumentò anche la spesa pubblica, finanziata
dalle imposte e da prestiti e agevolazioni creditizie. Tuttavia questa spesa non portò inflazione ma reflazione,
perché le banche ordinarie si astennero da creare credito aggiuntivo. Naturalmente questo portò ad un
ingente aumento del debito pubblico.
Ma le politiche economiche ebbero buon effetto perché la produzione industriale si incrementò notevolmente
così come le esportazioni, nonostante le misure protezionistiche dei Paesi tradizionalmente importatori.
Furono soprattutto le spese militari a stimolare l'espansione di nuovi settori industriali. L'intera struttura
economica giapponese si trasformò a questo scopo: lo Stato favorì la concentrazione industriale (zaibatsu)
alla ricerca dell'efficienza che le piccole e medie industrie precedenti non potevano garantire, e inoltre si
ridusse la dipendenza dell'economia dai capitali stranieri.
Grazie a queste politiche il movimento commerciale con l'estero si intensificò e si diversificò notevolmente e
mutò radicalmente la struttura del commercio estero, con la diminuzione dell'importanza dei tessili e la
crescita di metalli, macchinari e strumenti.
Le esportazioni giapponesi invasero i mercati tradizionalmente riservati all'Occidente, come l'America
Centrale e Meridionale, Cina, Manciuria, Hong Kong e gli altri mercati asiatici e verso l'Africa. Diminuirono
invece le esportazioni verso gli Stati Uniti.
Il mondo occidentale, preoccupato dall'invasione delle merci giapponesi, promosse una campagna d'opinione
denigratoria nei confronti delle condizioni di lavoro dei giapponesi. Il governo nipponico replicò in modo
durissimo criticando aspramente il capitalismo occidentale, con lo sfruttamento dei lavoratori e il
colonialismo. In questo modo i rapporti tra Giappone e Occidente si incrinarono profondamente.
Dall'espansione industriale restò esclusa l'agricoltura, di conseguenza molti contadini si trasferirono in città
contribuendo a mantenere bassi i salari a vantaggio degli imprenditori.
Alla fine del 1936 Takahashi decise di interrompere la politica di reflazione e di ridurre la spesa pubblica. Ma
i militari, ormai consolidati al potere, non accettarono limiti agli armamenti e assassinarono Takahashi
durante una sommossa, conquistando il potere. Il loro programma era evidente: l'espansione militare verso
l'Asia.
Varie sono le spiegazioni x l'imperialismo giapponese: il ritardo sul piano dello sviluppo capitalistico rispetto
all'Occidente; la mancanza di certe materie prime; la crescita della popolazione; la solidarietà verso i popoli
non bianchi contro gli indoeuropei; la volontà di creare una sfera d'influenza che si allargasse alle aree
contigue; il protezionismo del mondo occidentale.
Alla vigilia della guerra con la Cina, le risorse del Paese erano ormai completamente sfruttate, sicché
l'ulteriore crescita delle spese militari non poteva che essere causa di inflazione. Prezzi e salari crebbero a
ritmo sostenuto mentre il processo inflazionistico fu incoraggiato da un'ulteriore riduzione del tasso di
sconto. Il governo intervenne con drastici controlli alla produzione che provocarono la fine dell'industria
cotoniera, mentre l'Ufficio di Razionalizzazione Industriale destinò le risorse alla guerra.
In piano di politica estera il Giappone si avvicinò sempre più al nazionalsocialismo tedesco, in cui vedeva un
alleato per la propria politica di espansione.
Privacy |
Articolo informazione
Commentare questo articolo:Non sei registratoDevi essere registrato per commentare ISCRIVITI |
Copiare il codice nella pagina web del tuo sito. |
Copyright InfTub.com 2024