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Giosue Cardùcci

letteratura italiana



Giosue Cardùcci



Poeta (Valdicastello, Lucca, 1835 - Bologna 1907). Figlio di un medico condotto, carbonaro e mazziniano, tra il 1849 e il 1860 Carducci compie i suoi studi regolari presso le scuole dei padri scolopi a Firenze e poi presso la Scuola Normale di Pisa e affronta le 636e45g prime esperienze di insegnante. Nel 1860 ha inizio l'attività accademica all'Università di Bologna, dove Carducci insegnerà letteratura italiana fino al 1904. Una svolta nella vita del poeta fu segnata dagli avvenimenti degli anni 1870-71: morte della madre e del figlioletto Dante, inizio della relazione con Carolina Cristofori Piva (la Lidia o Lina della sua poesia). Venne infine la stagione della fama, consacrata dalla nomina a senatore (1890) e dal conferimento del premio Nobel (1906). La formazione culturale di Carducci si svolse nel quadro del classicismo provinciale toscano e fu caratterizzata dall'irosa avversione per il Manzoni, la cui lettura gli era stata imposta dal padre Michele, e dalla fervida adesione alla linea classicistica (Orazio, Virgilio, Ovidio tra gli antichi; Alfieri, Foscolo, Leopardi tra i moderni). Sbocco di tale formazione fu, nel 1856, la costituzione del gruppo degli ''Amici Pedanti'', con un programma di aperta sfida nei confronti del Romanticismo, ingenuamente considerato come il corrispettivo letterario della tirannide straniera. Dopo l'acerbo sperimentalismo delle Rime di San Miniato (1875), Carducci compie il suo vero e proprio tirocinio di ''scudiero dei classici'' attraverso Juvenilia, che raccoglie i versi del decennio 1850-60, improntati sempre ad un intransigente e rigido classicismo. L'inserimento nell'ambiente universitario mette il Carducci in contatto con una cultura più viva e moderna: approfondisce i Poeti stranieri (Hugo, Goethe, Heine, Platen, Shelley) e arricchisce la sua preparazione politica con la lettura di Mazzini e degli scrittori francesi democratici e radicali (Quinet, Michelet Blanc), mentre si accosta alle idee repubblicane e giacobine. Maggiore vivacità e consapevolezza artistica è pertanto nei Levia Gravia, che raccolgono, sotto lo pseudonimo di Enotrio Romano, i componimenti scritti dal 1860 al 1871 e che alludono, nel titolo, ai due fondamentali toni stilistici, orientati l'uno in senso intimistico, l'altro in senso politico-sociale: la parte più nuova e interessante coincide con la tematica civile, dove si esprime la delusione per la realtà gretta e meschina dell'Italia post-unitaria. Alla politica imbelle del tempo Carducci contrappone, nell'Inno a Satana (1863), una linea rivoluzionaria rappresentata da Satana, simbolo dei progresso dell'uomo contro ogni forma di dispotismo religioso e politico: viene così anticipata la materia aggressiva e polemica dei Giambi ed epodi (1867-79), dove il momento politico è privilegiato rispetto a quello intimistico e riflette, con toni accesi e taglienti, il populismo democratico e anticlericale con cui il Carducci vuole ricollegarsi all'eredità del Risorgimento. Con il consolidarsi delle istituzioni si smorza l'ardore della polemica giacobina del Carducci il quale avverte la pericolosità delle nuove forze sociali che stanno per venire alla ribalta: per esorcizzarle non resta che rifugiarsi dietro lo scudo degli ideali di patria, dignità umana, religione delle lettere, culto della storia. Insieme con il modificarsi dell'atteggiamento sociale si attua il passaggio del Carducci dal repubblicanesimo alla sempre più aperta collusione con gli ambienti monarchici: il giacobino diviene così il vate dei benpensanti e il cantore degli eroi sorti dal popolo s'inchina al fascino della regina Margherita (Eterno femminino regale, 1878) e diviene il celebratore dei fasti di casa Savoia e il paladino della politica crispina. Alla precedente concezione dell'arte come fervido impegno civile subentra un atteggiamento contemplativo, un ripiegamento sul passato autobiografico e sul passato storico rivissuti in una prospettiva di serena nostalgia. Da questo atteggiamento nascono le Rime nuove (1861-1887), dove il desiderio di oblio si trasfigura nell'evasione in una Grecia luminosa (Primavere elleniche) o nell'evocazione della giovinezza maremmana, impetuosa e colma di robusti sentimenti (Idillio maremmano, Davanti San Guido) in un'epoca di incalzante industrializzazione, Carducci regredisce alla comunità primitiva di tipo paleocomunale (Il comune rustico, Faida di comune) in cui si esprime il sogno di una democrazia diretta ed egualitaria; ma il giacobinismo carducciano è ormai inoffensivo, ridotto a un cimelio storico (Ça ira), mentre più sincere risuonano le note della poesia intimistica, che trovano il loro punto più alto in Pianto antico. Composte quasi parallelamente alle Rime nuove, le Odi barbare (1877-1889) presentano una rivoluzionaria innovazione metrica che apre la strada a più libere forme di poesia, affrancate dall'obbligo della rima e arricchite da ritmi più liberi e ariosi: la tematica inoltre si arricchisce di altri motivi, come quelli imperniati sul mito della romanità e sul gusto romantico delle rovine (Dinanzi alle Terme di Caracalla) o sulla nostalgia di età gagliarde (Nella piazza di San Petronio), mentre in altre liriche (Mors, Nevicata, Alla stazione in una mattina d'autunno) alla realtà precisa e solare si affianca il mistero e l'imponderabile di un mondo senza luce, percorso da sotterranei presentimenti di morte. Sono questi i momenti decadentistici del Carducci, la cui esigenza di perfezione formale e la cui esotica nostalgia dell'Ellade sono state discutibilmente paragonate a identici atteggiamenti dei poeti parnassiani francesi. Ma già nelle ultime Odi barbare e poi nelle Rime e ritmi (1898) si esaurisce la migliore ispirazione carducciana e prevalgono l'evocazione erudita, il paesaggio oleografico, l'eloquenza deteriore. Prosatore nervoso e colorito (Confessioni e battaglie, 1882-84), infaticabile studioso di molta parte della tradizione letteraria italiana, Carducci ha lasciato scritti critici e contributi eruditi importanti su Petrarca, Poliziano, Parini, Leopardi, ma anche su scrittori minori. Al gusto del critico educato alla scuola di Sainte-Beuve - quindi ostile al De Sanctis e allo storicismo napoletano - Carducci ha saputo unire lo scrupolo del filologo, rivelatosi anche in molte edizioni di classici. Si deve infine ricordare il suo alto magistero di insegnante.







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