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ALTRI DOCUMENTI
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LUIGI PIRANDELLO
VITA
La vita e la produzione artistica di Pirandello possono essere distinte in quattro fasi:
1. l'intellettuale: scrive racconti e il romanzo L'esclusa, lasciando le opere teatrali nel cassetto;
2. la declassazione (1903-1910): continua tuttavia a scrivere racconti;
3. il teatro (1910-1930): si ha la prevalenza di commedie;
4. la fase finale (1930-1936): Pirandello raccoglie le sue opere e scrive I giganti della montagna.
Luigi Pirandello è, come anche Verga, siculo; nasce infatti nel 1867 a Girgenti (Agrigento) da una famiglia agiata e borghese (il padre possiede miniere di zolfo). Il pensiero politico del luogo in cui nasce è prevalentemente garibaldino-rinascimentale. Frequenta il liceo a Palermo e poi si iscrive alla facoltà di lettere a Roma. Dopo un bisticcio con un professore va a Bonn dove si laurea in filologia romanza. Il soggiorno tedesco è importante perché in Germania entra in contatto con i letterati romantici, i quali lo influenzeranno per quanto riguarda l'umorismo.
Nel 1892 comincia a dedicarsi alla letteratura, scrivendo a Roma il romanzo L'esclusa. Riesce così a vivere di letteratura per mezzo degli assegni che il padre gli corrisponde. Si sposa intanto con una siciliana con la quale va a vivere a Roma, trovando occupazione come professore di lingua italiana all'Università. Scrive la prima commedia, Il nibbio.
Nel 1903 il padre ha un crack finanziario: la sua miniera di zolfo si allaga. Questo provoca:
- la crisi psicologica della moglie di Pirandello (che diventerà ben presto pazza);
- la declassazione.
La gelosia della moglie e la condizione matrimoniale cominciano a essere sentiti da Pirandello come una trappola. Egli deve inoltre lavorare il doppio per vivere; continua quindi a fare l'insegnante e a scrivere libri, lavorando anche per il cinema e scrivendo soggetti per alcuni film. Comincia così a sentirsi un intellettuale sfruttato dalla società.
Nel 1910 si occupa di teatro e fa rappresentare le commedie Lumìe di Sicilia e La morsa. Diventa così scrittore di teatro anche se non lascia del tutto perdere i racconti e la letteratura. Sempre per il teatro scrive Il piacere dell'onestà, Pensaci Giacomino, Se non così, Lì o là, Il gioco delle parti.
Nel 1915 c'è la guerra: Pirandello si schiera su posizioni interventiste perché vede nella guerra la fine del Risorgimento. Stefano, il figlio, viene catturato e non riesce a riscattarlo. Le condizioni della moglie quindi peggiorano e viene ricoverata. Dietro l'umorismo di Pirandello c'è sempre il tragico così come dal tragico nasce il comico.
Nel 1920 abbandona il lavoro di insegnante. Nel 1921 scrive Sei personaggi in cerca d'autore, che all'inizio non ha molto successo ma nelle ultime rappresentazioni sì. Pirandello decide quindi di dedicarsi definitivamente alle commedie abbandonando la cattedra. Nel 1925 diventa direttore del teatro d'Arte a Roma (siamo già sotto il fascismo) e si lega all'attrice Marta Abba. Il fascismo provoca in Pirandello sostanzialmente due reazioni e comportamenti:
- dapprima lo accoglie con favore perché promette ordine, legalità e non più scioperi;
- dopo il delitto Matteotti (1924) anche lui deve però aderire al regime. Sotto sotto è però un anarchico, perché vorrebbe liberarsi e rifiutare i vincoli e le imposizioni della società; segue quindi l'altro lato del fascismo, ovvero quello rivoluzionario. Ben presto si accorge però che quella del fascismo è solo una maschera che dissimula il suo carattere autoritario. Per continuare a lavorare liberamente decide comunque di non opporsi ad esso, se ne sta in disparte e lo disprezza.
Così nel 1930 si allontana un po' dal fascismo. Raccoglie le sue opere nelle Novelle per un anno e le produzioni teatrali in Maschere nude. Nel 1934 riceve il Nobel per la letteratura. Lavora molto per il cinema, il quale si propone di riprodurre alcune sue opere (come ad esempio Il fu Mattia Pascal).
Nel 1936 muore d'infarto lasciando incompiuto I giganti della montagna, terminato poi dal figlio.
POETICA
La poetica che sta alla base della produzione pirandelliana è unitaria.
Pirandello è influenzato dai filosofi del tipo di Bergson, dai quali ricava una concezione vitalistica della vita intesa come un fluire continuo e incessante, come uno slancio vitale e un perpetuo movimento di trasformazione e di evoluzione. Ogni volta che l'uomo cerca però di bloccare questo fluire per crearsi una forma (ovvero una personalità propria) comincia a "morire" e a inaridirsi, poiché la vita non si può bloccare.
Le forme nelle quali l'uomo cerca di intrappolarsi sono quindi falsità, non sono la vita ma sovrastrutture. L'uomo tende a crearsi forme e categorie che però non gli corrispondono, perché esse si configurano come maschere e personalità vuote: l'uomo crede di essere uno ma in realtà è centomila.
La possibilità di capire e di vedere la realtà è per Pirandello relativa e soggettiva. Ognuno ha difatti la sua visione della realtà, che in quanto tale è personale e limitata, ognuno vede quello che vuole e che può vedere. Ogni visione è quindi diversa e gli individui non riescono a comunicare perché non hanno un a visione univoca delle cose: il proprio giudizio non sempre corrisponde con quello altrui e ciò determina l'impossibilità di comunicare. Si perviene così al relativismo dei valori.
Si arriva quindi anche alla crisi della società, ma in particolare dell'intellettuale, che è declassato, e dell'individuo, che si ritrova:
- ad essere come un burattino per la meccanizzazione del lavoro e la ripetitività dei gesti portate dall'industria;
- ad essere spersonalizzato nelle metropoli, dove gli apparati burocratici rendono l'impiegato un mezzo e l'uomo di importanza infinitesimale;
- ad essere "distrutto" e soppiantato dalle concentrazioni monopolistiche e dai grandi complessi industriali che distruggono l'individualità e l'uomo stesso.
Nella prima fase del Decadentismo, in seguito alla crisi del Positivismo, l'intellettuale si ritira così nell'io (nella coscienza, unico punto di riferimento) perché capisce che non si può conoscere la realtà. Solo che con Pirandello, nella seconda fase del Decadentismo, l'io è frantumato. Egli infatti critica tutti quei tentativi di bloccare la spontaneità degli individui con le convenzioni sociali e borghesi (che sono delle maschere), quali soprattutto il matrimonio ma anche il lavoro, il quale determina per gli impiegati una condizione oppressiva che rende l'uomo prigioniero di schemi e regole. L'io è frantumato perché ogni tentativo di crearsi una personalità definita (ovvero un io) fallisce. L'io, in fin dei conti, non esiste, giacché ogni tentativo di bloccare la vita e di costruire una forma ferma la vita stessa portando alla morte. Ci sono quindi due "categorie" di personaggi pirandelliani, distinguibili in base alla loro reazione di fronte a questa questione. Tali personaggi riflettono quindi anche l'atteggiamento dello stesso uomo moderno:
- ci sono quelli che non si rendono conto del problema e di non poter essere "unici";
- ci sono quelli che comprendono il fatto che ognuno giudica in modo diverso, ovvero che non è possibile avere una visione della realtà valida per tutti. La loro prima sensazione di fronte a questa consapevolezza è prima di smarrimento e di dolore, e quindi di pessimismo. Questi personaggi capiscono bene che per l'individuo non ci sono soluzioni né vie d'uscita, che all'uomo non resta altro che tirarsi in disparte senza pretendere di cambiare le cose. Essi però iniziano con l'accettare questa condizione e dall'esterno possono ridicolizzare chi pensa di avere la verità. L'uomo è quindi un burattino, un forestiero della vita, e la vita una pupazzata. Per Pirandello, come per Verga, il cambiamento non è possibile.
L'intellettuale (che ha realmente capito come stanno le cose) dall'alto della sua consapevolezza guarda gli altri con umorismo, ovvero con pietà (comica) ma anche con irrisione. Dietro l'umorismo pirandelliano c'è però sempre una parte di tragico (ovvero di pessimismo), come anche dal tragico si intravede e nasce il comico.
La poetica pirandelliana è quindi basata sul relativismo conoscitivo e sul soggettivismo (il reale è frammentato e multiforme, non ci sono comprensioni complessive perché la realtà è frantumata). Mentre però i decadenti affermavano che oltre la frantumazione della realtà è possibile ritrovare nelle cose stesse la vera essenza, Pirandello ritiene che, oltre questa frantumazione, non sia possibile nessuna unità e nessuna ricerca della vera essenza. Inoltre l'epifania, ovvero il momento di ispirazione divina che fa congiungere con l'Assoluto, mentre per i decadenti è possibile per Pirandello non lo è più. Pirandello comincia quindi a prendere le distanze dal Decadentismo. Chi accetterà invece la macchina della modernità saranno i futuristi.
Il pessimismo nasce dalla crisi dell'individuo che nel mondo moderno si ritrova senza personalità e senza un'interiorità su cui possa contare.
La poetica dell'umorismo, che traduce la visione di Pirandello circa la vita, si ritrova in un saggio del 1908, intitolato appunto L'umorismo, il quale si divide in due parti:
- la parte storica, ovvero dell'arte umoristica;
- la parte teorica, nella quale esplica la teoria sull'umorismo. Un'opera d'arte nasce dal libero movimento interiore ed è quindi essa stessa espressione del movimento. L'artista quando compone solitamente non riflette ma usa i sentimenti. Non c'è quindi riflessione perché essa si traduce in sentimento. L'umorista usa però la riflessione perché gli permette di scomporre e analizzare anche i sentimenti (cfr. l'esempio della vecchietta). L'arte umorista non si limita ad evidenziare il paradosso (ovvero l'avvertimento del contrario) ma cerca di spiegarlo, andando in fondo al comportamento umano. Infatti l'artista cerca di capire con la riflessione perché una persona si comporta in un certo modo e quindi indaga sui sentimenti. Nell'artista nasce perciò anche la pietà.
Per Pirandello l'arte è sempre accompagnata dalla consapevolezza di sé; essa non è inoltre armonica ma stridente (fuori di chiave) e pluriprospettica perché evidenzia l'aspetto contraddittorio e paradossale della realtà, una realtà che essa riproduce fedelmente. L'arte tende quindi a scomporre e non a ricomporre perché mette in evidenza le sue assurdità (antinomie).
OPERE
La variegata produzione pirandelliana comprende poesie, novelle, romanzi e opere teatrali.
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Già col pirandellismo si ha una ripetizione stanca degli stessi temi. Al posto dell'umorismo (nelle novelle) e del grottesco (nel teatro) si ha una poetica irrazionale e misticheggiante.
Se prima non c'era unità ora Pirandello va alla ricerca di valori al di là: sembra infatti tornare alle poetiche del Decadentismo con quella che si potrebbe definire una "involuzione". Nel primo Novecento ci sono poi le avanguardie e col fascismo si ha un ritorno all'ordine e l'arte acquisisce un valore simbolico e mitico.
Dimostrazione di questa nuova poetica sono i drammi teatrali:
- Lazzaro;
- I giganti della montagna;
- Nuova Colonia.
L'avvenuto cambiamento si nota sopprattutto:
- nell'ambientazione. L'atmosfera è ora mitica e simbolica e i luoghi diventano leggendari. In Nuova Colonia c'è un'isola dove si rifugia un gruppo di contrabbandieri per creare una società utopica. In Lazzaro c'è una campagna che si configura come un'isola felice. Nei Giganti c'è una villa dove il mago Cotrone fa incantesimi;
- nelle azioni, che non sono più quotidiane (come tradimenti, matrimoni, etc.) ma anche fantastiche.
I giganti della montagna |
Parla di un'attrice che vorrebbe portare l'arte e il messaggio estetico fra gli uomini e rappresentare così la favola del figlio cambiato. Il pubblico però rifiuta l'arte e lei chiede aiuto al mago Cotrone, il quale la dissuade e le consiglia di andare dai giganti. Sennonché tutti gli attori e anche lei stessa vengono sbranati dai servi dei giganti. Il dramma viene ultimato dal figlio di Pirandello secondo gli appunti lasciati dal padre. Il racconto assume un forte significato simbolico secondo il quale: - i giganti rappresenterebbero il potere, ovvero il fascismo, col risultato che l'arte, se vuole sopravvivere, deve adeguarsi e chiedere aiuto al potere; - i servi dei giganti raffigurerebbero i gerarchi fascisti, servi del potere. Da ciò Pirandello si pone il problema del rapporto tra arte e potere. Secondo lui l'artista deve rinunciare al rapporto col pubblico e chiudersi finalmente nella sua arte, di fronte ad un pubblico che non lo capisce e che non vuole capirlo. |
In questo periodo Pirandello scrive inoltre le novelle raccolte negli ultimi libri di Novelle per un anno, come:
- Berecche e la guerra;
- I piedi nell'erba, che tratta del ritorno alla natura;
- Una giornata.
Sono novelle nelle quali Pirandello scava nell'inconscio dei personaggi e affronta temi come la morte e la meccanizzazione della società moderna.
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