Caricare documenti e articoli online 
INFtub.com è un sito progettato per cercare i documenti in vari tipi di file e il caricamento di articoli online.


 
Non ricordi la password?  ››  Iscriviti gratis
 

Storia delle relazioni internazionali - LA POLITICA ESTERA DI PIETRO NENNI: DISEGNO TEORICO E ATTUAZIONE PRATICA

politica






UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI FIRENZE

FACOLTA' DI SCIENZE POLITICHE

"CESARE ALFIERI"







TESI DI LAUREA IN    Storia delle relazioni internazionali





LA POLITICA ESTERA DI PIETRO NENNI: DISEGNO TEORICO E ATTUAZIONE PRATICA

( ottobre 1946 - gennaio 1947 )








INDICE

Orientamenti Bibliografici  2


OPERE DI CARATTERE GENERALE   3

OPERE E ARTICOLI SU NENNI E I SOCIALISTI   6


Premessa  10


Parte I: I SOCIALISTI NELLA RICOSTRUZIONE ITALIANA  15


Capitolo I: ITALIA E PSI NELL'IMMEDIATO DOPOGUERRA   16

Capitolo II: LA POLITICA ESTERA DEL PARTITO SOCIALISTA 48


Parte II: UN SOCIALISTA A PALAZZO CHIGI    65


Capitolo III: LA FIGURA DI PIETRO NENNI   66

Capitolo IV: PERCHÉ NENNI AL MINISTERO DEGLI ESTERI?   

CONSENSI E RISERVE 88


Parte III: IL DISCORSO DI CANZO: OBIETTIVI DELLA POLITICA ESTERA__________ ______ ____ _____ _______ ______ ___________ _


Capitolo V: AVVICINAMENTO ALLA GRAN BRETAGNA LABURISTA  104

Capitolo VI: FIRMA E REVISIONE DEL TRATTATO DI PACE 125

Capitolo VII: ACCORDI COMMERCIALI, EMIGRAZIONE E GLI ALTRI TEMI DELLA POLITICA ESTERA DI NENNI 150


Conclusioni 165

ORIENTAMENTI BIBLIOGRAFICI

OPERE DI CARATTERE GENERALE



Vol. VII - 1947 - Atti Parlamentari Assemblea Costituente


Vol. II - 1946 - Foreign Relations of the United States (Washington, U. S. Government Printing Office)


Vol. IV - 1946 - Foreign Relations of the United States (Washington, U.S. Government Printing Office)


Vol. 3 - Serie X - Documenti Diplomatici Italiani (1943 - 1948)


Vol. 4 - Serie X - Documenti Diplomatici Italiani (1943 - 1948)


G. Andreotti De Gasperi visto da vicino, Rizzoli, Milano, 1987


G. Andreotti Intervista su De Gasperi (a cura di A. Gambino), Saggi Tascabili Laterza, Bari, 1977


G. Andreotti La Democrazia Cristiana, 1943 - 1948, Cinque Lune, Roma, 1975


P. Cacace Vent'anni di politica estera italiana (1943 - 1963), Roma, Bonacci, 1986


B. Cialdea - M. Vismara (a cura di), Documenti della pace italiana, Roma,1947


E. Collotti Collocazione internazionale dell'Italia dall'armistizio alle premesse dell'alleanza atlantica (1943 - 1947), in L'Italia dalla liberazione alla repubblica, Feltrinelli, Milano 1977


D. De Castro La questione di Trieste. L'azione politica e diplomatica italiana dal 1943 al 1954, LINT, Trieste, 1981


M. De Cecco La stabilizzazione del 1947, in Saggi di politica monetaria, Giuffrè, Milano, 1967


E. Di Nolfo Storia delle relazioni internazionali 1918 - 1992, Bari, ed. Laterza, 1995


E. Di Nolfo - R. H. Rainero - B. Vigezzi (a cura di), L'Italia e la politica di potenza in Europa (1945 - 1950), Milano, Marzorati, 1988


E. Di Nolfo La Repubblica delle speranze e degli inganni. L'Italia dalla caduta del fascismo al crollo della Democrazia Cristiana, Firenze, Il Ponte alle Grazie, 1996.


E. Di Nolfo Le paure e le speranze degli italiani (1943 - 1953), Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1986.


D. W. Ellwood L'alleato nemico. La politica dell'occupazione anglo-americana in Italia 1943 - 1946, Feltrinelli, Milano, 1977.


L. V. Ferraris Manuale per la politica estera italiana 1947 - 1993, Bari, ed. Laterza, 1996.


A. Gambino Storia del dopoguerra. Dalla liberazione al potere Dc, Ed. Laterza, Bari, 1978.


A. Graziani L'economia italiana dal 1945 a oggi, Il Mulino, Bologna, 1979.


S. Lanaro Storia dell'Italia repubblicana. Dalla fine della guerra.agli anni novanta, Marsilio, Venezia, 1992.


G. Mammarella L'Italia contemporanea 1943 - 1989, Il Mulino, Bologna, 1990.


R. Morozzo della Rocca, La politica italiana e l'Unione Sovietica (1944 -1948), Roma, La Goliardica, 1985.


E. Ortona Anni d'America. La ricostruzione 1944 - 1951, Bologna, Il Mulino, 1984.


P. Pastorelli La politica estera italiana nel dopoguerra, Bologna, Il Mulino, 1986.


E. Piscitelli Del cambio o meglio del mancato cambio della moneta nel secondo dopoguerra, su Quaderni dell'Istituto romano per la storia d'Italia dal fascismo alla resistenza, n. 1, 1969.


I. Poggiolini Diplomazia della transizione. Gli alleati e il problema del trattato di pace italiano (1945 - 1947), Firenze, Il Ponte alle Grazie, 1990.


S. Romano Guida alla politica estera italiana, Milano, Rizzoli, 1993.


M. Salvati Economia e politica in Italia dal dopoguerra a oggi, Garzanti, Milano, 1984.

P. Saraceno Intervista sulla Ricostruzione, 1943-53, a cura di Lucio Villari, Ed. Laterza, 1977.


S. Sechi Tra neutralismo ed equidistanza: la politica estera italiana. verso l'URSS 1944-1948, su Storia Contemporanea, n.4, Agosto 1987.


A. Tarchiani Dieci anni tra Roma e Washington, Verona, Mondadori, 1955.


M. Toscano Storia diplomatica della questione dell'Alto Adige, Ed. Laterza, Bari, 1968.


A. Varsori La politica estera italiana nel secondo dopoguerra (1953 - 1957), Milano, LED, 1993.


A. Varsori La Gran Bretagna e le elezioni politiche italiane del 18 aprile 1948, in Storia Contemporanea, XIII, 1982, n


G. Vedovato Il trattato di pace con l'Italia, Leonardo, Firenze, 1947.



OPERE E ARTICOLI SU NENNI E I SOCIALISTI



D. Ardia Il partito socialista e gli Stati Uniti, nel vol.: Italia e Stati Uniti durante l'amministrazione Truman, Milano, 1976.


D. Ardia Il Partito Socialista e il Patto Atlantico, Franco Angeli Ed., Milano, 1976.


Gian G. Bassano I migliori anni di Palazzo Chigi, in Nuova Antologia, genn. - apr. 1961, pp. 212 - 213.


A.Benzoni I socialisti e la politica estera, nell'opera: La politica estera della repubblica italiana - vol.3 -,Milano, 1967.


A. Benzoni Il partito socialista dalla resistenza a oggi, Marsilio, Venezia, 1980.


A. Benzoni - V. Tedesco, Il movimento socialista nel dopoguerra, Padova, 1968.


A. Canavero Nenni, i socialisti italiani e la politica estera, in: Di Nolfo- Rainero-Vigezzi (a cura di), L'Italia e la politica di potenza in Europa (1945 - 1950), Marzorati, Milano, 1988.


G. Caporaso Nostra politica estera, in Il Socialismo, nov. - dic. 1946


P. Caridi La scissione di Palazzo Barberini, ed. Scientifiche, Napoli, 1990.


Z. Ciuffoletti - M. Degli Innocenti - G. Sabbatucci, Storia del P.S.I. 3 Dal Dopoguerra a Oggi -vol.3-, ed. Laterza, Bari


E. Di Nolfo Il socialismo italiano tra i due blocchi. Atti del convegno di Parma, gennaio 1977, a cura dell'Istituto Socialista di Studi Storici, Roma, Mondo Operaio, ed.Avanti! 1977.


E. Di Nolfo I problemi dell'internazionalismo socialista durante la guerra fredda, in " Storia del Partito Socialista dalla guerra fredda all'alternativa ", a cura della Fondazione Brodolini, Marsilio Ed., 1980, Venezia.


E. Di Nolfo - G. Muzzi La ricostituzione del Psi. Resistenza, Repubblica e Costituente, 1943 - 48, in Storia del socialismo italiano, diretta da G. Sabbatucci, Vol. V, Il Poligono, Roma, 1981.


G. Manacorda Il socialismo nella Storia d'Italia, Laterza, Bari 1966.


P. Nenni Intervista sul socialismo italiano, a cura di G. Tamburrano, Laterza, Bari 1977.


P. Nenni Il cappio delle alleanze, Edizioni Milano Sera, 1949.


P. Nenni Tempo di guerra fredda. Diari 1943 - 1956, a cura di G. Nenni e D. Zucaro, SugarCo, Milano 1981.


P. Nenni Il Vento del Nord. Giugno 1944 - giugno 1945, a cura di D.Zucaro, Einaudi, Torino 1978.


P. Nenni Discorsi parlamentari (1946 - 1979), Camera dei deputati, Roma 1983.


P. Nenni Il problema italiano, su Politica Estera, n. 7-8, 1944.


P. Nenni Perche?, in numero di Mondo Operaio, 4/12/1948.


P. Nenni L'Europa che rinasce che cosa sarà?, su Avanti!, 15/9/1944.



P. Nenni Il Labour Party e la pace, su Avanti!, 13/10/1944.


P. Nenni Come ci vedono da Londra, su Avanti!, 21/12/1944.


P. Nenni Gli agitati, su Avanti!, 13/5/1945.


P. Nenni Perché un ambasciatore nella capitale di Franco?, su Avanti!, 9/2/1945.


P. Nenni Quasi un miracolo, su Avanti!, 5/6/1946.


P. Nenni Niente nemici a sinistra, su Avanti!, 11/8/1946.


P. Nenni Vi chiedo di dare respiro a un popolo lavoratore, su Avanti!, 11/8/1946.


P. Nenni Nessuna complicazione nella politica interna, su Avanti!, 20/8/1946.


P. Nenni La strada maestra, su Avanti!, 21/8/1946.


P. Nenni Non ci sarà crisi sulla politica estera, su Avanti!, 21/8/1946.


P. Nenni Il socialismo avanguardia nella lotta per la democrazia e contro la miseria, su Avanti!, 11/5/1947.


P. Nenni La fine della guerra e i nuovi problemi, in Socialismo, n. 3, maggio 1945.


P. Nenni Buon viaggio e buona fortuna a Ivan Matteo Lombardo su Avanti!, 27/4/1947.


P. Nenni L'Italia, o, se vi piace di più, la patria, su Avanti!, 11/6/1922


P. Nenni Il socialismo per la pace, in Il Socialismo, sett. - ott. 1946.


P. Nenni Il governo è un posto di lotta e di responsabilità, su Avanti!, 2/2/1946.


P. Nenni I nodi della politica estera italiana, a cura di D. Zucaro, Milano, SugarCo, 1974.


S. Neri Serneri Socialisti, guerra e resistenza. Dalla caduta del fascismo alla" svolta di Salerno ", Emmeci, Siena, 1990.


S. Neri Serneri Il partito socialista nella Resistenza. I documenti e la stampa clandestina, 1943 - 45, Nistri Lischi, Pisa, 1988.


M. Punzo Dalla liberazione a Palazzo Barberini. Storia del P.S.I. dalla ricostruzione alla scissione del 1947, Milano, CeluC, 1973.


G. Romita Origini, crisi e sviluppo del socialismo italiano, Roma, 1951.


E. Santarelli Nenni, UTET, Torino, 1988.


E. Santarelli Nenni dal repubblicanesimo al socialismo (1908-1921), su Studi Storici, n. 4, ott. - dic. 1973.


E. Santarelli Pietro Nenni. Profilo e problemi, in Italia Contemporanea, n. 140, 1980.


G. Saragat Quarant'anni di lotta per la democrazia, Milano 1966.


F. Taddei Il socialismo italiano del dopoguerra: correnti ideologiche e scelte politiche (1943 - 1947), Angeli, Milano, 1984.


G. Tamburrano Pietro Nenni, Laterza, Bari 1986.


P. Togliatti La politica dei calci nel sedere, l'Unità, 10/11/1946.


P. Togliatti Per l'Italia e per la pace, l'Unità, 17/11/1946.


C. Vallauri La ricostituzione dei partiti democratici (1943 - 1948), Vol. 3, Bulzoni Ed., Roma, 1978.


A. Varsori Bevin e Nenni, su Il Politico, XLIX (1984).

PREMESSA

Perché Pietro Nenni al ministero degli Affari Esteri, in un periodo in cui i primi segnali dello scoppio della guerra fredda erano sotto gli occhi di tutti, e le ripercussioni sul panorama politico italiano, e soprattutto all'interno del Psiup, stavano per concretizzarsi? Qual'era il suo disegno politico? Come cercò di attuarlo?

Il desiderio di impostare una politica estera socialista autonoma eludendo, in una visione neutralista, la scelta tra i due blocchi, era dovuto ad una finalità squisitamente ideologica, o il frutto di una strategia volta all'estremo salvataggio del movimento socialista? E ancora, la breve esperienza ministeriale ha portato a risultati importanti, modificando l'impostazione di fondo della politica estera italiana? Oppure, più che al bilancio dei tre mesi di permanenza a Palazzo Chigi, bisogna valutare il senso strategico di tale esperienza, riconoscendole un'importanza fondamentale per l'elaborazione di una politica estera socialista nel secondo dopoguerra: politica che neppure il successivo passaggio all'opposizione modificò sostanzialmente?

Tali interrogativi danno fondamento alla necessità di uno studio approfondito del contributo dato da Nenni al ministero degli Esteri, tra il 18 ottobre 1946 e il 28 gennaio 1947, al fine di comprendere in che modo l'esponente socialista cercasse di mediare o, meglio, di eludere la scelta tra i due blocchi. 

Le motivazioni che hanno indotto a svolgere questo lavoro di ricerca storiografica, che vuole anche proporsi come l'occasione per una riflessione critica complessiva dell'esperienza ministeriale dell'esponente socialista romagnolo, sono state principalmente tre. Innanzitutto, l'attore in questione è stato senz'altro uno degli uomini politici italiani più significativi di questo secolo e, in particolare, del socialismo italiano; in secondo luogo il periodo in esame si colloca in un contesto storico cruciale per l'Italia, un paese uscito dalla guerra da appena due anni, che con grandi difficoltà cercava di compiere la sua ricostruzione economica e sociale; infine, il passaggio del leader romagnolo a Palazzo Chigi è rilevante perché per la prima volta un socialista riusciva ad occupare quella poltrona tanto ambita.

La prima parte del presente lavoro si concentra sulla situazione internazionale e sul panorama politico interno all'Italia del secondo dopoguerra, per poter chiarire il contesto in cui si inserisce l'opera di Nenni, con particolare riferimento alle questioni inerenti al Partito socialista e all'analisi della politica estera socialista. Un limite entro cui la trattazione si muove, peraltro non soggettivo, è rappresentato dal relativo disinteresse del mondo politico e della cultura socialista verso i problemi della politica estera (e ciò in consonanza di quanto avviene in generale nella storiografia e nella cultura politica italiana). Infatti i pochi temi trattati sono stati affrontati in modo strumentale alle vicende del panorama politico italiano, come argomento politico-polemico, come momento di dialettica interna al partito, e non come proposta d'azione politica possibile.

La seconda parte affronta la particolare, quanto confusa, formazione dell'" ultimo grande socialista ", come lo definì la ex primo ministro israeliano Golda Meir, e l'analisi del significato che la politica estera rivestiva per Nenni, così da indurlo a una scelta così difficile, cioè quella di assumere la poltrona degli Esteri in un momento delicato per l'Italia e, soprattutto, per il Psiup; non sono tralasciate le motivazioni che indussero l'allora presidente del Consiglio De Gasperi a volerlo a Palazzo Chigi e le reazioni che la nomina suscitò sia nel mondo politico-diplomatico italiano che nei circoli politici all'estero.

Infine, la terza parte della trattazione si concentra sugli obbiettivi che il neoministro si propose, secondo la cui opinione l'Italia, tra neutralismo ed equidistanza, avrebbe dovuto, non solo procedere alla firma del trattato di pace, ma anche risolvere alcuni problemi che il documento lasciava insoluti (in particolare la questione di Trieste) attraverso accordi bilaterali con la Jugoslavia. Il leader socialista considerava particolarmente severe le clausole economiche, per l'entità delle riparazioni alle quali era chiamata l'Italia a vantaggio dell'Urss, della Jugoslavia, della Grecia, dell'Etiopia. In particolare Nenni reclamava la revisione dell'art. 69 (incameramento dei beni all'estero), senza la quale egli temeva che sarebbe andata distrutta l'intera organizzazione commerciale italiana all'estero. Egli considerava, comunque, la stipula del trattato necessaria, per impostare la successiva politica di collaborazione commerciale, utilizzando le premesse poste con l'ammissione al Fondo Monetario e alla Banca Internazionale e con l'auspicata ammissione alle Nazioni Unite. Ciò avrebbe anche permesso di alleggerire la pressione demografica.

Va detto, infine, che la politica estera di Nenni individuava nella Gran Bretagna laburista l'interlocutore privilegiato per l'Italia, poiché il leader socialista italiano sperava che il governo Attlee potesse assumere la guida di un gruppo di paesi " non allineati " nell'emergente contrasto tra Est e Ovest. Così Nenni compì ogni sforzo al fine di essere invitato dalle autorità britanniche ad effettuare una visita ufficiale a Londra. Come era naturale, le considerazioni dell'uomo politico socialista erano influenzate anche dagli sviluppi della situazione interna italiana e d'altronde egli non comprese che i laburisti stavano elaborando una nuova linea politica basata sulla necessità di consolidare i legami tra le nazioni occidentali come risposta alla minacciosa politica del Cremlino. Non c'è dunque da stupirsi se le speranze di Nenni andarono deluse e del resto nel gennaio del 1947, conseguenza della scissione di Palazzo Barberini tra le due anime del socialismo italiano, egli fu costretto a dimettersi dal ministero degli Esteri.

Parte I

I SOCIALISTI NELLA RICOSTRUZIONE ITALIANA Capitolo I

ITALIA E PSI NELL'IMMEDIATO DOPOGUERRA



All'indomani della caduta di Mussolini i partiti antifascisti avevano ripreso la loro azione, nonostante che il 30 luglio 1943 Badoglio avesse emanato un decreto legge, con il quale si vietava la costituzione di qualsiasi partito politico per tutta la durata della guerra. Il primo obbiettivo che gli organi di partito si prefissero fu quello di influire sul governo e di spingerlo ad una rapida conclusione dell'armistizio.

Con l'8 settembre e la fuga del governo Badoglio, l'attività dei partiti antifascisti assumeva due aspetti diversi: al nord diventava lotta clandestina, tesa ad organizzare e a dirigere la resistenza contro il nazifascismo; al sud rimaneva azione politica e lotta per il potere. Comitati di liberazione, spontanee derivazioni di quello nazionale, sorgevano in tutto il paese, ma soprattutto al centro e al nord, dove più intensa si svolgerà l'azione di resistenza. Proprio dall'esperienza clandestina, il Cln acquisterà le sue caratteristiche di organo eccezionale, prima, quale centro coordinatore e organizzatore delle attività partigiane, che iniziano quasi subito nell'autunno del 1943, e di quelle propagandistiche nelle città e nei centri industriali e, successivamente, a liberazione avvenuta, come organo politico e amministrativo locale. Così, mentre nell'Italia del nord e in Toscana la storia dei Cln si intreccia con quella della lotta partigiana, quella del Cln di Roma, di Napoli e di Bari, è soprattutto storia della lotta dei partiti tra di loro, con la monarchia e il suo governo.

Già in quegli anni si preannunciano impostazioni e si rilevano quei caratteri che rimarranno prevalenti durante tutto il primo triennio post-bellico in alcuni partiti e molto più a lungo in altri. Del resto, lo stesso concetto di antifascismo trovava diverse interpretazioni all'interno del Cln. 

Per il Pci, che aveva rinnovato il 28 settembre 1943 il patto di unità d'azione con i socialisti stretto a Parigi nel '34, la lotta contro il fascismo non era che uno dei tanti episodi di un conflitto di ben altre proporzioni, ingaggiato dall'Unione Sovietica contro il capitalismo imperialista. La lotta contro il fascismo era condotta dai comunisti italiani in nome della libertà e della democrazia - in realtà per garantirsi una legittimità da parte delle forze di occupazione -, ma il gruppo dirigente del Partito sapeva che nell'esperienza del comunismo sovietico quelle parole avevano acquistato un ben diverso significato.

Nel momento in cui il Pci era impegnato a blandire tutte le classi, il Partito socialista enunciava una politica di classe. Diversa, dunque, la prospettiva dei socialisti, che portavano nella lotta contro il fascismo il massimalismo (esposto sempre più alle critiche interne delle minoranze riformiste) e l'intransigenza dei movimenti rivoluzionari. Tra i partiti di massa il Psiup merita di ricevere particolare attenzione, poiché si trovava al centro del sistema politico italiano, era il partito che aveva la tradizione più antica di rappresentanza della classe operaia, e in esso convogliavano le speranze e le attese di rinnovamento morale e civile della società. Purtroppo, sin dall'inizio, il Psiup fu paralizzato da condizionamenti che, se non avevano la fissità di certi stereotipi comunisti, erano però tali da provocare incertezze, oscillazioni, sbandamenti e una perdita progressiva di peso politico e di prestigio, sino all'emarginazione. E ciò in un sistema politico dove il Partito socialista, purché lo avesse voluto, avrebbe potuto svolgere una funzione dominante, visto che - come vedremo - alle elezioni del 1946 il suo consenso risultò più ampio di quello comunista.

Ciò che colpisce dei socialisti e soprattutto del principale interprete, Pietro Nenni, è "la possibilità di ridurre la politica alla dimensione della parola"[1], le grandi virtù oratorie e la capacità di fare politica mediante discorsi, che in realtà celavano un'inettitudine a trasformare le parole in azione concreta.

É giusto soffermarsi maggiormente sull'evoluzione del Partito socialista per sottolineare le problematiche - analizzando la polemica strettamente legata al problema dell'organizzazione interna del Partito e quella basata sui contrasti ideologici tra le correnti interne - che porteranno l'11 gennaio del 1947 alla scissione di Palazzo Barberini.

Durante il periodo fascista, in Italia, la presenza del Partito socialista come forza politica organizzata era stata minima: se si eccettuano gli anni 1934 - 1939, durante i quali aveva funzionato il Centro interno, l'attività del Partito aveva avuto come centro principale l'emigrazione. Ancora nel 1943 la sua consistenza organizzativa e la sua capacità di mobilitazione apparivano limitate[2]: caduto il fascismo si trattava di costruire quasi ex novo l'organizzazione del Partito in una situazione che, dopo la scissione del 1921, si presentava del tutto diversa rispetto a quella del periodo in cui era stato redatto l'ultimo statuto, che risaliva al 1919. Il Partito socialista italiano di unità proletaria nacque formalmente il 22 agosto 1943 dalla unificazione del Psi - che in Italia, già nel settembre 1942, era stato ricostituito ad opera di Romita e di Lizzadri - e del Movimento di unità proletaria fondato a Milano da Basso, Luzzatto, Bonfantini ed altri nel gennaio 1943. Il giorno della nascita del Psiup si provvide, tra l'altro, alla costituzione dei nuovi organi direttivi. I presenti elessero la Direzione, composta di 15 membri, e il Comitato centrale (non previsto nello Statuto, che prevedeva solo la Direzione, il Congresso e il Consiglio Nazionale), comprendente i rappresentanti di tutte le regioni, le cui deliberazioni dovevano poi essere recepite da tutti i comitati locali sorti dalla fusione dei due movimenti (Psi e Mup). La riunione, che si tenne a Roma, a casa di Oreste Lizzadri, nei giorni 23-25 agosto, si concluse con l'approvazione di un documento politico in cui si indicavano gli obbiettivi ed il programma dei socialisti, e con l'elezione della prima direzione del ricostituito partito . Pietro Nenni fu acclamato unanimamente segretario e direttore dell'Avanti! e vicesegretari furono nominati Sandro Pertini e Carlo Andreoni, sostituito poco dopo da Giuseppe Saragat. Al punto 6 della piattaforma programmatica , si dichiarava tra l'altro che il Partito socialista intendeva "realizzare la fusione dei socialisti e dei comunisti in un unico partito sulla base di una chiara coscienza della finalità rivoluzionaria del movimento proletario" .

L'obbiettivo dell'unità organica con i comunisti, qui chiaramente espresso, veniva d'altronde riaffermato, all'indomani della ricostituzione, col nuovo Patto di unità d'azione firmato dal Psiup e dal Pci il 28 settembre 1943. Un anno dopo, nel nuovo patto d'unità d'azione dell'8 agosto 1944, la prospettiva della fusione organica non era più menzionata. Per il Psiup, allontanatasi, soprattutto dopo la svolta di Salerno, la prospettiva a breve termine di una fusione con il Pci - prospettiva poi sottoposta a chiara revisione dal Comitato centrale dell'ottobre 1945 e, in seguito, decisamente superata dal Congresso di Firenze del 1946 -, si pose con urgenza il problema della definizione del ruolo e della fisionomia del Partito e, quindi, quello della sua struttura organizzativa.

Analoga intransigenza e tensione morale del Psiup caratterizzava l'antifascismo del Partito d'azione, partito nuovo, formatosi nell'esilio e nell'opposizione clandestina, connotato da una notevole ricchezza intellettuale. Nonostante l'attrazione che il marxismo esercitava su alcuni, l'antifascismo degli azionisti rimaneva di derivazione liberale, ma criticava severamente le personalità dello stato prefascista per non essersi decisamente opposti all'insorgere del fenomeno fascista.

Diversamente, per i liberali - e per il più insigne di essi, Benedetto Croce - il ventennio fascista era stato una parentesi sfortunata nella storia politica del paese: veniva confutata la tesi azionista che il fascismo fosse scaturito dalle contraddizioni e dalle insufficienze democratiche della società post-risorgimentale; al contrario, essa rimaneva il modello cui ispirarsi per la ricostruzione morale e politica del paese.

Il metodo della Democrazia cristiana, campione di quei valori religiosi e sociali che si proponeva di difendere dal rinnovato assalto delle ideologie materialistiche, "era il metodo della libertà e del regime democratico parlamentare ed era sulla loro riconquista piena che insistevano i primi documenti programmatici della Dc, da cui peraltro era esclusa ogni professione di antifascismo; d'altra parte il nuovo partito, che pur avrebbe partecipato con formazioni e uomini propri alla lotta partigiana, anche se non in proporzione al suo peso politico, guardava già al proprio elettorato potenziale, che per la maggior parte era quello che almeno fino alla vigilia della guerra aveva sostanzialmente condiviso la politica del regime fascista, pur respingendone gli eccessi e l'ideologia"[6].

Gli anni dal '43 al '45 saranno dominati dalla questione istituzionale, che verrà momentaneamente accantonata, riservandone la decisione al popolo italiano alla fine delle ostilità. Naturalmente le differenze tra i partiti si riflettevano nei rapporti con il re e la monarchia: l'opposizione più violenta era manifestata dai socialisti e dagli azionisti, convinti che la monarchia rappresentava il più grosso ostacolo, materiale e morale, alla costruzione di una nuova società; i comunisti, pur nutrendo le stesse convinzioni, assumeranno un atteggiamento più tattico, di mediazione tra le sinistre e la monarchia, che Togliatti giustificherà con la necessità di costruire un fronte unico antifascista. Ostili alla monarchia, i repubblicani rimasero fuori del Cln e dai governi fino al referendum istituzionale, mentre i liberali pur valutando positivamente l'istituto monarchico, non negavano le colpe della monarchia sabauda. La Dc, infine, assunse un atteggiamento neutrale.

Il 14 ottobre 1943, nel giorno in cui Badoglio dichiarava guerra alla Germania, l'Italia veniva riconosciuta nazione cobelligerante - con il diritto, affermato nella Carta atlantica, di scegliersi democraticamente la forma di governo alla fine della guerra - da Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Sovietica. Tale qualifica rifletteva meramente la necessità di una qualche forma di riconoscimento per la collaborazione che gli alleati richiedevano; inoltre, con quell'atto, essi speravano di rafforzare il governo del re, garante dell'osservanza del regime armistiziale. D'altra parte, poiché gli alleati, e specie gli inglesi, volevano rimanere liberi di fissare le condizioni della pace finale, fu respinta sistematicamente la richiesta italiana di formalizzazione di una vera e propria alleanza, che verrà ripetutamente avanzata dal governo Badoglio.

Proseguendo la loro politica mirante a rafforzare il governo del re e ad allargarne la rappresentatività, le autorità alleate convinsero Vittorio Emanuele ad includere nel gabinetto Badoglio i rappresentanti dei partiti politici. Il Cln di Napoli (influenzato dalle idee del liberale Croce e del repubblicano Sforza) pose come condizione l'abdicazione del re, che a tale soluzione opponeva un ostinato rifiuto, e del figlio Umberto, sempre restando fermo che la soluzione definitiva del problema istituzionale sarebbe stata rinviata a guerra conclusa; per il momento la Corona avrebbe dovuto essere trasferita al giovane principe di Napoli, figlio di Umberto, che aveva allora sei anni, e la reggenza affidata al maresciallo Badoglio. Mentre gli americani sostenevano nella controversia i partiti antifascisti, non essendo favorevoli né a Vittorio Emanuele né a Badoglio, gli inglesi erano più preoccupati dai potenziali pericoli rappresentati dalle forze di estrema sinistra che dal maresciallo italiano. Elementi tali da sbloccare l'impasse non emersero nemmeno al Congresso dei Cln, tenuto a Bari il 28 gennaio 1944, dove gli intervenuti chiesero la creazione di un governo interpartitico che si attribuisse tutti i poteri costituzionali e dichiarasse decaduto il re, e la trasformazione del congresso in assemblea rappresentativa dell'Italia liberata: tale proposta venne ritenuta inattuabile dai rappresentanti dei Cln meridionali, poiché la sua attuazione in una situazione di occupazione militare sarebbe equivalsa ad un colpo di stato. Il Congresso si chiuse su una generica mozione democristiana sulla necessità di abdicazione del re.

Intanto emersero due fatti nuovi: il primo fu la dichiarazione fatta da Churchill alla Camera dei Comuni il 22 febbraio 1944, "che si riferiva a Badoglio ed al re come al manico della caffettiera bollente della politica italiana alla quale egli non intendeva rinunciare"[7], che provocò le reazioni dei partiti antifascisti; il secondo fu l'inatteso riconoscimento del governo Badoglio da parte dell'Unione Sovietica , che vide una pronta reazione degli anglo-americani, che interpretarono quell'atto come un tentativo dell'Urss di inserirsi in un area che gli accordi avevano assegnato alla loro influenza, che produsse una modifica del riconoscimento da de jure in de facto.

La situazione era confusa e suscettibile di gravi conseguenze per lo stesso Pci ma, a chiarire il senso della mossa sovietica, arrivava dall'Urss Palmiro Togliatti. Il senso della famosa "svolta di Salerno" del leader comunista si risolveva nell'abbandono dell'intransigenza sulla questione monarchica e sulla formazione di un governo di grande coalizione per sostenere energicamente la guerra contro gli invasori tedeschi. Venne raggiunto un accordo, accettato dagli anglo-americani, sulla base di un compromesso proposto dal giurista napoletano Enrico De Nicola, che prevedeva, al momento della liberazione di Roma, il trasferimento dei poteri reali ad un luogotenente generale, il principe ereditario Umberto, senza l'abdicazione di Vittorio Emanuele. Quanto al problema istituzionale, esso sarebbe stato risolto da un'assemblea nazionale costituente eletta a suffragio universale diretto e segreto dopo la fine della guerra. Così il 22 aprile 1944 nacque il primo governo democratico, espressione di tutti i partiti antifascisti, sotto la direzione di Badoglio.

Il successivo 5 giugno, con la liberazione di Roma, Vittorio Emanuele trasferiva al figlio Umberto l'esercizio dei poteri costituzionali di spettanza regia, e lo stesso giorno il primo ministro Badoglio rassegnava le proprie dimissioni al luogotenente. Da questi ricevette l'incarico di formare un nuovo governo, ma su pressioni del Cln venne alla fine designato l'anziano leader della Democrazia del Lavoro, Bonomi, la cui candidatura era sostenuta anche dagli Usa[9].

Il primo atto del nuovo governo fu il decreto legge n. 151, in data 25 giugno, che fissava la convocazione di una Assemblea Costituente appena fossero terminate le ostilità in Italia. Il governo durò in carica quattro mesi, caratterizzati da continui dissensi nella coalizione ciellenista, e le due questioni attorno alle quali si svolse il dibattito furono quella dell'epurazione (proprio il 29 luglio venne pubblicato in proposito il decreto Sforza, che però rimaneva di difficile applicazione per il troppo vasto numero di coloro che si erano trovati compromessi con il fascismo) e quella delle funzioni e dei poteri dei Cln (mentre le forze moderate cominciarono a metterne in discussione la funzione, i partiti di sinistra ne chiedevano un rafforzamento). Proprio sulla questione dell'epurazione cadde il governo[10], ma Bonomi ricostituì subito un secondo governo, sensibilmente spostato a destra per l'assenza dei socialisti e degli azionisti. Mentre la disputa sui Cln veniva praticamente accantonata, la questione dell'epurazione era risolta secondo le richieste dei moderati, cioè con un'applicazione più restrittiva.

A questo punto occorre ricordare il movimento di resistenza[11], che ebbe una parte di primo piano nella storia dei due anni, dal'43 al'45, continuando a svolgere una profonda influenza sulla politica italiana del dopoguerra. Sorto quasi spontaneamente nell'autunno del 1943, esso si sviluppò nei mesi successivi, sino a diventare parte integrante della guerra 717c23h condotta dagli eserciti alleati contro i nazifascisti. Il più consistente contributo alla resistenza venne dalle formazioni partigiane che, nel momento della loro maggiore espansione numerica ed efficienza militare, arrivarono ad impegnare otto intere divisioni nazifasciste, quasi un quarto dell'intero esercito impegnato in Italia. Gran parte dell'esercito partigiano era strettamente collegato con partiti o formazioni politiche. Le brigate "Garibaldi", le meglio organizzate che comprendevano da sole circa la metà dell'intera forza partigiana, erano sotto controllo comunista. Gran parte dei membri delle brigate "Rosselli" e "Giustizia e Libertà" (circa un quinto delle forze partigiane) erano iscritti o simpatizzanti del Partito d'azione o di orientamento socialista. Più tardi anche i democristiani ebbero le loro unità, attive soprattutto nel Veneto, mentre una parte delle formazioni cosiddette "indipendenti", formate di ufficiali dell'esercito, ex carabinieri, erano di orientamento liberale e di fede monarchica..

Obbiettivo di tutti era la lotta contro il fascismo e il nazismo, ma mentre i gruppi "indipendenti" combattevano, in obbedienza agli ordini del governo e della Corona, una guerra che aveva obbiettivi esclusivamente militari, la maggioranza dei combattenti inquadrati nelle formazioni dipendenti dai partiti di sinistra si battevano anche per obbiettivi di carattere politico, per la realizzazione di un ideale di giustizia sociale e per un nuovo assetto della società (non è un caso se, in alcune zone, come in Emilia, parallela alla guerra contro i nazifascisti si svolse una vera e propria lotta di classe contro i possidenti).

Nella primavera del'45, dopo un difficile inverno che aveva visto le truppe alleate bloccate sulla linea Gotica e i partigiani in difficoltà sulle montagne, anche se più attivi in pianura, il comando alleato lanciò la sua offensiva finale e le formazioni partigiane attaccarono le maggiori città del nord: alla data del 25 aprile il Comitato di Liberazione Nazionale dell'Alta Italia teneva sotto controllo i centri maggiori.

Nel contempo l'evoluzione organizzativa delle formazioni partitiche maturava con rapidità. Per quanto concerne l'organizzazione interna del Partito socialista, va ricordato che risale ai primi mesi del 1944 l'elaborazione dello Statuto provvisorio e del Regolamento per l'attività delle Sezioni. La nuova struttura presentava in grandi linee caratteristiche analoghe a quelle dell'organizzazione socialista preesistente al fascismo: il Partito veniva riorganizzato su base territoriale: sezione comunale, federazione provinciale, direzione nazionale. Il Congresso e il Consiglio nazionale erano i massimi organi del Partito cui statuariamente era attribuito il compito di elaborare la linea politica e di fornire alla Direzione indicazioni e direttive. "Negli anni 1944-1945, non essendo stata obbiettivamente possibile la convocazione di un Congresso, tutto il potere di decisione e di iniziativa politica era in pratica nelle mani della Direzione, autoelettasi al momento della ricostituzione e poi quasi integralmente confermata dal Consiglio nazionale del luglio '45. Il Partito si riorganizzò dunque sulla base di una chiara opzione per il centralismo" .

Due erano le esigenze alla base di una organizzazione fortemente centralizzata: rendere politicamente omogeneo il Partito e creare un efficace strumento di presenza e di azione a tutti i livelli, soprattutto per far fronte alla forte espansione di iscritti all'indomani della liberazione. Nell'estate del 1945 la Direzione nominò una commissione incaricata di predisporre un progetto di Statuto da sottoporre al Congresso, ma prima della sua convocazione, il Comitato centrale, emanò nell'ottobre 1945 alcune norme integrative allo Statuto provvisorio del 1944. Contro questa deliberazione votarono Saragat, Simonini, Faravelli e Corsi, che pure avevano dichiarato di condividere la parte politica della mozione Morandi-Pertini-Silone, in cui si superava definitivamente il discorso fusionista. La spaccatura, avvenne proprio su questioni organizzative, non tralasciando l'importanza delle motivazioni ideologiche. È da questo momento che all'interno del Psiup si aprì un vivacissimo dibattito, che diventerà aspra polemica, sui problemi della struttura organizzativa del Partito.

Il contenuto delle norme integrative approvate nell'ottobre '45 prevedeva la costituzione nell'ambito della Direzione di un Ufficio politico con compiti esecutivi, la cui costituzione era vista dal gruppo minoritario di "Critica sociale", Saragat-Faravelli, come un tentativo, da parte della maggioranza di sovrapporsi di fatto alla Direzione, con il chiaro obbiettivo di schiacciare le opposizioni interne. Ma il dissenso di fondo riguardava soprattutto la creazione dei nuclei aziendali che, a giudizio di Critica sociale, avrebbe comportato una estrema capillarizzazione e frammentazione del Partito: la struttura che ne sarebbe derivata sarebbe stata assai simile a quella comunista delle cellule.

Il dibattito sui nuclei aziendali, collegato a quello più generale del definitivo assetto organizzativo del Partito, divampò dall'ottobre 1945, poichè nell'estate la Commissione per lo Statuto non riuscì a elaborare un testo comune, e i suoi lavori si conclusero con due distinti progetti di Statuto[13] - il progetto Basso, che prevedeva norme assai rigide per dare alla maggioranza uno strumento di controllo reale sul partito (diciamo per schiacciare le opposizioni interne!) e che pensava in termini di "guida della classe operaia" , mirante all'unità politica di questa classe, che voleva dire unificazione sulla sinistra, patto d'unità d'azione con il Pci come unico asse della strategia socialista; e il progetto Faravelli, che prefigurava un partito fondato sul principio della massima democrazia di base e che pensava, come Silone, in termini di "coalizione di tutte le classi sociali" attorno alla classe operaia, avvertendo solo come esigenza tattica temporanea l'alleanza con il Pci - che rispecchiavano due concezioni del partito profondamente diverse tra loro e in cui si riflettevano le divisioni, i contrasti politici e le tendenze centrifughe presenti nel Psiup .

Partendo da posizioni molto distanti non fu possibile trovare un accordo e, infatti, al Congresso di Firenze (aprile 1946) la questione dello statuto fu accantonata, e ripresa soltanto nel gennaio 1947, dopo la scissione di Palazzo Barberini della corrente moderata che darà vita al Psli, con l'approvazione del nuovo Statuto, che riprese quasi integralmente le indicazioni del progetto Basso, da parte del Psi.

Con la fine della Guerra si ebbe, dunque, l'inizio di una fase di intensa attività politica, destinata a svolgersi attorno a tre temi di fondo: la scelta istituzionale tra monarchia e repubblica, la nuova costituzione e la ricostruzione economica. All'indomani della liberazione comune a tutti i partiti antifascisti era l'obbiettivo di un rinnovamento della società italiana e delle sue istituzioni. Dai limiti di quel rinnovamento della società italiana, dai presupposti ideologici e soprattutto dai metodi scaturivano le differenze che caratterizzavano una vasta gamma di posizioni politiche sui temi fondamentali della società e dello stato: dall'estrema sinistra, rivoluzionaria nei programmi e gradualista nella prassi, alla destra non completamente sorda alle esigenze nuove, anche se essenzialmente conservatrice. Il quadro della politica italiana appariva quindi ricco e differenziato; ciò si rifletteva naturalmente sulla qualità del dibattito che, grazie anche all'alto grado di partecipazione, fu eccezionalmente vivace e pur sconfinando spesso nelle astrazioni, raggiunse un livello di tensione ideale che non verrà mai più eguagliato negli anni successivi; esso esprimeva un'etica nuova di coerenza e di impegno morale maturati negli esponenti dell'antifascismo in una attesa fatta di rischi e di sacrifici. Tale varietà di soluzioni era tuttavia destinata ad essere passeggera, sotto l'incalzare dei drammatici problemi della situazione post-bellica. Da una parte l'impazienza delle masse proletarie, in attesa non più messianica, come era stato nella tradizione socialista, di profondi rivolgimenti, dall'altra quella delle classi medie, desiderose di un rapido ritorno alla normalità, ridussero nel giro di breve tempo la lotta politica a due sole alternative: quella rivoluzionaria, che gli sviluppi successivi dimostreranno più apparente che reale, e quella moderata-conservatrice.

L'urgenza dei problemi economici (basti pensare che nel'45 la produzione agricola segnava una diminuzione del 60 per cento rispetto a quella del'38 e l'industria subiva perdite pari a circa il 20 per cento delle attrezzature esistenti nel'39)[17], l'impreparazione del paese a valutare il significato delle idee e dei programmi nuovi e certamente la forza di attrazione delle ideologie tradizionali eliminavano la possibilità di soluzioni intermedie, che avrebbero richiesto più vasti margini di tempo e possibilità di sperimentazione escluse dalla congiuntura politico-economica. A questi motivi ne va aggiunto un altro, esterno alla situazione italiana, ma destinato ad influenzarla profondamente: l'avvio della guerra fredda "che ben presto imporrà al paese una scelta tra le posizioni del mondo comunista e quelle dell'Occidente e, più di ogni altro fattore, doveva contribuire all'inasprimento della lotta politica.

Strettamente collegati alle istanze di rinnovamento erano i difficili problemi della ricostruzione. Per i partiti di sinistra - comunista, socialista e d'azione - il problema della modificazione delle strutture politiche e sociali era quello di importanza immediata: si doveva risolverlo oggi approfittando di una situazione favorevole. Per i partiti moderati e conservatori invece, che vedevano le eventuali riforme piuttosto come frutto di una lenta e graduale evoluzione, i problemi della ricostruzione dell'economia e delle strutture amministrative dello stato acquistavano priorità assoluta. Davanti a tale contrasto, che si era già profilato prima della fine della guerra, ma che diventava ben più immediato ora che i problemi si ponevano nella loro concretezza, era naturale che le forze politiche fino allora coesistenti nel Cln tendessero a riprendere la propria libertà di movimento e a precisare le rispettive posizioni.

Il 12 giugno 1945, Bonomi era costretto a dimettersi e, dopo lunghe e laboriose consultazioni, venne designato come presidente del Consiglio Ferruccio Parri, leader del Partito d'Azione; a Nenni andò la vice-presidenza, a De Gasperi il ministero degli Esteri - posizione chiave, se si pensi che si era all'antivigilia del trattato di pace - e a Togliatti quello della Giustizia. Il presidente del Consiglio se intervenne con energia nei confronti dei movimenti separatisti sorti in Sardegna, ma soprattutto in Sicilia, non seppe, al contrario, portare a termine uno degli obbiettivi in materia economica che si era proposto, cioè quello di colpire fiscalmente la grossa industria monopolistica, allo scopo di rimettere in moto la produzione industriale. L'opposizione liberale, ed accuse mosse dagli alleati - "clamorosa fu quella di Amedeo Giannini, un banchiere americano di origine italiana, presidente della potentissima Bank of America, il quale, trovandosi in Italia nel settembre del 1945, dichiarò, nel corso di una conferenza stampa, che gli Stati Uniti non avrebbero inviato aiuti economici all'Italia se si fosse continuato ad operare seguendo le direttrici del governo Parri" [18]- sfociarono in una crisi nella compagine governativa che segnò la fine del gabinetto Parri (24 novembre 1945). Date le importanti scadenze politiche che si preannunciavano, il vuoto lasciato dalla crisi del governo Parri andava prontamente colmato.

Approfittando del disorientamento seguito ad un tentativo, fallito per l'opposizione ciellenista, di costituire un governo capeggiato da una personalità al di sopra dei partiti (Vittorio Emanuele Orlando, Francesco Saverio Nitti) e di un insperato aiuto venutogli dai socialisti, il cui leader Nenni, su consiglio di Togliatti, proporrà ufficialmente la sua candidatura[19], De Gasperi accettava dal luogotenente generale l'incarico e il 10 dicembre presentava il nuovo governo. Nonostante che il gabinetto De Gasperi fosse basato sul concorso di tutti e sei i partiti della coalizione, il suo centro di gravità era spostato a destra, come dimostreranno gli avvenimenti dei mesi successivi. Uno dei primi atti del leader democristiano fu la sostituzione degli eletti dal Cln alle cariche amministrative locali subito dopo la liberazione, con funzionari provenienti da quella burocrazia che i socialcomunisti volevano eliminare. Seguì l'annuncio della definitiva chiusura dei processi di epurazione e, il 3 gennaio 1946 venne varata la nuova legge elettorale amministrativa, che combinava il sistema proporzionale con quello maggioritario, prevedendo l'applicazione di quest'ultimo nei comuni inferiori a trentamila abitanti.

L'approvazione della legge segnò la fine dell'accesa polemica sulla priorità delle elezioni politiche (esigenza sentita essenzialmente dalle sinistre, sicure di una vittoria dovuta al momento più che favorevole) o di quelle amministrative; quest'ultime verranno fissate, in un primo turno, per la primavera, mentre quelle politiche vennero rinviate ulteriormente, seppur di qualche mese.

L'attività del primo gabinetto De Gasperi in favore della ricostruzione del paese incontrò maggiore fiducia e collaborazione da parte delle autorità alleate di quante non erano state concesse a Parri. Si intensificò l'arrivo degli aiuti economici americani secondo il programma UNRRA (United Nations Relief and Rehabilitation Administration) mentre con il 31 dicembre 1945 l'AMG (Allied Military Government) cessava le sue funzioni e veniva trasferita al governo italiano la giurisdizione delle provincie settentrionali, le ultime rimaste sotto il controllo alleato, con l'eccezione delle zone controverse nella regione della Venezia Giulia (Trieste e Gorizia). Rimaneva, tuttavia, fino alla firma del trattato di pace, una Commissione di controllo, con a capo l'ammiraglio americano Stone, con l'incarico di sorvegliare l'attuazione delle clausole armistiziali. I primi mesi del 1946 furono un periodo cruciale nella storia contemporanea internazionale, poiché incominciarono a manifestarsi i sintomi della guerra fredda , ma soprattutto nella storia italiana, perché l'attenzione era tutta rivolta alle elezioni.

Le elezioni amministrative, che si tennero in un primo turno di cinque domeniche consecutive a partire dal 10 marzo, videro l'affermarsi della Democrazia cristiana, del Psi e del Pci (questi ultimi due si presentarono collegati quasi dappertutto), come i partiti a più vasto seguito popolare: è sorprendente il voto di Milano, dove i socialisti furono il primo partito con 231.500 voti, seguiti, da lontano, dai democristiani con quasi 70.000 voti in meno (163.000) e, terzi, dai comunisti con 80.000 voti in meno (152.500). I dati delle elezioni furono indicativi nei confronti dei probabili risultati delle elezioni per l'Assemblea costituente, fissate per il 2 giugno. Considerati i voti raccolti dai partiti ad orientamento repubblicano e i risultati di un referendum interno alla Democrazia cristiana, che dava favorevoli alla repubblica il 73 per cento dei suoi iscritti "(al congresso della Dc dell'aprile 1946, 740.000 iscritti furono a favore della repubblica, 254.000 per la monarchia, 70.000 si astennero)"[21], anche se poi ufficialmente il partito lascerà libertà di voto, il pronostico che se ne ricavava era contrario alla monarchia. Da questa trarranno spunto i monarchici per intensificare la loro propaganda, a cui i partiti repubblicani risponderanno con altrettanto impegno. Nei due mesi di aprile e maggio si svolse, pertanto, la serratissima campagna per la Costituente e il referendum istituzionale, aperta nel Psiup da Pietro Nenni, con un comizio al teatro Bracaccio, a Roma domenica 5 maggio, che incentrò il suo discorso sulla richiesta di una triplice vittoria: per la repubblica, per i lavoratori e per il socialismo . Intanto, prima del referendum, il re abdicava, al fine di influenzare psicologicamente l'elettorato, trasferendo la Corona al figlio Umberto.

Finalmente arrivò il 2 giugno 1946. I risultati del referendum istituzionale furono favorevoli alla repubblica, "quasi un miracolo"[23], con un margine di circa due milioni di voti: 12.718.641 voti pari al 54 per cento del totale andarono alla repubblica, 10.718.502 alla monarchia. I risultati delle elezioni per l'Assemblea costituente avevano confermato le indicazioni emerse nelle elezioni locali parziali della primavera. Gli schieramenti principali erano rimasti pressappoco gli stessi, anche se in diversa combinazione. I socialisti e i comunisti avevano presentato questa volta liste separate, non solo per ragioni tattiche, ma anche per l'affermazione al congresso del Psiup, dell'aprile, di una forte corrente autonomista, contraria alla fusione con i comunisti progettata dalla maggioranza. Liberali e demo-laburisti avevano costituito invece l'Unione democratica nazionale, nel tentativo di risollevare le sorti delle forze di destra, la cui debolezza elettorale era chiaramente apparsa nelle elezioni amministrative.

Le elezioni per l'Assemblea costituente videro, dunque, la Dc come primo partito in Italia con una percentuale di suffragi pari al 35,2 %, seguita dal Psiup con il 20,7 %, e dal Pci con il 18,9 %. La prima riunione del nuovo organo fu tenuta il 25 giugno 1946. Giuseppe Saragat, leader socialista e capo della corrente autonomista all'interno del partito, venne eletto alla presidenza. Due giorni dopo veniva scelto il capo provvisorio dello stato, nella persona di Enrico De Nicola. Mentre l'Assemblea si accingeva al suo lavoro destinato a durare un anno e mezzo, si svolgevano le consultazioni per la formazione del nuovo governo. "Centralità" socialista, alleanza politica della sinistra estesa alla Dc e concretizzata in un programma comune di governo imperniato sulle riforme di struttura[24]: questa l'impostazione "tecnocratica e riformatrice " - tipicamente morandiana - su cui il Psiup, e Nenni in prima persona legato a Morandi, si attestava alla vigilia della costituzione del nuovo governo. Successivamente Nenni, nella tarda estate del 1946, metterà in crisi l'asse che lo legava a Morandi e si avvicinerà alle posizioni di Basso: si tratterà da questo momento per Nenni di battere il disegno centrista, ancorando il Psiup a sinistra e contemporaneamente di contenere l'egemonia del Pci sullo schieramento progressista, legandolo ad una piattaforma politica democratica e chiamando a raccolta le disperse forze della sinistra laica, tutto ciò prima che la spaccatura internazionale si verifichi e si ripercuota all'interno della situazione italiana . Il disegno di Nenni, che tra l'altro lo vedrà presente a Palazzo Chigi in funzione della sua strategia, oltre che del suo amore per la politica estera, fallirà nel gennaio del 1947 con la scissione di Palazzo Barberini. Il nuovo governo, dunque, si costituì il 13 luglio 1946 sotto la direzione di Alcide De Gasperi, e oltre a Dc, Psiup e Pci, incluse anche il Pri, lasciando fuori gli azionisti e i liberali. Il programma si riassumeva in tre punti principali, di cui i primi due erano strettamente collegati: la continuazione dell'opera di ricostruzione dell'economia; la difesa dell'ordine pubblico; la questione del trattato di pace.

In relazione al trattato di pace, va detto che l'Italia, alla fine della guerra, venne a trovarsi in uno stato di quasi completo isolamento sul piano dei rapporti internazionali: mentre piena, almeno sul piano formale, era la sovranità del governo in materia di politica interna, i rapporti di politica estera erano ancora subordinati al rispetto delle condizioni armistiziali; la sorveglianza sulla loro applicazione era demandata alla Commissione di controllo. Fino a quando il trattato di pace non fosse stato firmato, l'Italia era destinata a rimanere in una specie di limbo in attesa di giudizio, che si prevedeva duro, e su cui il governo italiano aveva scarsissime possibilità di influire. La preparazione del trattato fu lunga e dette luogo fra le potenze vincitrici a più di un contrasto, nei quali la diplomazia italiana, capeggiata, prima, da De Gasperi, poi, da Nenni, tenterà di incunearsi per poter ottenere migliori condizioni. In seguito alle decisioni prese alla conferenza di Potsdam dai tre "grandi", la prima conferenza sul trattato di pace con l'Italia fu convocata a Londra, nel settembre 1945, a livello dei ministri degli Esteri delle potenze vincitrici. Successivamente altri incontri si ebbero a Parigi nella primavera e nell'estate del'46. Venne messo a punto un progetto di trattato che fu presentato all'approvazione dei rappresentanti delle 21 nazioni partecipanti alla conferenza della Pace, tenutasi a Parigi dal 30 luglio al 15 ottobre 1946[28]. Le proposte avanzate alla conferenza della Pace furono riprese dal Consiglio dei quattro ministri degli Esteri (Usa, Urss, G.B., Fr.), che riunitosi nel dicembre 1946 a New York completò il trattato. Esso fu firmato dai rappresentanti italiani a Parigi il 10 febbraio 1947 e, il 31 di luglio, l'Assemblea costituente ne autorizzò la ratifica.

Le clausole militari del trattato prevedevano la smilitarizzazione delle frontiere; la forza dell'esercito italiano veniva limitata a 185.000 uomini più 65.000 carabinieri; venivano proibiti gli aerei da bombardamento e la forza navale doveva limitarsi a due navi da battaglia, quattro incrociatori, quattro cacciatorpedinieri, venti corvette e altro naviglio minore. Dure erano le clausole finanziarie, soprattutto l'indennizzo nei confronti dell'Unione sovietica, inizialmente stimato in 600 milioni di dollari, ma poi ridotto, grazie ai buoni uffici degli Stati Uniti, a 100 milioni di dollari.

In conseguenza del trattato l'Italia fu costretta a cedere alla Francia i territori attorno ai due villaggi alpini di Briga e Tenda, la zona del Moncenisio ed alcune rettifiche minori; alla Grecia l'isola di Rodi, con tutto il gruppo del Dodecaneso; e alla Jugoslavia tutta l'Istria compresa la città di Pola e quasi tutta la Venezia Giulia.

Per quanto riguarda il confine orientale, è da notare che venne creato il cosiddetto "Territorio Libero di Trieste" - la soluzione scelta fu quella francese poiché, mediava tra la posizione jugoslava, appoggiata dai sovietici, e quella italiana, sostenuta dagli Stati Uniti, che teneva particolarmente conto del fattore etnico -, diviso in una Zona A (comprendente la città di Trieste), occupata dagli anglo-americani, e in una Zona B (corrispondente all'Istria settentrionale), occupata dagli Jugoslavi.

La questione altoatesina trovò invece sistemazione proprio a latere della conferenza parigina, in una soluzione bilaterale, attraverso il protocollo De Gasperi - Gruber (5 settembre 1946), che "non conteneva un esplicito riferimento alla rinunzia austriaca ad ogni rivendicazione territoriale (per ragioni di politica interna austriaca), ma lasciava pochi dubbi in proposito" .

L'Italia dovette poi rinunciare - come era prevedibile - all'Albania (costituitasi in repubblica) e perse inoltre l'Etiopia, che aveva riacquistato l'indipendenza fin dal'41. Per quanto riguarda i possedimenti del periodo pre-fascista, la mancanza di un accordo fra le potenze alleate determinò la necessità di rinviare di un anno, dalla firma del trattato di pace, l'esame del problema delle colonie africane, sulle quali, comunque, l'Italia già rinunciava a qualsiasi diritto di sovranità.

Negli obiettivi del secondo gabinetto De Gasperi, di grande importanza era la restaurazione della pace sociale e la riaffermazione dell'autorità dello Stato. In tal senso restaurare l'ordine pubblico significava limitare gli scioperi, specie quelli di natura politica, ristabilire la disciplina nelle fabbriche, eliminare l'atmosfera di pressione psicologica che le masse organizzate dai partiti di estrema esercitavano sulle classi meno abbienti. Col ristabilimento del controllo sulla piazza, si mirava a privare i partiti di sinistra di una delle loro armi più efficaci, quella della pressione politica esercitata attraverso la mobilitazione delle masse. A tale scopo, De Gasperi, che oltre la funzione di primo ministro esercitava quella di ministro degli Interni - suscitando le critiche socialiste, ma non di Nenni che invece preferì gli Esteri agli Interni -, intraprese un'azione di rafforzamento degli organi di polizia che si scontrò con l'aperta opposizione dei socialcomunisti. Tumulti e manifestazioni popolari si ebbero nei confronti dei prefetti di nuova nomina, mentre azioni di resistenza, che in certi casi assunsero il carattere di vere e proprie ribellioni, si manifestarono nel corpo di polizia. Durante il luglio 1946, nelle grandi città industriali scoppiarono una serie di scioperi: la protesta di natura economica per il costo della vita in rapido aumento si confondeva con quella politica contro l'azione degasperiana.

Uno dei primi atti del secondo gabinetto De Gasperi fu la concessione di una speciale indennità ai lavoratori salariati dell'industria e dell'agricoltura. L'indennità, che era stata concordata con i socialcomunisti per ottenerne l'assenso alla rinuncia del cambio della moneta[30], costò al bilancio statale più di trenta milioni ed ebbe come risultato di fare aumentare i prezzi, con grave danno di altre categorie a reddito fisso, come quella degli impiegati, e di suscitare il malcontento delle classi medie, che - apertamente anticomuniste - guardavano con sospetto alla coesistenza nel governo di partiti così ideologicamente diversi. La stampa di destra sfruttava abilmente quel malcontento e accusava De Gasperi di immobilismo e di inefficienza nei confronti della lotta contro l'inflazione che stava polverizzando i redditi e i risparmi delle classi medie. La ripresa degli investimenti privati determinata dalla rinuncia al cambio della moneta metteva in moto una spirale inflazionistica. Fino ad allora il governo aveva fatto fronte alle urgenti spese richieste dal rapido ritmo assunto dalla ricostruzione, oltre che con gli aiuti alleati, con emissione di buoni del Tesoro, ma la ripresa della produzione e degli investimenti finiva per sottrarre agli impieghi pubblici ingenti capitali. Abbandonando gli investimenti in titoli di stato, il denaro privato si rivolgeva a quelli più redditizi e speculativi delle azioni industriali. Pertanto lo stato era costretto a far fronte ai suoi impegni di pagamento con emissioni di carta moneta in quantità sempre maggiori. L'aumentata velocità di circolazione della moneta, determinata dalla ripresa degli scambi e della produzione, unita all'aumento costante della massa di circolante, determinavano una situazione di inflazione sempre più grave.

Il secondo turno delle elezioni amministrative, il 10 novembre 1946, dimostrò quanto diffuso fosse il malcontento, poichè vennero sottratti voti ai partiti di centro, come la Dc, rafforzando così lo schieramento socialcomunista.

Le elezioni ebbero sostanzialmente un duplice significato: "una forte flessione della Dc a vantaggio della destra qualunquista, monarchica e liberale che, in certi casi, come a Roma (dove i democristiani perdono circa 120.000 voti) o a Napoli (dove il suffragio democristiano si riduce a meno di un terzo) assume il sapore di un vero e proprio tracollo; un'avanzata generale delle sinistre (ma con i comunisti in netto vantaggio sui socialisti) non contraddetta dai risultati dei due capoluoghi (Roma e Napoli) dove le sinistre si presentano unite nella stessa lista (ma con un voto di preferenza che privilegia nettamente i candidati comunisti)"[31]. Il risultato elettorale di Roma, dove emblematicamente la lista di blocco è estesa anche agli azionisti e alleata al Pri, è soprattutto una conferma della validità e, contemporaneamente, della fragilità della "linea Nenni" (la linea politica che, come abbiamo già detto, lo legava dalla fine dell'estate a Basso). Una conferma della validità perché le elezioni dimostrarono che quando le sinistre si presentavano unite (perfino in lista comune) e strettamente alleate dei partiti laici minori esse avanzavano ma, contemporaneamente, una conferma della fragilità dell'impostazione nenniana perché nell'alleanza di sinistra i socialisti anziché rafforzarsi (come Nenni aveva previsto) s'indebolirono rispetto ai comunisti, e altrettanto fecero, in maniera ancora più vistosa, i partiti laici minori. Su questa contraddizione iniziò il naufragio della "linea Nenni" e s'innescò il meccanismo della scissione socialista. Ciò riaccese il contrasto sempre vivo all'interno del Partito socialista tra fusionisti e autonomisti, che riproponeva quello tra le due correnti tradizionali nella storia del socialismo italiano, dei massimalisti e dei riformisti.

Fu soprattutto Saragat ad inseguire, in tempi ristrettissimi, la rottura. Egli, infatti, che ancora all'inizio di novembre non controllava nulla dell'apparato del partito, che non aveva una propria corrente organizzata[32] ma doveva sottrarre i propri seguaci alla leadership di Mondolfo, che poteva contare solo su un foglio di propaganda di scarso seguito e prestigio, "Critica Sociale", valutò che il disegno centrista per raggiungere il successo dovesse obbedire ai tempi interni del Partito socialista piuttosto che aspettare l'evolversi della situazione generale, nazionale ed internazionale (l'incipiente divisione del mondo in sfere di influenza). E i tempi interni del Psiup erano, appunto, scanditi dalla battuta d'arresto subita dalla "linea Nenni" per i deludenti risultati elettorali ottenuti, che dette spazio all'ala più radicale della maggioranza, quella che, sotto la guida di Basso, aveva chiesto, già da circa un mese, l'anticipazione del Congresso con l'intento, rinnovato dopo la stipulazione del nuovo patto d'unità d'azione con il Pci (firmato il 25 ottobre), di ridiscutere gli equilibri di Firenze . Sull'onda della delusione serpeggiante nel partito per i risultati elettorali, la caparbia ed esplicita volontà di Basso di "domare" il dissenso neoriformista interno per poter procedere ad una sorta di vera e propria rifondazione ideologica e statuaria del partito, per i suoi contenuti antiliberali ed antidemocratici in campo istituzionale e per il modello organizzativo - centralizzato e burocratizzato - del partito offrì infatti, a giudizio di Saragat, al disegno politico centrista la possibilità di appropriarsi anche dei temi del discorso ideologico delle minoranze socialiste interne e - nello stesso tempo - di porsi come protettore anche di quelle frazioni socialiste che, sia pure assai lontane dagli spunti teorici del riformismo classico come "Iniziativa", si sentivano comunque minacciate dall'azione di conquista del partito intrapresa da Basso .

Il 9 gennaio 1947, a Roma, in occasione di un Congresso straordinario del partito promosso da Nenni, i dissidenti socialisti di "Critica Sociale" e di "Iniziativa Socialista", guidati da Saragat e Matteo Matteotti, lasciavano la sala in cui si svolgevano i lavori congressuali e si trasferivano a Palazzo Barberini, dove fondavano un nuovo partito socialista autonomo e democratico, che prese il nome di Partito Socialista dei Lavoratori Italiani[35],a cui aderirono, pur in tempi diversi, 50 dei 115 deputati socialisti eletti alla Costituente; sensibilmente minore invece l'adesione da parte dei membri della base. Significative le parole di Nenni: "La scissione è fatta. Saragat è venuto stamattina al congresso ad annunciarla.[...] La scissione rivela sul nascere il suo carattere a un tempo assurdo e fatale. Assurdo, perché urtandosi in opposizione alla supposta subordinazione mia e della maggioranza ai comunisti, fa a questi ultimi il grazioso dono di togliere di mezzo il solo partito che contestava la loro tendenza all'egemonia sul movimento operaio. Questo era il fondo delle cose. Il Patto di unità d'azione, da parecchio tempo, era soltanto un accorgimento tattico. Saragat l'aveva firmato, al pari di me. Se ha ragione nel considerarlo caduco e superato, ebbene, allora, tra pochi mesi avrebbe avuto per sé la maggioranza senza timori di secessioni da parte mia e credo neppure da parte di Lelio (Basso, n.d.a.). Fatale, perché la scissione si inserisce in una nuova spaccatura del mondo della quale il discorso di Churchill a Fulton (l'illustre personaggio inglese parlò il 6 marzo 1946 all'università di Fulton di "cortina di ferro" che l'Urss aveva alzato nel cuore dell'Europa, n.d.a.), è stato l'annuncio. Dietro non ci sono terrori ideologici e morali sulla sorte della libertà - o non c'è solo questo - dietro ci sono concreti interessi di potenza. Il mondo borghese capitalista non accetta la presenza sovietica a Berlino, a Praga, a Vienna e spera di poter rovesciare la situazione creata dalla guerra. Si sbaglia, ma intanto affronta con Mosca una lotta che di sé riempirà tutta un'epoca della storia. Questa è la realtà in cui, al di là di ogni miserevole vicenda di persone o di gruppi, si colloca la scissione. Mi domando quale sia stata la mia parte di responsabilità nella scissione. Certamente quella di avere abbandonato la posizione di centro, la sola che potesse consentirmi di essere arbitro del partito, ho coscienza però di averlo fatto quando non si poteva fare diversamente: quando le cose si fanno serie, è difficile stare nel mezzo. Per me è una sconfitta, perché non volevo la scissione; perché si distrugge un'opera che mi era costata molti anni di lavoro, ma soprattutto perché, in rapporto alla situazione generale, non è un fattore di chiarificazione, ma di confusione " .

Una scissione di tale importanza, che doveva aver profonde ripercussioni non solo sulle vicende del socialismo ma su quelle del paese, aprì un processo di ridimensionamento e di ricostruzione nelle strutture organizzative di ambedue i partiti (Psi e Psli) che, necessariamente, richiedeva ai loro maggiori leaders la sospensione di ogni attività di governo. A seguito della nuova situazione e dei nuovi compiti, Saragat dava le dimissioni da presidente della Costituente e Pietro Nenni, in una lettera che raggiunse De Gasperi negli Stati Uniti, dove il primo ministro si trovava per assicurare crediti al paese, preannunciava il proprio ritiro dalla carica di ministro degli Esteri e quello degli altri ministri socialisti[37].

Il 20 gennaio, De Gasperi, tornato a Roma, presentava le dimissioni dell'intero gabinetto al capo provvisorio dello stato, De Nicola, aprendo così la quarta crisi governativa in meno di due anni dalla fine della guerra.

Capitolo II

LA POLITICA ESTERA DEL PARTITO SOCIALISTA



Prima e dopo la scissione di Palazzo Barberini (gennaio 1947), l'ambizione del Psi fu sempre quella di dare all'opposizione di sinistra un'impronta socialista, ciò che in termini di politica estera si qualificava come garanzia di una politica di equilibrio fra Est e Ovest. Come afferma Ardia, " il concetto squisitamente politico di equilibrio doveva essere messo costantemente in rapporto con l'altro concetto, specificamente ideologico, di non equidistanza che il Psi elaborava sulla scorta del patrimonio ideologico e in base alle esigenze determinantisi dal rapporto speciale con il Pci " . Éproprio dall'analisi del rapporto tra questi due concetti, così come si vennero determinando attraverso l'intreccio dei tre criteri di valutazione della situazione internazionale (la valutazione ideologica, quella di politica estera e quella di politica interna), che può emergere il ruolo che il partito socialista si attribuiva e che in realtà ricopriva nell'elaborazione e nel controllo della politica estera italiana.

Un limite iniziale alla trattazione del presente argomento " è rappresentato dal relativo disinteresse del mondo politico e della cultura socialista verso i problemi della politica estera " .'E in generale diffusa l'opinione secondo cui ben pochi tra i leaders dei partiti di massa avevano un interesse e una preparazione specifica per le questioni di politica internazionale. Infatti i pochi temi presenti nei dibattiti svoltisi all'interno del Partito socialista sono stati affrontati in modo strumentale, considerandosi la politica estera come momento di dialettica nel partito o come parametro ideologico (il che implica formule coerenti come la tematica del neutralismo e, come afferma Benzoni , quella del pacifismo), ma raramente come azione politica possibile. Inoltre, storicamente, fino alla prima guerra mondiale, l'origine internazionalistica del movimento socialista aveva risolto ogni problematica di politica estera in un appello internazionalistico-pacifista basato sulla solidarietà di tutto il proletariato, unito per la distruzione delle fondamenta della società capitalistica.

Con la prima guerra mondiale, dissolvendosi la solidarietà internazionale tra i partiti socialisti, si pose il problema di far conciliare la volontà di lotta contro lo Stato (capitalistico) e la necessità di combattere per la difesa della patria: la formula equivoca del non aderire né sabotare era segno del non risolto problema della linea socialista verso la politica internazionale. Un problema di fondo nell'analisi della linea di politica estera del partito, è " costituito dalla mancata soluzione di un'antinomia radicata profondamente nella tradizione storica socialista: l'antinomia tra alleanze internazionali di classe e alleanze internazionali di potenze, l'antinomia tra politica di classe e politica nazionale, lo sforzo vano di ridurre la nazione a classe "

Nel periodo tra le due guerre mondiali il Partito non partecipò alla vita politica del paese e, conseguentemente, a creare una propria linea di politica estera, come avvenne anche per tutti gli altri partiti antifascisti, e, quindi, l'azione internazionale venne inglobata nella lotta al fascismo e alla dittatura (intesa dai socialisti come lotta conto il sistema capitalistico, che ineluttabilmente degenera nella guerra). Durante la guerra, in seguito all'unità dei partiti antifascisti all'interno e all'alleanza antifascista tra l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti all'estero, l'antinomia non emerse e le esigenze di una scelta non si fecero sentire né divennero palesi. Certi tratti propri di quegli anni permangono anche nel secondo dopoguerra, dove si possono individuare tre punti fondamentali caratterizzanti l'atteggiamento del Psi verso le questioni internazionali. In primo luogo, la fede nella necessaria continuità dell'unità dell'alleanza antinazista sul piano internazionale; successivamente, la necessaria continuazione all'interno dell'unità dei partiti antifascisti; infine, un elemento che in quegli anni rappresentò un punto di scontro all'nterno del partito, contribuendo a determinarne la crisi, costituito dal patto di unità d'azione con il Partito Comunista, espressione non di esigenze tattiche ma " del concetto della necessità dell'unità della classe lavoratrice "

Pur ammettendo interpretazioni intermedie, il dibattito storiografico sui problemi di fondo della storia del secondo dopoguerra italiano e sulla natura dei condizionamenti imposti dal conflitto tra l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti - che vede alcuni autori, che per semplicità possono essere etichettati come internazionalisti, affermare che le scelte di schieramento erano rese necessarie dalla condizione internazionale dell'Italia, occupata dagli alleati occidentali e assegnata tacitamente alla zona di influenza anglo-americana, mentre altri, etichettabili come internisti, ravvisano una costante, già presente sin dal 1942 nell'atteggiamento dei moderati e delle forze conservatrici, volta alla ricerca di una piena intesa con le autorità americane - esprime gli stessi termini del dibattito politico sulle scelte di politica estera che nella seconda metà degli anni quaranta il governo italiano si preparava a compiere, riproducendo la contrapposizione, nella visione politica dei maggiori leaders socialisti, delle scelte di fondo compiute dall'Italia nel secondo dopoguerra

" C'è oggi " scriveva Nenni nell'aprile 1947 " una tendenza nel mondo e in Europa a porre gli Stati minori davanti a questa alternativa: o essere con l'America al cento per cento o essere al cento per cento con la Russia sovietica... In linea generale io non credo che l'alternativa riposi su un fondamento concreto... Noi possiamo essere sul piano della politica interna anticapitalisti o anticomunisti, possiamo essere socialisti, comunisti, democristiani... ciò che unisce o divide gli italiani sono delle ideologie in rapporto alla politica interna economica e sociale " . Era, questa, una tesi riaffermata nel 1955: " Essere neutralisti..."vuol dire far sì " che le preoccupazioni di carattere interno prendano il posto delle preoccupazioni di carattere internazionale "

Sebbene Nenni, valutando le scelte politiche in maniera internista non credesse, come del resto Saragat, alla necessaria scelta tra i due blocchi, egli, a differenza di quest'ultimo, negava persino il presupposto stesso dell'alternativa, ossia la sua esistenza.

Saragat, poiché implicava quella condizione necessitante che Nenni aveva respinto, affermava infatti: " Se ci si adagia nella mentalità che il mondo è diviso in due blocchi e non si tratta che di scegliere, il paese sarà destinato fatalmente a dividersi esso pure in due blocchi. Noi pensiamo invece che esista ", e qui emerge la visione internazionalista che vede le scelte politiche in funzione delle condizioni internazionali, " una terza via: che non è affatto che il mondo sia destinato a dividersi in due blocchi, che non è affatto vero che l'Italia sia destinata fatalmente a dividersi, e che esista infine la possibilità di un raggruppamento delle forze di sinistra profondamente democratiche "

Le due opposte interpretazioni preludono naturalmente all'attuazione delle rispettive strategie politiche. Nenni, come tutta la concezione del socialismo massimalista postbellico, era convinto della necessità di combattere l'involuzione fascista potenzialmente, presente in tutti i regimi borghesi, mediante l'unità d'azione con il partito comunista, ma, con l'emergere della guerra fredda e la fine dell'alleanza internazionale antifascista, era altrettanto cosciente del rischio di esporre il partito socialista al processo di identificazione di tutte le forze di sinistra come strumenti della politica sovietica. Per dare maggiore visibilità e lasciare un ampio spazio all'azione politica dei socialisti, altrimenti cristallizzata dalla guerra fredda, Nenni proponeva una distinzione strategica tra politica socialista all'interno dell'Italia (che continuava la collaborazione con il Pci) e azione politica all'esterno, che desse vita a una linea di politica estera autonoma, secondo la quale, anziché subire, si respingeva la logica della guerra fredda, identificandosi con una politica di neutralità: " Nell'attuale situazione internazionale e italiana la difesa della neutralità diventa la difesa di ogni possibile socialismo. Non si tratta di indifferenza tra le forze in lotta, ma si tratta di operare concretamente perché in una coerente e coraggiosa politica di pace il proletariato italiano abbia dinnanzi a sé la prospettiva di uno sviluppo socialista. C'è in questo concetto una fedeltà profonda alla politica del partito ", scriveva Giovanni Pieraccini, " La posizione...(il neutralismo)...è l'unica possibilità concreta di difendere insieme gli interessi nazionali e quelli del socialismo "

" Né sposare la politica russa, né diventare colonia americana " ; " non scelta, ma sintesi tra Occidente ed Oriente " . Queste affermazioni non devono trarre in inganno. Come osserva Benzoni in un suo saggio , il pensiero di Nenni nell'immediato dopoguerra non era neutralista ma " unitario " (cioè a sottofondo pacifista). Le simpatie sue, e del Psi, miravano all'Urss, patria del socialismo, della quale si scontava l'evoluzione democratica; ma il momento decisivo restava " l'unità del mondo ", l'unità antifascista per costruire la pace. Solo questa poteva garantire sul piano interno la sintesi tra il radicalismo economico del comunismo e l'esigenza democratica propria dei socialisti, garantendo l'autonomia del movimento operaio italiano. Bisognava quindi " evitare ogni lacerazione " e " mantenere uniti Occidente e Oriente "

In realtà, alla fine lo stratagemma di Nenni di " nascondere " la divisione del mondo in blocchi contrapposti affermando la tesi neutralista, per salvaguardare la linea di politica interna e difendere gli interessi nazionali e del socialismo, si rilevò incapace di cogliere consensi adeguati, esponendolo continuamente agli attacchi interni della sinistra morandiana e bassiana del Partito. Tale stratagemma, in sostanza, metteva in evidenza un uso della politica internazionale meramente strumentale alla lotta per il predominio della sua politica all'interno del Partito.

Éimportante a questo punto ricordare, che vi erano due diverse valutazioni della situazione internazionale e conseguentemente due diverse linee politiche in seno alla sinistra italiana.Da una parte c'era la posizione del Pci e della sinistra socialista con una " rappresentazione manichea della realtà internazionale ", dall'altra quella " internazionalistica " della direzione centrista del Psi. Come afferma Ardia: " Il Pci subiva la logica della guerra fredda attraverso la propria identificazione con uno dei protagonisti di essa (ed essendo esso stesso uno dei poli della trasposizione del conflitto internazionale nella situazione politica interna); la sinistra del Psi la accettava come conseguenza di una scelta che essa considerava necessaria per la difesa della Patria del Socialismo e per la compattezza dell'unità d'azione fra socialisti e comunisti; la Direzione del Psi respingeva quella logica considerandola prodotto di un conflitto di potenza che era dovere dei socialisti circoscrivere al piano internazionale e identificare nelle sue reali caratteristiche per essere in grado di proporre un efficace contributo alla pace e di dare alla politica di unità d'azione le dimensioni autonome che la situiazione interna chiedeva "

L'impostazione alternativa a quella di Nenni e del Psi dopo il 1947 fu quella di Saragat, che partiva da un presupposto diverso da quello di Nenni, non ritenendo necessaria l'unità di classe e mantenendo viva l'illusione di quella " terza via " tra i due blocchi: un'ipotesi del tutto velleitaria per un partito socialista di ormai scarso rilievo politico.

In sostanza il non aver voluto vedere la realtà di determinanti condizionamenti internazionali e l'aver operato all'interno del partito socialista per far prevalere l'una o l'altra delle concezioni, fino a spingersi alla rottura idelogica, decretavano la sconfitta del sogno neutralista di Nenni così come dell'ipotesi terzaforzistica di Saragat. L'analisi della politica estera del Psi richiede una suddivisione cronologica del periodo di tempo che va dalla sconfitta del fascismo alla crisi del centrosinistra, considerando il 1956 come spartiacque tra il precedente rifiuto del Partito di subire la logica della guerra fredda, e di porsi il problema della compatibilità della propria linea di politica estera con le esigenze di equilibrio tra i due blocchi fortemente strutturati e rigidamente cristallizzati, e la cruda accettazione, conseguente all'inizio della destalinizzazione, della spartizione del mondo in blocchi. Prima è utile, però, far notare un elemento presente, o meglio l'unico elemento costantemente presente nella politica estera socialista: il pacifismo.

" Vediamo un socialismo pacifista e filosovietico dal 1945 al 1947-48; pacifista, antiatlantico e internazionalista proletario dal 1948-49 fin verso la metà degli anni'50; pacifista, antiatlantico e neutralista, e internazionalista dopo il 1956; pacifista, europeista e atlantico dal 1962-63 ad oggi " . Il partito socialista è stato sempre pacifista: ma il pacifismo implica una scelta di priorità, nel senso di ritenere la pace il " maggiore degli obbiettivi, il solo rivoluzionario nel senso che crea l'ambiente favorevole a tutte le evoluzioni " . Invece ciò che è proprio dei socialisti è il pacifismo come atteggiamento, come una condanna, e assieme come svalutazione, della politica di potenza. Una condanna etica, un'interpretazione delle tensioni internazionali che tiene conto non tanto delle necessità obbiettive del dato momento storico, quanto del gioco soggettivo di volontà e di scelte sostanzialmente svincolate dal contesto temporale. Tutta la storia del partito socialista è costellata di appelli a negoziati (basta ricordare la richiesta nel 1951, in piena guerra fredda, di un incontro dei cinque Grandi, e la richiesta nel 1966 di un negoziato, con il minimo di condizioni possibili, base essenziale del discorso socialista per il Vietnam) e di atti di fiducia nei medesimi, e in questo quadro l'Onu occupa un grande ruolo: il suo contributo nella soluzione pacifica delle controversie e, in generale, l'importanza della sua funzione nell'ambito del mantenimento della sicurezza internazionale (sebbene non esenti da accuse di dipendenza dell'Organizzazione dagli Stati Uniti), vengono da parte socialista più volte rivendicati e, del resto, la mancata entrata dell'Italia nell'Onu fino al 1955 compare tra le principali critiche mosse alla politica estera del governo democristiano . Il pacifismo socialista si potrebbe definire, volendo usare un termine marxista, come una dottrina che attribuisce maggiore importanza alle manifestazioni sovrastrutturali (politiche o ideologiche) piuttosto che alle realtà strutturali della vita politica internazionale.

Édunque possibile utilizzare la suddivisione cronologica proposta da Di Nolfo per semplificare lo studio dei diversi momenti della politica estera socialista: i primi mesi del postfascismo, dal settembre 1943 all'aprile 1944; gli anni - intensi e decisivi per Nenni e il Psi - dall'aprile 1944 alla fine del 1946; gli anni dal 1947 al 1949; gli anni dal 1950 al 1956; gli anni del centrosinistra.

Nei mesi successivi all'armistizio, il Psi, come la totalità dei partiti antifascisti, era ostile alla restaurazione monarchico-moderata, caldeggiata in prima persona da Churchill, e intesa come risposta alle domande di forze politiche che mostravano di voler davvero rompere con il passato preparando un profondo rinnovamento istituzionale. Le forze antifasciste dovevano cercare possibili interlocutori nel fronte alleato, che non perseguissero le mire imperialistiche di Churchill, e li trovano potenzialmente nell'Unione Sovietica, nei laburisti inglesi e nei democratici americani. In realtà i primi si disimpegnarono dalla partecipazione all'amministrazione alleata in Italia in cambio del riconoscimento, concordato tra gli alleati a Teheran, di liberamente interferire negli affari inerni della Polonia; quanto ai secondi, non riuscirono, o non vollero, mitigare la linea dura imposta da Churchill. " Restavano i democratici americani, e a questo proposito è interessante notare che uno dei pochi sforzi compiuti in loro direzione e praticamente rimasti sconosciuti alla storiografia venne attuato dal Partito socialista, il cui segretario d'allora, Lelio Porzio, cercò vanamente di istituire un canale di collegamento con il governo statunitense, correttamente ipotizzando che questo entro breve sarebbe diventato un'influenza dominante nella penisola " . La base comune dell'alleanza antifascista era il rifiuto di considerare la presenza alleata come un dato di fatto condizionante, ma con la svolta di Salerno questa base si incrinò, ponendo il problema di " subire " il condizionamento alleato e preparando un periodo di tensioni di tale intensità da lacerare la vita politica italiana.

Il Psi, sostanzialmente ostile alla strategia inaugurata da Togliatti, non poteva isolarsi e così ebbe inizio la fase della partecipazione critica al governo, in coincidenza, tra l'aprile 1944 e la fine del 1946, della fine della guerra e con il manifestarsi delle tensioni, che porteranno alla fine della grande alleanza tra le potenze vittoriose nella guerra contro il nazi-fascismo e alla costituzione di due blocchi contrapposti. Durante questo periodo il Partito socialista collaborò direttamente, come alleato di governo, all'elaborazione della politica estera italiana e, anzi, dal 18 ottobre 1946 al 28 gennaio 1947 Nenni, allora segretario del Psiup, diresse il dicastero degli esteri.

" I socialisti proponevano e sostenevano una politica fondata sul principio della solidarietà internazionale e sull'unione di tutte le forze democratiche dell'Europa e del mondo " ; questa politica veniva formulata in contrapposizione a tutta la tradizione di politica estera italiana, dalla Triplice alleanza al Patto d'acciaio, e manifestava la volontà del Partito acchè la politica estera italiana si inserisse nella congiuntura dei rapporti internazionali determinata dall'alleanza di guerra delle democrazie, fornendo il proprio contributo per approfondirla e consolidarla. I problemi concreti con i quali questa politica dovette confrontarsi furono essenzialmente due: la definizione del trattato di pace e il problema degli approvvigionamenti alimentari e di materie prime necessarie alla sopravvivenza del paese. La soluzione del primo fu una profonda delusione, gli sviluppi del secondo gettarono le premesse per decisivi mutamenti. Le due questioni erano d'altra parte gli aspetti contingenti di obbiettivi che i socialisti, e primo fu Nenni, indicavano come permanenti della politica estera e della politica generale italiana: l'integrità territoriale e l'indipendenza politica ed economica del paese. Dopo che il primo obbiettivo fu cancellato dalle disposizioni del trattato di pace, il tema della revisione divenne uno dei temi chiave della politica estera socialista, strumento e al tempo stesso fine della politica di solidarietà internazionale. Ma condizione necessaria e, in parte, ragion d'essere della politica estera era la salvaguardia dell'indipendenza politica ed economica nazionale. I socialisti, nel sottolineare la connessione tra i due aspetti economico e politico, richiamavano l'attenzione sull'importanza che nel momento contingente assumeva per l'Italia la visione dei propri rapporti con l'estero. Così accanto alla riconosciuta necessità degli aiuti provenienti dagli Stati Uniti, essi non cessarono mai di reclamare la ripresa dei rapporti commerciali e il rafforzamento dei canali finanziari con i paesi dell'oriente europeo. Finché il dissenso sovietico-americano non esplose apertamente, fu sempre possibile fingere di non vederlo o accorgersene e deplorare che esso si verificasse, manifestando la speranza di non esservi trascinati, e il Psi potè vivere il proprio scontro interno senza giungere alla rottura tra le proprie diverse componenti; ma quando la guerra fredda si stabilizzò, e l'Italia ne fu coinvolta, questo evento traumatico non potè evitarsi, poiché un partito socialista unito non era compatibile con la strutturazione del blocco occidentale a meno che la sua maggioranza non avesse accettato la rottura dell'unità di classe con il Pci, che invece riteneva fondamentale. Finché non si giunse a quel punto, la maggioranza unitaria cercava di mostrarsi, contradditoriamente, non necessariamente filosovietica e, in questo sforzo, sperava in un forte collegamento con i laburisti inglesi.

In sostanza era chiaro per i socialisti che i due estremi, che la politica di solidarietà doveva toccare, erano l'Est e l'Ovest, l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti; ed era altrettanto chiaro, che nella situazione che si era determinata dopo la guerra in Europa, l'Italia veniva a trovarsi nell'area d'influenza occidentale. Nonostante la delicatezza di questa situazione, i socialisti erano convinti, tuttavia, che fosse possibile per l'Italia realizzare una politica di solidarietà internazionale, e lo dimostrava la relazione speciale, ideale e politica, che essi ostentavano con il Partito Laburista inglese. Il Partito socialista tuttavia si qualificava ideologicamente rispetto agli altri partiti socialisti europei per il suo costante richiamo al principio irrinunciabile della difesa dell'Unione Sovietica, identificata come l'unico paese al mondo che aveva realizzato la rivoluzione proletaria e, in quanto tale, baluardo delle classi lavoratrici. Tutti questi erano elementi contraddittori suscettibili di creare situazioni irresolvibili per una politica fondata su di essi. Non appena tutti quegli elementi cominciarono a muoversi, e non secondo le linee ipotizzate dal partito, i socialisti videro spezzarsi i fili che essi stessi avevano tesi e furono obbligati a scegliere quale capo tenere in mano.

Il primo semestre del 1947 - che coincide con l'avvio della terza fase della politica estera socialista - segnò l'inizio dell'esplosione della guerra fredda e della strutturazione dei blocchi. Aveva il sopravvento quella logica di subordinazione che il Partito socialista si rifiutava di subire e che porterà alla scissione il gruppo facente capo a Saragat.

Sul piano internazionale si spezzò irrimediabilmente la grande alleanza di guerra attraverso una fitta serie di azioni e reazioni: la dottrina Truman e il fallimento della conferenza dei ministri degli esteri a Mosca (marzo 1947), il lancio del piano Marshall e il fallimento della conferenza di Parigi (giugno-luglio 1947), la creazione del Cominform (ottobre 1947), il " colpo di stato " di Praga (febbraio 1948), il patto di Bruxelles (marzo 1948). Questo evolvere della situazione internazionale ebbe l'effetto di sollecitare o assecondare indirettamente o direttamente mutamenti radicali della situazione politica interna: la scissione del Psiup e la prima scossa al tripartito (gennaio 1947), la " defenestrazione " dell'estrema sinistra dal governo (maggio 1947), la nascita del Fronte Democratico Popolare (novembre 1947), il primo governo quadripartito (dicembre 1947), la campagna elettorale per le elezioni politiche (marzo-aprile 1948) furono i momenti salienti di tale processo. In questo quadro si pongono i primi passi e le prime scelte di politica estera dell'Italia: dal viaggio di De Gasperi negli Stati Uniti alla ratifica d'urgenza del trattato di pace, all'adesione al piano Marshall.

Non fu un caso se il Partito socialista precedette drammaticamente con la propria scissione questi sviluppi: la linea di politica interna " di classe " contrapposta alla linea di politica estera " nazionale " impostata dai dirigenti del partito catalizzò tutte le situazioni di compromesso che si erano a mano a mano venute accumulando. Risolti i problemi politici e in primo luogo quello della Repubblica, si ponevano in primo piano i conflitti di classe, e le componenti interne del partito, che erano apparse fino ad allora sotto l'aspetto di estremi fra loro conciliabili, diventavano adesso elementi opposti e contraddittori. I socialisti impostarono ora la loro politica estera sempre più sul concetto di neutralità fino alla proposta, nell'ottobre del 1947, di una neutralità costituzionalmente ed internazionalmente garantita. Sulla falsariga di questa politica di neutralità, il Partito socialista negò il voto alla ratifica di urgenza del Trattato di pace richiesta dal governo, denunciò l'adesione affrettata e acritica al piano Marshall, sottolineò la garanzia della neutralità garantita agli elettori e richiesta alla Democrazia cristiana durante la campagna elettorale.

Éinutile tornare sulle motivazioni che, ispirando la primitiva scelta neutralistica, spinsero il socialismo italiano lungo una linea di politica estera destinata a isolarlo nell'impotenza. Ciò che è interessante osservare, e in questo ci aiuta Ardia , è che, nonostante vari tentativi effettuati dal partito, durante il primo semestre del 1947, di salvaguardare un'immagine di equidistanza tra i due blocchi contrapposti, in realtà il programma centrista di Lombardi era messo in minoranza da un'interpretazione del neutralismo filosovietica. Come ha notato Benzoni, la maggioranza socialista facente capo a Nenni e a Morandi si opponeva al Patto atlantico e mostrava la sua " solidarietà con l'Urss e i paesi a democrazia popolare " . La posizione del Psi si faceva sempre più difficile perché a mano a mano esso era portato a far sempre più emergere la linea del parallelismo fra situazione internazionale e situazione interna. Parallelismo che verrà spinto su una linea cominformista che, anche a seguito dell'abbandono di una posizione autonoma dovuta alla formazione del Fronte Democratico Popolare con il Pci, portò alla sconfitta elettorale dell'aprile 1948 e all'isolamento politico dei primi anni cinquanta.

" Il passaggio da un filosovietismo di maniera sotto argomentazioni neutralistiche a un neutralismo disimpegnato e a un filoatlantismo condizionato rappresentò un lungo travaglio durato una decina d'anni, alla metà del quale si ebbe la svolta del 1956 " . Riemerge il tema neutralistico, che era stato in parte oscurato dalle polemiche del 1949 sull'adesione all'Alleanza atlantica, sotto una veste nuova e insolita: nasce la tesi del superamento dei blocchi - una politica internazionale non originale, anzi subalterna a quella delle superpotenze - che, spinta più avanti, significa non rimettere in discussione i trattati esistenti, il che equivale all'accettazione del Patto atlantico, interpretato soltanto in chiave difensiva.  

Con il 1956 si ha la svolta, che si manifestò in una maggiore attenzione della maggioranza socialista al modo di essere del sistema internazionale, soprattutto dopo l'effetto che ebbe sulla sinistra di tutto il mondo il processo di destalinizzazione, e si sviluppò il processo che porterà il Partito socialista dall'opposizione all'area di governo e, poi, dentro il governo, con Nenni ministro degli esteri per la seconda volta nel 1969, anno del ventesimo anniversario dell'Alleanza atlantica. Ma il socialismo italiano, illuso dall'idea che si trattasse di un prodotto proprio, finì in realtà per subire la linea dell'interpretazione difensiva del Patto atlantico, manifestando ancora una volta una completa cecità nei confronti del mutato clima internazionale, visto che era la distensione, ormai avviata tra l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti, a rendere necessaria l'interpretazione difensiva delle alleanze militari.





Parte II

UN SOCIALISTA A PALAZZO CHIGI

Capitolo III

LA FIGURA DI PIETRO NENNI



È molto diffusa l'opinione secondo cui negli anni successivi alla caduta del fascismo in Italia ben pochi tra i leaders dei partiti di massa avessero un interesse e una preparazione specifica per le questioni di politica estera. Enzo Collotti rilevava un "generale ritardo di preparazione" e la mancanza di una "prospettiva convincente per una nuova politica estera italiana" tra gli uomini dei partiti antifascisti. L'osservazione è senz'altro fondata, anche se non mancavano certo le eccezioni. Nessuno potrebbe contestare l'interesse e l'attenzione per la politica estera di Alcide De Gasperi o la visione internazionale dei problemi italiani di Palmiro Togliatti. Meno noto è invece l'atteggiamento di Pietro Nenni a questo riguardo, sebbene già all'indomani della morte del leader romagnolo, Enzo Santarelli avesse sottolineato che " il tema della politica estera italiana e i problemi delle relazioni internazionali rivestivano per lui un'importanza di prima grandezza " durante tutta la sua carriera politica, e lo stesso Nenni in un'intervista a Giuseppe Tamburrano avesse ribadito con forza la convinzione che in ogni tempo " la politica estera continua a condizionare quella interna e associa indissolubilmente l'indipendenza con la libertà " . Édunque opportuno analizzare le esperienze politiche di Nenni prima che ricoprisse la carica di Ministro degli Esteri, per comprendere come queste abbiano condizionato le future posizioni personali e del partito socialista.

Pietro Nenni nacque a Faenza il 9 febbraio 1891 in una famiglia di modeste condizioni; il padre non lo aveva quasi conosciuto, la madre era stata una presenza costante nella sua giovinezza, poichè fu lei che riuscì a far entrare Pietro, a nove anni, in orfanotrofio. Quivi Nenni soffriva l'imposizione religiosa e l'insopportabile disciplina: con i compagni non si capiva, perché si limitavano a odiare i superiori mentre lui voleva combattere le loro idee e il loro sistema. Così al termine delle elementari fu iscritto alle scuole tecniche fino al sedicesimo anno, ma era attratto da ben altro: dalla vita politica, dalla lotta ai clericali. Aiutato dalle letture, soprattutto dagli scritti di Mazzini, rivolse la sua attenzione ai giornali, ai circoli cittadini che si opponevano vivacemente alla classe dirigente clericale e moderata. Nel suo pensiero maturano due punti fermi: la rivoluzione e la libertà.

Nel 1908 si iscrisse alla sezione giovanile repubblicana e pochi mesi dopo ne divenne segretario, cominciando a scrivere articoli infiammati sul settimanale repubblicano di Faenza, " Il Popolo ", che gli procurano un processo per offese alla monarchia e la prima, di una lunga serie, condanna per diffusione di stampati non autorizzati. Gli articoli che scriveva sul " Popolo " dall'aprile del 1908 al 1909 riguardavano i più vari argomenti: dall'analisi del pensiero economico di Mazzini alle rivendicazioni salariali, dalla polemica contro il militarismo all'esaltazione dei diritti delle donne e del divorzio. Un tema ricorrente era quello della patria, dell'irridentismo e dell'italianità di Trento e Trieste. Ma la maggior parte dei suoi scritti erano di critica feroce verso il governo (Giolitti) per la sua politica repressiva contro i lavoratori e verso i socialisti per la collaborazione con il governo e con la monarchia che giudicava un autentico tradimento del proletariato. Le sue critiche al riformismo turatiano si comprendono, perché provenivano da un fervente rivoluzionario: egli criticava anche l'ideologia marxista, respingeva il collettivismo, la lotta di classe e l'idea di una rivoluzione proletaria; voleva una rivoluzione democratica, predicava e praticava la violenza levatrice della repubblica, delle libertà individuali e della giustizia sociale. Ma la sua critica era debole, e forse non troppo convinta. Del resto Nenni lungo tutta la sua vita farà precedere l'azione al pensiero; il suo motto preferito era " politique d'abord ": la politica prima di tutto, e per politica intendeva l'azione, l'iniziativa, l'impegno. Nel 1910 venne nominato segretario della cooperativa di braccianti repubblicani. Va detto che la Romagna è stata per repubblicani e socialisti un campo di battaglia con due fronti: spesso uniti contro conservatori, monarchici e, a Faenza, clericali; spesso in contesa tra di loro, come quando avvenne la scissione delle camere del lavoro. E quando in Romagna il socialista Mussolini si scagliò contro Giolitti e Turati, moliti repubblicani romagnoli (tra questi Nenni) e, nell'aprile del 1914, l'intero partito socialista si aprirono al nuovo verbo rivoluzionario. Con un socialista come Mussolini, Nenni era più d'accordo che in disaccordo: li univa la comune ostilità alla monarchia e al giolittismo, e troveranno presto l'unità d'azione, nell'autunno 1911, in occasione delle manifestazioni contro la guerra di Libia che gli procureranno tra l'altro una condanna ad un anno di reclusione; li divideva l'ideologia, poiché Mussolini credeva alla lotta di classe e Nenni all'associazione tra capitale e lavoro - ma poi in carcere scopriranno di avere una comune simpatia per Sorel -, e la concorrenza tra i due partiti, che fu violenta.

Nel 1913 venne eletto segretario regionale del partito repubblicano delle Marche e direttore del " Lucifero ". Il fine che Nenni perseguiva era sempre quello della rivoluzione contro i poteri costituiti. L'occasione si presentò durante la settimana rossa che infiammò la Romagna e le Marche, ma le illusioni svanirono presto; Nenni, però, antimilitarista come era, maturava l'idea di un'altra rivoluzione che si chiamava: guerra. Pubblicò il 6 settembre 1914 sul " Lucifero " un articolo (firmato Cavaignac) dal titolo: Vogliamo la guerra perché odiamo la guerra.A metà ottobre lo stesso Mussolini, intransigente neutralista come direttore de l'" Avanti! ", si spostò Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva ed operante ed, espulso dal partito, all'interventismo più acceso de " Il Popolo d'Italia ". Per Nenni non fu proprio una conversione perché il suo interventismo aveva le carte in regola con la scelta e con l'ideologia repubblicana: come tutto l'interventismo " rivoluzionario " era convinto che la " rivoluzione mancata " del Risorgimento, fallita nelle piazze, poteva maturare nelle trincee, poiché come lui disse, " l'asse della rivoluzione si spostava dalle barricate alla guerra ". Inoltre il neutralismo, visto in quel momento come viltà, aveva tra i suoi difensori i nemici più odiati: i socialisti, i clericali, la monarchia, e soprattutto Giolitti. L'errore - che Nenni poi riconobbe - fu di aver scambiato un conflitto di interessi tra grandi potenze per un fatto rivoluzionario. Il 27 maggio 1915, dopo aver ricevuto diverse condanne per offese al re e vilipendio delle istituzioni, Pietro Nenni partì volontario per il fronte, e nell'autunno del 1916 tornò a casa per convalescenza dovuta ad un trauma nervoso cagionato da un'esplosione di un barile di polvere da sparo vicino le linee italiane.

Nenni continuava su " Il Popolo d'Italia" la polemica contro i socialisti ma, sebbene gridasse al tradimento di Lenin per la pace separata di Brest-Litovsk, che aveva permesso alla Germania di concentrare le truppe sul fronte italiano, nutriva forti dubbi che, senza o contro il proletariato che in Russia aveva fatto la rivoluzione sul serio, non potrà essere cambiato l'assetto istituzionale e sociale dell'Italia del dopoguerra. Su questo tema cresceva il dissenso con i repubblicani. " Nenni segue e sviluppa il filo della sua ispirazione e si batte per realizzare l'unità tra repubblicani e socialisti sull'idea della Costituente per un programma che chiami il popolo a condannare con il voto la monarchia e a istituire un'Assemblea costituente delegata a rinnovare lo Stato e la società " . Un episodio privo di rilevanza ma dimostrativo della crisi di coscienza che maturava Nenni, avvenne nel 1919 quando egli partecipò alla costituzione del Fascio di combattimento di Bologna, alla quale parteciparono in maggioranza esponenti dell'interventismo di sinistra, specie repubblicani, ma che non piacque alla destra, che nell'ottobre 1920 costituirà il vero fascio mussoliniano bolognese, e a Nenni, che, dopo due mesi, se ne dissociò intravedendo la svolta reazionaria del fascismo.   Nell'autunno del 1920 Nenni lanciò un invito ai repubblicani ad uscire dalla concezione arretrata dei rapporti sociali e a collaborare con i socialisti, ma l'invito non fu raccolto ed egli fu costretto a dimettersi.

Nenni non rinnegava le ragioni del precedente interventismo, ricordando l'atteggiamento dei partiti socialisti degli altri paesi tutt'altro che ostili alla guerra, ma ammetteva di aver sbagliato: la guerra, invece di aprire la strada alla rivoluzione, aveva mostrato il volto imperialista del capitale, ed aveva dato ragione a Marx; la conversione al socialismo non fu dunque mero opportunismo, ma scelta di una nuova posizione di combattimento alla ricerca della rivoluzione. Nenni, pur convinto nell'intimo che il bolscevismo non era né desiderabile né fattibile e che l'unica via percorribile, per attuare uno Stato a forma repubblicana e perseguire la giustizia sociale, era quella democratica attraverso un'Assemblea Costituente, aderì all'obbiettivo della rivoluzione proletaria perseguito dalla maggioranza massimalista del Psi, guidata da Serrati.

Nel 1921, fu proprio Serrati che, nutrendo grande fiducia per Nenni, lo mandò per un anno a Parigi come corrispondente dell'" Avanti! ". Intanto imperversava lo squadrismo fascista, ma la sinistra era convinta, erroneamente, che il fascismo fosse solo un fenomeno transitorio e che sarebbe stato riassorbito velocemente dalla borghesia. Quando nel maggio 1922 Nenni rientrò a Milano, venne nominato redattore-capo e si rese subito conto, a differenza della maggioranza massimalista, che il fascismo era una autentica tragedia. Sennonché nell'aprile del 1923 al congresso del Psi Nenni vinse la battaglia per l'autonomia del partito, opponendosi al tentativo, imposto da Mosca e voluto dai fusionisti come Serrati, di unione con il Pcd'I, e diventando direttore dell'" Avanti! " e maggiore leader del Psi.   

Le violenze fasciste aumentavano e Nenni aveva chiara la coscienza della necessità che le opposizioni fossero unite, ma era confusa la linea politica unificante. Aspra fu la polemica tra Nenni e Gramsci: i comunisti rimproveravano al partito socialista di sostenere una politica di unità antifascista per instaurare la democrazia borghese. Il partito, anche dopo l'espulsione di Serrati, era rimasto massimalista e Nenni lasciò l'" Avanti! " nel 1925 per divergenze con l'esecutivo considerato poco decisionista (accusa che peserà su Nenni durante il 1946).

Così, grazie a Carlo Rosselli, il 27 marzo 1926 venne alla luce " Il Quarto Stato ": un tentativo di unire i socialisti su una linea capace di superare i limiti del massimalismo e del riformismo. Prima di essere sciolti, i partiti di sinistra continuarono a dilaniarsi: i riformisti ponevano condizioni pesanti per l'unificazione; i comunisti continuavano nella loro tattica del bastone e della carota, proponevano al Psi il fronte unico rivoluzionario, ma non nascondevano il loro fine vero: " La scomparsa del Psi dalla scena è necessaria e utile per il movimento rivoluzionario "; il Psi continuava ad essere sempre diviso tra i massimalisti e i fautori dell'unità socialista. Ma dai primi di novembre del 1926 i partiti vennero sciolti e cominciava per Nenni (e per tanti altri) la via dell'esilio.

A Parigi Pietro Nenni divenne segretario generale della Concertazione (fondata nell'aprile 1927), cui parteciparono i socialisti, i riformisti, i repubblicani, la Confederazione del lavoro diretta da Buozzi, la Lega dei diritti dell'uomo diretta da De Ambris. Nella capitale francese si riformarono non solo gli stessi partiti, ma le stesse correnti e si riaccendevano le stesse diatribe; continuavano ad essere impossibili i rapporti di collaborazione con i comunisti, le cui aggressioni si collocavano nel quadro della parola d'ordine del VI Congresso del Comintern: accentuare la lotta alla socialdemocrazia, definita ormai il nemico principale del comunismo. Per Nenni lo scopo principale era la lotta al fascismo e tale lotta era utile per ricomporre ad unità il movimento socialista: una speranza che divenne realtà nell'estate del 1930 con l'unificazione, tanto anelata, con i riformisti. Il nuovo Psi vide Nenni spostarsi ripetutamente per l'Europa con l'incarico di rappresentare il partito nell'Esecutivo dell'Ios. Ma Nenni non rinunciava nemmeno all'avvicinamento ai comunisti, che restava, a suo giudizio, un obbiettivo di fondo del movimento operaio, ed era consapevole più di altri che senza i comunisti non solo non si faceva la lotta per il socialismo, ma senza di loro e la Russia non si faceva la lotta al fascismo, soprattutto dopo l'avento di Hitler al potere e l'instaurazione della dittatura totalitaria nazista. Era sua ferma convinzione che la via da seguire fosse quella dell'accordo con il Pcd'I e dell'intesa tra le due Internazionali, ma il Comintern, per tutta la prima metà del 1934, insistette nella denuncia della socialdemocrazia come forza controrivoluzionaria. Intanto la Concertazione, che si era irrobustita nel 1931 con l'apporto del movimento di Giustizia e Libertà di Carlo Rosselli, si sciolse il 5 maggio 1934 per un dissidio tra quest'ultimo e Nenni sulla necessità della collaborazione con il Pcd'I. I fatti dettero ragione a Nenni: tre mesi e 12 giorni dopo socialisti e comunisti firmavano il primo patto di unità d'azione; nel luglio del 1935 il VII Congresso dell'Internazionale comunista mutava la tattica e lanciava la parola d'ordine dei fronti popolari con i socialdemocratici. Va aperta una parentesi utile a far rilevare uno dei miti che condizioneranno la concezione nenniana della politica estera negli anni infuocati del secondo dopoguerra. La difesa dell'Urss non era stata assunta solo dai partiti comunisti, anche la mozione approvata dall'Esecutivo dell'Ios nella riunione del 19-20 maggio 1932 denunciò le minacce aggresive del Giappone contro l'Urss e chiamò i lavoratori socialisti alla " solidarietà per la salvaguardia dell'Urss " , e lo stesso Nenni rilevava che il fine principale era la vittoria della causa rivoluzionaria del proletariato, quindi anche la sopravvivenza dell'Unione Sovietica la cui esistenza era garanzia per l'avvenire della rivoluzione proletaria in tutto il mondo. L'equazione Urss = socialismo era in sé aberrante ma, una volta accettata, portava a conclusioni obbligate: alla difesa acritica della Russia e di Stalin che ne era il capo. La Russia era il nemico principale del fascismo, quindi era alleata degli antifascisti, così come era anticapitalista come lo furono i socialisti; inoltre i sovietici avevano abbattuto lo zar, dunque erano amici dei repubblicani (e Nenni lo era stato). I fatti contribuivano del resto a rafforzare i suoi convincimenti, fino ad oscurare la sua lucidità: riaprirà gli occhi solo nel 1956. E i fatti furono: l'adesione alla politica unitaria di tutto il socialismo, europeo e italiano; le modificazioni nella linea politica dell'Urss che rendevano più facile l'alleanza tra Russia e paesi democratici contro il fascismo; la vittoria del Frente popular in Spagna il 16 febbraio 1936, e del Front populaire in Francia il 3 maggio dello stesso anno.

Con l'inizio della guerra civile spagnola, Nenni si rese conto della gravità del pericolo: non era solo in gioco la causa del socialismo, ma i destini della democrazia europea. E Nenni si dedicò interamente alla tragedia spagnola: venne nominato commissario politico delle Brigate internazionali, e parlava tre volte la settimana, a nome di tutte le forze politiche presenti nelle Brigate - dove i comunisti erano i più numerosi -, alla radio di Madrid. Con tutte le riserve sui metodi dei comunisti e sui fini dell'Unione Sovietica, Nenni capì che era grazie soprattutto ai comunisti e alla Russia, che inviava armi e tecnici per la direzione delle operazioni, se la Repubblica spagnola resistette ai generali golpisti, e confermava la sua convinzione che l'Unione sovietica e i comunisti erano le forze decisive nella lotta contro il fascismo e per la restaurazione della democrazia in Italia.

Intanto a Parigi si svolse il congresso del Psi dal 26 al 28 giugno 1937, che confermò la linea unitaria, e Nenni venne confermato segretario del partito e direttore del " Nuovo Avanti! "; inoltre fu rinnovato a luglio il nuovo patto di unità d'azione con il partito comunista. D'accordo con Nenni, Saragat difese l'unità d'azione con i comunisti ma i dissensi dentro il partito crescevano, alimentati dai processi di Mosca tra il 1936 e il 1939, che consentirono a Stalin di liberarsi degli avversari politici, già suoi compagni della rivoluzione d'ottobre. Nenni scrisse numerosi articoli critici, ma nonostante ciò restava convinto che i processi non avrebbero dovuto incrinare l'unità tra i due partiti nella lotta contro il fascismo. Ma il colpo definitivo, che creerà sconforto e divisione fra la classe lavoratrice, fu il patto di non aggressione russo-tedesco del 22 agosto 1939. Nonostante Nenni fosse convinto che era necessario " tapparsi il naso " e continuare l'unità d'azione, ritenendo che quel patto avrebbe avuto natura breve, la direzione del partito socialista (Morgari, Saragat, Tasca) accentuò la rottura con il partito comunista e dichiarò cessata qualsiasi collaborazione. L'ultimo contatto di Nenni con il partito fu la riunione del Consiglio nazionale della fine aprile 1940.

A giugno Nenni lasciò Parigi per l'arrivo dei tedeschi e si trasferì in un villaggio sui Pirenei dove cercò di riallacciare le file della resistenza fra italiani, francesi, spagnoli; proprio il 22 dello stesso mese si rompeva il patto russo-tedesco e nell'ottobre del 1941, a Tolosa, venne firmato il terzo patto d'unità d'azione tra socialisti, comunisti e Giustizia e Libertà. La politica di Nenni alla vigilia del ritorno in Italia s'incentrò sull'alleanza stretta col partito comunista e l'evoluzione verso una visione della democrazia italiana lontana dal riformismo e più vicina all'ideologia del marxismo e del leninismo. L'otto febbraio 1943 Pietro Nenni venne arrestato dalla Gestapo e tradotto in Germania, ma (molte circostanze lasciano credere in un intervento di Mussolini) giunse a Regina Coeli e da qui al confino di Ponza, da cui sarebbe stato liberato il 4 agosto e subito nominato segretario del partito (denominato Psiup) e direttore dell'" Avanti! " clandestino. 

I partiti che si venivano ricostituendo erano destinati a governare il paese nelle drammatiche condizioni del dopoguerra, ma Nenni in quel clima ritrovò l'entusiasmo della gioventù passata, riscuotendo la fiducia dei giovani socialisti, perché aveva tenuto fede al suo impegno unitario e non aveva mai rinunciato al socialismo come rivoluzione antiborghese. Gli ostacoli al disegno di Nenni (unità d'azione tra i due partiti di sinistra come condizione per battere i tentativi di restaurazione monarchica e conservatrice, per realizzare grandi riforme sociali e la repubblica, e come primo passo verso l'unità organica) derivavano dall'impreparazione della sinistra; dall'enorme opera di ricostruzione materiale e morale del paese; dalla classe dirigente di cultura ed estrazione fascista colpita, ma non definitivamente, dalla caduta del fascismo. Infatti rimase intatta la struttura conservatrice dello Stato; permanevano le divisioni all'interno dell'antifascismo tra moderati ed estremisti; aveva grande rilievo il potere delle forze alleate occupanti, che l'avrebbero, poi, usato per contrastare la sinistra.

Nenni aveva dunque fretta di vincere: il suo slogan " vento del Nord " significava che le vecchie strutture dello Stato potevano essere abbattute nel momento dell'unità del paese con prevalenza del clima politico instauratosi al Nord (l'unità di ferro tra comunisti e socialisti nella Resistenza); passato quel momento, il compromesso sarebbe stato per la sinistra rinuncia e rassegnazione. I comunisti gli rimproveravano il massimalismo, e Nenni li criticava a sua volta per il loro opportunismo: mentre il Pci mostrava moderazione per convincere gli alleati occupanti che non mirava alla rivoluzione sovietica e per farsi accettare in un paese assegnato, con il consenso di Stalin, alla sfera di influenza occidentale, Nenni non era intralciato dall'ipoteca della dipendenza da Mosca e poteva cogliere l'attimo fuggente della rivoluzione democratica e repubblicana.

All'indomani dell'armistizio socialisti e comunisti rinnovarono il patto di unità. Era un documento tutto centrato sulla prospettiva dell'unità organica tra i due partiti e che poneva come obbiettivi comuni: la mobilitazione armata delle masse contro il nazifascismo; l'impegno per la creazione di una democrazia popolare e il suo sviluppo verso il socialismo; la lotta per ottenere il riconoscimento della piena sovranità delle decisioni del popolo e in questo contesto raggiungere lo scopo immediato più importante, cioé l'abbattimento della monarchia giudicata - e Nenni, da vecchio repubblicano, ne era il più convinto - responsabile del fascismo e della guerra: egli si oppose fermamente all'invito rivolto da Churchill a tutte le forze nazionali perché si unissero al governo Badoglio e al re nella lotta contro il fascismo e il nazismo. Intanto il 28 gennaio 1944 si riunì a Bari il I Congresso dei comitati di liberazione nazionale, e venne approvato da tutti i partiti (liberale, democristiano, demolaburista, azionista, socialista e comunista) un ordine del giorno, con il quale si chiedeva l'abdicazione immediata del re e la formazione di un governo con pieni poteri, ma la direzione socialista, che chiedeva un governo con tutti i poteri costituzionali dello Stato per evitare che seguisse una luogotenenza dopo l'abdicazione del sovrano, creò una divisione interna al Cln che determinò le dimissioni da presidente di Bonomi.

Va detto che ai primi del 1944 il partito comunista era in maggioranza sulla linea di rifiuto di ogni compromesso col governo Badoglio, ma con il ritorno di Togliatti da Mosca mutò completamente linea: Togliatti affermò che il problema principale del momento era di partecipare in pieno alla guerra contro il nazifascismo, che perciò bisognava accantonare la questione della monarchia, lasciandola alla decisione popolare, alla fine delle ostilità, e costituire un governo rappresentativo delle forze antifasciste che poteva essere anche presieduto da Badoglio. A parte lo sconcerto del partito socialista, la svolta di Togliatti produsse solo una piccola incrinatura nel patto di unità tra socialisti e comunisti. La direzione socialista sentì il bisogno di chiarire la sua posizione e lo fece con il manifesto del 1° maggio 1944 - interessante perché in esso c'erano tutti gli elementi portanti della politica di Nenni negli anni successivi, come le illusioni del processo di democratizzazione dell'Unione Sovietica -, che rinnovava la critica alla soluzione del governo Badoglio ma affermava anche il " convincimento che era attraverso l'unità d'azione che il proletariato marciava verso la vittoria e verso l'unità organica tra i due partiti, cioé verso la formazione del partito unico della classe lavoratrice ", soprattutto ora che i comunisti avevano scelto il metodo democratico, una conversione parallela e corrispondente all'ipotizzata democratizzazione dell'Urss. Ne conseguiva l'atteggiamento di sostegno dell'Urss: " Esiste fra la Rivoluzione d'ottobre e la lotta rivoluzionaria nei paesi tuttora dominati dal capitalismo un intimo e indissolubile legame.....quando l'esistenza della Russia è minacciata, la classe lavoratrice deve subordinare tutto alla sua difesa ".

L'otto giugno del 1944 nacque il governo presieduto da Ivanoe Bonomi, espressione del Cln e non della monarchia, che aveva chiaramente rotto la continuità istituzionale e rimesso al popolo la scelta tra repubblica e monarchia; ma la vittoria repubblicana non era assicurata in partenza perché la Dc non si voleva pronunciare, e su questo terreno Nenni pose la pregiudiziale di un pronunciamento da parte di questo partito (atteggiamento che Togliatti non assunse). Per Nenni in sostanza la " rottura della continuità ", anche sul piano burocratico, doveva essere una " rivoluzione nazionale " o, per meglio dire, una rivoluzione socialista. Il 26 novembre 1944 Bonomi si dimise: i socialisti che avevano espresso la loro sfiducia al vecchio riformista si opposero alla conferma, così, quando Bonomi costituì il nuovo governo il partito comunista finì per entrare senza quello socialista, e senza gli azionisti. Socialisti e comunisti - seppur divergenti nella tattica - avevano un comune interesse a battere la reazione e i moderati, e per Nenni l'alleanza tra i due partiti rimaneva un dovere.

Nenni era sempre più convinto che se in Italia si fosse realizzata la rivoluzione che egli auspicava, la repubblica democratica socialista italiana avrebbe potuto contare sull'aiuto dell'Urss, come era successo per la Repubblica spagnola nel 1936. Ciò che sfuggiva al leader socialista era che le cose dopo la guerra stavano diversamente: la Russia si era impegnata con gli Stati Uniti e l'Inghilterra a non aiutare nessun movimento rivoluzionario in Europa occidentale e in cambio aveva ottenuto la main libre nell'Europa orientale; e mentre Togliatti queste cose le aveva capite e cercava di gestire la difficile presenza del partito comunista in un paese rientrante nella sfera di influenza delle potenze occidentali facendone accettare la presenza, Nenni non intendeva rinunciare, proprio ora che sentiva la vittoria vicina, alle idee alle quali aveva consacrato la sua vita: la repubblica e il socialismo.

L'opportunismo serviva a Togliatti per far accettare, legittimare il partito comunista; per il partito socialista, che non aveva legami organici con Mosca, e la cui legittimazione democratica era fuori dubbio, sarebbe stata una rinuncia ingiustificata a favore delle classi e dei partiti avversari.

Il movente internazionale appariva sempre più chiaramente come un'ipoteca rilevantissima negli sviluppi della situazione italiana: non tanto la presenza delle truppe alleate, che era in sé un fatto transitorio, quanto gli accordi tra le grandi potenze. Il caso greco, di guerra civile contro i partigiani dell'Elas risolta dalle truppe inglesi a favore della monarchia e del governo di Papandreu, mostrava come l'intervento militare inglese non aveva suscitato alcuna reazione da parte dell'Urss; e Churchill non risparmiava nemmeno l'Italia affermando, poco dopo gli avvenimenti greci, il 17 gennaio 1945 alla Camera dei Comuni che " In Italia le truppe britanniche e sotto guida britannica sono in un numero triplo di quelle americane ", e rivendicando così all'Inghilterra quello che Nenni definì esattamente " il controllo politico " sul nostro paese. I leaders politici italiani, mentre si resero conto della situazione internazionale e fecero risparmiare all'Italia la sorte della Grecia, in realtà non compresero fino in fondo che tra i tre Grandi si veniva delineando un accordo imposto dai risultati imposti dalla guerra: l'accordo, già intravisto a Teheran, riproposto nell'incontro di Mosca dell'ottobre 1944 e, infine, ormai dato per scontato nel febbraio del 1945 a Yalta. Ciò che era implicito nella spartizione in " zone di influenza " dell'Europa e nella fine della guerra, era che i tre Grandi andavano necessariamente verso la separazione dettata dai diversi regimi economici e politici, dai contrastanti interessi, dalle confliggenti finalità, dalle radicate diffidenze. Invece tanti pensarono che erano state poste le basi per un'intesa duratura, e Nenni fu il primo ad esserne convinto, infatti così commentava la Conferenza di Yalta: " Dopo la Conferenza di Yalta si può considerare definitivamente costituito il direttorio che per almeno una generazione terrà nelle proprie mani il destino del mondo e in particolare quello dell'Europa "

Il clima di ottimismo per l'approssimarsi della fine del conflitto faceva maturare queste ingenue speranze della sinistra e di Nenni in particolare: che la collaborazione tra Stati Uniti, Inghilterra e Unione Sovietica sarebbe durata a lungo e che le forze dirigenti di questi paesi non avrebbero ostacolato il cammino vittorioso della sinistra.

Dopo la liberazione, Bonomi aveva esaurito il suo compito: si impose la necessita di un governo più rappresentativo - anche del Nord dell'Italia - che si fosse posto il problema della ricostruzione. Il 21 giugno 1945 si costituì il governo Parri, una soluzione di compromesso che vide Nenni alla vicepresidenza del consiglio, al ministero per la Costituente e all'Alto Commissariato per l'epurazione: erano le prime responsabilità ministeriali per il leader socialista. L'unica decisione rilevante del governo Parri fu quella riguardante le elezioni; un argomento che testimoniava l'impazienza della sinistra di voler cogliere subito il successo (Nenni coniò lo slogan " dal governo al potere ") attraverso elezioni politiche, mentre chi temeva il comunismo e il socialismo era propenso ad una prima verifica attraverso elezioni parziali e amministative.

Nenni, prima si oppose fermamente all'idea di De Gasperi di affidare la scelta al popolo col referendum, poi fu favorevole al contemporaneo svolgimento del referendum istituzionale e delle elezioni per l'Assemblea Costituente, in quanto avrebbe impegnato i cattolici e i liberali a prendere nettamente posizione per la Repubblica o per la Monarchia: questo fu l'errore che consentì alla Dc di essere alle elezioni del 2 Giugno 1946 il primo partito. Successivamente Nenni giustificherà il suo ripensamento sul referendum, con il timore che una lunga controversia poteva servire ai liberali e alla Dc per aprire una crisi nel Cln, e col convincimento, sostenuto dalla vittoria laburista in Inghilterra, che la sinistra era sicura di vincere se le elezioni si fossero tenute al più presto

Éimportante sottolineare il fatto che costituiva un primo segnale di come il partito socialista (o almeno una parte) non era più tanto convinto di marciare con i comunisti, e di come, quindi, si intravedevano al suo interno le prime lacerazioni. Rinacque, infatti, l'idea di fusione col Pci, ma al Consiglio nazionale di fine luglio 1945 Saragat attaccò a fondo il progetto di fusione (che porta le firme di Morandi, Basso, Cacciatore, ma non di Nenni), ed ottenne un successo enorme. Nenni, che fu confermato leader del partito anche con l'appoggio di Saragat, assunse un atteggiamento espressione di volontà mediatrice e sostanzialmente dilatoria: era stato sempre cauto sull'unità organica giudicandola come l'approdo attraverso un collaudo nell'unità d'azione. In sostanza, mentre Saragat era scettico nei confronti dell'unità organica, poiché vedeva il comunismo di Stalin poco compatibile col socialismo, Nenni la ricercava, con la coscienza che il Psiup se unito poteva essere, come lo era stato in Francia e in Spagna, la forza traente di tutta la sinistra unita, perché garante della democrazia e polo di riferimento della maggioranza dei lavoratori: ma per Nenni il passo era ancora prematuro. Anche i laburisti inglesi intervennero per frenare l'ondata fusionista; Bevin mandò a Nenni un messaggio in cui esprimeva la grande preoccupazione sua e del Labour Party per l'eventuale fusione col partito comunista.

Intanto il governo Parri annaspava e si formò il 10 dicembre 1945 un governo democristiano, il primo di una lunga serie che terminerà trentacinque anni dopo: un governo moderato guidato da Alcide De Gasperi, nel quale Nenni avrebbe mantenuto la vicepresidenza e il Ministero per la Costituente.

Ne primi mesi del 1946 alle difficoltà del governo si sommavano per Nenni quelle nel partito. La prospettiva fusionista era definitivamente liquidata dalla Direzione che si riunì alla vigilia del congresso, svoltosi al teatro comunale di Firenze tra l'11 e il 17 aprile del 1946, e l'unità col Pci venne posta non più in funzione del partito unico, ma come lotta comune per obbiettivi politici: ma se questo avrebbe dovuto sopire le polemiche, in realtà il partito - che era come una federazione di personalità ispirata dal principio di libertà - iniziò a degenerare nel frazionismo. Ma cosa divideva i socialisti?

Il rapporto con il partito comunista e con Mosca. Ma quella divisione non poteva ancora emergere con la forza dirompente che avrebbe avuto al successivo congresso. L'alleanza tra le potenze occidentali e l'Unione Sovietica si stava incrinando: il 6 marzo 1946 l'ex Primo Ministro britannico Churchill, parlando all'università di Fulton alla presenza di Truman, aveva criticato fermamente il comunismo internazionale e denunciato la cortina di ferro che l'Urss aveva alzato nel cuore dell'Europa.

Nenni, nella relazione congressuale affermò che il discorso di Fulton era il discorso di chi era stato costretto a fare la guerra ai nazisti, quando avrebbe preferito farla ai sovietici , ed espresse una certa indeterminatezza - segno che la scelta andava elusa più a lungo possibile per non creare una frattura nel partito - sulla prospettiva di linea politica per il futuro in campo internazionale: " Posti al limite dell'occidente e dell'oriente noi non possiamo entrare nella politica dei blocchi che sarebbe funesta all'Europa, ma soprattutto al nostro paese. Non possiamo sposare perinde ac cadaver la politica dell'Unione Sovietica, non possiamo identificarci con la politica britannica o con quella americana senza ridurci a colonia " . Altri all'interno del partito socialista interpretavano la situazione internazionale come Churchill.

Ai primi annunci della divisione mondiale, il socialismo italiano, nonostante la convergenza fra i contenuti delle due mozioni principali uscite dal congresso (quella di " base " e quella " unificata ") riguardo alla situazione internazionale, si divideva. E dietro l'intesa sui rapporti col partito comunista (niente fusione, riconferma del patto di unità d'azione), si avvertivano i dissensi. Nenni non credeva all'unificazione tra Psiup e Pci ma credeva fermamente all'unità d'azione; Saragat non credeva all'unità d'azione e credeva solo all'autonomia, perché aveva intravisto le prospettive della politica mondiale e aveva capito che si sarebbe andati verso la rottura tra Occidente e Unione Sovietica e conseguentemente verso la rottura della collaborazione del Cnl, però ancora era prudente: rivendicava l'" assoluta autonomia " ma esaltava, al contempo, il patto di unità d'azione " capolavoro di ingegneria politica "

Alla fine dei lavori, il congresso di Firenze si chiuse in modo unitario ma con una fragile unità. Il compito di Nenni fino al successivo congresso fu quello di costruire l'autonomia ideologica e politica del partito, e in tal senso darà prove di moderazione o forse è meglio dire di tardiva indecisione; ma volere l'autonomia con la riserva che era un transito verso la fusione non contribuì certo ad evitare il triste epilogo di Palazzo Barberini.

Il 2 giugno 1946 finalmente si avverava per Pietro Nenni il sogno che aveva sin dalla prima giovinezza: la Repubblica, ma alle elezioni per l'Assemblea costituente la Dc si confermò il primo partito con il 35,2 % dei voti contro il 20,7 % del partito socialista e il 18,9 % del partito comunista. De Gasperi con l'intento di isolare a sinistra il Pci propose la mezzadria Dc-Psiup, un " asse preferenziale " tra i due partiti e la collaborazione governativa dei comunisti , ma Nenni ribadì che l'unico asse preferenziale era quello Psiup-Pci, specie dopo la vittoria socialista (primo partito della sinistra e guida del movimento proletario verso la realizzazione del socialismo) e di fronte a " un grosso pericolo clericale " . All'interno del partito la maggioranza del gruppo parlamentare era riformista e Saragat accentuava il suo " anticomunismo ", preoccupando non poco Nenni, il quale era incerto se tornare al governo o consacrarsi al partito; alla fine il 13 luglio decise di entrare nel secondo gabinetto De Gasperi (una coalizione che includeva oltre a Dc, Psiup e Pci, anche il Partito Repubblicano, che fino al 2 giugno era stato fuori dai governi per la pregiudiziale antimonarchica) con un incarico senza portafoglio ma con la riserva che appena fosse stato firmato il trattato di pace avrebbe assunto gli Esteri, e ciò sarebbe avvenuto il 18 ottobre 1946. 

Come mai Pietro Nenni accettò un incarico così delicato e di enorme responsabilità in un momento di crisi interna al partito socialista che avrebbe potuto portare, come poi accadde, ad una scissione? E ancora, fu la scelta di non scegliere, lasciando il partito nell'indeterminatezza quando la situazione internazionale iniziava a polarizzarsi, che aveva indotto l'esponente socialista a cogliere il momento opportuno per poter dare un'impronta nuova e socialista alla politica estera italiana, tema a lui caro?

Capitolo IV

PERCHÉ NENNI AL MINISTERO DEGLI ESTERI? CONSENSI E RISERVE


Nel secondo governo De Gasperi, a Nenni fu assegnato il ministero degli Esteri, con la riserva che egli sarebbe rimasto ministro senza portafoglio, con il vecchio incarico di ministro per la Costituente. Gli Esteri rimasero, ad interim, nelle mani di De Gasperi, affinché questi potesse seguire sino in fondo l'elaborazione del Trattato di pace. Solo a distanza di alcune settimane dalla soppressione del dicastero per la Costituente (2 agosto) il ministro socialista passò al nuovo ufficio (18 ottobre 1946). Tante affermazioni tendono a circoscrivere la portata dell'esperimento di Pietro Nenni agli Esteri: si potrebbe dire, ad esempio, che questa esperienza era la sfortunata scelta del leader socialista, fatta in un momento in cui era vano impegnarsi nella politica estera; che gli alleati occidentali volevano isolare completamente Nenni; che la diplomazia italiana lo trascurò, così come averva fatto con Togliatti quando si recò a Belgrado per discutere direttamente con Tito della possibile soluzione della questione del confine orientale mediante la cessione di Gorizia alla Jugoslavia in cambio del riconoscimento dell'italianità di Trieste. Tuttavia si deve prestare attenzione, più che all'andamento episodico del breve periodo di durata dell'incarico, al suo senso strategico, per valutare meglio il tentativo di costruzione di una autonoma politica estera socialista. Égiusto dunque domandarsi quali siano state le ragioni che spinsero Nenni al ministero degli Esteri e quali, naturalmente, le considerazioni maturate in tal senso da De Gasperi che, ricordiamo, stava organizzando canali di comunicazione diretti con Washington attraverso i quali controllare ed emarginare l'azione dell'ancora esistente, ma non per molto, Psiup.

La consapevolezza che la politica estera aveva una funzione determinante era profondamente radicata nel pensiero di Pietro Nenni. " La verità è - scriveva nel 1922 - che non esistono che problemi internazionali.....Che nessun problema è risolvibile entro i limiti della nazione " . Le vicende del periodo tra le due guerre mondiali e soprattutto la situazione instauratasi con la caduta del fascismo non potevano che rafforzare tali convinzioni. L'Italia trasformata in campo di battaglia tra gli eserciti in lotta, lo stato di minorità in cui il paese si trovava dopo l'armistizio, la constatazione che esso era ormai divenuto una pedina di un gioco sempre più vasto erano tutti elementi che avrebbero dovuto far intendere quanto la situazione internazionale fosse determinante per le future vicende interne.

Non tutti condivisero peraltro tale impostazione. Quando, nel giugno 1946, si trattò di costituire il primo governo della Repubblica italiana la tendenza prevalente all'interno del partito socialista era quella di chiedere il ministero degli Interni, il tradizionale ministero chiave della compagine governativa. " Si è ripresa la discussione se chiedere gli Interni o gli Esteri - scrisse Nenni il 22 giugno nel suo diario -. Netta prevalenza della prima tesi, sostenuta da Saragat e da Cacciatore. Il provincialismo è il nostro vizio segreto. Come non capire che dell'avvenire d'Italia si decide in sede di politica estera " . Quattro giorni dopo Nenni constata ancora che la maggior parte dei suoi compagni " in perfetta buona fede, non capiscono qual è l'importanza della politica estera e la considerano caccia riservata per i blasonati. Essi non vedono che gli Interni "

Questo atteggiamento di Nenni spiega l'importanza di esaminare nel suo insieme l'esperienza del leader socialista a Palazzo Chigi. " A chiedere per il Psi (e ad assumere personalmente) il ministero degli esteri mi avevano indotto tre considerazioni che poi fanno tutt'uno - ha ricordato Nenni parecchi anni dopo -. La prima: la consapevolezza che avremmo avuto la politica interna della nostra politica estera. Così era stato con la Triplice alleanza; così con l'Asse Roma-Berlino. In entrambi i casi la politica interna era stata fortemente condizionata dalle alleanze militari. In secondo luogo: la previsione che i maggiori problemi della nazione, dopo la Costituente o dopo l'avvento della Repubblica, sarebbero stati il trattato di pace e le sue conseguenze, che avrebbero potuto esasperare i sopiti istinti nazionalistici. Infine la volontà di impedire che la nazione si lasciasse di nuovo mettere al collo il cappio delle alleanze militari..."

Sull'argomento Nenni ritornò ancora alla fine del 1948, presentando il primo numero di Mondo Operaio, il periodico che aveva voluto per interessare l'opinione pubblica socialista alla politica estera, per " spostare l'attenzione della classe operaia e delle masse popolari dal Viminale a Palazzo Chigi " . Nell'occasione Nenni ricordò le vicende del giugno 1946, compiacendosi di aver insistito in tale circostanza per ottenere la poltrona agli Esteri, preferito " a un sottosegretariato agli interni o ad un dicastero che maneggi e distribuisca fondi ". Per Nenni l'intenzione era ben diversa. La politica estera era " la politica per eccellenza, la misura delle attività politiche di un popolo; ad un tempo la causa e l'effetto della politica generale ". Per di più egli era certo che la politica interna dell'Italia, all'indomani del secondo conflitto mondiale, sarebbe stata condizionata dalla sua collocazione sullo scacchiere internazionale e, quindi dalla sua politica estera. I socialisti non dovevano lasciarsi sfuggire l'occasione favorevole all'assunzione del ministero, anche se le prime questioni da affrontare sarebbero state spinose e tutt'altro che semplici. I costi sarebbero stati comunque adeguatamente controbilanciati dalla possibilità di influire concretamente sulla definizione delle linee direttive della politica italiana per gli anni venturi.

Se tutto ciò, poi, non si realizzò - pensava Nenni nel 1948 -, la causa doveva rinvenirsi nella sua permanenza a Palazzo Chigi (dal 18 ottobre 1946 al 20 gennaio 1947) per un periodo troppo breve perché fosse possibile modificare in alcun modo la situazione.

Quando, dopo una lunga crisi, fu finalmente costituito il primo governo della neonata Repubblica italiana, Nenni scrisse sul suo diario: " Édeciso che io andrò agli Esteri e che l'interim sarà intanto retto da De Gasperi. Dovrei quindi trovarmi a Palazzo Chigi fra un mese e mezzo o due. Sarà una grossa responsabilità che mi assumo, in modo particolare mi si pone il problema di sacrificarmi interamente allo Stato. Agli Esteri bisogna stare degli anni a spegnere attorno a sé le passioni politiche. Sennò, meglio rinunciare fin d'ora "

Un socialista al ministero degli esteri era per l'Italia una novità assoluta; non v'era da stupirsi quindi dell'ostilità alla nomina da parte della burocrazia di Palazzo Chigi, e nemmeno delle perplessità della base socialista. Non si potevano cambiare d'un colpo concezioni derivanti da un'inveterata mentalità di opposizione: un socialista a Palazzo Chigi era qualcosa difficile da comprendere non solo da parte dei militanti, ma anche da parte di alcuni dirigenti. Non si trattava solo delle già ricordate difficoltà fatte dai compagni di partito a Nenni quando si doveva scegliere tra il ministero degli interni e quello degli esteri. Alcuni di loro erano perplessi ed ostili alla stessa partecipazione dei socialisti al governo. I motivi erano vari, ma non erano pochi coloro che ritenevano che lo stare al governo pregiudicasse il rafforzamento del partito nel paese. Una spia delle perplessità esistenti nel partito emerse, anche, da un editoriale apparso sull'Avanti!, in cui si affermava che la partecipazione governativa non poteva " esaurire il compito del Partito socialista, il quale continuerà nel Paese la sua azione intransigente di organo propulsore di tutte le iniziative classiste, democratiche e repubblicane " . Nella stessa linea si collocano le critiche, che nel corso di una riunione della direzione del Psiup il 6 agosto 1946 formulò Pertini per la situazione (a suo dire catastrofica) in cui versava il partito: " Naturalmente - annotò Nenni sul suo diario - la colpa è mia perchè non mi curo del partito, mi ostino a stare al governo, non sono al mio banco di deputato, la mia naturale tribuna, vado in giro per le capitali estere invece che per le provincie "

Era, a ben vedere, anche questa, una manifestazione della " mentalità d'opposizione " tuttora viva nei militanti non meno che in taluni dirigenti del partito. I socialisti italiani si erano assunti responsabilità governative, ma gran parte della base non riusciva a liberarsi dalla mentalità d'opposizione.

Una attenta analisi della situazione avrebbe dovuto invece portare, sempre secondo il leader socialista, a tutt'altre conclusioni. La presenza al governo dei socialisti era per lui essenziale per modificare la vita politica del paese in senso socialista e democratico, eliminare quanto residuava del regime fascista ed impedire ritorni reazionari. E ciò sarebbe stato possibile solo controllando la politica estera. Se era vero che i principali problemi italiani erano risolvibili solo per mezzo della collaborazione internazionale, e se era vero che questa era pienamente possibile solo se non si fosse verificata una divisione del mondo in blocchi contrapposti, ne conseguiva la necessità di una presenza socialista a Palazzo Chigi, l'unica in grado - ad avviso di Nenni - di mettere le fondamenta di una nuova politica estera: una politica di equidistanza (e per quanto possibile di mediazione) tra Mosca e Washington, evidenziata da concrete iniziative e volta a cercare la soluzione dei problemi all'ordine del giorno, primo fra tutti quello economico, piuttosto che intesa a inseguire improbabili successi di prestigio.

Un'ulteriore considerazione sulla volontà dell'eponente socialista di occupare la potrona di Palazzo Chigi, è che la presenza di Nenni agli esteri significava togliere il ministero a De Gasperi, il che non era una cosa da poco, poiché il leader democristiano aveva intuito sin dal 1944 quanto fosse importante controllare quel ministero, essenziale per mantenere stretti contatti con gli Usa. Era stata una scelta, già compiuta con i governi Bonomi e Parri, e successivamente confermata: una scelta che aveva consegnato a De Gasperi le chiavi della relazioni con gli Stati Uniti. Togliere, dunque, questo dicastero a De Gasperi voleva dire forse incrinare o pensare di incrinare quelle relazioni preferenziali o, in ogni caso, immaginare una politica estera diversa da quella che De Gasperi stava costruendo o aveva già costruito; realizzare una politica basata sui legami con i democratici statunitensi ma soprattutto con i laburisti inglesi (Nenni infatti preparava un viaggio a Londra per incontrare Bevin).

Per spiegare le ragioni di politica interna, o meglio, le motivazioni strategiche che si esplicavano in un comportamento " gradualista " da parte di Nenni e che gli suggerirono l'avvicendamento di De Gasperi il 18 ottobre 1946 al Ministero degli Affari Esteri in un momento difficile, se non tragico, di transizione nel Psiup, è necessario aprire una parentesi per chiarire l'atteggiamento assunto dal movimento socialista nei mesi tra la tarda estate e l'autunno del 1946, mesi decisivi per il Psiup.

Il Partito si trovò in questo periodo esattamente al centro della linea di crisi dell'equilibrio politico italiano. Francesca Taddei ritiene la " crisi caratterizzata da due spinte contrastanti: a. il radicalizzarsi e l'estendersi dell'opposizione sociale del Pci a tutto svantaggio dell'incisività e della coerenza della sua azione governativa; b. il radicarsi e l'organizzarsi dell'opposizione sociale e parlamentare della destra (qualunquista, monarchica, liberale, confindustriale e democristiana) che delinea ed offre a De Gasperi una possibilità di maggioranza politica e parlamentare diversa da quella del tripartito " . Inoltre in campo internazionale l'incipiente divisione del mondo in sfere di influenza contrapposte, sottraeva ruolo e spazio d'intervento al referente internazionale sul quale i socialisti puntavano, l'Inghilterra laburista, anche se la stampa socialista mostrerà delusione per l'atteggiamento conservatore assunto dalla Gran Bretagna in merito al Trattato di Pace.

In questo contesto il progetto della " centralità " socialista, quello sul quale il Psiup unitariamente puntava, si avviava a essere battuto. Questa consapevolezza, che si fa sempre più presente in Nenni, obbligò il Partito socialista a modificare la propria linea politica rimettendo, inevitabilmente, in moto il meccanismo della divaricazione interna.

La nuova fase della politica socialista risultò così caratterizata da tre punti fermi: dalla crisi della formula del tripartito come coalizione di governo capace di guidare la ricostruzione nazionale (l'ipotesi tecnocratica e riformatrice espressa all'interno del Psiup da Morandi); dalla convergenza di fatto tra la componente emergente di " Quarto Stato " (Lelio Basso) con il Pci (che inizia in questi mesi una campagna di polemiche contro la destra del Partito socialista); dalla convergenza di fatto fra Saragat e quanti, nel paese, lavoravano all'ipotesi della creazione di una maggioranza di governo che possa fare a meno dell'apporto comunista.

In questa situazione Saragat e Basso assunsero apertamente la fisionomia di leaders di due schieramenti contrapposti, e Nenni, preso atto del fallimento del tripartito (essenzialmente per ragioni di divergenze economiche, poiché il contrasto tra il Ministero del Tesoro, retto dall'indipendente di area liberale Corbino, e quello delle Finanze, retto dal comunista Scoccimarro, paralizzava totalmente l'azione di indirizzo economico del governo), appariva dominato dalla preoccupazione di sconfiggere la prospettiva " centrista " - un governo " di mezzadria ", come Nenni lo definì, tra Dc e socialisti con l'esclusione del Pci - e deciso a costruire le condizioni necessarie alla formazione di una maggioranza di governo di sinistra, mettendo in crisi l'asse che lo legava a Morandi e appoggiando l'impostazione di Basso. L'errore di Nenni stava nel fatto che, sebbene egli ritenesse elemento centrale la politica di unità d'azione con il Pci, pensava anche a non rinunciare alla riunificazione ideologica del Partito socialista su di una posizione unitaria, non valutando tuttavia che, mentre egli perseguiva la prospettiva tutta politica dell'alternativa di governo, per Basso, al contrario, la via che si andava tracciando era quella del partito unico con il Pci per raggiungere la meta finale della " dittatura del proletariato ".

Si trattava, dunque, per Nenni di battere il disegno " centrista ", ancorando saldamente il Psiup a sinistra e contemporaneamente di contenere l'egemonia del Pci sullo schieramento progressista, legandolo ad una piattaforma politica democratica e chiamando a raccolta le disperse forze della sinistra laica; tutto ciò prima dell'affiorare della spaccatura internazionale e della sua inevitabile ripercussone sulla situazione interna italiana.

Le condizioni che apparivano necessarie a Nenni affinché questo disegno si fosse potuto verificare, e che mostravano una tattica " gradualista " da parte del leader romagnolo, fatta di momenti ben precisi ai quali non si poteva derogare, pena il fallimento dell'intera strategia e la rottura del Partito, sono tre. Anzitutto, l'assunzione della poltrona di Palazzo Chigi al fine di garantire negli alleati sufficiente credibilità di responsabilità governative, e avere maggior spazio di manovra verso la Gran Bretagna laburista, e per evitare, con la sua presenza in tale sede, una crisi di governo prima del congresso socialista, che Nenni ottenne di fissare per il marzo 1947. Inoltre che il Partito acquistasse e consolidasse una propria compattezza interna su di una comune posizione politica, " neutralista " in politica estera, compito reso più agevole dalla presenza di un esponente socialista agli Esteri. Infine che le elezioni politiche generali venissero fissate nella primavera del 1947.

Ma, a questo punto, è necessario interrogarsi sulle ragioni che avevano spinto il leader democristiano, nonché capo del primo governo della Repubblica italiana, a volere il 18 ottobre 1946 il socialista Pietro Nenni al dicastero degli Esteri.

Molti a Palazzo Chigi non comprendevano perché De Gasperi non si fosse reso conto delle difficoltà che la nomina di Nenni a Palazzo Chigi avrebbe provocato per la diplomazia italiana e dei sospetti che la presenza del socialista a quel posto avrebbe originato negli alleati occidentali. De Gasperi si era schermito non fornendo spiegazioni chiare e plausibili, tanto da originare varie illazioni: che ciò egli avesse fatto quasi come ammonimento agli alleati per il loro comportamento verso l'Italia, oppure per riportare Nenni in un alveo più occidentaleggiante, oppure ancora per la speranza di un ammorbidimento russo nei confronti di Trieste. Questi erano gli interrogativi che si ponevano nei giorni precedenti alla nomina, senza approfondire, come forse si sarebbe dovuto, che per l'assegnazione di Nenni a quel posto militavano anche, e forse soprattutto, ragioni di equilibri interni. Il Partito socialista aveva infatti subito scacchi sia nel campo del programma economico e della politica salariale, sia per la mancata attribuzione, durante la formazione del secondo governo De Gasperi, di portafogli tali da dare ad esso soddisfazione e prestigio. La nomina agli Esteri di Nenni avrebbe forse dovuto avere anche una funzione sedativa dei malumori del Partito socialista.

Interessante è la motivazione sostenuta da Giulio Andreotti , in quegli anni stretto collaboratore di De Gasperi, il quale ritiene che il capo della Democrazia cristiana, perfettamente consapevole della inevitabilità di un Trattato " duro " verso l'Italia, voleva coprirsi le spalle, assicurandosi la collaborazione governativa dei due principali partiti della sinistra in vista dei futuri appuntamenti internazionali, riguardanti essenzialmente il Trattato di pace, e cercava, lasciando la poltrona di Palazzo Chigi al leader socialista dopo la definizione del Trattato stesso, di riversare su quest'ultimo le eventuali polemiche.

Viene prospettata, infine, ma non come l'ultimo dei motivi che avevano indotto De Gasperi a volere Nenni al ministero degli Esteri, il desiderio del leader trentino di accelerare proprio in quel momento così delicato il processo, ormai irreversibile, di divaricazione interno al Psiup, allontanando dalle responsabilità di partito quell'elemento centripeto e stabilizzatore che era Nenni, che manteneva il Partito socialista in una posizione di centralità tra il Partito comunista e la Dc, e la cui compattezza qualora fosse stato chiamato ad una precisa scelta di campo si sarebbe sfaldata. Nenni, del resto, ne era cosciente e, nell'imminenza della sua assunzione del ministero degli Esteri, scriveva nel proprio diario: " Sarà una grossa responsabilità che mi assumo, in modo particolare si pone il problema di sacrificarmi totalmente allo stato " , e ancora: " Nessuno è andato a Palazzo Chigi in una situazione paragonabile all'attuale. Non mi mancano tuttavia né il coraggio né la pazienza necessari per risalire dall'abisso in cui il fascismo ci ha fatto cadere "

A questo punto, è interessante osservare l'operato di Nenni all'interno dell'organizzazione ministeriale e osservare quali siano state le reazioni, i commenti e le eventuali critiche alla presenza di un esponente socialista agli Esteri. In verità, sin dal momento della sua nomina, l'apparato diplomatico non nascose il proprio malumore. Carandini, Saragat e soprattutto Tarchiani facevano (inutilmente) presente a De Gasperi - che forse voleva dare un ammonimento agli alleati o salvaguardare gli equilibri interni - l'inopportunità di una scelta così scomoda.

Nenni, d'altronde, coglieva questo malumore. " Tarchiani è pieno di diffidenza nei confronti del Governo e soprattutto nei miei confronti ", annotava sul suo taccuino . Il leader romagnolo rimproverava apertamente l'Ambasciatore a Washington nel corso dei negoziati di New York per il Trattato di pace. In un telegramma inviato alla delegazione a New York, il 7 novembre 1946, Nenni sciveva tra l'altro: " Nelle dichiarazioni pronunciate ieri dal delegato italiano (cioè da Tarchiani, n.d.a.) quali sono riportate dai resoconti delle agenzie e riprodotte dalla stampa italiana, trovo accenno ad una presunta totale sfiducia italiana nella capacità del Consiglio di Sicurezza di garantire l'integrità e l'indipendenza del Territorio libero e nel diritto di veto che potrebbe bloccare ogni azione concreta mirante a prevenire inframmittenze dall'esterno. Questi accenni, di cui non c'era del resto traccia e in parte sono anche contrastanti con le istruzioni sommarie date prima della partenza alla delegazione, potrebbero essere pericolosi " . E subito dopo l'insediamento a Palazzo Chigi, Nenni mise mano mano alla riorganizzazione dell'apparato diplomatico.

Alberto Tarchiani era ovviamente il bersaglio immediato. Nenni era deciso a sostituirlo con il socialista Ivan Matteo Lombardo e - secondo quanto racconta lo stesso Tarchiani - offrì all'Ambasciatore negli Stati Uniti la sede di Buenos Aires (con responsabilità su tutto il Sud America) e poi quella di Londra, in sostituzione di Caradini, desideroso - a quanto pare - di fare ritorno in Italia.

Alla fine di dicembre del 1946, Nenni comunicò formalmente a Tarchiani la sua sotituzione con Lombardo, preannunciandogli una futura sistemazione a Londra. Non mostrò di prestare ascolto alle obiezioni dell'Ambasciatore, che giudicava inopportuno un suo richiamo, proprio alla vigilia della delicata missione di De Gasperi in America. Sarà poi la scissione socialista - osserva ancora Tarchiani - con le dimissioni di Nenni da Palazzo Chigi a vanificare il programma. Però, a giustificazione del comportamento del leader socialista, vi era quello dello stesso Tarchiani: è, infatti, noto che egli -contrario a che fosse affidato a Nenni l'incarico di ministro degli Esteri, e convinto che per l'Italia c'è una sola strada: " fare una politica [...] coincidente con le vedute e le vie seguite dagli Stati Uniti " - disse al direttore dell'ufficio affari europei del Dipartimento di Stato americano, Matthews, che egli aveva un canale diretto e privato per comunicare con De Gasperi e che quindi gli americani non dovevano temere che notizie riservate potessero finire in " mani sbagliate " , che erano poi quelle di Nenni.

Tuttavia, il leader del Partito socialista riuscì a realizzare qualche significativo movimento diplomatico. All'Ambasciata di Mosca venne designato l'ex ministro liberale Manlio Brosio, in sostituzione di Pietro Quaroni destinato a reggere l'Ambasciata di Parigi. E la scelta di Brosio, ex monarchico convertitosi alla fede repubblicana, indicava l'evidente volontà di Nenni di imprimere una svolta neutralistica alla politica estera, all'insegna dell'" equidistanza " dagli Stati Uniti e dall'Unione Sovietica. Alla sede di Varsavia, in luogo dell'ex sottosegretario agli Esteri Eugenio Reale (comunista), venne nominato, a conferma della costante collaborazione col Pci, il professor Ambrogio Donini, anch'egli comunista.

Cambiò anche il Segretario generale del Ministero degli Esteri: Renato Prunas, uno degli artefici della ricostruzione post-bellica della politica estera, venne destinato alla carica di Ambasciatore in Turchia e, al suo posto, fu nominato l'ambasciatore a Bruxelles Franceso Fransoni. L'intento di Nenni era probabilmente quello di porre alla guida del ministero un funzionario piuttosto incolore che non contrastasse l'opera del ministro.

Parte III

IL DISCORSO DI CANZO: OBIETTIVI DELLA POLITICA ESTERA
Capitolo V

AVVICINAMENTO ALLA GRAN BRETAGNA LABURISTA



Se l'Unione Sovietica rappresentava il primo punto di riferimento - e del resto è inutile ribadire che i socialisti italiani, Nenni compreso, non potevano dimenticare che cosa significava per loro l'Urss, insostituibile polo per il proletariato internazionale, il cui prestigio si era ancora più rafforzato dopo la guerra mondiale grazie alla mitica resistenza davanti a Stalingrado e alla successiva avanzata su Berlino -, le socialdemocrazie europee ne rappresentavano il secondo. Esse sembravano a Nenni uscite rafforzate dalla guerra e in grado di imporre profonde modifiche ai rispettivi sistemi economici e politici. Le democrazie occidentali, sottratte così " alla influenza di interessi privati che, per la loro mole e il loro peso, costituiscono degli Stati nello Stato " , avrebbero rappresentato un elemento di collegamento tra capitalismo e comunismo, tra Mosca e Washington. Nenni a questo proposito guardava con particolare fiducia e simpatia ai laburisti britannici. " Il Labour Party - scriveva Nenni nell'ottobre del 1944 - è [.....] il partito dell'avvenire, quello che porta la speranza e l'auspicio di una pace che non sia una tregua d'armi ma il sugello di un nuovo patto di solidarietà internazionale " . Il vero rischio per un futuro pacifico era infatti per Nenni la divisione in blocchi contrapposti delle potenze che avevano sconfitto il nazismo. Il compito dei partiti socialisti europei ed in particolare dei laburisti britannici era quello di impedirlo. " La più grande sciagura che possa abbattersi sul nostro vecchio continente, sarebbe la formazione di due opposti blocchi, uno attorno all'Inghilterra, l'altro attorno all'Unione Sovietica che si guardassero in cagnesco e s'abbracciassero per meglio soffocarsi. Éla funzione europea del socialismo di impedire che ciò avvenga e di operare come un elemento di coesione in Europa e nel mondo " . La vittoria laburista alle elezioni del luglio 1945 sembrò dare maggiore concretezza alla realizzazione delle speranze di Nenni. In realtà il leader socialista basava le sue considerazioni su di un presupposto destinato a rivelarsi quantomeno impreciso: " Un partito che si appoggia all'interno sugli interessi degli operai - scriveva Nenni nell'ottobre 1944 riferendosi ai laburisti - non può avere che una politica estera democratica, e che poggi anch'essa sugli interessi delle classi lavoratrici " . Per Nenni una politica estera democratica voleva dire una politica estera di sostegno ai partiti operai degli altri paesi europei e di accordo con l'Urss. Le vicende successive dimostrarono invece che la politica estera laburista si sarebbe sempre più orientata in senso filoamericano e comunque non si sarebbe mai liberata da un caratteristico anticomunismo di fondo. Quando si recò a Londra nel dicembre 1944 con Lizzadri e Zagari, Nenni non esitò a rimproverare ai laburisti una politica estera non " all'altezza " della loro politica interna , ricevendone in cambio consigli di prudenza. Allora Nenni attribuì il monito al fatto che i laburisti erano parte di un governo di coalizione coi conservatori e quindi non potevano essere troppo espliciti. Nenni ignorò o sottovalutò altri indizi - come l'opposizione del Labour Party alla ricostituzione di una Internazionale che comprendesse socialisti e comunisti - che gli avrebbero potuto far capire come Attlee e Bevin considerassero con notevole perplessità il filocomunismo del partito di Nenni.

Per il leader socialista italiano, al contrario, la stretta collaborazione coi comunisti era un punto fermo per il quale era pronto a sacrificare anche i rapporti privilegiati con Londra. Come si dirà anche più avanti, Bevin e i suoi temevano particolarmente la fusione dei socialisti coi comunisti. Il timore era infondato sia perché Nenni nutriva seri dubbi sull'opportunità del passo in sé, sia perché questo avrebbe presupposto una politica di accordo tra Londra e Mosca. " Se questa non c'è - disse Nenni all'incaricato d'affari inglese Braine nell'ottobre 1945 - [....] non c'è possibilità di fusione per l'ovvia ragione che noi non possiamo diventare una pedina della politica russa in Europa " . Restava però il fatto che per i socialisti " l'amicizia e il patto d'alleanza con i comunisti sono fondamentali "

Il mito dell'unità dei due partiti operai ebbe, dunque, importantissimi risvolti nella politica estera di Nenni e del socialismo italiano, in particolare verso la Gran Bretagna. Per il leader romano, come si è detto, l'unità della classe operaia era una garanzia contro il successo di tentativi reazionari e presupposto necessario per la conquista del potere da parte della sinistra. All'estero tuttavia l'unità era vista con non poca preoccupazione, a seguito dell'acuirsi dei contrasti tra le grandi potenze. La politica " filocomunista " dei socialisti italiani sul piano interno era interpretata a Londra come una adesione alla politica estera sovietica, e fu uno degli elementi che alla lunga condussero al deterioramento dei rapporti tra Nenni e i laburisti. Col passare del tempo i loro rapporti peggiorarono e solo la speranza che all'interno dei socialisti italiani prevalessero le componenti più moderate e la sfiducia negli " scissionisti " del Psli indussero i laburisti inglesi a sostenere il partito di Nenni come rappresentante italiano nell'ambito dell'Internazionale socialista anche dopo la vicenda di Palazzo Barberini. Ma alla lunga l'espulsione del Psi dalla comunità socialista europea fu inevitabile. Col venir meno del punto di riferimento rappresentato dai laburisti britannici, le prospettive internazionali di Nenni persero il loro equilibrio. Al Partito socialista restò solo il punto di riferimento sovietico, che, in una situazione di progressiva divisione del mondo in blocchi contrapposti, costrinse il Psi a quella scelta di campo che il suo leader aveva cercato in ogni modo di evitare.

Dopo questa lunga premessa è giusto porsi due domande. Quali erano i rapporti tra l'Italia e la Gran Bretagna al momento dell'assunzione della poltrona di Palazzo Chigi da parte di Nenni e, in che modo il leader romagnolo cercò di accellerare l'avvicinamento tra i due paesi?

I rapporti della Gran Bretagna verso l'Italia, sia durante la seconda guerra mondiale, sia alla fine del conflitto e con l'avvento al potere del Labour Party nell'estate del 1945, furono determinati da propositi punitivi. Tale posizione è confermata, nel corso delle conferenze interalleate per la stipulazione dei trattati di pace con i paesi già alleati o satelliti della Germania, durante le quali la posizione inglese fu senz'altro più severa di quella statunitense. Il quadro così negativo delle relazioni tra Londra e Roma era destinato a mantenersi fino ai primi anni'50, cioè fino a quando si potè ormai dire concluso lo sforzo italiano per reinserirsi, quale nazione democratica, nel contesto internazionale, liquidando definitivamente l'eredità negativa del fascismo, ma è tuttavia significativo, dal punto di vista strategico, il tentativo di riavvicinamento anglo-italiano posto in opera da Pietro Nenni nel breve periodo durante il quale il leader socialista ricoprì la carica di ministro degli Esteri.

Come ha scritto Zucàro: " Assumendo il Ministero degli Esteri Nenni aveva dinanzi a sé tre obbiettivi: tentare la revisione del trattato di pace facendo accettare dagli Alleati il principio dei negoziati diretti e bilaterali; avviare questi negoziati con la Jugoslavia e arrivare con i vicini orientali a una Locarno dell'Est; negoziare all'Ovest e all'Est dei buoni trattati di commercio " . La condizione fondamentale per il conseguimento di questi obbiettivi era, a giudizio di Nenni, un netto riavvicinamento alla Gran Bretagna.

Diverse erano le ragioni le ragioni che spingevano il leader socialista verso tale obiettivo.

Anzitutto il legame con una o più delle potenze vincitrici era una finalità ovvia per l'Italia, desiderosa di rientrare al più presto nel contesto internazionale su un piano di parità con le altre nazioni. In secondo luogo Nenni, per affinità ideologiche e politiche, era naturalmente indotto a ricercare l'appoggio di una nazione a guida laburista, e sperava di sfruttare a tale scopo le relazioni che il Psiup aveva iniziato, o tentava di instaurare, sin dalla fine del conflitto, con il Labour Party e i contatti personali avviati con il viaggio a Londra effettuato nel gennaio del 1946 . " Nenni giunto stasera martedì vedrà Spaak e posdomani Bevin il quale mi ha chiesto di assistere al colloquio. Arrivo vice presidente sta creando qui singolare interesse in tutti gli ambienti motivando numerose richieste di incontri..... Mi risulta che invito da parte del Labour Party è stato incoraggiato, se non suggerito, dal Foreign Office, oltre tutto nell'intento di creare in questo momento un'atmosfera di maggiore attenzione e favore verso l'Italia " . Inoltre un riavvicinamento tra Gran Bretagna e Italia avrebbe rappresentato la premessa per la soluzione di uno tra i maggiori problemi lasciati insoluti dal conflitto: quello delle ex-colonie.

Un altro, e più importante, motivo che spingeva Nenni a cercare l'appoggio nella Gran Bretagna laburista, era che l'Italia avrebbe, così, potuto evitare la scelta fra Mosca e Washington, favorendo la formazione di un gruppo di paesi slegato sia agli Stati Uniti, sia all'Unione Sovietica e contribuendo a diminuire la crescente tensione tra le due superpotenze; scopo che, in realtà, serviva da schermo alla necessità di evitare la contrapposizione e lo scontro frontale all'interrno del Partito socialista. A tutto ciò va aggiunto che un politico dell'esperienza di Nenni non poteva trascurare che un successo diplomatico ottenuto a Londra sarebbe servito per rafforzare il socialismo italiano, stretto tra un forte Pci legato a Mosca e una Dc che già negli Stati Uniti veniva considerata l'unica forza in grado di respingere l'avanzata del comunismo.

L'attenzione di Nenni verso la Gran Bretagna fu espressa in maniera chiara, poco prima dell'assunzione della guida di Palazzo Chigi, nel corso di un ampio discorso tenuto a Canzo il 13 ottobre 1946, con il quale il leader socialista delineò il proprio programma in materia di politica estera. In realtà Nenni si era mosso in tale direzione sin dall'estate quando, con la formazione del secondo governo De Gasperi, i leaders politici italiani avevano concordato il passaggio del dicastero degli Esteri dall'esponente democristiano a quello socialista, al termine della conferenza della pace di Parigi

Agli inizi di agosto, precisamente l'1 e il 2 del mese , il leader del Psiup si era recato nella capitale francese, dove aveva avuto due separati colloqui con il laburista Mac Neil, sottosegretario al Foreign Office, e con il primo Ministro Clement Attlee. In un memorandum redatto dalla delegazione britannica alla conferenza di Parigi, il colloquio era così registrato: " Il signor Nenni nutre l'intenzione di veder firmato il trattato il più presto possibile. Con questo evento in vista egli deve ottenere alcune concessioni...che consentiranno al governo italiano di giustificare la firma agli occhi dell'opinione pubblica. Una volta che il trattato sia stato firmato il signor Nenni intende dare avvio a una nuova linea di politica estera. Vi sarà una chiara rottura con il passato e l'Italia cercherà di trovare un proprio ruolo come nazione soddisfatta senza alcuna illusione circa la sua grandezza. Ufficialmente essa si dichiarerà indipendente da ogni blocco e cercherà di intrattenere buone relazioni con tutte le nazioni, in particolare con i suoi vicini, ma in effetti il suo destino sarà legato a quello delle democrazie occidentali, alle quali essa guarda per un aiuto, e in modo specifico al Regno Unito ". E ancora: " Appena possibile dopo aver assunto l'incarico al ministero degli Esteri il signor Nenni spera di visitare Londra, Washington e infine Mosca, nella speranza di concludere accordi commerciali, in modo particolare con il Regno Unito "

Queste affermazioni mostravano l'intenzione di Nenni di privilegiare il governo di Londra come interlocutore, una volta assunta la guida al vertice di Palazzo Chigi. Tali intenzioni furono confermate il 16 ottobre, in un colloquio tra il barone Malfatti, diplomatico italiano, con un funzionario dell'ambasciata inglese a Roma, e nel corso del quale l'italiano spiegò che il principale obiettivo di Nenni era la ricostruzione dell'economia italiana: in vista di tale prospettiva, il leader socialista intendeva concentrare la sua attenzione sulla conclusione di accordi commerciali, sulla riapertura delle vie migratorie nonchè mirava all'instaurazione di strette relazioni con la Gran Bretagna. Il diplomatico italiano cercò, inoltre, di dissipare qualsiasi diffidenza inglese, non soltanto verso l'Italia, ma verso le posizioni dello stesso Partito socialista, legato dal nuovo Patto d'unità d'azione con il Pci.

Il giorno stesso dell'insediamento a Palazzo Chigi (19 ottobre 1946), Nenni all'incaricato d'affari dell'ambasciata britannica Ward, che gli consegnava un messaggio augurale di Bevin, sottolineò il desiderio di amichevoli rapporti verso la Gran Bretagna - " Assumendo in un'ora angosciosa per la Nazione italiana la direzione della politica estera mi è grato porgerle il mio saluto di italiano e di compagno che spera di lavorare con lei a cancellare fra la Gran Bretagna e l'Italia il ricordo amaro della guerra e a fondare le relazioni future tra i due Paesi sul mutuo rispetto dei nostri fondamentali interessi. Spero vederla presto a Londra ed intanto la ringrazio del suo cordiale messaggio che mi è consegnato in questo momento dal signor Ward " - sollevando, nel contempo, la questione di un possibile trattato commerciale con il Regno Unito, indicando l'importanza del progetto e l'opportunità di un inizio rapido dei negoziati. Ward consigliò il governo britannico di prendere in considerazione i suggerimenti avanzati da Nenni e, a questo proposito, indicò, nell'ambito delle concessioni che Londra avrebbe potuto fare all'Italia, la cessione a titolo gratuito o per una somma simbolica del surplus di materiali bellici di proprietà inglesi immagazzinati nella penisola; inoltre suggerì di appoggiare la politica del leader romagnolo, poiché un Partito socialista più forte e autorevole avrebbe rappresentato un elemento stabilizzatore nel panorama politico italiano e si sarebbe rivelato vantaggioso per la posizione inglese in Italia, in vista della crescita dell'influenza esercitata sulla penisola da parte degli Stati Uniti. Sono interessanti le considerazioni politiche adottate da Ward nel telegramma inviato al Foreign Office: " Il signor Nenni è ovviamente desideroso di ricavare il maggior merito possibile dal suo incarico al ministero degli Esteri. Sarebbe particolarmente soddisfatto se potesse ottenere un rapido successo a Londra soprattutto se questo fosse correlato alla visita che egli desidera farvi, ciò in considerazione delle prossime elezioni politiche di primavera. Qualsiasi successo di questo genere potrebbe avere importanti conseguenze sul rafforzamento degli elementi moderati all'interno del governo italiano, a scapito dell'opposizione sia di estrema destra, sia di estrema sinistra.....Sono sinceramente convinto che sia possibile dare una risposta favorevole alle avances del signor Nenni "

L'atteggiamento inglese si mantenne piuttosto cauto, soprattutto perché l'eventuale accordo bilaterale di carattere economico con l'Italia e l'auspicato viaggio di Nenni a Londra erano condizionati alla rapida firma del trattato di pace da parte del governo di Roma. Ma va anche detto che la speranza inglese nel leader del Psiup rimase immutata proprio perché questi e, in genere, la sinistra italiana sembravano più disposti, rispetto alle forze politiche di centro e di destra, ad accettare le conseguenze della guerra e della sconfitta: in sostanza il trattato di pace. Il ministro degli esteri inglese Bevin apprezzava le proposte di Nenni per un accordo economico bilaterale e per una visita dell'uomo politico italiano a Londra, ma affermava anche l'impossibilità inglese di procedere alla redazione di un vero e proprio trattato di commercio - " Énostra opinione.....che il momento non sia ancora maturo per negoziati con l'Italia intesi a un trattato commerciale di ampie proporzioni.....Ciò nonostante, vi è un numero di questioni commerciali che potrebbero essere utilmente affrontate e che la visita di una piccola delegazione di esperti contribuirebbe a porre in evidenza. " -, pur suggerendo l'invio di una delegazione di esperti italiani in Inghilterra per aprire le trattative. " Bevin raccomanda che la missione comprenda uno specialista produzioni meccaniche capace di prendere accordi per la consegna di prodotti semifiniti in cooperazione con l'industria inglese. Board of Trade sta attivamente studiando la questione. Se la nostra commissione prende immediato contatto con Londra disponendo tutti elementi necessari e concrete proposte, sarà possibile che V.S., in occasione sua prossima visita Londra che potrebbe avvenire entro fine anno, possa firmare accordo il che è da parte inglese vivamente desiderato..."

Nonostante la scarsa rilevanza delle proposte inglesi in materia economica, la reazione di Nenni alle parole di Bevin fu positiva, visto che un atteggiamento amichevole e accondiscendente nei confronti della Gran Bretagna poteva servire in relazione ai problemi posti dalla prevista costituzione del Territorio libero di Trieste, il cui futuro sarebbe stato definito alla Conferenza dei ministri degli Esteri di New York, e, in caso di sviluppo negativo degli eventi per l'Italia, Nenni avrebbe potuto ripiegare sugli obbiettivi di natura economica e della visita nella capitale inglese.

Éa questo punto facile comprendere come il tentativo nenniano di riavvicinamento italo-inglese poggiasse su premesse equivoche e atteggiamenti contraddittori, visto che dalla manovra favorita da Nenni e da Bevin restava esclusa, almeno da parte inglese, ogni possibilità di revisione delle clausole del trattato di pace. Mentre per Londra le minime concessioni da fare all'Italia servivano soprattutto a stimolare l'accettazione del trattato, per Nenni il clima di fiducia e collaborazione con la Gran Bretagna doveva contribuire a modificare in senso radicalmente favorevole la posizione internazionale dell'Italia, in vista magari di una revisione del trattato di pace.

Ciò nonostante la linea di politica interna di Pietro Nenni era apprezzata dalla diplomazia anglosassone, e Ward, fra tutti, sottolineava l'abile capacità del leader socialista nel preservare sia la collaborazione con il Pci in vista delle future elezioni politiche, sancita dal rinnovato Patto d'unità d'azione dell'ottobre del medesimo anno, sia l'autonomia del Partito socialista e il sincero desiderio di ricostruire un forte legame tra Londra e Roma.

Éda rilevare il profondo interesse di Ward nelle vicende interne del Partito socialista, la capacità di comprendere la strategia politica del suo leader, le preoccupazioni che il Psiup potesse perdere terreno a favore della Dc e del Pci, soprattutto quando venne a conoscenza di una certa diffidenza statunitense nei confronti di Nenni e dell'intenzione di Saragat, sostenuta in un colloquio con un diplomatico degli Stati Uniti, di sollevare al congresso socialista, fissato per gli inizi di gennaio del 1947, il problema del mutamento della guida del partito. L'incaricato d'affari inglese riferiva in un messaggio al ministero degli Affari Esteri inglese: " Per ciò che concerne Nenni la nostra sensazione è che egli stia cercando di porsi in una posizione di equidistanza tra Est e Ovest e che egli sia perciò sincero nel ribadire il desiderio di collaborare strettamente con il governo di Sua Maestà. Con la corrente che sembra fluire in senso sfavorevole al socialismo egli potrebbe aver ragione di ritenere di dover collaborare con i comunisti al fine di evitare che essi diano avvio a una campagna diretta a sottrarre voti ai socialisti. Nenni si sta rivelando, per ammissione dei funzionari degli Esteri, un ministro degli Esteri efficiente dal punto di vista tecnico, inoltre egli è uno dei pochi politici italiani convinti della necessità di firmare il trattato di pace. Poiché senza dubbio egli controlla all'interno del Partito socialista un seguito ben più vasto rispetto a Saragat, che è già considerato un elemento borghese, ritengo che la nostra politica dovrebbe continuare ad appoggiare Nenni nel modo migliore possibile " . Ward consigliava quindi al governo inglese di concedere all'Italia un accordo commerciale vantaggioso e un diretto intervento del Labour Party in vista dei lavori del congresso socialista italiano di gennaio.

Allo stesso tempo era Nenni che dava grande importanza a un rafforzamento delle relazioni fra i due partiti fratelli. A Londra, dove peraltro si era recato nel novembre 1946 il segretario del Psiup Ivan Matteo Lombardo, Nenni voleva ottenere un successo, non solo per la posizione del paese in ambito internazionale, ma soprattutto per la propria posizione nel Partito socialista. Nonostante l'apparente buona disposizione, vi erano due limiti oggettivi: il primo era la diffidenza di fondo inglese verso le intenzioni italiane di firmare il trattato di pace; il secondo erano gli ostacoli frapposti dai dicasteri economici inglesi a reali concessioni di natura economica, anche perchè nel settore economico la stessa Gran Bretagna stava attraversando gravi difficoltà.

Con simili premesse non c'è da stupirsi se i risultati delle conversazioni anglo-italiane, che la delegazione di esperti italiani tenne a Londra dal 10 al 21 dicembre, furono modesti, dimostrando così l'approccio errato con il quale era stata affrontata la questione del riavvicinamento fra Roma e Londra. Il leader socialista italiano aveva sempre auspicato a un miglioramento della situazione economica italiana nel contesto internazionale, ma inizialmente non aveva intuito che in questo ambito la Gran Bretagna non era l'interlocutrice più idonea. Una volta emersa l'incapacità inglese di fare sostanziali concessioni, Nenni mirò alla realizzazione di un accordo qualsiasi, sperando di sfruttare a tal fine la solidarietà fra esponenti socialisti e laburisti, ma indebolendo la posizione della delegazione degli esperti economici. Le trattative commerciali da obbiettivo di politica estera erano, d'altronde, divenute un mero strumento per rafforzare il ruolo politico di Nenni all'interno del paese e del Partito socialista. Per ciò che riguarda la Gran Bretagna, il Foreign Office aveva accettato con superficiale leggerezza la prospettiva dei colloqui di carattere economico, era inoltre completamente restio a fare concessioni sul piano politico (come l'appoggio alla revisione delle clausole del trattato di pace, che anzi Bevin voleva vedere al più presto firmato): dunque l'azione inglese si manifestava in buoni propositi nei confornti dell'Italia, e dell'opera del suo ministro degli Esteri, ma, in effetti, si sostanziava in vaghe promesse, che nascondevano male il consueto atteggiamento punitivo britannico verso la nazione che aveva messo a repentaglio la tradizionale supremazia inglese nel Mediterraneo e dichiarato guerra proprio nel momento più critico e difficile per Londra.

Éa questo punto interessante osservare il coinvolgimento diretto del Labour Party verso l'Italia e nelle vicende interne al Psiup per sostenere l'azione di Nenni, in una commistione di obbiettivi di politica internazionale e interessi di partito. Il Partito laburista era perfettamente a conoscenza dei problemi interni del Partito socialista italiano - che, va ricordato, era, sin dall'inizio del 1946 e forse anche da prima, diviso dal contrasto tra i partigiani di una stretta alleanza con il Pci, che si riconoscevano principalmente nel leader romagnolo, e gli antifusionisti per eccellenza, rappresentati da Saragat - e simpatizzava per Nenni, proprio per evitare un'eventuale scissione che poteva avvenire durante l'imminente congresso socialista, previsto per marzo ma poi anticipato a gennaio, e che avrebbe ostacolato il processo mirante alla ricostruzione dell'Internazionale socialista, cui proprio il Labour Party si era posto alla testa.

Un memorandum anonimo, redatto nell'autunno del 1946, faceva ben comprendere la posizione del Labour Party sulla crisi del Partito socialista italiano. " Questo documento faceva risalire le difficoltà del partito alla lotta fra la frazione guidata da Nenni e il gruppo di Saragat, a cui si erano affiancati elementi della sinistra antistaliniana (Zagari, Vassalli, ecc.). Il memorandum avanzava quindi tre ipotesi circa i possibili risultati dell'imminente congresso. La prima prevedeva che il Partito restasse unito sotto una più forte leadership di Nenni. La seconda indicava la possibilità di una scissione da parte della destra, che in seguito avrebbe tentato di raccogliere consenso fra il ceto medio e la sinistra democristiana. L'ultima ipotesi prevedeva la mera espulsione di alcuni elementi saragattiani. Il documento concludeva in modo netto: Il labour attaché inglese a Roma, Mr. W. H. Braine, ritiene che la politica di Nenni sia la migliore per il socialismo in Italia, nonché per gli interessi britannici "

Sia il Labour Party, sia il Foreign Office concordavano sull'opportunità di evitare una scissione, mentre però nel primo prevaleva il timore per un possibile indebolimento del socialismo italiano, nel secondo era preminente la preoccupazione che una frattura nel Psiup avrebbe favorito i partiti di estrema destra e di estrema sinistra, reso più grave la situazione del paese, ponendo in crisi la politica estera di Nenni e, in ultima analisi, ritardando l'accettazione da parte italiana del trattato di pace. 

Ma la confusa situazione politica italiana e i dubbi immediatamente sorti circa l'atteggiamento di Roma verso il trattato di pace (il 28 dicembre 1946 Nenni aveva dichiarato al rappresentante diplomatico inglese nella capitale italiana, Sir Noel Charles, che l'Italia non avrebbe firmato il trattato di pace sino a quando la Jugoslavia non avesse fatto altrettanto) produssero un rapido mutamento nelle posizioni di Bevin e del Foreign Office nei confronti di Nenni e dell'Italia.

L'irrigidimento inglese era chiarito in un messaggio inviato il 12 gennaio 1947 dal Foreign Office a Noel Charles: " Il governo di Sua Maestà naturalmente si attende che il governo italiano firmi [ il trattato di pace ]. Qualsiasi rifiuto da parte del governo italiano favorirà, non solo i comunisti....., ma anche gli jugoslavi. Inoltre renderà più difficile per il governo di Sua Maestà perseguire l'attuale politica di aiuto al governo italiano e potrebbe costringerlo a riconsiderare l'intero atteggiamento verso l'Italia. Per esempio, l'invito rivolto al signor Nenni per una sua visita in questo paese quale ospite del governo di Sua Maestà era stato fatto in base all'ipotesi che, come ministro degli Affari Esteri, fosse sua intenzione vedere entrare in vigore il trattato, e non potremmo riceverlo, come speriamo di fare, se vi fosse un qualsiasi dubbio circa la sua difesa della firma del trattato. Le varie concessioni, finanziarie e non, che proponiamo di offrire al signor Nenni, durante la sua visita, saranno naturalmente condizionate dalla firma del trattato da parte italiana. In breve, l'Italia sarà la vittima principale nel caso non firmi "

Va detto che i sospetti inglesi erano rafforzati dalle conseguenze del contemporaneo viaggio di De Gasperi negli Stati Uniti dal 3 al 17 gennaio 1947. Del resto esisteva un forte dissenso fra l'atteggiamento di Londra e di Washington verso la penisola: gli inglesi, pur credendo di sostenere Nenni, ponevano innumerevoli limitazioni e condizionamenti alla sua visita a Londra, esigendo quanto previsto dal trattato di pace prima di qualsiasi concessione, mentre gli americani trasformavano il viaggio del leader democristiano in un chiaro appoggio all'Italia e alle forze politiche moderate, anche economico: " anche " perché, come Giulio Andreotti ha ricordato recentemente, l'importanza della trasferta americana risiedeva essenzialmente nell'umana disponibilità statunitense a reinserire rapidamente l'Italia nel contesto internazionale, " il solo fatto di andare in America aveva un suo valore "

Con la scissione di Palazzo Barberini, e la costituzione il 15 gennaio 1947 del Psli di Saragat, si può dire interrotta la politica di riavvicinamento fra l'Italia e la Gran Bretagna.Tale situazione è confermata dalle dichiarazioni fatte da Sir Noel Charles in un telegramma inviato al Foreign Office all'indomani della scissione, nel quale il rappresentante diplomatico inglese è favorevole ad un'accantonamento della visita del leader del Psi a Londra, motivando la sua posizione con una serie di ragioni:

a) L'imminenza di una crisi governativa su vasta scala;

b) La posizione di Nenni come leader politico è stata gravemente scossa;

c) L'inopportunità per il governo di Sua Maestà di continuare a sostenere la politica - generalmente considerata filo-comunista - per la quale Nenni viene attaccato;

d) L'opportunità di evitare l'apparenza di un conflitto con gli Stati Uniti nell'ambito della politica interna italiana;

e) Persino nelle migliori circostanze la visita di Nenni correrebbe il pericolo di un sabotaggio a causa degli accordi finanziari.....che gli americani e gli italiani stanno progettando (per inciso alle spalle di Nenni e con l'opposizione dei socialisti) "

Come risulta dal suo diario, il 14 gennaio lo stesso Nenni ormai non si faceva più illusioni sulla realizzazione della sua visita nella capitale inglese: " Per parte mia, ho consegnato oggi alle sedici all'ambasciatore d'Inghilterra una lettera personale per Bevin, nella quale chiedo un rinvio del mio viaggio a Londra, pretestando la necessità di essere qui quando arriverà il presidente del Consiglio dall'America. Per quanto si riferisce alla mia persona, penso che il viaggio a Londra non sia rinviato, ma accantonato per sempre "

Dunque, come si può facilmente comprendere, la via aperta da Nenni, con il relativo contributo di Bevin, per un riavvicinamento tra l'Italia e la Gran Bretagna era ancora piena di ostacoli e, se la breve parentesi di Nenni a Palazzo Chigi era valsa a far emergere l'esigenza di un riavvicinamento, essa metteva in rilievo anche la natura politica e psicologica (i propositi punitivi) dei problemi esistenti nelle relazioni anglo-italiane.

L'approccio nenniano, che si basava sul miglioramento della posizione economica della penisola e sulla comune appartenenza al movimento socialista europeo, non era esente da contraddizioni e da errate valutazioni: scarse erano le concessioni economico-finanziarie che Londra poteva fare e, quanto al coinvolgimento inglese nelle vicende del Psiup, esso finì con il rivelarsi inutile, se non fonte di ulteriori confusioni e incertezze. Il leader romagnolo inoltre non parve tener conto che il contesto internazionale in cui l'Italia era inserita era caratterizzato dall'azione di attori altrettanto efficaci, quali il governo di Washington e la Democrazia cristiana, né il leader socialista volle comprendere come la penisola fosse sempre più coinvolta nella nascente guerra fredda e un Partito socialista, strettamente alleato al Pci, non poteva credibilmente proporsi per lungo tempo, neppure agli occhi dei laburisti inglesi, quale alfiere di una politica di autonomia sia dagli Stati Uniti, sia dall'Unione Sovietica.

Indipendentemente dall'esito negativo di tale politica, ciò che è giusto fare risaltare (e che rientra, poi, nel disegno di Nenni di eludere una scelta storicamente necessaria tra il blocco occidentale e quello orientale, nella speranza di costruire un'alternativa rispetto alla tensione esistente tra di essi, nella quale la strategia di un'azione internazionale socialista avrebbe potuto collocarsi più agevolmente), è il senso strategico del riavvicinamento che il leader romagnolo auspicava nelle relazioni tra l'Italia e la Gran Bretagna. Certo, si potrebbe obiettare, Nenni andava a parlare con Bevin, che era uno dei campioni dell'anticomunismo in Europa e si preparava a diventare il più fedele alleato europeo della dottrina Truman e del piano Marshall, ma il punto è che durante la sua breve esperienza Nenni cercò di trovare in Europa interlocutori diversi, e Londra era in cima alla lista, rispetto a quelli che De Gasperi andava a cercare a Washington, al fine di elaborare una politica estera alternativa alla politica di subalternità rispetto agli Usa che il leader democristiano stava edificando.




Capitolo VI

FIRMA E REVISIONE DEL TRATTATO DI PACE


Il 2 giugno 1946 il popolo dette la vittoria alla repubblica. Da quel momento il trattato di pace diventava, dal punto di vista internazionale, il problema numero uno. Con gli sviluppi di politica estera che comportava esso avrebbe condizionato in larga misura la politica generale della nazione.  

A Parigi, dove la Consiglio dei " quattro " ministri degli Esteri (Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti e Unione Sovietica) continuava i suoi lavori fin dal 25 di aprile con l'incarico di redigere il Trattato di pace con l'Italia, si stava elaborando la sentenza finale. All'Assemblea Costituente il 28 giugno De Gasperi ne comunicava i termini informando che i " quattro " s'erano messi d'accordo perché l'Italia cedesse Briga, Tenda e il Moncenisio alla Francia, mentre per Trieste era stato accettato il compromesso francese che apriva la via alla formazione del Territorio Libero.

Il compito di affrontare questi duri problemi toccò al primo governo repubblicano, costituitosi il 13 luglio sotto la presidenza De Gasperi. Nenni, designato ministro degli Esteri, come si poneva dinanzi al problema del trattato di pace?

Nenni capiva bene qual maggior peso avrebbero avuto sull'opinione pubblica le clausole del trattato di pace relative all'assetto territoriale rispetto a quelle militari o economiche. Temeva quindi l'eccitazione che l'uso di toni eccessivamente nazionalistici da parte dei politici, sulla stampa o nei comizi, avrebbe potuto provocare. Già nel luglio 1945, ad esempio, si oppose in Consiglio dei ministri alla proposta di De Gasperi di pubblicare un manifesto al paese in cui si preannunciava che all'Italia sarebbe stata imposta una pace punitiva. Nenni riconosceva che nel manifesto vi erano " anche cose giuste ", ma obbiettava sul tono " funereo, da lutto nazionale " e " di esasperato nazionalismo " che veniva usato. Non si può escludere che Nenni valutasse anche il peso in termini di propaganda antimonarchica di una pace pesante , ma prevaleva certo in lui il timore per lo scatenarsi di una ondata nazionalistica sul genere di quella vissuta nel 1919 - 1920. Ciò non vuol dire che a Nenni sfuggisse l'importanza della questione della frontiera orientale e in particolare del futuro di Trieste. " La difesa di Trieste - aveva scritto nel maggio 1945 - s'iscrive fra i doveri fondamentali della nuova democrazia italiana " . La città giuliana restava certo un simbolo che diceva molte cose agli italiani del 1945 così come le aveva dette agli italiani del 1919.

Per i socialisti poi la vicenda rischiava di essere particolarmente spinosa. Era chiaro a tutti che il maggior ostacolo che si frapponeva al ritorno di Trieste all'Italia era rappresentato dall'Unione Sovietica che sosteneva davanti agli altri grandi le richieste della Jugoslavia. In questa situazione destreggiarsi tra patriottismo e amicizia per Mosca risultava particolarmente arduo. I danni che l'immagine del Partito socialista e dello stesso Nenni potevano subire a causa della questione di Trieste erano evidenti. Tanto la politica interna di unità d'azione col Pci che la politica estera di amicizia con l'Urss potevano entrare in una crisi irreparabile. Non a caso nel corso della sua breve permanenza a Palazzo Chigi, e soprattutto immediatamente dopo la nomina del secondo gabinetto, De Gasperi dedicò molto tempo ed energie a trovare una soluzione accettabile per il problema giuliano, ma senza successo.

Éinteressante valutare l'intenso lavoro diplomatico compiuto in tal senso dal leader socialista. Il 29 luglio, dovendo riunirsi a Parigi la conferenza decisiva per le sorti del trattato di pace con l'Italia e, per sapere su quali amicizie poter contare, Nenni intraprese un viaggio nei paesi del Nord e di nuovo a Parigi, raccogliendo buone indicazioni. Le suo note di taccuino offrono un quadro della situazione alla vigilia di una decisione che sarebbe stata in ogni caso imposta all'Italia.

" Inizio domani, cominciando dalla Norvegia, un viaggio per cercare appoggio e, per lo meno, comprensione alla Conferenza della pace. Volutamente comincio dai paesi minori che non hanno interessi contrari ai nostri. Vedrò a Parigi i quattro grandi. Con loro il discorso sarà più difficile sia perché le loro posizioni sono già prese sia perché il loro problema non è ormai più quello del trattato di pace, ma quello dei rapporti di potenza rispetto all'Europa e al mondo di domani. Scarse le possibilità, ma non dobbiamo lasciar nulla d'intentato "

Da Oslo Nenni riferiva: " Lungo colloquio dalle 19 alle 22 col ministro degli Esteri Lange... L'ho trovato assai comprensivo rispetto ai problemi italiani. Il suo ruolo alla conferenza della pace a Parigi sarà secondario, ma è pronto ad aiutarci per la revisione di alcune clausole del trattato. C'è un certo parallelismo fra la sua e la mia linea politica, entrambe ispirate al principio di neutralità. Ma quanto diversi i problemi dei due paesi " . E ancora: " Purtroppo la Norvegia non parteciperà al sottocomitato incaricato alla redazione definitiva trattato Italia. Opinione sulla Norvegia favorevole generalmente alla nostra causa. Ministro Lange ha assunto impegno favorire richieste tendenti: allargare fino Pola confine Stato Libero Trieste; la rinunzia francese a Tenda e Briga ed ogni caso uso centrali elettriche; il rinvio della questione coloniale senza dichiarazione della rinunzia ai nostri diritti; larghe concessioni economiche alla rinascente democrazia italiana "

Il viaggio di Nenni proseguì all'Aja in Olanda, " Ho esposto stamane nostro punto di vista a questo ministro affari esteri (Van Boetzelaer, n.d.a.). Ministro affari esteri è stato molto interessato soprattutto dalla questione Trieste. Olanda farà parte della commissione speciale sul trattato di pace con l'Italia e promette esaminare simpaticamente i confini dello Stato Libero fino alla linea americana o britannica " , e a Bruxelles, " Ministro Spaak ha accolto con molta simpatia nostro punto di vista, convinto del successo della nostra tesi nel quadro delle deliberazioni di ordine generale prese dai Quattro. Consiglia negoziati diretti con la Francia per la questione della frontiera occidentale e con l'Inghilterra per il rinvio della questione coloniale. Ritiene difficile ottenere il ritiro delle proposte sullo statuto internazionale Trieste ma possibile portarne il confine alla linea britannica. Stima utile da parte nostra prendere contatti con i governi di Australia, Africa del Sud, Canada, Nuova Zelanda. Aiuterà in questo senso. Ritiene possibile l'ammissione dell'Italia all'O.N.U. nella sessione di settembre

Il 29 luglio 1946, e nella settimana successiva, il leader socialista italiano, a Parigi, affrontò i colloqui più delicati in vista delle sorti del trattato di pace. Il primo avvenne con Blum, che promise di intervenire personalmente presso Attlee e Byrnes perché lo Stato libero di Trieste includesse Pola, e considerò, in contrasto con il presidente del Consiglio Bidault, una sciocchezza ormai decisa dalla Francia l'aver sollevato il caso di Briga e Tenda. Il 30 di luglio avvenne l'incontro tra Nenni e Bidault: " Ho trovato il presidente del Consiglio Bidault su una posizione di diffidenza...Ha cominciato col dire che per Briga e per Tenda non può fare più nulla...Sulla questione dell'uso dell'energia elettrica nella zona del Moncenisio si è detto disposto alle maggiori concessioni, ma non ha voluto entrare nel merito rimettendosi agli esperti. Siamo allora passati alla questione di Trieste rispetto alla quale ha ribadito che non avrebbe accettato una pace che comportasse la cessione della città alla Jugoslavia. Ha fatto la storia delle trattative e del punto morto a cui si era giunti dopo il rifiuto sovietico di accettare la proposta americana del plebiscito nella zona contestata (fra la linea americana e quella russa) e il rifiuto americano di accettare la proposta sovietica del plebiscito intutta la Venezia Giulia. Allora la creazione dello Stato Libero è apparsa come la sola soluzione possibile...Bidault stima che Trieste città libera significa Trieste italiana. Alla mia domanda se accetterebbe l'incorporazione nello Stato Libero della zona compresa nella linea britannica, ha risposto che è tenuto a rispettare la decisione dei " Quattro " ma non si opporrebbe a una proposta in tal senso. Per la questione delle colonie propugna il rinvio di un anno. In merito alle riparazioni assicura che la Francia si limita alla richiesta di indennizzi ai resortissants francesi "

L'incontro col segretario di Stato americano Byrnes avvenne l'ultimo giorno del mese di luglio. " Avuto stamane l'importante colloquio con Byrnes. Concordato in linea di massima il mio viaggio a Washington entro l'autunno per speciali accordi economici con gli U.S.A. A questo proposito vedrò a Parigi Clayton. Su questioni conferenza, Byrnes considerasi legato alle decisioni dei Quattro ma non intende limitare la nostra libertà d'azione. Esaminerà benevolmente le eventuali modifiche al trattato proposte alla Conferenza. Stima difficile la modifica delle frontiere dello Stato Libero risultanti dal compromesso difficilmente raggiunto tra la tesi americana e quella sovietica. Appoggerà il ritiro delle clausole implicanti la rinunzia ai nostri diritti in Africa. Da me richiamato all'importanza fondamentale della concessione di materie prime e del prestito per risollevare economia italiana, promesso il suo appoggio "

Il primo di agosto Nenni incontrò il sottosegretario al Foreign Office Mac Neil, il quale non escludeva che per le questioni dell'Istria si potesse formare una maggioranza di undici membri per chiedere la revisione del Trattato e assicurava il pieno appoggio di Bevin per il trattato commerciale e per gli aiuti economici. Nello stesso giorno il leader romagnolo ricevette un telegramma da De Gasperi, nel quale avvertì che il Consiglio dei ministri, considerando meramente punitivo il Trattato, aveva preso una deliberazione che sembrava preludere alla decisione di non firmare il documento, compromettendo in sostanza il faticoso lavoro diplomatico di Nenni, sempre convinto della necessità di firmare il Trattato di pace ma lasciando aperti ampi spazi per una futura, quanto prossima, revisione. Sostenuto da questa tenace convinzione, il leader socialista affrontò il 2 agosto gli ultimi importanti colloqui. Nella mattinata incontrò il Primo ministro inglese: " In un ampio colloquio con il primo ministro Attlee esaminato i problemi generali della pace. Attlee considera arduo introdurre modifiche essenziali al trattato preparato dai Quattro. Per la questione istriana considera decisiva l'opinione sovietica. Per le colonie ritiene che la nostra situazione potrà essere oggetto di riesame in prossimo avvenire. Subordina le riparazioni al raggiungimento del livello di vita indispensabile. Favorirà la resurrezione economica dell'Italia convinto della sua importante missione nel Mediterraneo. Alla mia osservazione che lo stato dell'opinione pubblica può rendere impossibile al Governo la firma del trattato, ha risposto che questa situazione è di ordine puramente interno e non influirà sulle decisioni alleate. Impressione mia che Attlee ci è sincero amico ma si considera legato al compromesso raggiunto dai Quattro " . Nel pomeriggio Nenni incontrò il ministro degli Esteri sovietico Molotov. " Avuto oggi esauriente conversazione con il ministro Molotov. Premesso la fiducia e la volontà di collaborazione con la nuova Italia democratica riassunto così il punto di vista sovietico: 1) per Trieste e Venezia Giulia l'Unione sovietica appoggia la tesi jugoslava che ritiene giusta; il compromesso raggiunto è lungi dal darle soddisfazione ma la Russia lo rispetterà e lo appoggerà; 2) per le colonie italiane la Russia è favorevole al nostro ritorno in Africa, rinunziando perciò alle sue proprie rivendicazioni; incontrato l'opposizione degli altri contraenti coi quali non può mettersi in conflitto su tale questione; 3) circa le riparazioni richieste dall'Unione Sovietica sono giunte molto al di sotto dei danni subiti, non tali da pregiudicare l'avvenire economico dell'Italia, anzi suscettibili di aiutare la ripresa industriale; 4) l'Unione Sovietica augura accordi diretti e buon vicinato tra Italia e Jugoslavia; 5) l'Unione Sovietica si oppone che l'Italia sia asservita agli interessi stranieri e limitata circa la sua possibilità di rapida rinascita economica e politica; 6) l'Unione Sovietica desidera di avere relazioni di amicizia e collaborazione con la nuova Italia democratica. A questo proposito, avendo io accennato il desiderio di recarmi a Mosca, come stamane avevo accennato ad Attlee che desideravo recarmi a Londra, ambedue espresso il desiderio che ciò possa avvenire presto " . Infine, in tarda serata, il leader socialista fece un incontro lampo con il vice presidente del Consiglio jugoslavo Kardelj, che rassicurò Nenni circa i rapporti futuri tra i due paesi e valutò lo Stato Libero di Trieste un terreno di collaborazione, sempre che Italia e Jugoslavia fossero decise a far prevalere la volontà popolare.

Il 5 agosto Nenni rientrò a Roma per mettere al corrente De Gasperi, in procinto di partire per la Conferenza accompagnato da Saragat e Bonomi, della situazione quale risultava dall'ampio quadro degli incontri avuti.

In realtà la Conferenza dei " Ventuno " si rivelò essere un semplice organo interinale delle decisioni dei " Quattro " . Il presidente del Consiglio De Gasperi parlò con grande dignità nella seduta del 10 agosto. Negò che ci fosse una qualsiasi corrispondenza tra il trattato e i principi della Carta atlantica fresca ancora dell'inchiostro di San Francisco: denunciò il misconoscimento dei diritti inerenti alla cobelliggeranza, diritti consacrati dal sangue di tanti italiani; circa le frontiere lamentò che criteri politici e strategici fossero prevalsi sull'interesse delle popolazioni; criticò l'assenza di ogni riferimento al lavoro italiano nelle colonie; della smilitarizzazione delle frontiere e della limitazione in materia di armamenti disse che vulneravano la stessa indipendenza della nostra nazione; trovò eccessivi gli oneri economici e finanziari.

Éopportuno, a questo punto, aprire una parentesi che sottolinea l'importanza per il ministro degli esteri in pectore degli incontri avuti nelle capitali europee, che preludono alla svolta nella linea politica del leader socialista.

" Dall'insieme della situazione nei paesi dell'Occidente europeo, balzano evidenti alcuni caratteri comuni. Un tratto comune è rappresentato dalla difficoltà dei partiti socialisti, che ovunque costituiscono la spina dorsale della democrazia, ma che rischiano di trovarsi al centro di una bagarre nella quale, secondo un vecchio motto di Anatole France, capita loro, come capitava dieci anni or sono ai radico-socialisti, di ricevere le sassate della rivoluzione e le fucilate della reazione "[131].

Questo icastico giudizio di Nenni, pubblicato dall'Avanti!, in un articolo significativamente intitolato " Niente nemici a sinistra ", indicava la prima enunciazione della nuova linea che Nenni intende assegnare al Psiup. " Purtroppo le elezioni del 2 giugno non sono state delle buone elezioni. Esse... non ci hanno dato all'Assemblea costituente una maggioranza capace di esprimere un governo omogeneo e, quindi, forte.... Ma è certo nei voti di quanti nel paese aspirano a situazioni chiare che il compromesso necessario ieri per fare la Repubblica, necessario oggi per dare alla Repubblica una moderna Costituzione, sia l'eccezione e non la regola.... Non vedo da parte mia altra soluzione alla crisi latente in tutti i paesi che un consolidamento dell'unità politica dei lavoratori pur nell'affermazione della reciproca autonomia dei Partiti socialisti e comunisti. In fondo il problema non è nuovo... ed è risolvibile dai socialisti se agiranno in modo da non avere nemici a sinistra, visto che non possiamo fare a meno di avere molti nemici a destra "[132].

Si può, a questo punto, trarre una considerazione.

Alla radice del disegno politico, della nuova " linea " Nenni, ci furono soprattutto motivi di politica interna ma certo non fu senza significato il fatto che il momento scelto da Nenni per renderlo pubblico ed ufficiale cadde immediatamente dopo un suo viaggio nelle principali capitali dell'Europa occidentale. Nel suo viaggio nelle capitali europee (di Norvegia, Olanda, Belgio e Francia), Nenni aveva ricavato l'impressione che i governi di coalizione tripartita nati un po'ovunque subito dopo la guerra, vivessero giorni assai precari. Che le varie e diverse situazioni esistenti nei vari paesi stessero per chiarirsi o nel senso di un governo di sinistra (come in Norvegia o in Belgio) o nel senso di un governo di coalizione cattolico-socialista là dove, come si espresse Nenni, i Partiti socialisti " si erano trasformati sul modello del Labour Party " (come in Olanda e in Francia).

In campo internazionale l'incipiente divisione del mondo in sfere di influenza contrapposte, sottraeva ruolo e spazio d'intervento al referente internazionale sul quale i socialisti puntavano, la Gran Bretagna, quindi il leader politico italiano, avendo compreso che il progetto della " centralità " socialista si avviava ad essere battuto, obbligò il Partito socialista a modificare la propria line politica rimettendo, inevitabilmente, in moto il meccanismo della divaricazione interna.

La scelta di rendere pubblico il disegno politico di Nenni cadrà a ridosso della clamorosa e durissima dichiarazione di Molotov, fatta propria da Togliatti[134]su Trieste, che destò grande eco nell'opinione pubblica e fra i partiti italiani perché segnava la prima, vera ed esplicita, occasione di commistione tra equilibri e schieramenti internazionali e vicende interne, allargando in modo drammatico la frattura latente tra democristiani e comunisti.

Nenni pur avendo sulla questione dei confini con la Jugoslavia una posizione realmente diversa ed intermedia[135] (Nenni, e con lui la gran parte del Partito socialista, era favorevole ad un accordo diretto tra Italia e Jugoslavia) rispetto a quella enunciata da De Gasperi a Parigi e seccamente rifiutata da Molotov e Togliatti, si preoccupò di minimizzare la portata dell'" incidente " , all'evidente scopo di tenere il governo al riparo da una crisi particolarmente grave a giudizio di Nenni, proprio perché innescata da un problema di politica estera e, parlando a Firenze, lanciò l'idea di una conferenza internazionale, che definiva una " Locarno dell'Est ", allo scopo di discutere globalmente il problema dei confini orientali. Era una proposta - questa - che pur non avendo un seguito, dimostrava come, pur tra alcuni dubbi (espressi però non ufficialmente ), Nenni era ancora convinto della possibilità di un patto garantito solidalmente dagli Alleati.

Ritornando ai risultati della Conferenza dei " Ventuno ", va detto che la riunione parigina avvertì la serietà delle argomentazioni italiane ma non reagì se non col silenzio e, d'altronde, per i " Quattro " il capitolo Italia era chiuso e non andava riaperto. Restava, però, aperta la possibilità di una revisione bilaterale delle clausole più ingiuste. A quest'ultimo tentativo si accinse Nenni assumendo il 18 ottobre 1946 la responsabilità diretta del Ministero degli Esteri.

Prima di insediarsi a Palazzo Chigi egli aveva indicato le direttive alle quali intendeva ispirare la propria azione nel discorso di Canzo del 13 ottobre, tenuto in occasione della inaugurazione del monumento a Filippo Turati.

Per il leader socialista le clausole territoriali erano " ingiuste " , la proposta francese per Trieste " un cattivo compromesso " , censurabile l'intransigenza francese sulla linea occidentale. Per le colonie, per le quali si prospettava il rinvio di un anno della soluzione, Nenni era perché fosse almeno riconosciuta una presenza italiana in Africa (a vantaggio dei nostri coloni). Considerava particolarmente " dure le clausole economiche " , per l'entità delle riparazioni alle quali era chiamata l'Italia a vantaggio dell'Urss (pari a cento milioni di dollari), della Jugoslavia, della Grecia, dell'Etiopia. In particolare Nenni reclamava la revisione dell'art. 69 (incameramento dei beni italiani all'estero), senza la quale egli temeva " la distruzione dell'organizzazione commerciale italiana all'estero " . Parlando a Canzo il futuro ministro degli Esteri preferì sottolineare l'intenzione dell'Italia di voler collaborare al comune progresso, vivendo in pace coi vicini e basandosi sul principio della solidarietà internazionale " che non punta sugli anglo-americani contro l'Unione Sovietica o sull'Unione sovietica contro gli anglo-americani, ma sull'unione di tutte le forze democratiche dell'Europa e del mondo " . Ciò peraltro non voleva dire rinunziare alle sacrosante rivendicazioni di ordine politico, economico e territoriale. " Niente isterismi, ma neppure niente rinunzie " o, in altre parole - come più esplicitamente scrisse nei suoi diari - " firmare e protestare, firmare e mettersi subito alla ricerca dei mezzi e delle vie per la revisione "

In effetti il principio della revisione fu costantemente seguito nella breve esperienza nenniana al ministero degli Esteri e rivendicato in seguito come titolo di merito . Ovviamente la revisione del trattato sarebbe stata facilitata in un mondo unito da uno spirito di collaborazione al cui instaurarsi l'Italia poteva dare - nell'opinione di Nenni - un cospicuo contributo. La situazione internazionale non era certo più tale da confortare tali speranze, ma Nenni voleva continuare a credervi in quanto tutta la sua politica estera si basava sul presupposto fondamentale - già illustrato ampiamente in precedenza - del perdurare di un accordo tra le grandi potenze vincitrici della guerra. Venuto meno tale presupposto, tutto sarebbe stato rimesso in discussione: l'equidistanza, i buoni rapporti tanto con Mosca che con Washington, gli accordi commerciali, la cauta politica di revisione amichevole del trattato di pace, la solidarietà internazionale; ma sarebbe venuta meno anche la politica interna di centralità dei socialisti, costretti alla fine a scegliere uno dei due blocchi col rischio di spaccare il partito in due parti.

Assumendo, dunque, il ministero degli Esteri, Nenni voleva portare a compimento tre questioni: tentare la revisione del trattato di pace facendo accettare dagli Alleati il principio dei negoziati diretti e bilaterali; avviare questi negoziati con la Jugoslavia e arrivare con i vicini orientali a una " Locarno dell'Est " . A conferma di tale intento soccorre un telegramma di Nenni al ministro degli Esteri jugoslavo: " Nell'assumere la direzione della politica estera mi è grato confermarle ciò che dissi al vice presidente Kardelj e che cioè per grave che sia la situazione che la guerra e la pace hanno creato fra i nostri Paesi essa non è tale da doverci scoraggiare nello sforzo teso a realizzare un accordo diretto " ; e del successo di tali intenzioni la risposta positiva del vice ministro Velebit: " In conformità alla costante politica di rafforzamento della pace, il nostro Paese saluterà ogni sforzo sincero diretto al raggiungimento di una intesa " . Il terzo obbiettivo era quello di negoziare all'Ovest e all'Est dei buoni trattati di commercio.

" La parola revisione non è scritta nel trattato - faceva osservare il ministro degli Esteri - ma lo è nelle cose "

Il problema di Trieste restava al centro delle preoccupazioni italiane.

Dall'ambasciata di Mosca provenivano le previsioni più pessimiste: i sovietici avrebbero sfruttato fino in fondo " il desiderio diffuso nell'opinione pubblica inglese e americana di giungere finalmente alla conclusione della pace "[152]. Pessimista era anche il Foreign Office: " Échiaro che l'obbiettivo russo e jugoslavo è di non accettare alcuna soluzione della questione triestina che non consenta agli jugoslavi di dominare il Territorio libero. Se noi manteniamo le nostre posizioni non si raggiungerà l'accordo e non ci sarà un trattato con l'Italia [...] le nostre truppe e quelle americane dovranno rimanere attestate sulla linea Morgan " .

Negli ambienti inglesi vi era anche chi prospettava un ruolo di deterrenza sostenuto dai contingenti alleati in Venezia Giulia, e il ricorso alle forze italiane in caso di emergenza. Da parte americana, vennero offerte, in un colloquio tra il segretario di Stato americano Byrnes, il direttore dell'Ufficio per le questioni europee Matthews, e l'ambasciatore a Washington Tarchiani, nuove garanzie che non sarebbe stata accettata alcuna modifica del confine italo-jugoslavo, quale approvato dal Consiglio dei ministri degli Esteri e raccomandato dalla conferenza. Alla domanda dell'ambasciatore italiano sulle possibilità che i sovietici sottoscrivessero l'accordo, il segretario di Stato americano rispose che non restava altro che sperare, altrimenti, in caso contrario, non restavano che due soluzioni: il trattato separato o il mantenimento dello status quo. In entrambi i casi egli prevedeva molti svantaggi . Comunque, l'aiuto economico - ricordiamo che l'Italia aveva ottenuto all'inizio di novembre un prestito dell'Eximport Bank intorno ai cento milioni di dollari, che consentisse all'economia italiana di affrontare la prima parte del 1947 - non avrebbe in alcun modo risentito di un eventuale fallimento del negoziato. Questa affermazione escludeva che i crediti potessero divenire uno strumento di pressione.

Il principio avrebbe mantenuto la sua validità anche nell'ipotesi che fosse l'Italia a rifiutare di firmare il trattato?

All'Ambasciata britannica di Roma si riteneva che la risposta dovesse essere negativa. Infatti, escludendo che la minaccia di imporre il trattato fosse credibile (al Foreign Office e al Dipartimento di Stato era già stata scartata l'ipotesi di rioccupare il paese per garantire che il trattato fosse enforced), e venendo meno l'ipotesi di trattati separati, restavano soltanto le pressioni di carattere economico, la minaccia di ritirare le truppe alleate dalla Venezia Giulia e la prospettiva che l'Italia rimanesse fuori dalla " famiglia delle nazioni civilizzate "[155].

Mentre la questione di Trieste continuava ad essere individuata come la causa più probabile della rottura del negoziato, o del rifiuto italiano di accettare il trattato, New York si preparava ad assistere, dal 5 novembre 1946, ai lavori del Consiglio dei ministri degli Esteri delle quattro Nazioni Alleate per dare forma esecutiva al trattato e deliberare sullo statuto del Territorio Libero di Trieste.

Appena tre settimane dopo l'insediamento a Palazzo Chigi, Nenni faceva pervenire attraverso l'ambasciatore Tarchiani, alla vigilia dell'apertura dei lavori, una nota ai " Quattro " in cui la linea politica italiana veniva fissata sui seguenti punti :

1) Il progetto di Trattato di pace non è in armonia con i principi della Carta Atlantica e non tiene conto della partecipazione italiana alla guerra anti-tedesca dal settembre 1943 in poi.

2) Nella soluzione dei problemi relativi alla frontiera orientale fra l'Italia e la Jugoslavia e di quella occidentaletra l'Italia e la Francia, il progetto segue criteri strategici e politici in aperto contrasto con le aspirazioni dei popoli interessati e non offre garanzie per la protezione delle minoranze (l'Italia chiede un plebiscito nelle zone contestate della Venezia Giulia o, perlomeno, l'estensione del Territorio Libero fino a Pola).

3) La preventiva rinuncia alla sovranità italiana sulle colonie contemplata dal progetto di Trattato contrasta con ogni obbiettiva valutazione del contributo italiano alla loro valorizzazione e al loro sviluppo futuro.

4) La smilitarizzazione delle frontiere e le clausole militari del Trattato lasciano l'Italia indifesa, in uno stato di soggezione che incide sulla sua stessa indipendenza.

5) L'insieme di oneri economici e finanziari, per quanto riguarda le riparazioni, il diritto alla confisca dei beni italiani all'estero lasciato alla discrezione di ogni singolo Stato, la gratuita confisca degli investimenti statali e parastatali a favore di taluni Paesi supera ogni ragionevole limite dell'effettiva capacità di pagamento dell'Italia e minaccia l'indipendenza economica del Paese.

"...Riservando i diritti sovrani all'Assemblea Costituente circa l'accettazione del Trattato nella forma definitiva che esso assumerà dopo la decisione della conferenza dei ministri degli Esteri delle quattro Potenze, il Governo italiano ribadisce le sue più espresse riserve contro un giudizio unilaterale ed ingiusto, il quale non tenesse conto delle rivendicazioni esposte nella presente nota. Tali rivendicazioni sono destinate a mantenere, in ogni caso, il loro pieno valore in quanto imposte dalle permanenti e fondamentali esigenze di vita e di sviluppo della Nazione italiana. Il ministro degli Esteri Pietro Nenni "

Purtroppo i " Quattro " erano sempre decisi a non rimettere in discussione il trattato neppure per la via indiretta delle revisioni bilaterali. Una possibilità in tale senso sembrò venire dalla Jugoslavia. Se ne ebbe l'annuncio da parte di Togliatti nella forma insolita di una intervista con Tito comparsa su l'Unità! del 7 novembre 1946 alla vigilia delle elezioni amministrative di Roma e con l'intento di influire su di esse.

Il leader del Partito comunista italiano si era recato a Belgrado per ragioni di partito e ne aveva approfittato per scandagliare le intenzioni o i propositi del maresciallo Tito sulla questione di Trieste. Egli riferiva nell'intervista il pensiero del suo interlocutore con le seguenti parole: " Il maresciallo Tito mi ha dichiarato di essere disposto a consentire che Trieste appartenga all'Italia, cioè sia sotto la sovranità della Repubblica italiana, qualora l'Italia consenta a lasciare alla Jugoslavia Gorizia, città che, anche secondo i dati del ministero degli Esteri italiano, è in prevalenza slava. La sola condizione che il maresciallo Tito pone è che Trieste riceva, in seno alla Repubblica italiana, uno statuto autonomo effettivamente democratico, che permetta ai triestini di governare la loro città e il loro territorio secondo principi di democrazia " . In una relazione verbale, Togliatti informava Nenni di aver riportato l'impressione che Tito riconoscesse naturale la contiguità territoriale fra Trieste e il territorio italiano. Inoltre la Jugoslavia era pronta a restituire i prigionieri di guerra e ad aprire i negoziati per un trattato di commercio.

Si trattava di un fatto nuovo che apriva la possibilità di negoziati diretti indipendentemente da quello che nella polemica fu definito il " baratto " di Trieste con Gorizia e che, come tale, fu subito respinto da Nenni e dal Governo. Partendo dalla conversazione di carattere privato di Togliatti, bisognava passare a vere e proprie trattative diplomatiche, e il momento era favorevole. Infatti non appariva difficile immaginare perché Tito avesse così parlato a Togliatti adesso e non prima. Egli aveva sperato di ottenere dai " Ventuno " il possesso di Trieste. Dopo la conferenza, avendo sondato le intenzioni dell'Unione Sovietica e avendo constatato che essa non era disposta a favorire o a tollerare a Trieste colpi di testa o di forza, Tito si trovava nella necessità di creare una situazione nuova. A Trieste ormai c'erano gli anglo-americani e in tali condizioni era nell'interesse della Jugoslavia cercare un compromesso. Purtroppo l'intervista di Togliatti venne presentata e venne considerata esclusivamente sotto l'angolo visuale della politica interna, e ciò non soltanto da parte dei giornali d'opposizione, ma anche, e soprattutto, dalla Democrazia Cristiana e dallo stesso presidente De Gasperi, il quale accettava in Consiglio dei ministri la tesi di Nenni che le dichiarazioni di Tito costituivano un elemento nuovo e offrivano materia di negoziati diretti , ma poi si lasciava trascinare nella polemica tra l'Unità! e Il Popolo.

Ciò era tanto più pregiudizievole in quanto, avendo i " Quattro " a New York dato l'impressione di voler accantonare la questione di Trieste, Palazzo Chigi aveva interpretato l'eventuale rinvio (che poi non ci fu) come un invito indiretto al Governo italiano a cercare un terreno d'intesa con la Jugoslavia e aveva sollecitato il consenso e l'appoggio degli Alleati. Nenni fece agli ambasciatori delle quattro potenze una comunicazione verbale, chiedendo loro di far sapere ai rispettivi ministri degli Esteri che il rinvio della questione di Trieste sarebbe stato interpretato come un invito a trattative dirette e, visto che a tali trattative Tito aveva offerto alcuni elementi positivi, egli si sentiva pronto a trattare in vista di un eventuale accordo sotto la garanzia dell'Onu. In caso di mancato accordo diretto, Nenni voleva la garanzia che quanto era stato acquisito alla Conferenza di Parigi sarebbe restato acquisito, tenendo conto del riconoscimento venuto da Tito sull'italianità di Trieste . Il socialista italiano ottenne dai governi sovietico, inglese , americano, e francese l'assicurazione che le trattative con la Jugoslavia erano considerate opportune. In questo senso istruzioni furono, dunque, date all'ambasciatore Tarchiani che prese i primi contatti a New York con il ministro degli Esteri jugoslavo Simic. " Nel pomeriggio ho fatto il primo passo ufficiale presso Belgrado incaricando la delegazione a New York di comunicare al ministro degli Esteri Simic... la deliberazione in favore delle trattative dirette. Ho incaricato la delegazione di chiarire la portata dell'accenno fatto dal ministro Simic in una intervista del New York Post a negoziati diretti a Roma o a Belgrado "

" Ho ricevuto ieri sera la prima relazione di Quaroni circa la sua conversazione con Simic. C'è da stare poco allegri. Il ministro jugoslavo ha negato che Tito si sia impegnato per la contiguità territoriale con Trieste autonoma sotto sovranità italiana. Niente corridoio e invece cessione alla Jugoslavia di Gorizia e Monfalcone. Di fronte allo stupore del nostro ambasciatore ha chiesto di voler sapere a che cosa siamo pronti a rinunciare per ottenere la sovranità sulla contestata città adriatica. Ho risposto stasera che noi non abbiamo niente a cui rinunciare e che noi pure, come gli jugoslavi, ma per ragioni opposte, siamo recisamente contrari alla linea francese. Ho soggiunto che se non possiamo intenderci sui confini possiamo però migliorare i nostri rapporti collaborando in altri campi, indicando a questo proposito il rimpatrio dei prigionieri, la notifica degli internati, la protezione delle minoranze e, infine, gli scambi commerciali. Ho anche chiesto il ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra Roma e Belgrado"

Veniva così a mancare la possibilità del negoziato.

" Notizie poco buone da New York. I Quattro hanno fissato le frontiere del Territorio libero di Trieste nei limiti della cosiddetta linea francese. Con ciò la maggior parte dell'Istria passa alla Jugoslavia. Ésupremamente ingiusto " . Per di più i " Quattro " avevano fretta ed essi invitarono l'Italia a Parigi il 10 febbraio 1947, come poi avvenne, per firmare il trattato di pace.

Intanto in Europa e nel mondo si avevano i primi segni del guastarsi dei rapporti fra Washington e Mosca. Sotto questi inquietanti auspici si apriva il 1947: De Gasperi con il pretesto di una conferenza al forum di Cleveland era stato invitato negli Stati Uniti (per dove partì il 3 gennaio); Nenni aveva ricevuto l'invito di rendere visita ufficiale al Governo inglese e si sarebbe dovuto recare il 15 gennaio a Londra.

Nel contempo, il Partito socialista entrava in crisi con la scissione promossa da Saragat al Congresso di Roma del 9-13 gennaio 1947.

Così, al rientro di De Gasperi dagli Stati Uniti, il 17 gennaio, Nenni presentava le sue dimissioni da ministro degli Esteri , mentre Saragat faceva lo stesso dalla carica di presidente dell'Assemblea Costituente.

Gli ultimi atti di Nenni a Palazzo Chigi furono la ripresa delle relazioni diplomatiche con la Jugoslavia (23 gennaio) e la nota del 20 gennaio 1947 - giorno delle dimissioni ufficiali di Nenni dal Governo - sul principio della revisione da includere nel trattato di pace, diretta ai ministri degli Esteri Blum, Bevin, Marshall e Molotov.

" Sono entrato a Palazzo Chigi con la parola revisione. Ne sono uscito stasera con la stessa parola " . La nota affermava che il ministro degli Esteri della Repubblica italiana aveva preso conoscenza del Trattato di pace quale era stato definitivamente redatto nella riunione di New York dei ministri degli Esteri della Francia, degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e dell'Unione Sovietica. Il ministro degli Esteri Nenni, constatava che non era stata accolta nessuna delle richieste di modifica delle primitive clausole del Trattato presentate dal Governo italiano alla Conferenza di Parigi. Il Trattato urtava, dunque, la coscienza nazionale specie per le clausole territoriali e, in queste condizioni, il ministro degli Esteri italiano si trovava nella necessità di formulare le più espresse riserve e di chiedere che sia riconosciuto il principio della revisione del Trattato sulla base di accordi bilaterali con gli Stati interessati, sotto il controllo e nell'ambito delle Nazioni Unite

Il 2 febbraio 1947 venne ricostituito il nuovo Governo, ancora sulla base del tripartito, ma nel quale al Ministero degli Esteri Carlo Sforza sostituiva Nenni.

Capitolo VII

ACCORDI COMMERCIALI, EMIGRAZIONE E GLI ALTRI TEMI DELLA POLITICA ESTERA DI NENNI


L'attenzione della diplomazia italiana doveva, a giudizio del leader socialista, concentrarsi sulla soluzione dei problemi economici del paese. A tal fine Nenni nutriva grande fiducia nell'applicazione dei principi della Carta Atlantica e in particolare del principio di libertà del commercio e del lavoro e del libero accesso alle materie prime indispensabili . L'Italia era un paese povero, privo di materie prime e quindi non in grado di guadagnarsi la " libertà dal bisogno ".

Era un dato oggettivo che in qualche modo giustificava persino gli entusiasmi popolari "per le sciagurate guerre d'Africa" e per la politica imperialistica del fascismo. La nuova Italia democratica aveva, ancora una volta, la necessità di risolvere il problema delle materie prime indispensabili, ma non già con i metodi che il fascismo aveva usato, bensì mediante accordi internazionali. "Questo, e non altro, è il nostro problema nei suoi aspetti internazionali. Il resto ridiviene un problema di politica interna, economica e sociale"

Da tali considerazioni - rafforzate in lui dal riferimento, d'obbligo, al primato dell'economia nella visione marxista - discendeva l'interesse precipuo per gli accordi commerciali che caratterizzò la permanenza di Nenni al ministero degli Esteri, come pure il suo favore al mantenimento di una presenza italiana in Africa. Se il vecchio colonialismo sfruttatore era, infatti, finito (almeno per l'Italia), restava pur sempre la necessità di un'" opera di civiltà e di progresso alle quali i nostri coloni hanno dato il sudore della loro fronte, a volte il sangue, sempre l'intelligenza " . L'importante era comunque rinunciare a una miope politica di ripicche e di sterili rivendicazioni e imboccare invece la strada di una rinnovata solidarietà internazionale. "L'Italia è perduta - disse a Canzo - se persevera nei torbidi appetiti nazionalisti, militaristi ed imperialisti e se non ricerca le basi della sua esistenza e del suo sviluppo in una politica di solidarietà internazionale"

L'ammissione al Fondo Monetario Internazionale, alla Banca Internazionale e l'auspicato ingresso all'Onu erano tutte tappe sulla strada di una ripresa internazionale del paese; una strada che passava attraverso gli accordi e gli scambi commerciali con l'est e con l'ovest, con la Gran Bretagna non meno che con gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica.

Se la realtà dell'Italia era quella di un paese privo di materie prime e con una manodopera eccedente, il fallimento della politica autarchica del fascismo aveva dimostrato definitivamente che tali problemi potevano essere risolti soltanto sul piano internazionale. Nenni aveva contato molto sull'attuazione dei principi della Carta Atlantica, ma col passare del tempo si era reso conto che non sarebbe stato possibile ottenere il libero ed eguale accesso alle materie prime e si era più realisticamente orientato verso la conclusione di trattati di commercio e accordi di emigrazione. Questi aspetti rappresentavano effettivamente una delle principali direttive della sua attività di ministro degli Esteri. " Diciamo la verità. Coi lavori pubblici non si risolve il problema della disoccupazione. I rimedi efficaci sono due: 1) La riforma agraria che darà terra, sotto forma di affittanze cooperative o individuali ai braccianti e li legherà al suolo; 2) L'emigrazione. L'emigrazione è un rimedio doloroso, ma inevitabile. La Francia ci chiede centinaia di migliaia di braccia, la Cecoslovacchia ha bisogno di centinaia di braccianti manovali edili, l'Inghilterra ed il Belgio hanno bisogno soprattutto di minatori per il che converrà aprire delle scuole professionali, l'America Latina, l'Argentina, il Brasile, il Venezuela, ecc., reclamano lavoratori italiani. Due cose assorbiranno la mia attività a Palazzo Chigi - aveva detto nel suo discorso programmatico di Canzo -: d'accordo coi Ministri dell'Industria e del Commercio Estero i trattati di commercio da stipulare con le grandi e le piccole Nazioni in grado di darci materie prime e di assorbire prodotti manufatti; d'accordo col Ministro del Lavoro superare le difficoltà che hanno reso scarso ed asmatico il flusso dell'emigrazione"

Anche nel diario, soprattutto nei mesi che precedettero l'assunzione del ministero degli Esteri, è continua l'indicazione delle prospettive commerciali che potevano aprirsi coi vari paesi . Tutto il colloquio avuto col sottosegretario polacco agli Esteri Modzelewski il 19 gennaio 1946 nel corso della visita a Londra - ad esempio - fu dedicato alle possibilità di scambi commerciali tra Roma e Varsavia . Gli aspetti relativi ai trattati di commercio furono ancora i principali argomenti affrontati quando Nenni ebbe il suo primo incontro, alla vigilia del suo ingresso a Palazzo Chigi, con gli ambasciatori italiani nelle principali capitali estere . Infine nel consueto messaggio di saluto ai rappresentanti diplomatici italiani nel momento dell'assunzione in carica ribadì ancora ufficialmente: "Assumendo la direzione della nostra politica estera porgo a lei e ai suoi collaboratori un cordiale saluto. So di poter contare su di lei per aiutare il Paese a rialzarsi dalla disfatta che ha subito e a riprendere nel mondo il posto che gli compete. Attiro la sua attenzione sulla urgente necessità di cogliere ogni occasione per migliorare i nostri rapporti col Paese di sua residenza, ciò indipendentemente dalla posizione che sarà assunta nei confronti del trattato di pace. Due problemi principali e in un certo senso pregiudizievoli preoccupano il Governo, gli accordi commerciali e gli accordi per l'emigrazione e Le sarò grato per quanto farà in questa direzione. La prego di far pervenire alla colonia italiana il mio saluto. I destini della Patria dipendono dalla unità del nostro popolo, dalla fermezza con la quale difenderemo il nostro diritto, dalla lealtà con la quale dimostreremo di aver rotto con il passato e con la quale serviremo la Nazione e le istituzioni democratiche e repubblicane che essa si è data "

Di fatto numerosi furono effettivamente i trattati economici conclusi con diversi paesi (Francia, Paesi Bassi, Danimarca, Ungheria, Belgio, Norvegia) nei pochi mesi di permanenza di Nenni agli Esteri, e altrettanto numerosi quelli conclusi nei mesi successivi, ma impostati in precedenza. A tale proposito è giusto menzionare la complessa trattativa avviata da Nenni tra l'Italia e la Cecoslovacchia in vista della conclusione di un accordo di scambio di mano d'opera e uno di fornitura di cellulosa e legname. A dimostrazione del difficile impegno e dei numerosi ostacoli incontrati dalla diplomazia italiana, è significativa un telegramma inviato dal ministro a Praga, Tacoli, al ministro degli Esteri Pietro Nenni: " Informo che durante la prima riunione della commissione mista per l'accordo sui lavoratori, il Governo cecoslovacco ha nuovamente assunto un atteggiamento contraddittorio ed equivoco. Circa la contropartita alle rimesse degli operai è stata annullata la promessa fatta alla nostra legazione durante la missione Ceppellini per la fornitura di coke e sono state proposte compensazioni in legname e cellulosa. Poiché tali due ultimi prodotti hanno costituito, dopo la fine della guerra, i principali mezzi di pagamento delle nostre esportazioni, il su menzionato inserimento in accordo operai renderebbe pressoché nulli futuri scambi commerciali, a meno che il numero dei lavoratori italiani da impiegare non venisse contenuto in misura assolutamente irrilevante. D'altronde l'attuazione promesse circa il risarcimento delle proprietà nazionali confiscate e nazionalizzate continua essere ritardata, evidentemente perché sperasi risolverle al minimo costo dopo l'estorta concessione riguardo gli operai. In tale situazione ritengo che codesto ministero debba essere posto in grado di esaminare gli aspetti tecnici del problema nel suo complesso e nelle ripercussioni immediate e future, anche in vista di eventuali negoziati per un accordo commerciale. Prego pertanto voler autorizzare con massima urgenza l'addetto commerciale Morante a recarsi a Roma per riferire su questi punti e discutere l'atteggiamento da seguire in prossimi incontri con la delegazione cecoslovacca. Sarebbe opportuno che in occasione della visita di Morante venissero convocati presso codesto ministero, i dirigenti delle compagnie di assicurazioni, che rappresentano il maggiore interesse italiano in Cecoslovacchia e che non hanno ancora deciso la linea di condotta a tutela dei propri interessi. Attendo urgente autorizzazione..." . E Nenni rispose: " Come V.S. conosce, cellulosa e legname rappresentano in questo momento una primordiale necessità economica italiana tuttavia riconosco gli inconvenienti che la loro inclusione in un accordo di mano d'opera potrebbe produrre svuotando il contenuto dell'accordo commerciale. Dato il vivo desiderio per giungere favorevolmente alla sollecita conclusione di ambedue gli accordi accolgo la proposta per l'immediata venuta dell'addetto commerciale Morante per esaminare la situazione e ricevere le istruzioni "

Facendo il bilancio dei primi due mesi della " nostra politica estera ", Giovanni Caporaso sottolineava come " i maggiori e caratteristici frutti " del settore venissero dagli scambi economici con l'estero, e che la " profonda originalità " della nuova politica nenniana consistesse nell'aver abbinato " gli scambi con la ripresa dell'emigrazione, sulla base di una politica diretta a valorizzare al massimo sul piano internazionale le nostre grandi disponibilità di manodopera " . Fatto politico di primo ordine perché, come affermava il socialista Nino Falchi, su Politica Estera dell'8 dicembre 1946, " solo in questo modo è materialmente possibile rendere attivo il nostro rapporto di dare-avere internazionale e soprattutto solo in questo modo può crearsi quel sostrato all'indipendenza politica che è costituito da una rete di nostre solidarietà economiche e produttive con Paesi diversi dai tre Imperi ". " Tale criterio - aggiunge Caporaso - ha guidato l'accordo già intervenuto con la Francia per l'invio di 200.000 lavoratori nella vicina Repubblica e quello commerciale che prevede un movimento di 7 miliardi di lire e guiderà le trattative già in corso con altri Paesi "

Si può certamente discutere se tale modo di affrontare i problemi economici internazionali fosse adeguato ai tempi, ma non si può non riconoscere che Nenni e i suoi compagni socialisti vi annettessero grande importanza e lo ritenessero il modo migliore per rilanciare la situazione economica e politica dell'Italia nel mondo.

Va da sé che gli aspetti economici avevano anche risvolti politici. L'apertura di flussi commerciali verso i paesi dell'Est avrebbe creato ostacoli alla collocazione internazionale dell'Italia nel blocco occidentale, facilitando il mantenimento di una posizione di equidistanza. I socialisti rilevarono che all'epoca in cui Nenni aveva assunto il ministero degli Esteri non esisteva praticamente alcun rapporto commerciale con tutta l'Europa orientale e balcanica, né alcun rapporto di migrazione o scambio culturale, quando tali manifestazioni erano in atto da lungo tempo con i paesi dell'Occidente europeo e dell'America. Nenni poteva vantarsi di essere riuscito in un paio di mesi ad intavolare numerosi negoziati con i Paesi dell'Est europeo, lavorando così contro i blocchi e a favore dell'indipendenza nazionale.

" Né vorrei, onorevoli colleghi, - disse il 18 febbraio 1947 alla Costituente - che nel nostro atteggiamento si intravedesse o una mancanza di riconoscenza verso l'Occidente, o una pura preoccupazione di carattere ideologico. Noi siamo stati in questi anni, siamo in questo momento, saremo nei prossimi mesi e nei prossimi anni, tributari economicamente dell'Occidente e dobbiamo molta gratitudine agli Stati Uniti per quello che hanno fatto e fanno per venire in aiuto al nostro Paese. Ma, responsabili davanti alle generazioni future, noi considereremmo errata una politica estera la quale non tenesse la bilancia uguale tra Occidente e Oriente e non si sovvenisse che abbiamo avuto in Oriente una posizione economica di privilegio che dobbiamo sforzarci di riconquistare. Signori, saremo indipendenti, politicamente e nazionalmente, se saremo indipendenti economicamente e se il nostro pane, il nostro carbone, la vita delle nostre industrie non dipenderanno da un solo complesso mondiale "

Anche più tardi, dopo l'allontanamento delle sinistre dal governo, Nenni insistette sull'opportunità di scambi commerciali con l'Europa orientale, giudicando " criminale " chi si fosse preclusa una tale possibilità per mere prevenzioni ideologiche: " Anche noi abbiamo le nostre simpatie ideologiche e le nostre antipatie; ma personalmente mi sarei considerato l'ultimo degli italiani se, nel breve periodo in cui ressi la nostra politica estera, avessi sacrificato a queste simpatie gli interessi fondamentali del Paese e del popolo! "

La rivendicazione di un serio patriottismo, suo e del suo partito, è un motivo su cui Nenni tornò più volte nei mesi successivi. Replicando alle accuse mosse dalla stampa " borghese " alle sinistre di non difendere gli interessi italiani, ma di lavorare a favore di un potere straniero, Nenni replicava che il vero interesse dell'Italia era la creazione di una serie di rapporti economici con gli altri paesi, tanto occidentali che orientali, per svincolare il Paese dall'esclusiva dipendenza dagli Stati Uniti. Su questo terreno si misurava per Nenni il vero patriottismo.

Come ha scritto Canavero, " Patriota non era chi s'indignava e promuoveva sterili agitazioni per alcuni chilometri quadrati di territorio in più o in meno, ma chi sapeva mettere da parte i propri interessi particolari per il bene collettivo. In questo senso

(Nenni, n.d.a.) non capiva come potesse negarsi il patriottismo della classe operaia e di conseguenza la sua capacità di assumere la guida del paese anche nel campo delle relazioni internazionali "

Dalle sue riflessioni storiche Nenni aveva ricavato la convinzione che la borghesia italiana era sempre stata e sarebbe stata ancora pronta a vendere l'indipendenza del Paese in cambio di vantaggi economici o sociali. La politica estera di De Gasperi - a suo avviso - era lì a dimostrarlo: gli anglo-americani avevano avuto la possibilità di utilizzare il territorio italiano per fini militari e strategici e di penetrarvi dal punto di vista economico in cambio della difesa delle vecchie strutture politico-sociali all'interno . Gli interessi dei ceti conservatori, abituati ad identificare i propri interessi con quelli del Paese, e l'influenza della Chiesa avevano indotto De Gasperi a puntare su uno dei due cavalli in gara, trascurando i rapporti con l'altra grande potenza. La politica estera socialista doveva rimediare a tale errore, cercando di impostare una politica di neutralità e di equidistanza. Questo era l'interesse nazionale e questa la politica che anche un governo di estrema sinistra avrebbe sostenuto . Nell'aprile del 1945 la classe lavoratrice aveva rinunciato all'opportunità di prendere il potere a prezzo della guerra civile ("una occasione che taluni rimpiangono di aver lasciato passare senza approfittarne" ) perché una classe che vuole diventare classe dirigente " ha il dovere di dominare i suoi istinti, la sua collera, le sue proteste e di porre l'interesse della Nazione al di sopra dei suoi propri interessi" . Così anche nel campo dei rapporti internazionali la classe lavoratrice italiana, malgrado le simpatie per l'Unione Sovietica, non cercava, come invece stava facendo la borghesia, di portare il Paese all'interno di un blocco di potenze rigidamente contrapposto ad un altro. "La classe lavoratrice - disse a Milano il 10 maggio del 1947 - malgrado le sue convinzioni intime, non vuole spingere la nazione italiana verso un blocco contro l'altro blocco, col che essa dimostra ancora una volta di essere ormai la sola classe capace di servire ed interpretare gli interessi di tutta la Nazione"

La borghesia aveva invece "per meditato calcolo politico e per faziosità, sposato l'ideologia della terza guerra" . La paura del comunismo le impediva anche solo di comprendere l'importanza di una politica amichevole nei confronti dell'Urss e dei paesi dell'Europa orientale. Basato sulla paura e sugli egoistici interessi particolari, il comportamento della borghesia non era più degno, sempre secondo il leader romagnolo, di una classe dirigente. Il " tradimento borghese della libertà e della democrazia " negli anni del fascismo legittimava ora la classe operaia a rivendicare il potere, non per sé, ma a favore di tutta quanta la Nazione . Anche per questo i socialisti dovevano restare al governo: " non per amore di galloni ministeriali, ma abbiamo obblighi morali e politici verso il paese ", per non abdicare ad una funzione di guida che la classe operaia si era guadagnata e che non poteva e non doveva essere esercitata dal solo Partito comunista.

La direzione socialista della politica estera italiana doveva puntare anche ad un altro risultato. Palazzo Chigi, secondo Nenni, avrebbe dovuto agire tenendo presenti certi elementi di etica internazionale, isolando quei paesi non democratici e che negavano i diritti fondamentali dei cittadini. In altre parole l'Italia non avrebbe dovuto mantenere rapporti diplomatici con gli stati che avevano conservato al loro interno un regime fascista, ma al contrario doveva agire sul piano internazionale per favorire una loro evoluzione verso la democrazia. Il banco di prova di questa impostazione, in certo qual modo " moralistica ", della politica estera fu sperimentato nei rapporti con la Spagna franchista.

Sin dall'epoca in cui Tommaso Gallarati Scotti era stato nominato Ambasciatore a Madrid, Nenni aveva scritto un violento articolo sull'Avanti! sostenendo che non vi erano " fra la nuova Italia democratica e la Spagna di Franco interessi che meritino di essere coltivati " . Anche in precedenza l'Avanti! si era distinto per gli attacchi alla Spagna, uno dei pochi paesi con cui l'Italia intratteneva rapporti diplomatici, provocando risentite repliche da parte del governo di Madrid. Senza tener conto della delicata situazione in cui si veniva a trovare il nostro ambasciatore, impegnato in una difficile trattativa per il recupero di un vecchio credito che l'Italia vantava, Nenni tornò più volte sul problema spagnolo, proponendo a più riprese in Consiglio dei ministri il richiamo del nostro ambasciatore. Egli non faceva mistero della sua simpatia per il governo repubblicano spagnolo in esilio, i cui membri non esitò ad incontrare anche nel corso di visite ufficiali all'estero . Quando entrò in carica agli Esteri, poi, inviò a Giral (presidente del Governo repubblicano spagnolo in esilio) un telegramma per augurare il successo della democrazia spagnola " , e invano Prunas (l'allora Segretario generale del ministero degli Esteri, poi sostituito il 25 novembre 1946 dall'Ambasciatore Franzoni) lo invitò a muoversi con maggiore cautela. Nenni proseguiì la strada imboccata e ribadì il 29 ottobre agli ambasciatori di Usa, Urss, Francia e Gran Bretagna che l'Italia era pronta ad applicare ogni misura presa dall'Onu nei confronti del governo spagnolo: " Dopo le discussioni che hanno avuto luogo al Consiglio di sicurezza dell'O.N.U. nell'aprile 1946 e la susseguente decisione che demanda all'Assemblea dello stesso O.N.U. di dare il suo giudizio sulla Spagna di Franco e di possibilmente mettere un giudicato che sia di guida agli Stati membri nelle loro relazioni dol Governo franchista, il Governo italiano tiene a riconfermare ancora una volta esplicitamente l'atteggiamento già enunciato all'indomani della Conferenza di Potsdam e il suo proposito di solidarizzare con quelle decisioni che potranno essere adottate nei confronti della Spagna dall'Assemblea plenaria dell'O.N.U. nella sessione attualmente in corso a New York..." , ottenendo peraltro dai rappresentanti dei tre paesi occidentali risposte moderate ed elusive.

Quando poi l'Assemblea plenaria dell'Onu approvò una raccomandazione agli Stati membri di ritirare i propri ambasciatori da Madrid, Nenni provvide immediatamente a richiamare Gallarati Scotti. La misura fu interpretata da Prunas e da altri diplomatici come una dimostrazione del comportamento " psicologicamente prono verso l'Urss " del nuovo ministro, nei cui confronti essi non nutrivano alcuna fiducia. In realtà si trattava, oggettivamente, di un esempio della concezione " moralistica " della politica estera: dopotutto per Nenni il legittimo governo della Spagna era quello repubblicano ora in esilio - e per il quale egli stesso aveva, a suo tempo, preso le armi - e non quello franchista di Madrid. A Giral, e non a Franco, aveva mandato un telegramma al momento dell'assunzione della carica di ministro degli Esteri e, per quanto stava in suo potere, Nenni avrebbe agito perché si ristabilisse la situazione " legittima ". In un mondo non diviso in blocchi

- auspicava Nenni - tutte le nazioni democratiche dell'ovest e dell'est avrebbero isolato la Spagna e costretto Franco ad andarsene. Era una concezione utopistica; in realtà bastò la raccomandazione dell'Onu (ris. 39-I, del 12.12.1946, che invitò gli Stati a ritirare i capi delle missioni diplomatiche accreditate presso il Governo fascista spagnolo, misura poi revocata con la ris. 386-V, del 4.11.1950) a creare all'interno della Spagna un clima di unione che finì, al contrario, col rafforzare il regime di Franco. Ma più ancora, nonostante gli sforzi e le illusioni di Nenni, giocava il fatto che il mondo sempre più si avviava verso la divisione tra oriente ed occidente e di ciò l'Italia non poteva non tenere conto.






CONCLUSIONI











La chiusura del capitolo del Trattato di pace e la formazione del nuovo gabinetto De Gasperi (2 febbraio 1947), dopo la scissione di Palazzo Barberini, portarono ad un ampio rinnovamento nella conduzione della politica estera, sia a livello politico che diplomatico. Tornò a Palazzo Chigi Carlo Sforza, coronando un sogno a lungo osteggiato dai veti di Churchill: i tempi erano mutati ed il Governo laburista inglese, presieduto da Attlee, non accennava ad alcuna reazione alla nomina del conte.

Di pari passo si chiudeva, il 28 gennaio 1947, la prima breve parentesi di Pietro Nenni alla guida del Ministero degli Esteri, poltrona che egli occuperà nuovamente dal 12 dicembre 1968 al 5 luglio 1969 durante il primo Governo diretto da Mariano Rumor. Si trattò, peraltro, di un passaggio che non restò senza traccia perché Nenni, primo socialista " titolare " di Palazzo Chigi, non si limitò a gestire l'ordinaria amministrazione, ma si mostrò subito deciso ad imprimere una svolta alla politica estera italiana.

Il principio di fondo, al quale egli si ispirò, era quello di una " neutralità attiva " del nostro Paese, tale da consentire di imbastire rapporti commerciali sia ad Est che ad Ovest. Per raggiungere questo obbiettivo, Nenni puntò immediatamante alla creazione di un " asse privilegiato " con il Governo laburista inglese, che però - come è stato detto - celava fraintendimenti e contraddizioni, soprattutto da parte inglese.

Tuttavia non mancarono i risultati concreti durante il trimestre in cui il battagliero leader socialista resse il timone degli Affari Esteri. Ne è un esempio la ripresa delle relazioni diplomatiche con la Jugoslavia (23 gennaio 1947), anche se rimasero senza seguito le speranze di avviare un " nuovo corso " bilaterale per risolvere la questione giuliana.

Pesò, sul numero uno del Psi, in quella breve esperienza ministeriale, una sorta di antinomia congenita, colta con arguzia dal giornalista Ugo Zatterin in un articolo de " Il Tempo ", datato 11 febbraio 1947, in cui l'autore definiva Nenni come un " personaggio fatto di contraddizioni ". Del resto le contraddizioni erano il frutto di una formazione, che si potrebbe chiamare " rivoluzionario-democratica ".

C'era un Nenni che ora, a Palazzo Chigi, riceveva ambasciatori e diplomatici, come se non avesse fatto altro nella vita, e accettava tutte le regole del gioco senza scomporsi. Ma fuori dal ministero c'era subito l'altro Nenni, quello che girava col basco, che scriveva l'articolo di fondo durante un travagliato Consiglio dei Ministri, che non resisteva dal raccontare sotto forma di bon mot o di potin i più riservati avvenimenti di Governo; il Nenni che ogni tanto lasciava le diplomatiche istruzioni agli ambasciatori per recarsi a Canzo o a Lugano a gridare che occorreva conquistare il potere entro sei mesi; a dire qualcosa contro il Governo, contro la borghesia, a gridare a bocca piena la parola rivoluzione.

In verità, sin dal momento della sua nomina, l'apparato diplomatico non nascose il propio malumore, al quale l'allora ministro rispose con qualche significativo spostamento di feluche. Occorre ricordare una nota negativa sulla presenza di Pietro Nenni a Palazzo Chigi, rilevata da Gian Gerolamo Bassani in un articolo su la " Nuova Antologia "[199], nel quale l'autore affermava polemicamente che le conseguenze della politicizzazione della carriera diplomatica si cominciarono ad avvertire nel novembre 1946, con l'assunzione del portafoglio degli Esteri da parte di Nenni. Infatti i funzionari che militavano o erano vicini al Partito socialista (allora ancora unito) non persero l'occasione per assumere una parte di rilievo. Il neoministro degli Esteri si lasciò indurre a fare i mutamenti nella compagine ministeriale col consiglio di funzionari che avevano accesso a lui, non già per le cariche che occupavano in quel momento al Ministero o per ragioni di prestigio personale, ma perché godevano la fiducia del partito che egli rappresentava nel governo: e'così che fu stabilito il sedizioso principio, peraltro eluso durante la permanenza di Sforza, che ai funzionari appartenenti alla stessa confessione politica del Ministro in carica compete di imprimere l'indirizzo a tutto l'andamento del Ministero.

E'importante, dunque, analizzare l'esperienza ministeriale di Nenni nella seconda metà del 1946, ma più che all'andamento concreto dell'episodio, più che al breve periodo che la vicenda durò, bisogna guardare al senso strategico che Nenni le attribuì.

Ciò non significa affermare che l'esperienza ministeriale nel tardo'46 fosse stata un trionfo, perché sarebbe una immagine distorta della realtà, ma che il considerarne il senso strategico significhi valutare il desiderio del leader socialista di eludere la necessità di una scelta tra il blocco sovietico e quello americano, il desiderio di costruire un'alternativa rispetto alla tensione tra i due schieramenti, un'alternativa nella quale la strategia di un'azione internazionale socialista avrebbe potuto collocarsi più agevolmente.

Proprio il discorso di Canzo, del 13 ottobre 1946, quasi un manifesto della politica estera di Nenni, era basato sulla prospettiva di unione di tutte le forze democratiche d'Europa e del mondo affinché venisse realizzata " la sintesi dell'occidente con l'oriente ".

Purtroppo a quella data era ormai troppo tardi. I primi sintomi della guerra fredda si erano manifestati sin dai primi mesi del 1946, e anche prima. Pensiamo alla lettera di Truman del 5 gennaio, una sintesi dei malumori accumulatisi in lui rispetto ai sovietici e conclusa dalla famosa battuta " I'm tired of babying the soviets "; all'andamento negativo dei lavori dell'Assemblea generale e del Consiglio di sicurezza dell'Onu, che mostravano l'indisponibilità sovietica alla collaborazione internazionale. E ancora, ricordiamo: le minacciose parole di Stalin del 9 febbraio, durante la campagna elettorale per le elezioni del Soviet Supremo, sostenute dalla " teoria dell'inevitabilità del conflitto " tra sistema comunistico e capitalistico; il discorso di Churchill all'Università di Fulton negli Stati Uniti, che annunciò la discesa di una " cortina di ferro " sull'Europa, e che agì da detonatore all'interno del mondo politico americano, per smuovere le tentazioni isolazioniste; il " lungo telegramma " del febbraio 1946 dell'incaricato d'affari americano in Unione Sovietica, George Kennan, che segnò l'avvio di una presa di posizione strategica verso i sovietici, poi esplicitata nel 1947, il containment - posizione volta al rifiuto del compromesso, senza cercare lo scontro ma anche senza lasciar spazio a cedimenti -, i cui primi accenni si incominciarono a percepire nel modo con cui gli americani affrontarono il problema dei trattati di pace con le potenze minori dell'Asse, e in particolare, proprio in relazione ai temi riguardanti l'Italia.

Sarebbe, dunque, un errore affermare la completa cecità di Nenni nei confronti di tali eventi, viste la propensione innata del leader socialista verso le vicende di politica estera e la convinzione di quanto, queste, potessero influenzare la politica interna. Allora, l'affermazione che il quasi ministro fece a Canzo, che in quel preciso momento non era altro che un'illusione, non può che essere giudicata strumentale alle vicende interne al partito.

Inoltre, quando egli sosteneva che l'esser neutralisti volesse dire far sì che le preoccupazioni di carattere interno prendessero il posto delle preoccupazioni di carattere internazionale, negando, così, l'esistenza stessa della necessaria scelta tra i due blocchi, respingendo quella logica e considerandola come prodotto di un conflitto di potenza che era dovere dei socialisti circoscrivere al piano internazionale, in realtà capiva - ma strategicamente mascherava - perfettamente gli effetti della tensione latente tra Est e Ovest, che si sarebbero abbattuti sul panorama politico interno, portando tra l'altro alla scissione di Palazzo Barberini, e dopo pochi mesi all'esclusione delle sinistre dal governo.

Come del resto sarebbe assurdo ridurre il desiderio di evitare la scelta tra i due blocchi quale frutto esclusivo di un disegno strettamente ideologico di Nenni volto alla formazione di una politica estera socialista autonoma, ispirata al concetto di neutralismo: da un lato perché un tratto caratteristico di tutta la sua vita fu il far precedere l'azione al pensiero, espresso perfettamente dal motto " politique d'abord ", la politica prima di tutto, intesa come azione, impegno pratico; dall'altro, come è stato osservato dal Benzoni, il pensiero di Nenni nell'immediato dopoguerra non era neutralista ma " unitario " (cioè a sottofondo pacifista), e le simpatie sue, e del Psi, andavano all'Urss, patria del socialismo, della quale si scontava l'evoluzione democratica; nel frattempo il momento decisivo restava comunque " l'unità del mondo ", l'unità antifascista per costruire la pace. Solo questa poteva garantire sul piano interno la sintesi tra il radicalismo economico del comunismo e l'esigenza democratica propria dei socialisti, garantendo l'autonomia del movimento operaio italiano. Bisognava quindi evitare ogni lacerazione e mantenere uniti Occidente e Oriente.

Quindi, se è difficile nascondere l'ammirazione e l'interesse verso il leader socialista a dare un segno tangibile alla sua permanenza a Palazzo Chigi, promuovendo in pratica la " neutralità attiva " del nostro Paese, bisogna dire che, questa, rimaneva l'unica possibilità concreta di difendere al contempo gli interessi nazionali e quelli del socialismo, e che, in quel momento preciso, le vicende interne al Psiup avevano un peso preponderante sulle motivazioni ideologiche di Nenni, confermando quel pragmatismo che lo aveva sempre distinto. In realtà, alla fine, lo stratagemma di Nenni di " nascondere " e, così facendo, di eludere la divisione del mondo in blocchi contrapposti affermando la tesi neutralista, per salvaguardare la linea di politica interna e difendere gli interessi nazionali e del socialismo, si rivelò inadeguata al compito di cogliere consensi sufficienti, esponendo il Partito continuamente agli attacchi interni della sinistra di Basso e rivelando, in sostanza, un uso della politica internazionale meramente strumentale alla lotta per il predominio della sua politica all'interno del Partito.

Nenni, del resto, come tutta la concezione del socialismo postbellico, era convinto della necessità di combattere l'involuzione fascista potenzialmente presente in tutti i regimi borghesi, mediante l'unità d'azione con il partito comunista, ma, con l'emergere della guerra fredda e la fine dell'alleanza internazionale antifascista, era altrettanto cosciente del rischio di esporre il Partito socialista al processo di identificazione di tutte le forze di sinistra come strumenti della politica estera sovietica. Per dare maggiore visibilità e lasciare un ampio spazio all'azione politica dei socialisti, altrimenti cristallizzata dalla guerra fredda, Nenni proponeva una distinzione strategica tra politica socialista all'interno dell'Italia (che continuava la collaborazione con il Pci) e azione politica all'esterno autonoma, secondo la quale anziché subire, respingeva la logica dei blocchi, identificandosi con una politica di neutralità. Il leader socialista sapeva infatti perfettamente - e lo dimostra l'attenzione con cui coltivava i rapporti con i laburisti inglesi - che, nella divisione dell'Europa prodotta dalla guerra, l'Italia era caduta nella zona di influenza occidentale, e che quindi, almeno nel futuro immediato (prima di un'ipotetica seconda ondata offensiva sovietica) i comunisti, in prima persona, non avevano alcuna possibilità di arrivare al potere. Il patto di unità d'azione poteva quindi rivelarsi per il Psiup un affare migliore che per lo stesso Pci. In un quadro elettorale caratterizzato da una forte affermazione delle sinistre ma pur sempre dal permanere di un implicito veto anglo-americano a una presidenza comunista, sarebbero stati infatti i socialisti a diventare, automaticamente, l'elemento chiave di ogni combinazione governativa. Il Psiup avrebbe in tal modo realizzato il progetto di una conquista della posizione di " centro " della scena politica italiana, come arbitro e mediatore tra Dc e Pci. Purtroppo una volta battuto il disegno della "centralità " socialista - alleanza politica della sinistra estesa alla Dc, basata su un'impostazione tecnocratica e riformatrice, su cui il Psiup, e Nenni in prima persona legato a Morandi, si attestava alla vigilia della costituzione del primo governo repubblicano - Nenni, preso atto del fallimento del tripartito, si avvicinò alle posizioni di Basso, per motivazioni ideologiche, ma soprattutto inerenti all'organizzazione interna al movimento, ancorando il Psiup a sinistra e contemporaneamente contenendo l'egemonia del Pci, sullo schieramento progressista. Tutto ciò inasprì il dibattito interno al Partito, esasperando, soprattutto dopo i risultati delle amministrative del novembre 1946, le correnti di " Iniziativa Socialista " e " Critica Sociale ", il cui esponente più emblematico era il futuro leader socialdemocratico Giuseppe Saragat.

Si può allora concludere sostenendo che, con l'assunzione dell'incarico ministeriale, Nenni auspicava che il Partito acquistasse e consolidasse una propria compattezza interna su di una comune posizione neutralista in politica estera, come ultima occasione per evitare la scissione del Psiup. Purtroppo l'estremo desiderio di Nenni nasceva già con contraddizioni intrinseche. Infatti, la diversa interpretazione della situazione internazionale, per Nenni, che respingeva la necessaria scelta tra i due blocchi, e per Saragat, che invece implicava quella condizione necessitante che Nenni aveva respinto, dimostrava anche una differente opinione del concetto di neutralismo all'interno del socialismo italiano: mentre per quest'ultimo si poneva come possibile terza via, quello del leader romagnolo era un filosovietismo di maniera sotto argomentazioni neutraliste.

Sennonché la mattina dell'11 gennaio 1947 la scissione si consumò, e con essa anche l'ultima speranza per l'Italia di rimanere un Paese neutrale, fuori dalla logica dei blocchi.

Questo evento non soltanto segnò la sconfitta del disegno perseguito da Pietro Nenni, ma risultò il momento iniziale del declino del Partito socialista come forza trainante della sinistra nel futuro sviluppo della politica, interna ed estera, dell'Italia.







E. Di Nolfo, Le paure e le speranze degli italiani (1943-1953), Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1986, p. 170.

G. Romita, Origini, crisi e sviluppo del socialismo italiano, Roma, 1951, p. 28 e sgg.

Z. Ciuffoletti-M. Degl'Innocenti-G. Sabbatucci, Storia del Psi dal dopoguerra a oggi,Vol. 3, Ed. Laterza, Bari 1993, pp. 3-4. Sulla ricostruzione del Psiup: S. Neri Serneri, Socialisti, guerra e resistenza. Dalla caduta del fascismo alla " svolta di Salerno ", Emmeci, Siena 1990; E. Di Nolfo- G. Muzzi, La ricostituzione del Psi. Resistenza, Repubblica e Costituente, 1943-48, in Storia del socialismo italiano, diretta da G. Sabbatucci,Vol. V, Il Poligono, Roma 1981; F. Taddei, Il socialismo italiano del dopoguerra: correnti ideologiche e scelte politiche, 1943-1947, Angeli, Milano 1984.

Sulla piattaforma programmatica: S. Neri Serneri, Il parito socialista nella Resistenza. I documenti e la stampa clandestina, 1943-45, Nistri Lischi, Pisa 1988, pp. 53-58.

C. Vallauri, La ricostituzione dei partiti democratici (1943-1948), Bulzoni Ed., Roma, 1978, Vol. III, p. 1222.

G. Mammarella, L' Italia contemporanea 1943-1989, il Mulino, Bologna, 1990, p. 16.

D. W. Ellwood, L' alleato nemico. La politica dell' occupazione anglo-americana in Italia 1943-1946, Feltrinelli, Milano, 1977, p. 275.

Per una più attenta analisi del riconoscimento italiano da parte del governo sovietico: A. Gambino, Storia del dopoguerra. Dalla liberazione al potere Dc, Ed. Laterza, Bari 1978, Vol. I, pp. 42-46.

Z. Ciuffoletti-M. Degl'Innocenti-G. Sabbatucci, Storia del Psi dal dopoguerra a oggi, Vol. 3,Ed. Laterza, Bari 1993, p. 25.

Z. Ciuffoletti-M. Degl'Innocenti-G. Sabbatucci, Ibidem, p. 27. Sulla questione dell' epurazione e i riflessi sulla situazione politica: A. Gambino, Storia del dopoguerra. Dalla liberazione al potere Dc, Ed. Laterza, Bari 1978, Vol. I, pp. 88-92.

G. Mammarella, L' Italia contemporanea 1943-1989, Il Mulino, Bologna, 1990, pp. 36-43. Inoltre: R. Battaglia, Storia della Resistenza italiana, Einaudi, Torino, 1953.

C. Vallauri, La ricostituzione dei partiti democratici (1943-1948), Vol. III, p. 1223.

C. Vallauri, La ricostituzione dei partiti democratici (1943-1948), Vol. III, pp. 1226-1228.

E. Di Nolfo, Le paure e le speranze degli italiani (1943-1953), cit., p. 174.

E. Di Nolfo, Ibidem, cit., p. 175.

Sui contrasti politici all' interno del Psiup dalla sua costituzione fino alla scissione: S. Lanaro, Storia dell' Italia repubblicana. Dalla fine della guerra agli anni novanta, Marsilio, Venezia, 1992; M. Punzo, Dalla liberazione a Palazzo Barberini. Storia del P.S.I. dalla ricostruzione alla scissione del 1947, Milano, CeluC, 1973; F. Taddei, Il socialismo italiano del dopoguerra: correnti ideologiche e scelte politiche (1943-1947), Angeli, Milano, 1984; A. Benzoni, Il partito socialista dalla resistenza a oggi, Marsilio, Venezia 1980,pp. 19-22.

Sulla situazione economica dell' Italia nel dopoguerra: M. Salvati, Economia e politica in Italia dal dopoguerra a oggi, Garzanti, Milano 1984, pp. 41-46; P. Saraceno, Intervista sulla Ricostruzione 1943-53, a cura di Lucio Villari, Ed. Laterza, Bari 1977; M. De Cecco, La stabilizzazione del 1947, in Saggi di politica monetaria, Giuffrè, Milano 1967; A. Graziani, L' economia italiana dal 1945 a oggi, Il Mulino, Bologna 1979, pp. 27-41.

G. Mammarella, L' Italia contemporanea 1943-1989, cit., p. 59.

G. Tamburrano, Pietro Nenni, Ed. Laterza, Bari, 1986, p. 199.

D. W. Ellwood, L' alleato nemico. La politica dell' occupazione anglo-americana in Italia, 1943-1946, Feltrinelli, Milano, 1977, p. 190.

G. Tamburrano, Pietro Nenni, cit., p. 194.

F. Taddei, Il socialismo italiano del dopoguerra, p. 280.

P. Nenni, Quasi un miracolo, su Avanti!, n. 130, 5 giugno 1946: "...Un secolo di cospirazioni, di sommosse, di rivolte si è sciolto in un giorno tranquillo di libere elezioni. Il dramma di un paese si è concluso nel voto tranquillo di un popolo. Quasi un miracolo. E si apre un nuovo capitolo nella nostra storia ".

Il testo del programma in: " Gli obbiettivi immediati dell' azione socialista ",su Avanti!, n. 152, 30 giugno 1946.

F. Taddei, Il socialismo italiano nel dopoguerra, cit., p. 304.

F. Taddei, Ibidem,p. 312.

I dicasteri affidati ai socialisti sono: vicepresidenza del Consiglio senza portafoglio e - dopo la firma del trattato di pace - ministero degli Esteri (Pietro Nenni); ministero dei Lavori Pubblici (Giuseppe Romita); ministero Industria e Commercio (Rodolfo Morandi); ministero del Lavoro (Ludovico D' Aragona).

I. Poggiolini, Diplomazia della transizione. Gli alleati e il problema del trattato di pace italiano (1945-1947), Firenze, Il Ponte alle Grazie, 1990,pp. 99-116. Inoltre: P. Cacace, Vent'anni di politica estera italiana (1943-1963), Roma, Bonacci, 1986, pp. 200-251; G. Vedovato, Il trattato di pace con l' Italia, Leonardo, Firenze, 1947; A. Varsori, La politica estera italiana nel secondo dopoguerra (1953-1957), LED, Milano 1993, pp. 125-167.

P. Cacace,Vent' anni di politica estera italiana (1943-1963), cit., p. 209. Sul problema dell' Alto Adige: M. Toscano, Storia diplomatica della questione dell' Alto Adige, Ed. Laterza, Bari 1968.

Sul problema del cambio della moneta si veda: A. Graziani, L' economia italiana dal 1945 a oggi, Il Mulino, Bologna 1979, pp. 30-32; E. Piscitelli, Del cambio o meglio del mancato cambio della moneta nel secondo dopoguerra, " Quaderni dell' Istituto romano per la storia d' Italia dal fascismo alla resistenza ", 1969, n. 1;

M. De Cecco, La stabilizzazione del 1947, in Saggi di politica monetaria, Giuffrè, Milano 1967, pp. 116-117.

F. Taddei, Il socialismo italiano del dopoguerra: correnti ideologiche e scelte politiche (1943-1947), Angeli, Milano, 1984, p. 327.

La " Concentrazione Socialista ", nata nel convegno degli " Amici di Critica Sociale " il 23 e 24 settembre, embrione della vera e propria corrente saragatiana, era ancora, poco più che un appello puramente verbale.

F. Taddei, Il socialismo italiano del dopoguerra, pp. 330-331.

Questa preoccupazione era forte soprattutto in quei leader della corrente di " Iniziativa " - come ad esempio Zagari - che avvertivano come l' intransigentismo rivoluzionario di gran parte della base della corrente subiva facilmente il fascino della posizione ideologica di Basso soprattutto riguardo al discorso - che il direttore di " Quarto Stato ", Basso, faceva sin dai tempi del Mup - della necessità di una rifondazione del partito capace di superare sia la tradizione massimalista che quella riformista. Cit.: nota in F. Taddei, Il socialismo del dopoguerra, p. 331.

Sulla struttura organizzativa del Psli: C. Vallauri, La ricostituzione dei partiti democratici (1943-1948),Vol. III, pp. 1647-1648.

P. Nenni, Tempo di guerra fredda. Diari 1943-1956, a cura di G. Nenni e D. Zucaro, SugarCo, Milano 1981. (11 gennaio 1947).

S. Lanaro, Storia dell' Italia repubblicana. Dalla fine della guerra agli anni novanta, Marsilio, Venezia 1992, p. 205.

D. Ardia, Il Partito Socialista e il Patto Atlantico, Franco Angeli Ed., Milano 1976.

E. Di Nolfo, Il socialismo italiano tra i due blocchi, in Atti del Convegno Di Parma, gennaio 1977, a cura dell' Istituto Socialista di Studi Storici, Roma, " Mondo Operaio ", Ed. Avanti!.

A. Benzoni, I socialisti e la politica estera, nell' opera: La politica estera della repubblica italiana - Vol. 3 -, Istituto Affari Internazionali, Milano 1967.

E. Di Nolfo, I problemi dell' internazionalismo socialista durante la guerra fredda, in Storia del Partito Socialista dalla guerra fredda all' alternativa, a cura della Fondazione Brodolini, Marsilio Ed., Venezia 1980.

D. Ardia, Il Partito socialista italiano e gli Stati Uniti, nel vol.: Italia e Stati Uniti durante l' amministrazione Truman, Franco Angeli Ed., Milano 1976, p. 277.

E. Di Nolfo, Il socialismo italiano tra i due blocchi, in Atti del Convegno di Parma, gennaio 1977, a cura dell' Istituto Socialista di Studi Storici, Roma, Mondo Operaio, Ed. Avanti!.

Intervento di P. Nenni all' Assemblea Costituente, in: Atti dell' A. C. - Discussioni, vol. VII, pp.559-560.

A. Benzoni, I socialisti e la politica estera, nell' opera: La politica estera della repubblica italiana - Vol. 3 -, Istituto Affari Internazionali, Milano 1967, p. 938.

G. Saragat, Quarant' anni di lotta per la democrazia, Milano 1966, p.352.

D. Ardia, Il Partito socialista e il patto atlantico, Franco Angeli Ed., Milano 1976, p. 72.

Discorso di Nenni al Congresso di Firenze (aprile 1946), cit. in Benzoni, p. 935.

Discorso di Nenni al Congresso di Roma (gennaio 1947), cit. in Benzoni, p. 935.

A. Benzoni, I socialisti e la politica estera, nell' opera: La politica estera della Repubblica italiana - Vol. 3 -, Istituto Affari Internazionali, Milano 1967.

P. Nenni (30 luglio 1947): dai Discorsi parlamentari (1946-1979), Camera dei Deputati, Roma 1983.

D. Ardia, Il Partito Socialista e il Patto Atlantico, Franco Angeli Ed., Milano 1976, p. 75.

A. Benzoni, I socialisti e la politica estera, nell' opera: La politica estera della Repubblica italiana - Vol.3 -, Istituto Affari Internazionali, Milano 1967, p. 931.

Dall' intervento di Nenni al Congresso di Stoccolma dell' Internazionale Socialista, 6 maggio 1966.

P. Nenni, (6 agosto 1951 e 6 ottobre 1952): dai Discorsi parlamentari (1946-1979), Camera dei Deputati, Roma 1983.

E. Di Nolfo, Il socialismo italiano tra i due blocchi, in Atti del Convegno di Parma, gennaio 1977, a cura dell' Istituto Socialista di Studi Storici, Roma, Mondo Operaio, Ed. Avanti!, p.60.

D. Ardia, Il Partito Socialista e il Patto Atlantico, Franco Angeli Ed., Milano 1976, p. 12.

D. Ardia, Il Partito Socialista e il Patto Atlantico, Franco Angeli Ed., Milano 1976.

A. Benzoni, I socialisti e la politica estera, nell' opera: La politica estera della repubblica italiana - Vol. 3 -, Istituto Affari Internazionali, Milano 1967, p. 937. Sull' argomento: A. Benzoni - V. Tedesco, Il movimento socialista nel dopoguerra, Padova 1968, p. 937.

E. Di Nolfo, Il socialismo italiano tra i due blocchi, in Atti del Convegno di Parma, gennaio 1977, a cura dell' Istituto Socialista di Studi Storici, Roma, Mondo Operaio, Ed. Avanti!, p.63.

E. Collotti, Collocazione internazionale dell' Italia dall' armistizio alle premesse dell' alleanza atlantica (1943-1947) in L' Italia dalla liberazione alla repubblica, Feltrinelli, Milano 1977, p. 59.

E. Santarelli, Pietro Nenni. Profilo e problemi, in " Italia Contemporanea ", 1980, n. 140, p. 6.

P. Nenni, Intervista sul socialismo italiano, a cura di G. Tamburrano, Laterza, Bari 1977, p. 142.

G. Tamburrano, Pietro Nenni, Laterza, Bari 1986, p. 22.

Titolo di un articolo di Mussolini, che convinse buona parte della sinistra.

G. Tamburrano, Pietro Nenni, Laterza, Bari 1986, p. 59. Inoltre: E. Santarelli, Nenni, Utet, Torino, 1988.

" Avanti! ",17 settembre 1932.

G. Manacorda, Il socialismo nella storia d' Italia, Laterza, Bari 1966, pp.754 sgg.

" Avanti! ", 16 giugno 1944. Tratto da P. Nenni, Il Vento del Nord, a cura di D. Zucaro, Einaudi 1978.

P. Nenni, su " Avanti! ", 14 febbraio 1945.

P. Nenni, Intervista sul socialismo italiano, a cura di G. Tamburrano, Laterza, Bari 1977, p. 75.

M. Punzo, Dalla liberazione a Palazzo Barberini. Storia del P.S.I. dalla ricostruzione alla scissione del 1947, Milano,CeluC, 1973, p. 261.

F. Taddei, Il socialismo italiano del dopoguerra: correnti ideologiche e scelte politiche (1943-1947), Angeli, Milano, 1984, p. 259.

G. Tamburrano, Pietro Nenni, Laterza, Bari 1986, p.208.

(18 giugno 1946). P. Nenni, Tempo di guerra fredda. Diari 1943-1956, a cura di G. Nenni, SugarCo, Milano 1981.

(21 giugno 1946). Ivi.

P. Nenni, L' Italia, o, se vi piace di più, la patria, in: Avanti!, 11 giugno 1922.

P. Nenni, Tempo di guerra fredda. Diari 1943 - 1956, a cura di G. Nenni e D. Zucaro, SugarCo, Milano 1981, p. 233 (22 giugno 1946).

Ibidem, p. 235 (26 giugno 1946).

P. Nenni, Intervista sul socialismo, a cura di G. Tamburrano, Bari, Laterza, 1977, p. 138.

P. Nenni, Perché ?, in Mondo Operaio, n. 1, 4 dicembre 1948.

P. Nenni, Tempo di guerra fredda. Diari 1943 - 1956, p. 242 (12 luglio 1946).

Consensi e riserve, in Avanti!, 13 luglio 1946.

P. Nenni, Tempo di guerra fredda. Diari 1943 - 1956, p. 260 (6 agosto 1946).

F. Taddei, Il socialismo italiano del dopoguerra: correnti ideologiche e scelte politiche (1943 - 1947), Angeli, Milano, 1984, p. 303.

P. Cacace, Vent' anni di politica estera italiana (1943 - 1963), Roma, Bonacci, 1986, p.191. Sulle utilità di un socialista agli Esteri si veda: G. Andreotti, Intervista su De Gasperi (a cura di A. Gambino), Saggi Tascabili Laterza, Bari, 1977; G. Andreotti, De Gasperi visto da vicino, Rizzoli, Milano, 1987.

P. Nenni, Tempo di guerra fredda. Diari 1943 - 1956, a cura di G. Nenni e D. Zucaro, SugarCo, Milano, 1981, p. 247 (12.7.46).

P. Nenni, ibidem, pp. 282 - 283 (7.10.46).

P. Nenni, I nodi della politica estera, a cura di D. Zucaro, Milano, SugarCo, 1974, p. 41.

ASDMAE, AP, Italia, 1947, b. 60. In Vol. 4 - Serie X - Documenti Diplomatici Italiani (1943 - 1948).

A. Tarchiani, Dieci anni tra Roma e Washington, Verona, Mondadori, 1955, pp. 125 - 126.

E. Santarelli, Nenni, Utet, Torino, 1988,p. 286.

A. Tarchiani, ibidem, pp. 114 - 116.

P. Nenni, L' Europa che rinasce che cosa sarà?, in " Avanti! ", 15 settembre 1944. In P. Nenni, Vento del Nord. Giugno 1944 - giugno 1945, a cura di D. Zucaro, Einaudi, Torino 1978,cit., p. 148.

P. Nenni, Il Labour Party e la pace, in " Avanti! ", 13 ottobre 1944. In P. Nenni, Vento del Nord, cit., p. 173.

P. Nenni, Gli agitati, in " Avanti! ", 13 maggio 1945. In P. Nenni, Vento del Nord, cit., p. 368.

P. Nenni, Il Labour Party e la pace, in " Avanti! ", 13 ottobre 1944. In P. Nenni, Vento del Nord, cit., p. 172.

P. Nenni, Come ci vedono da Londra, in " Avanti! ", 21 dicembre 1944. In P. Nenni, Vento del Nord, cit., p. 243.

P. Nenni, Tempo di guerra fredda. Diari 1943-1956, a cura di G. Nenni e D. Zucaro, SugarCo, Milano 1981, p. 151 (16 ottobre 1945).

P. Nenni, Tempo di guerra fredda. Diari 1943-1956, cit., p. 151 (16 ottobre 1945).

P. Nenni, I nodi della politica estera italiana, a cura di D. Zucàro, Milano, SugarCo, 1974, p. 47.

P. Nenni, ibidem, pp. 27-31.

P. Nenni, Tempo di guerra fredda. Diari 1943-1956, a cura di G. Nenni e D. Zucàro, Milano, SugarCo, 1981, pp. 82,

115, 150-151, 172-177.

16.1.1946. Telegramma del rappresentante a Londra, Carandini, al presidente del Consiglio, De Gasperi. In Documenti Diplomatici Italiani (1943-1948) - Serie X - Vol 3, pp. 131 - 132.

P. Nenni, Tempo di guerra fredda. Diari 1943-1956, a cura di G. Nenni e D. Zucàro, Milano, SugarCo, 1981, p. 240.

P. Nenni, ibidem, pp. 255-256.

Cfr.: A. Varsori, Bevin e Nenni, in " Il Politico",1984, anno XLIX, n. 2, p. 246.

19.10.1946. Telegramma del ministro degli Esteri, Nenni, al ministro degli Esteri inglese, Bevin. In Documenti Diplomatici Italiani (1943-1948) - Serie X - Vol. 4, p. 541.

A. Varsori, Bevin e Nenni, in " Il Politico ", 1984, anno XLIX, n.. 2, p. 248.

Ibidem, p. 251.

22.11.1946. Telegramma dell' ambasciatore Carandini al ministro degli Esteri, Nenni. In Documenti Diplomatici Italiani (1943-1948) - Serie X - Vol. 4, p. 631.

A. Varsori, Bevin e Nenni, in " Il Politico ", 1984, anno XLIX, n. 2, p. 256.

Sulle vicende interne al Psiup: F. Taddei, Il socialismo italiano del dopoguerra: correnti ideologiche e scelte politiche (1943-1947), Angeli, Milano,1984. M. Punzo, Dalla liberazione a Palazzo Barberini. Storia del P.S.I. dalla ricostruzione alla scissione del 1947, Milano, CeluC, 1973. A. Benzoni - V. Tedesco, Il movimento socialista nel dopoguerra, Padova, 1968. P. Caridi, La scissione di Palazzo Barberini, ed. Scientifiche, Napoli, 1990; Z. Ciuffoletti - M. Degl'Innocenti - G. Sabbatucci, Storia del Psi. Dal dopoguerra a oggi, Vol. 3, Ed. Laterza, Bari, 1978.

A. Varsori, Bevin e Nenni, in " Il Politico ", 1984, anno XLIX, n. 2, p. 264 - 265.

A. Varsori, Bevin e Nenni, in " Il Politico ", 1984, anno XLIX, n. 2, p. 268.

Intervista al sen. G. Andreotti, sul settimanale " Panorama ",n. 4, 30 gennaio 1997, p. 99. Sulla versione di G. Andreotti si veda anche: G. Andreotti, Intervista su De Gasperi (a cura di A. Gambino), Saggi Tascabili Laterza, Bari, 1977,pp. 75-77; G. Andreotti, De Gasperi visto da vicino, Rizzoli, Milano, 1987, pp. 120-121; G. Andreotti, La Democrazia Cristiana, 1943-1948, Cinque Lune, Roma, 1975, pp. 47-48.

A. Varsori, Bevin e Nenni, in " Il Politico ", 1984, anno XLIX, n. 2, p.270.

P. Nenni, Tempo di guerra fredda. Diari 1943 - 1956, a cura di G. Nenni e D. Zucaro, SugarCo, Milano 1981, p. 328.

P. Nenni, Tempo di guerra fredda. Diari 1943-1956, a cura di G. Nenni e D. ZUcaro, SugarCo, Milano 1981, p. 133 (27 luglio 1945).

P. Nenni, Ibidem, p. 141 (28 agosto 1945).

P. Nenni, La fine della guerra e i nuovi problemi, in " Socialismo ", maggio 1945, n. 3.

P. Nenni, Tempo di guerra fredda. Diari 1943-1956, a cura di G. Nenni e D. Zucaro, SugarCo, Milano 1981, p. 245 (18 luglio 1946).

P. Nenni, Ibidem, p. 247 (23 luglio 1946).

24.7.1946. Telegramma di Nenni, trasmesso dal ministro ad Oslo, Rulli, a De Gasperi. In Documenti Diplomatici Italiani (1943-1948) - Serie X - Vol. 4, p. 61.

26.7.1946. Telegramma di Nenni, trasmesso dal ministro a l' Aja, Bombieri, a De Gasperi. Ibidem, p. 74.

27.7.1946. Telegramma di Nenni, trasmesso dall' ambasciatore a Bruxelles, Fransoni, a De Gasperi. Ibidem, p. 80.

P. Nenni, Tempo di guerra fredda. Diari 1943-1956, a cura di G. Nenni e D. Zucaro, SugarCo, Milano 1981, p. 251 (30 luglio 1946).

31.7.1946. Telegramma di Nenni, trasmesso dall' incaricato d' affari a Parigi, Benzoni, a De Gasperi. In Documenti Diplomatici Italiani - Serie X - Vol. 4, p. 87.

2.8.1946. Ibidem, p. 102.

2.8.1946. Ibidem, p. 103.

P. Cacace, Vent' anni di politica estera italiana (1943-1963), Roma, Bonacci, 1986. Per la descrizione della Conferenza di Pace e del discorso di De Gasperi, cap. XXI, pp. 200-207. Si veda anche: I. Poggiolini, Diplomazia della transizione. Gli alleati e il problema del trattato di pace italiano (1945-1947), Firenze, Il Ponte alle Grazie, 1990; B. Cialdea - M. Vismara (a cura di), Documenti della pace italiana, Roma, 1947; G. Vedovato, Il trattato di pace con l' Italia, Firenze, Leonardo, 1947; D. De Castro, La questione di Trieste. L' azione politica e diplomatica italiana dal 1943 al 1954, Trieste, LINT, 1981.

P. Nenni, Niente nemici a sinistra, in " Avanti! ", a. 50, n. 187, 11 agosto 1946.

P. Nenni, Niente nemici a sinistra, in " Avanti! ", a. 50, n. 187, 11 agosto 1946.

F. Taddei, Il socialismo italiano del dopoguerra: correnti ideologiche e scelte politiche (1943-1947), Angeli, Milano 1984, p. 310.

Nella sostanza la dichiarazione di Togliatti avallava la richiesta di Tito di avere Gorizia (già assegnata all' Italia) in cambio della rinuncia jugoslava su Trieste. Cfr., su questo tema, soprattutto due articoli di Togliatti su " l' Unità " che danno la misura dell' orientamento filosovietico del Pci in campo internazionale e della conseguente dura polemica interna dei comunisti contro la Dc: P. Togliatti, La politica dei calci nel sedere e Per l' Italia e per la pace, l' Unità, a. XXIII, rispettivamente n. 267, 10 novembre 1946 e n. 273, 17 novembre 1946.

Sull' argomento: P. Nenni, La strada maestra, in " Avanti! ", a. 50, n. 194, 21 agosto 1946; P. Nenni, Nessuna complicazione nella politica interna, in " Avanti! ", a. 50, n. 193, 20 agosto 1946.

De Gasperi a Parigi, su questo punto specifico, si schierò a fianco dell' Inghilterra e, soprattutto degli Usa, che in questo momento specifico chiedevano rettifiche favorevoli all' Italia assegnando ad essa " l' intera penisola istriana e lasciando al di là della frontiera una minoranza di lingua italiana di circa 180.000 persone ". Cfr. P. Nenni, Vi chiedo di dare respiro a un popolo lavoratore, in " Avanti! ", a. 50, n. 187, 11 agosto 1946.

L' opera di mediazione di Nenni si svolse soprattutto all' interno del Consiglio dei ministri. Nenni aveva molti dubbi sulla reale portata della proposta di Tito e di Togliatti. Emerge in: P. Nenni, Tempo di guerra fredda. Diari 1943 - 1956, pp. 295-296 (7 novembre 1946).

P. Nenni, Non ci sarà crisi sulla politica estera, in " Avanti! ", a. 50, n. 196, 21 agosto 1946.

" La verità nuda e cruda ", scrive Nenni nei diari, " è che Tito ha alle spalle Stalin che non vuole gli anglo-americani nell' Adriatico... La Locarno dell' Est presuppone l' accordo di Stalin con Bevin e Byrnes. É possibile? ". In P. Nenni, Tempo di guerra fredda. Diari 1943 - 1956, p. 294 (8 novembre 1946).

P. Nenni, Il socialismo per la pace, in " Socialismo ", sett.-ott. 1946, n. 9-10, p. 228. Si tratta del discorso tenuto a Canzo il 13 ottobre 1946.

P. Nenni, Ibid., p. 227.

P. Nenni, Ibid., p. 228.

P. Nenni, Ibid., p. 228.

P. Nenni, Ibid., p. 228.

P. Nenni, Ibid., p. 228.

P. Nenni, Tempo di guerra fredda. Diari 1943-1956, cit., p. 310 (10 dicembre 1946).

Cfr. Atti Parlamentari. Assemblea Costituente, tornata del 30 luglio 1947, pp. 6482-6490.

" Una Locarno dell' Est - dichiara Nenni al Consiglio dei Ministri, il 7 novembre 1946 - è fra gli obbiettivi della politica estera che il Governo si propone di svolgere, ed essa sarebbe non solo per l' Italia e per la Jugoslavia, ma per l' Europa e per il mondo, una solida garanzia di pace ".

19.10.1946. Telegramma del ministro degli Esteri, Nenni, al ministro degli Esteri della Jugoslavia Simic. In Documenti Diplomatici Italiani (1943-1948) - Serie X - Vol. 4, p. 542.

4.11.1946. Telegramma del vice ministro Velebit a Nenni. Ibid., p.542.

P. Nenni, I nodi della politica estera italiana, a cura di D. Zucaro, Milano, SugarCo, 1974, p. 47.

Conferenza della pace, telegramma dell' ambasciata di Mosca in data 17 ottobre, Roma 28 ottobre 1946, in:

I. Poggiolini, Diplomazia della transizione. Gli alleati e il problema del trattato di pace con l' Italia (1945-1947), Il Ponte alle Grazie, Firenze, 1990, p. 101.

Sir Orme Sargent to Prime Minister, 31 ottobre 1946, in: I. Poggiolini, Diplomazia della transizione, p. 101.

Memorandum of Conversation by the office of European Affairs (Matthews), 1 novembre 1946, in: FRUS, vol. IV, 1946, pp. 961-962.

I. Poggiolini, Diplomazia della transizione, cit., p. 102.

P. Cacace, Vent' anni di politica estera (1943-1963), Roma, Bonacci,1986, p. 224. Inoltre sul trattato di pace e la questione di Trieste: I. Poggiolini, Diplomazia della transizione. Gli alleati e il problema del trattato di pace italiano (1945-1947), Firenze, Il Ponte alle Grazie, 1990, in particolare pp. 102-110; G. Vedovato, Il trattato di pace con l' Italia, Firenze, Leonardo, 1947; B. Cialdea - M. Vismara (a cura di), Documenti della pace italiana, Roma, 1947; D. De Castro, La questione di Trieste. L' azione politica e diplomatica italiana dal 1943 al 1954, Trieste, LINT,1981.

3.11.1946. Telegramma del ministro degli Esteri, Nenni, all' ambasciatore Tarchiani, a New York. In Documenti diplomatici Italiani (1943-1948) - Serie X - Vol. 4, pp. 582-584.

7.11.1946. Telegramma del ministro degli Esteri, Nenni, alla delegazione a New York, che riporta l' intervista. In Documenti Diplomatici Italiani (1943-1948) - Serie X - Vol. 4, p. 592.

P. Nenni, I nodi della politica estera italiana, a cura di D. Zucaro, Milano, SugarCo, 1974, p. 50.

7.11.1946. Telegramma del ministro degli Esteri, Nenni, alla delegazione a New York.In Documenti Diplomatici Italiani (1943-1948) - Serie X - Vol. 4, p. 593.

P. Nenni, Tempo di guerra fredda. Cit., (9 novembre 1946).

14.11.1946. Il ministro degli Esteri di Gran Bretagna, Bevin, al ministro degli Esteri, Nenni. In Documenti Diplomatici Italiani (1943-1948) - Serie X - Vol. 4, pp. 616-617.

12.11.1946. Colloquio del ministro degli Esteri Nenni, con l' incaricato d' affari degli Stati Uniti a Roma McKendree Key. In Documenti Diplomatici Italiani (1943-1948) - Serie X - Vol. 4, pp.608-609. Il testo completo della risposta di Byrnes è in: Foreign Relations of the United States, Vol. II, 1946, pp. 1110-1111.

P. Nenni, Ibidem, cit., (15 novembre 1946).

P. Nenni, Ibidem, cit., (22 novembre 1946).

P. Nenni, Ibidem, cit., (29 novembre 1946).

P. Nenni, Ibidem, cit., (17 gennaio 1947).

P. Nenni, Ibidem, cit., (20 gennaio 1947).

20.1.1947. Telegramma del ministro degli Esteri, Nenni, che trasmette la nota a tutte le rappresentanze diplomatiche. In Documenti Diplomatici Italiani (1943-1948) - Serie X - Vol. 4, p. 780.

P. Nenni, Il problema italiano, in Politica Estera, 1944,n. 7-8, p. 7.

P. Nenni, Ibid., p. 7.

P. Nenni, Ibid., p. 7.

P. Nenni, Il socialismo per la pace, in " Socialismo ", sett.-ott. 1946, n. 9-10, p. 227.

P. Nenni, Il socialismo per la pace, p. 229.

P. Nenni, Ibid., p. 230.

P. Nenni, Tempo di guerra fredda. Diari 1943-1956, a cura di G. Nenni e D. Zucaro, SugarCo, Milano 1981, cit., pp. 255 e 281 (Gran Bretagna), 257 (Cecoslovacchia), 287 (Urss).

Il verbale del colloquio in ASMAE, Ambasciata a Londra, b. 1296, f. 1, Rapporti politici e vari Italia. Su: Canavero, Nenni, i socialisti italiani e la politica estera, in: Di Nolfo - Rainero - Vigezzi (a cura di), L' Italia e la politica di potenza in Europa (1945-1950), Marzorati, Milano 1988, p. 244.

P. Nenni, Tempo di guerra fredda, p. 286 (16 ottobre 1946).

Telegramma del 20 ottobre 1946 in ASMAE, Ambasciata a Londra, b. 1296, f. 1, Rapporti politici e vari Italia, sf. Assunzione on. Nenni. In Documenti Diplomatici Italiani (1943-1948) - Serie X - Vol. 4, p.543.

28.11.1946. Telegramma del ministro a Praga, Tacoli, al ministro degli Esteri, Nenni. In Documenti Diplomatici Italiani (1943-1948) - Serie X - Vol. 4, p. 660.

30.11.1946. Risposta di Nenni al precedente telegramma. In Documenti Diplomatici Italiani (1943-1948) - Serie X - Vol. 4, p. 660.

G. Caporaso, Nostra politica estera, su " Il Socialismo ", nov.-dic. 1946, n. 11-12,p. 276.

G. Caporaso, Nostra politica estera, p. 276.

P. Nenni, Discorsi parlamentari (1946-1979), Camera dei Deputati, Roma 1983, pp. 16-17

(18 febbraio 1947).

P. Nenni, Ibid., p. 53 (19 giugno 1947).

A. Canavero, Nenni, i socialisti italiani e la politica estera in: Di Nolfo-Rainero- Vigezzi (a cura di), L' Italia e la politica di potenza in Europa (1945-1950), Marzorati, Milano 1988, p.246.

G. Caporaso, Nostra politica estera, in " Il Socialismo ", nov.-dic. 1946, p. 275.

P. Nenni, Buon viaggio e buona fortuna a Ivan Matteo Lombardo, in Avanti!, 27 aprile 1947.

P. Nenni, Discorsi parlamentari (1946-1979), p.18 (18 febbraio 1947).

P. Nenni, Ibid., p. 54 (19 giugno 1947).

P. Nenni, Il socialismo avanguardia nella lotta per la democrazia e contro la miseria, in Avanti!, 11 maggio 1947.

P. Nenni, Discorsi parlamentari (1946-1979), p. 16 (18 febbraio 1947).

P. Nenni, Ibid., p. 17 (18 febbraio 1947).

P. Nenni, Perché un ambasciatore nella capitale di Franco ?, in Avanti!, 9 febbraio 1945.

P. Nenni, Tempo di guerra fredda. Diari 1943-1956, pp. 173 (17 gennaio 1946), 176 (21 gennaio 1946), 255-256 (1 e 2 agosto 1946).

Telegramma di Nenni all' ambasciata di Parigi, 24 ottobre 1946, in ASMAE, Ambasciata a Parigi, b. 490, Telegrammi in arrivo. Su: A. Canavero, Nenni, i socialisti italiani e la politica estera, in Di Nolfo - Rainero - Vigezzi (a cura di), L' Italia e la politica di potenza in Europa (1945-1950), Marzorati, Milano 1988, p. 248.

La comunicazione del 29 ottobre è in ASMAE, Affari politici, Italia 1946, b. 1, f. 1, Rapporti politici, parte generale. In Documenti Diplomatici Italiani (1943-1948) - Serie X - Vol. 4, pp. 563-564.

E. Ortona, Anni d' America. La ricostruzione 1944-1951, Il Mulino, Bologna 1984, p. 163.

Gian G. Bassani, I migliori anni di Palazzo Chigi, su " Nuova Antologia ", gen.-apr. 1961, p. 212.




Privacy




Articolo informazione


Hits: 19829
Apprezzato: scheda appunto

Commentare questo articolo:

Non sei registrato
Devi essere registrato per commentare

ISCRIVITI



Copiare il codice

nella pagina web del tuo sito.


Copyright InfTub.com 2024