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LE AMBIVALENZE DEL POSITIVISMO

politica



LE AMBIVALENZE DEL POSITIVISMO


A seguito del clima creatosi con la cultura illuministica, della rinnovata organizzazione degli studi superiori e delle richieste crescenti da parte dell'industria, fin dai primi decenni dell'Ottocento la ricerca scientifica si dimostra particolarmente attiva e registra grossi sviluppi in tante direzioni. Nascono nuove discipline, scienze antiche registrano forti salti qualitativi grazie a nuove scoperte e grazie ad intrecci e confronti con altri settori, le aree di confine sono terreno di studi particolarmente vivaci e fruttuosi. Il culmine di questo grande fervore di ricerca e di produzione scientifica si toccherà tra gli anni cinquanta e gli anni settanta e le conseguenze saranno tangibili in tanti settori specifici, ma anche nell'ambito più immediato della vita quotidiana (pensiamo all'avvento dell'illuminazione pubblica nelle città).

Questa forte crescita del sapere scientifico non manca di avere effetti sia nei confronti della filosofia, sia nei confronti del pensiero politico, sia, più in generale, in riferimento alle varie forme di produzione culturale (in letteratura il naturalismo, per esempio). Il fenomeno, ovviamente, è percepito dagli autori più accorti e tra quelli citati si può ricordare Saint-Simon, che assegna agli scienziati un posto particolare nella gerarchia della società industriale.



Auguste Comte (1798 - 1857), segretario di Saint-Simon per alcuni anni, è l'autore che offre una prima sistemazione ai nuovi rapporti tra filosofia e scienze, interpretando la storia secondo la legge dei tre stadi, fornendo una classificazione delle scienze dagli intenti unificanti e razionalizzatori, estendendo il metodo positivo del sapere moderno ai fatti umani con la sociologia. Secondo Comte solo con l'applicazione di criteri scientifici si potranno affrontare e risolvere su basi stabili i grandi problemi che travagliano la società ottocentesca. E' questa la strada, a suo parere, per costruire una socialità non più sogge 646f51g tta a fratture e a decadenza e la formula che sintetizza la sua visione progettuale è "ordine e progresso".

Se si scende nei dettagli della futura società positiva ci si accorge che Comte raccoglie indicazioni di origine diversa, che rendono difficile una sua collocazione univoca nel dibattito dell'epoca tra conservatori e progressisti democratici o socialisti. L'obiettivo di un'economia rivolta al benessere degli strati popolari e l'enfasi posta sulla presenza proletaria fanno pensare a una partecipazione alle ansie di giustizia espresse dal pensiero socialista negli stessi anni (sono gli anni trenta e quaranta), ma non mancano delle mabiguità, che sono accresciute da certi vagheggiamenti del medioevo, che risentono dello storicismo tradizionalista elaborato dalla cultura romantica contemporanea. L'insistenza sul carattere organico della società positiva, il principio gerarchico per cui la competenza scientifica deve ingabbiare la libertà, la critica dell'astrattezza del principio dell'eguaglianza, evidenziano delle convinzioni, che appartengono alla linea dei controrivoluzionari e contraddicono le istanze democratiche e socialiste.

Il positivismo, che finché Comte è in vita non avrà particolare successo in Francia, si affermerà poi, come è noto, come grande filone di pensiero nella seconda metà del secolo. Saranno fondamentali il passaggio in Inghilterra, il collegamento con le scoperte di Darwin e l'approdo evoluzionistico.





AUGUSTE COMTE (1798-1857): GLI STRUMENTI DELLA SOCIOLOGIA PER LA SOCIETÀ POSITIVA



Dal Corso di filosofia positiva (pubblicato fra il 1830 e il 1842) al Sistema di politica positiva (abbozzato in gioventù, e proposto in edizione definitiva fra il 1851 e il 1854) nel pensiero di Auguste Comte coesistono due motivi ispiratori, fra loro coordinati, che attraversano tutte le opere. Il primo è di ordine scientifico e filosofico ed è all'origine della larga influenza che le idee di Comte, non molto seguite durante la vita del loro autore, avranno invece nella seconda metà dell'Ottocento in quanto iniziatrici del positivismo ( ). Il secondo è di tipo direttamente politico ed è volto a rifondare sulle medesime basi scientifiche la socialità, dopo gli sconvolgimenti provocati dalla rivoluzione francese e dalle guerre napoleoniche.


Il sistema scientifico e la legge dei tre stadi. Seguace per un lungo periodo di Saint-Simon, di cui svolge anche le funzioni di segretario, Comte si propone anzitutto di sviluppare le intuizioni del suo maestro in riferimento alla centralità della scienza nelle società moderne. Lo scopo è di giungere a un sistema scientifico compiuto, che sappia unificare con i suoi procedimenti ogni espressione della natura, da quelle esterne all'uomo a quelle in cui egli è inserito, fino alla sua stessa costituzione fisica, biologica e mentale.

La conoscenza umana, in ciascuna delle scienze speciali nelle quali si esplica (matematica, astronomia, fisica, chimica, biologia, sociologia), attraversa secondo Comte tre stadi: teologico, metafisico, positivo. Lo stadio teologico è caratterizzato dalla tendenza a spiegare i fenomeni, risalendo a cause di origine soprannaturale e aderendo quindi a convincimenti di ordine religioso. Nello stadio metafisico la causa dei fenomeni è ricercata mediante il ricorso a idee astratte, pensate come le essenze delle cose; il suo procedimento caratteristico, di tipo filosofico, impiega la ragione come strumento di critica contro gli atteggiamenti fideistici propri dello stadio teologico. Nel terzo stadio, quello positivo, a dominare è il metodo scientifico, e alla critica negativa della fase metafisica si sostituisce la costruzione positiva di un ordine stabile e definitivo, perché determinato finalmente dalla conoscenza scientifica della realtà.

Importante è a questo proposito stabilire cosa intenda Comte per conoscenza scientifica allo stadio positivo. Questa è segnata anzitutto da una riununcia, in nome dello spirito scientifico che deve animare ogni atteggiamento del sapiente: la rinuncia alla pretesa di fissare dapprima le cause originarie e i fini ultimi dei fenomeni, e solo in conseguenza di ciò determinare le loro leggi quantitative e qualitative. La ragione positiva indaga non sulle cause, ma sulle relazioni invariabili fra i diversi elementi della natura, relazioni che ne costituiscono, in quanto invariabili, le leggi. Lo studio dei fenomeni così inteso si presenta chiaramente di matrice empirica: lo stesso Comte ricorda più volte che il primo passo di una ricerca appropriata consiste nel subordinare l'immaginazione all'osservazione, e si dichiara estimatore di un demolitore delle affermazioni non suscettibili di verifica quale era stato Hume. D'altra parte, bisogna non cadere in quello che Comte definisce "cieco empirismo", vale a dire l'osservazione della realtà senza sapere cosa in essa si deve cercare. La scienza positiva, proponendosi di evidenziare le relazioni fra le diverse componenti della natura, assume come suo punto di vista quasi assiomatico lo spirito d'insieme, la forza che unisce in un unico organismo i suoi singoli elementi. Sul piano conoscitivo, essa parte dal generale per giungere al particolare, per cui lo scienziato positivo deve anzitutto possedere la capacità di ricostruire l'insieme delle relazioni che conferiscono armonia alla realtà naturale e sociale.

L'aspetto più caratteristico del discorso scientifico di Comte è la convinzione che la metodologia usata nelle scienze della natura possa applicarsi anche allo studio della società umana, con una fiducia sulla possibilità di fare scienza intorno all'uomo e alle sue relazioni: questo varrà all'iniziatore del positivismo la considerazione di padre della sociologia moderna. I fenomeni sociali, a suo parere, possono non solo essere studiati con metodo scientifico, ma anche essere oggetto di previsione razionale, perché dipendenti anch'essi dalle leggi naturali di relazione su cui si basa tutto il programma conoscitivo del positivismo.


La sociologia. Il metodo positivo applicato in sociologia è analogo a quanto Comte afferma per le altre scienze, pur con i necessari adattamenti dovuti all'impossibilità di riprodurre in laboratorio i fenomeni da studiare. Una prima fonte di conoscenza è l'osservazione, che per essere bene indirizzata deve essere mossa da spirito d'insieme: per esempio, dall'affermazione della necessaria solidarietà fra i membri di una società, o dalla preventiva fissazione di scale di successione gerarchica tra i fenomeni. La seconda fonte è l'esperimento: in modo analogo ad altre scienze, in cui si risale alle leggi costanti indagando sulle alterazioni momentanee degli stati di quiete (per esempio, è studiando la malattia che si comprendono le regole di funzionamento normale di un organismo), anche in sociologia la fase sperimentale è costituita dall'analisi delle patologie, dei perturbamenti sociali che accompagnano la transizione da una determinata fase storica a un'altra. Un oggetto di sperimentazione offerto dalla storia più recente è per esempio la rivoluzione francese. Ultimo strumento del metodo sociologico è la comparazione: per comprendere le leggi che regolano le relazioni interne alla società degli uomini, può essere utile evidenziarne le diversità rispetto alle società animali più evolute, oppure confrontare diversi gruppi umani posti in posizioni differenti nella scala del progresso storico.

Nella sua analisi sociologica, Comte distingue fra statica sociale e dinamica sociale. La statica delinea i caratteri fondamentali presenti in ogni comunità ordinata indipendentemente dal grado del suo sviluppo storico, perché derivanti dalla natura; la dinamica, che si sovrappone alla prima senza negarla, inserisce nello studio delle società umane la dimensione del progresso.

Punto di partenza della statica sociale di Comte è la considerazione dell'uomo come essere naturalmente sociale, nel quale l'attrazione verso la comunità non dipende da calcoli utilitaristici, ma da un istinto biologico in origine disinteressato. Nella natura umana sull'intelletto prevalgono però le passioni e, nella maggioranza degli uomini, le inclinazioni meno elevate e particolaristiche. Questo comporta che in ogni società è fondamentale l'imporsi della minoranza dei sapienti, i soli in grado di suggerire la necessità del controllo dei comportamenti istintivi meno nobili da parte della ragione scientifica.

La società umana è descritta da Comte come un insieme di famiglie (e non di individui), nelle quali la disciplina domestica della sottomissione filiale in cambio di protezione prefigura un modello di relazione valido anche per la società nel suo complesso. In quanto ad attività intellettuale (e conseguente posizione nella gerarchia sociale), le donne sono inferiori agli uomini; ma possiedono per caratteristica naturale più senso della comunità, il che conferisce loro un ruolo morale di primo piano nella società positiva.

L'organizzazione sociale è per Comte l'arte di coordinare le famiglie e promuovere la loro reciproca collaborazione, attribuendo ad esse compiti diversi per effetto della naturale3. diversità fra gli uomini. Questo coordinamento non può essere affidato alla spontaneità delle relazioni tra le famiglie, le quali, possedendo spirito di dettaglio ma non d'insieme, finirebbero per favorire o accettare le spinte corporative dei più forti. Occorre invece che si formi un governo capace di distribuire in modo equo ed efficiente i compiti sociali, il che può essere fatto soprattutto da chi possiede capacità di generalizzazione in misura superiore alla media. Ciò avviene di regola per gli scienziati sociali e per coloro che dimostrano attitudine naturale al comando, e si elevano perciò al di sopra della massa di coloro cui la natura ha conferito invece attitudine all'obbedienza.

Con la dinamica sociale Comte affronta il tema del progresso, inteso come miglioramento nel tempo delle condizioni materiali e come parallelo sviluppo delle funzioni intellettuali. Anche per la storia complessiva dell'umanità, come per quella delle sue conoscenze specifiche, vale la legge dei tre stadi: alle fasi teologica, metafisica e positiva corrispondono rispettivamente l'antichità e il medioevo, l'età moderna, l'età contemporanea.

Trasportato sul terreno storico generale, il discorso di Comte diventa però più complesso e intricato di quanto l'enunciata applicazione lineare della legge farebbe pensare. Intanto lo stadio teologico subisce un'ulteriore tripartizione, che ha come prima componente il feticismo. Con questo termine Comte intende la divinizzazione immediata e spontanea dei corpi o dei fenomeni che suscitano l'attenzione fiduciosa o impaurita degli uomini, operazione che ha contrassegnato le forme religiose delle tribù primitive, in genere nomadi. Con il passaggio a economia stanziali e al conseguente controllo stabile sulla terra, il feticismo cede il passo al politeismo, vale a dire alla credenza in più divinità antropomorfe, che si sviluppa in parallelo con il rafforzarsi delle caste sacerdotali. Proprio delle prime grandi civiltà imperiali come delle antiche città-stato, il politeismo si dimostra funzionale alle guerre di conquista, con i capi militari che acquisiscono autorità presentandosi insieme come pontefici e guerrieri. Il terzo periodo dello stadio teologico è quello monoteista, caratterizzato nella storia dell'Occidente dal trionfo del cristianesimo. Mentre il passaggio dal feticismo al politeismo si era risolto in una crescita di aggressività nelle relazioni fra gli uomini, l'avvento del cristianesimo segna invece un progresso deciso nella storia in altre direzioni. Intanto la riduzione delle divinità a una sola ha il merito di uniformare le credenze, e quindi di offrire compattezza ai popoli cristianizzati; poi il cristianesimo ha evidenziato un suo "genio" particolare, che è quello di voler moralizzare i rapporti politici e di diffondere gli insegnamenti morali per mezzo di un vasto progetto educativo, rivolto almeno nelle intenzioni a tutti (

Significativo delle intenzioni di Comte è il giudizio sul medioevo. Anche se la legge del progresso dovrebbe condurre e ritenere le epoche tanto più arretrate quanto più sono antiche, Comte dimostra per il medioevo una simpatia superiore rispetto ai secoli più vicini. La società feudale ha avuto per il nostro autore meriti storici notevoli: ha trasformato la guerra di offesa in guerra di difesa (fra gli obiettivi politici di Comte ha forte rilievo la pace internazionale); ha riconosciuto autonomia ai poteri locali; ha trasformato la schiavitù antica nella più mite servitù. Soprattutto, il medioevo cristiano ha offerto un modello di collaborazione fra potere temporale e autorità spirituale e morale, conferendo un ruolo sociale determinante al clero. Gli aspetti apprezzabili del medioevo, mancando nell'epoca la consapevolezza sistematica propria della scienza positiva, non potevano tuttavia preservare la fase storica dal suo essere transitoria e alla lunga incapace di favorire il progresso, come hanno dimostrato dapprima la decadenza morale del clero, poi l'ergersi della chiesa cattolica ad avversaria dell'evoluzione scientifica, infine l'esplosione dell'antagonismo fra potere religioso e potere politico. Di fronte alla perdita di autorevolezza del partner spirituale, il potere politico ha dovuto alla fine concentrare in sé ogni comando, facendo però perdere in questo modo alla sovranità molto del suo ascendente morale.

Complesso è anche il giudizio di Comte sullo stadio metafisico, che ha avuto le sue espressioni più significative e dirompenti nella riforma protestante (contestazione della gerarchia ecclesiastica), nel deismo (attacco da parte della filosofia contro i dogmi, non solo contro le forme organizzative del cristianesimo), nella rivoluzione francese (precipitazione della crisi indotta dalla filosofia rivoluzionaria). La funzione critica propria dello stadio metafisico risulta in qualche modo necessaria per accelerare la disgregazione dello stadio teologico, non più in grado di assecondare le spinte verso il progresso. D'altra parte, la filosofia critica ha però commesso l'errore di anteporre ai dogmi altri dogmi, di assolutizzare idee che, se erano utili per combattere il vecchio regime, non potevano essere proposte immutate con fini costruttivi anziché distruttivi.

Comte esemplifica questo concetto parlando dei filosofi che hanno ispirato o partecipato alla rivoluzione francese. I princìpi da loro agitati di libertà e uguaglianza sono serviti per dare uno scossone a un sistema fondato sull'oppressione e sul privilegio, ma la pretesa di farne i fondamenti di una società alternativa ha solo prolungato un interregno anarchico ancora in attesa di soluzione. Comte polemizza infatti contro il principio della libertà individuale elaborato nel Settecento, sia come diritto di natura che come prerogativa dovuta a convinzioni utilitaristiche. Se posta a criterio basilare della convivenza, la libertà individuale non può che condurre al rifiuto arbitrario della verità e alla disgregazione di ogni ordine sociale. La vera libertà, si legge invece nel Corso di filosofia positiva, consiste "in una sottomissione razionale alla sola supremazia, convenientemente constatata, delle leggi fonfamentali della natura, al riparo da ogni arbitrario potere personale".

Un discorso analogo vale per l'uguaglianza, i cui fondamenti sono automaticamente negati dalla constatazione, verificabile con evidenza, della disuguaglianza naturale fra gli uomini. La critica si estende anche alla conseguenza politica più importante del "dogma" dell'uguaglianza, vale a dire alla dottrina della sovranità popolare. Se per governare occorre competenza, e se di questa è per legge di natura sprovvista la maggioranza del popolo, la sovranità non può che essere appannaggio dei pochi che possiedono più spiccate capacità di generalizzazione.

Tuttavia l'età moderna, nella quale si inscrive lo stadio metafisico, non è fatta soltanto di critica distruttrice. Accanto a questa azione "negativa" prendono corpo le evoluzioni essenziali delle società moderne, ancora parziali finché non saranno unificate dalla filosofia positiva, ma già prefiguranti parti dell'ordine futuro. La principale di questa evoluzioni consiste nello sviluppo industriale: come in Saint-Simon, anche in Comte l'industria è il cardine del progresso, per le sue capacità materiali di moltiplicazione della ricchezza e per la sua duttile disponibilità a diventare campo di applicazione delle conoscenze scientifiche e tecnologiche. Un'altra evoluzione significativa riguarda le manifestazioni artistiche, anche come diffusione del gusto fra le classi inferiori: al pari di Saint-Simon, Comte apprezza la funzione dell'arte nell'elevare spiritualmente un mondo altrimenti troppo "economicista" come quello industriale. E ancora vanno ricordati i progressi in ambito scientifico, soprattutto dopo la rivoluzione metodologica seicentesca, e il diffondersi nel pensiero filosofico di posizioni favorevoli al relativismo e all'empirismo, soprattutto con Montesquieu, con Hume, con Condorcet (di cui però Comte non condivide le "fantasticherie" su un progresso futuro spontaneo anziché disciplinato dall'alto).


La società positiva. Il discorso storico di Comte sfocia nella descrizione politico-sociale dello stadio positivo, nella quale prevale la dimensione progettuale di un mondo che, mentre tesaurizza quanto di buono il passato offre, costruisce a sua volta, e finalmente su basi stabili perché scientifiche, gli elementi di una socialità non più soggetta a fratture e decadenze. "Ordine e progresso" è la formula che sintetizza il costruttivismo politico di Comte: progresso, dunque, ma non arbitrario e incerto, bensì ancorato all'ordine che può essere perseguito possedendo adeguate conoscenze di "fisica sociale".

La società positiva si presenta, quale specificazione dei legami che uniscono ogni elemento della natura, come un tutto organico fondato su un principio gerarchico. Al di sopra di ogni altra componente sociale sta la classe speculativa degli scienziati-filosofi, la quale esercita il massimo di influenza morale e gode della maggiore considerazione sociale, ma non governa direttamente. Il resto della popolazione, la stragrande maggioranza, costituisce la massa attiva, che si organizza gerarchicamente secondo la generalità decrescente delle funzioni. La classe superiore all'interno della massa attiva (dove non devono però esistere classi chiuse, essendo auspicata una certa mobilità sociale a favore dei più meritevoli) è quella dei banchieri, il cui compito di finanziatori dei piani produttivi e di intermediari nella circolazione monetaria è il più vicino all'universalità fra quelli concepiti nella società positiva. In successione, seguono per generalità decrescente i commercianti, i manifatturieri (imprenditori e operai), gli agricoltori. Il potere politico, spettante per definizione a chi possiede maggiori capacità di generalizzazione (esclusi gli scienziati-filosofi, proiettati in una sfera conoscitiva superiore alla dimensione amministrativa), va quindi affidato nelle mani dei banchieri.

Se la società positiva ha un soggetto forte nei banchieri, ha un oggetto altrettanto forte nel proletariato. Lo scopo della società è infatti quello di costruire un'economia di cooperazione, nella quale i capitali possono anche concentrarsi in poche mani, ma devono essere impiegati per l'utilità delle classi lavoratrici. Il punto di vista economico prevalente nella società positiva è l'interesse delle classi popolari, che in un mondo industrializzato sono composte per lo più da operai. In quanto principali beneficiarie dell'ordine positivo, le classi popolari sono viste da Comte dapprima come protagoniste della transizione verso di esso (anche per mezzo di una temporanea dittatura operaia), e in condizioni normali come il sostegno quasi automatico del potere spirituale impersonato dai filosofi positivisti. Gli operai infatti praticano già per conto loro, in modo spontaneo, la solidarietà predicata dai filosofi; e nel caso di abusi contro il potere spirituale da parte del potere temporale dei banchieri (dai quali anche i filosofi dipendono per la propria sopravvivenza materiale), gli operai costituiranno la forza sufficiente a ripristinare le condizioni della normale collaborazione fra ogni componente di una società che per loro è la più vantaggiosa.

Tutto il sistema è evidentemente dominato da finalità di ordine morale, tese a dimostrare come la felicità individuale sia la risultante di reciproci atteggiamenti di benevolenza fra gli uomini. Nel progetto educativo del positivismo comtiano la morale si articola in tre momenti: personale, nel quale ciascun individuo è chiamato ad assumersi le responsabilità adeguate alla centralità della posizione dell'uomo nell'universo; domestico, conseguente alla concezione della famiglia come prima scuola di solidarietà; sociale, in cui la benevolenza deriva dalla consapevolezza dei legami organici che unificano gli individui in una sola comunità. Questa consapevolezza è vissuta in termini per così dire biologici dalla donna, perciò ammaestratrice e moralizzatrice del maschio nella famiglia e nella società, e in termini scientifici dal filosofo positivo.

In Comte coesistono in definitiva suggestioni di origine diversa se non antitetica, che rendono difficile una sua collocazione univoca nel dibattito fra conservatori e progressisti, fra destra e sinistra, esploso con la Rivoluzione Francese. Se l'obiettivo di un'economia rivolta al benessere delle classi popolari e l'enfasi posta sulla presenza operaia, per altro vista in termini quanto mai ambigui, risultano confrontabili con le ansie di giustizia espresse nello stesso periodo dal pensiero socialista, certi vagheggiamenti del medioevo risentono dello storicismo tradizionalista elaborato dalla contemporanea cultura romantica. Da un altro lato ancora, l'insistenza sul carattere organico della società positiva, il principio gerarchico secondo cui la competenza scientifica deve ingabbiare la libertà, la critica all'astrattezza del principio dell'uguaglianza perpetuano in Comte atteggiamenti che erano già stati dei controrivoluzionari.



IL POSITIVISMO GIURIDICO


La debolezza teorica del giusnaturalismo e dell'idea di una società universale degli stati aveva cominciato a farsi strada nel XVIII secolo. Se dal punto di vista filosofico le critiche più distruttive all'idea di una legge di natura sono quelle di Hume, in quello stesso periodo nel campo dei rapporti internazionali emerge la tendenza ad insistere più sull'indipendenza di ogni singolo stato sovrano che non sulla interdipendenza e sui legami etico-giuridici che possono vincolare gli stati. Uno dei rappresentanti più autorevoli di questa linea (che nel secolo precedente trovava delle premesse nel pensiero di Hobbes) è Emmerich de Vattel (1714-1767), autore di un famoso Trattato del diritto delle genti, che enfatizzando la sovranità statuale pone in secondo piano l'idea di una "famiglia delle nazioni".

La concezione giusnaturalistica, affermando la priorità di un ordine naturale prestatuale, implicava, come abbiamo visto in precedenza, l'idea di una società superiore che lega non solo gli stati tra loro ma anche i popoli dei diversi stati. L'accentuazione dell'autonomia statuale innesca, invece, un vero e proprio rovesciamento di prospettive, che si fa strada nel XIX secolo, favorito sia dalla riorganizzazione interna dello stato (razionalizzazione dell'apparato burocratico e codificazione delle leggi) sia dal crescente spirito nazionale e dal volontarismo implicito nel principio della sovranità popolare. In più l'importanza crescente delle scienze, il loro sviluppo e il diffondersi del pensiero positivistico, che le sostiene e offre loro uno status mai raggiunto prima nel quadro delle conoscenze umane, spinge anche i giuristi a pensare le condizioni che possono fornire ai loro studi uno statuto da poter qualificare "scientifico": queste condizioni sono trovate nel far capo al diritto positivo; gli studi giuridici assumono un carattere scientifico solo se restringono il loro oggetto a qualche cosa di certo e di inequivocabile, ovvero la legge posta in essere dagli organi dello stato.

Lo stato diviene la fonte di tutto il diritto e quel diritto che non può essere ricondotto allo stato, come il diritto naturale (oppure come la consuetudine), non è vero diritto. Per quanto riguarda il diritto internazionale non esistono dunque principi giuridici superiori e indipendenti che possano vincolare gli stati e porli in una relazione necessaria. Parallelamente si attenua la teoria secondo la quale tutti gli stati sovrani formano e sono parte di una comunità internazionale e si giunge alla convinzione che lo stesso diritto internazionale è il prodotto della volontà statuale. Infatti, se si nega l'esistenza di regole superiori alla volontà dello stato la teoria dell'autolimitazione diviene inevitabile per giustificare l'esistenza di un diritto internazionale obbligatorio.

Questa linea teorica, che viene indicata come la "teoria positivistica del diritto internazionale", comporta tra le altre due conseguenze da segnalare. In primo luogo se non vi è più alcun principio giuridico unificante al di là degli stati, allora gli individui sono sempre più "cittadini dello stato" e sempre meno "cittadini della città universale", il che favorisce l'accentuarsi dello spirito nazionalistico. In secondo luogo l'ordinamento internazionale, costruito sulle sole fondamenta della volontà degli stati o sulle spinte delle affermazioni nazionali, è esposto ad una fragilità e ad una instabilità superiore rispetto a quanto era pensabile nel quadro della dottrina giusnaturalistica classica. Se dopo l'avvento del positivismo si continuerà a parlare di " società universale", ciò avrà un senso meramente retorico, perché al centro del diritto e delle relazioni internazionali vi è ormai soltanto "l'Etat isolé". In questa concezione viene esaltata la dimensione individualistica degli stati nazionali: il positivismo, nell'accentuare l'indipendenza, la sovranità, l'autonomia dello stato sovrano da ogni altra legge o potere, fornisce una sanzione giuridica alla peculiarità, diversità e unicità di ciascuna esperienza statale.

La concezione positivistica è indissolubilmente legata a elementi storici, politici e culturali. Tra questi, come già accennato, il consolidamento interno degli stati-nazione, attraverso una concentrazione del potere negli organi dello stato e il monopolio raggiunto nella produzione e nell'applicazione del diritto, e il rafforzamento della sovranità attraverso la concezione della sovranità "nazionale" o "popolare".

La dottrina dell'autolimitazione, in particolare, se può essere vista come un espediente teorico, come una soluzione escogitata dai giuristi per salvare l'obbligatorietà del diritto internazionale, va considerata anche in una prospettiva storico-politica. Essa va posta in relazione ad un contesto culturale in cui la "volontà dello stato" non è un principio astratto, ma una sostanza concreta, identificata con la volontà di un popolo. Non è un caso che la dottrina del positivismo giuridico si affermi in un periodo in cui si consolidano nuovi stati nazionali, come l'Italia e la Germania, e il concetto di nazione è uno dei pilastri attorno ai quali ruota la politica europea. Il ricondurre la legge dello stato a prodotto della volontà dello stato stesso, rappresenta la consacrazione giuridica di un determinato percorso politico e sociale, attraverso il quale la nazione, organizzata nelle forme e nelle istituzioni dello stato, diviene il luogo principale della politica, dell'appartenenza sociale e dell'etica. La legge, promanante dallo stato, viene percepita come incarnazione della volontà della nazione. "Dato che la legge non poteva più essere dedotta dalla credenza nella legge divina, essa poteva essere scientificamente dedotta solo dallo stato. Questo aveva il vantaggio addizionale di essere conforme col nazionalismo politico" [3].

Sul piano teorico le idee di John Austin (1790 - 1859), importante discepolo di Bentham, rappresentano una sorta di "positivismo puro", caratterizzato da un metodo formalistico e rigidamente razionale e dall'identificazione imperativistica della legge con il comando del sovrano. In questo modo Austin non esita ad escludere dalla sfera propriamente giuridica sia il diritto di natura che il diritto internazionale e il diritto consuetudinario; d'altra parte nessun limite è posto alla discrezionalità del sovrano nel potere di rivestire qualunque contenuto della veste formale di "legge".

Con Georg Jellinek (1851-1911) il giuspositivismo assume vesti più liberali e più attente agli sviluppi storici: egli vede, infatti, lo stato come inserito in un processo in cui è la nazione a giocare il ruolo della vera protagonista; ciò fa sì che la volontà dello stato, non sottoposta ad alcun altro potere, non sia però, per quanto riguarda i contenuti del volere, completamente libera. Il diritto e le norme che da essa promanano danno necessariamente espressione alla finalità propria dello stato, che è quella di agire nell'interesse storico della nazione. In questa prospettiva la sovranità è confermata, ma al tempo stesso ci si allontana dal volontarismo estremo e si contribuisce ad edificare un ordine oggettivo che è iscritto nel destino stesso della nazione.

L'ordine internazionale risulterebbe dall'incontro di tali differenti storie nazionali, ciascuna dotata di una propria razionalità, e sarebbe possibile sulla base dell'esistenza di una fondamentale "armonia degli interessi". Alla domanda del perché gli stati decidano volontariamente di sottomettersi al diritto internazionale, la dottrina positivistica risponde allora che il motivo principale è la considerazione dell'utilità, del beneficio che essi ricavano dall'esistenza di un ordinamento internazionale. La dottrina dell'autolimitazione, e più in generale tutto il paradigma positivistico del diritto internazionale, presuppongono, e devono presupporre, la convinzione che esista tra gli stati una comune convergenza, un interesse comune in merito al rispetto e all'esistenza del diritto internazionale.

Ai dubbi espressi spesso tra Ottocento e Novecento sull'effettività dell'ordinamento internazionale si risponde allora con l'argomento dell'"egoismo illuminato", vale a dire con l'idea che ciascuno stato, pur perseguendo i propri obiettivi e le proprie finalità, finisca per fare gli interessi della comunità internazionale. Secondo Koskenniemi i giuristi cercano di risolvere il problema dell'ordine tra gli stati sovrani "sostituendo la provvidenza con un assunto sociologico riguardante l'armonia profonda degli interessi tra gli stati e l'ordine internazionale" . In questa ottica, comunque, il conflitto non poteva scaturire se non da un errore, da un fraintendimento da parte dello stato, in merito ai propri reali interessi: una sorta di "falsa coscienza" che avrebbe potuto essere corretta attraverso un pacato ragionamento. Questo ottimismo razionalistico fu manifestato anche nel Patto della Lega delle Nazioni, che prevedeva un periodo di raffreddamento prima che gli stati potessero ricorrere alla forza, nonché una procedura di soluzione pacifica delle controversie. Tutti questi elementi confluiscono in una configurazione del diritto internazionale come diritto essenzialmente procedurale, ovvero come luogo dell'incontro e del confronto costruttivo dei protagonisti della comunità internazionale dal quale vengono attinte formule e strumenti per l'ordinata conduzione delle relazioni internazionali e per la soluzione delle controversie. Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale avrebbe posto in crisi questa concezione ottimistica e avrebbe portato ad una vasta revisione del positivismo giuridico.



) Il positivismo è la corrente di pensiero che diverrà quasi egemone nella cultura europea di fine del secolo, soprattutto a livello accademico.

) Una conseguenza di questa valutazione della tradizione cristiana sarà, sul piano della progettazione politica, la previsione dell'instaurazione del sistema positivo per prima nell'Europa occidentale, da riorganizzare su basi federative e antinazionalistiche in nome del comune passato cristiano.

M. Koskenniemi (a cura di), International Law, New York University Press, New York, 1992, p. XV.

Ivi, p. XVI.




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