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Il Medio Oriente dista dall'Italia poche ore di aereo,
eppure ci è difficile decifrare gli avvenimenti inquietanti e sanguinosi che
attraversano quest'area geopolitica ormai da decenni e che negli ultimi mesi
hanno conosciuto un'angosciosa escalation di violenza.
Non so dire se sia la più grave del nostro tempo, in termini di vittime e di
crudeltà perpetrate; in molti Paesi dell'Africa forse accade quotidianamente
di peggio nell'indifferenza generale; ma certamente la questione palestinese
è quella che occupa la priorità nell'agenda di politica estera delle
principali naz 949g65j ioni del mondo sviluppato e nella coscienza dei loro cittadini,
fino a essere diventata il paradigma dello scontro fra due civiltà, quella
araba e musulmana da una parte e quella occidentale dall'altra.
Noi tutti in Occidente, senz'altro in Italia, dove le
comunità ebraiche vantano una presenza rilevante e qualificata in numerose
città, siamo stati sensibilizzati alle sofferenze che nell'ultimo secolo sono
state inflitte agli ebrei: discriminazioni, persecuzioni, campi di sterminio.
L'Ebreo è assurto a Vittima per eccellenza di quel secolo sanguinario che è
stato il Novecento in Europa.
Gli ebrei hanno goduto e godono, dal dopoguerra in poi, di molte simpatie e
solidarietà; in più, molti di noi sono colpiti dalla cultura che questo
popolo ha saputo esprimere, dai bellissimi libri che ha prodotto: "Se
questo è un uomo" di Primo Levi, tormentosa e penetrante testimonianza
della vita nei campi di concentramento nazisti, è per esempio ormai un classico
della letteratura italiana, e molta è la letteratura novecentesca italiana di
qualità, si pensi a Bassani, prodotta da membri delle comunità ebraiche o da
scrittori di origini ebree.
Inoltre israeliani, o di origine ebrea, sono scrittori fra i più
significativi e apprezzati in Occidente: Yehosuha, Grossman, Oz, Philip Roth,
Bellow, Malamud.
Conosciamo perfettamente, attraverso i loro magnifici libri, il loro modo di
ragionare, di affrontare le principali questioni della vita, li sentiamo
affini; molti di loro sono i nostri maestri di contemporaneità, ci hanno
fornito le coordinate per cercare di comprendere il mondo.
Per questo restiamo allibiti e increduli di fronte alle
foto, ai filmati e ai servizi giornalistici che ci raccontano le violenze, le
carneficine, gli stermini prodotti in questi giorni dalle truppe di Sharon.
Questo aspetto ombra, violento, rozzo e irrazionale degli ebrei ci sorprende
e ci spinge a cercare di capire.
Anche se la situazione appare, a noi che la osserviamo un po' da lontano,
enigmatica, un vero e proprio rebus. Troppe le variabili in gioco, troppo
ingarbugliata la matassa, la catena di rancore e di odio, le incomprensioni
culturali e razziali, le umiliazioni e le sofferenze che dal 1949
caratterizzano la coesistenza di due popoli, quello israeliano e quello
palestinese. Una convivenza resa difficile forse già dalla spartizione
territoriale della zona. Gli israeliani si sentono minacciati nella loro
sicurezza e nel loro diritto a costituirsi in nazione, i palestinesi si
sentono oppressi, ghettizzati, spodestati, colonizzati, cacciati a forza dai
loro territori.
Ad un certo punto la situazione è diventata insostenibile al punto che i
palestinesi hanno organizzato attacchi terroristici (ma loro non li
riconoscono come tali, li definiscono atti di martirio, necessari alla causa
palestinese e alla guerra santa) affidati a kamikaze che fasciati di bombe si
lasciano esplodere facendo vittime fra i civili, rendendo impossibile a
milioni di israeliani attendere alle più comuni attività quotidiane: fare la
spesa, ballare, lavorare, divertirsi normalmente, rendendoli prigionieri di
una plumbea, cupa, cappa di paura. La reazione degli israeliani è stata una
guerra, da loro definita "contro il terrorismo", che assume sempre
più i connotati dello sterminio di massa, almeno a giudicare dalle notizie
diffuse dai media.
Tra tutte le possibili soluzioni del conflitto
mediorientale, quella che si prospetta mi sembra la peggiore. Non occorre
essere psicologi professionisti per capire che l'escalation simmetrica, la
spirale innescata di violenze sempre più crudeli, è il modo peggiore di
rimediare a qualsivoglia conflitto, fosse pure fra popoli. Le vittorie
militari conseguite possono davvero tramutarsi, a gioco lungo, in vittorie di
Pirro. La violenza non fa che alimentare la ribellione e l'odio che, anche se
momentameamente sopito, non tarderà a manifestarsi in violenze reattive
ancora più efferate. E forse a rinfocolare quell'antisemitismo strisciante e
vergognoso che ancora fa di tanto in tanto capolino dal più torbido inconscio
europeo
L'unica strada da intraprendere appare quella del dialogo,
delle concessioni reciproche, del compromesso, della mediazione. La
costituzione, ad esempio, di due stati autonomi. La rinuncia, da parte di
Israele, ai territori occupati, l'impegno degli arabi ad accettare una
civiltà diversa dalla loro.
Certo, a parole è più facile che nella vischiosa, concreta, fattuale realtà.
Ma la Palestina è terra di miracoli e la speranza non deve mai abbandonare il
cuore degli uomini.
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