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"Teorie e Metodi delle Relazioni Internazionali"

politica




"Teorie e Metodi delle Relazioni Internazionali"


Relazioni Internazionali: il nome e la cosa


"Un nome un destino?"

La disciplina delle Relazioni Internazionali, per poter affermarsi come tale, ha dovuto subire un processo bilaterale: da una parte, l'affrancamento da discipline preesistenti, Diritto internazionale e Storia diplomatica, entro le quali era compresa; dall'altra, la secessione e la rivendicazione della propria identità nei confronti di Scienza politica che le negava dignità scientifica e di Economia internazionale.

Le Relazioni Internazionali, ideate da David Davies, nascono in Gran Bretagna nel 1919, (l'anno dell'istituzione della prima cattedra in International Politics, affidata ad Alfred Zimmern presso l'University College of Wales) con lo scopo di evitare il ripetersi di tragedie quali quella della prima guerra mondiale. In sostanza, è la pura presenza della guerra nel mondo a legittimare la pretesa di dar vita ad una nuova disciplina che la ponga al centro del suo interesse. Sin dal suo nascere, tale disciplina è connotata dal binomio "idealismo-realismo". Infatti al suo interno, gli idealisti combattono per proporre il superamento della guerra, i realisti perché venga accettata.



L'espressione "Relazioni Internazionali" si dimostra soltanto l'etichetta di un ampio contenitore, che ingloba da sempre al suo interno discipline quali storia diplomatica, diritto internazionale, economia internazionale, studio delle guerre ecc, ecc.  A loro volta, queste evocano altri ambiti del sapere. L'economia evoca le leggi dell'amministrazione domestica; la soci 858f56i ologia il discorso sulla società; il diritto la ricerca di ciò che è giusto.


"Un dibattito a tre dimensioni"

Il fatto che nel corso della storia delle Relazioni Internazionali si abbia sempre cercato di inquadrare le scuole di pensiero e i dibattiti all'interno di una ben precisa successione cronologica di fasi caratterizzate dal predominio di una corrente piuttosto che un'altra, ha contribuito a creare l'illusione che ci sia sempre un solo vincitore e che lo sconfitto debba abbandonare il campo.

Le dimensioni del dibattito teoricamente ammissibili e concretamente praticate sono tre: l'ontologia, l'epistemologia e la metodologia. Nell'affrontare lo studio della politica internazionale si è costretti a compiere delle scelte ad ognuno di questi livelli.


"L'ontologia"

La dimensione ontologica è relativa al giudizio sulla natura della politica internazionale. In questa prospettiva è possibile immaginare che il dibattito esprima "n" posizioni ontologiche (di giudizi) lungo un "continuum" che ha come estremi l'anarchia e l'ordine. Che si tratti semplicemente di posizioni ontologiche lo dimostra il fatto che tutte le posizioni sono "legittime" e "argomentabili", tutte possono trovare conferma nella storia, ma nessuna è "vera" in assoluto.


"L'epistemologia"

L'epistemologia deve sforzarsi di tracciare i criteri generali di validità (i fondamenti, la natura, i limiti) del sapere scientifico. In questa prospettiva, il modo più comprensivo di riassumere la pluralità di posizioni presenti nella disciplina consiste nel tracciare un "continuum" che abbia come estremi la teoria "esplicativa" e la teoria "costitutiva", ovvero le teorie che cercano di fornire resoconti esplicativi delle relazioni internazionali, e quelle che vedono la teoria come un elemento costitutivo di quella realtà.


"La metodologia"

Per quanto riguarda questa dimensione, si può immaginare un terzo "continuum" che abbia come estremi l'induzione e la deduzione. Ciò significa contrapporre la logica di chi parte dall'analisi di casi particolari per arrivare alla formulazione di generalizzazioni empiriche a quella di chi, al contrario, procede dall'universale al particolare, formulando delle ipotesi di cui verificherà semmai successivamente la congruenza con la realtà.


"Il disegno della ricerca"

Parlare di metodo vuol dire affrontare il tema delle dimensioni con le quali è costretto a confrontarsi ogni ricercatore e che concorrono, come delle coordinate, a definire il disegno della sua ricerca. Tali dimensioni sono quattro:

  1. Grado di astrazione: indica il livello alto o basso di astrazione che si intende adottare, posizionandosi lungo il continuum induzione-deduzione.
  2. Livello di analisi: la ricerca può assumere livelli di anali diversi a seconda dell'ampiezza con cui si  intende trattare gli argomenti.
  3. Il tempo: anche la durata della variabile temporale concorre ad influenzare enormemente la profondità di campo dell'argomento in esame.
  4. Livello di comprensione: analizzare un argomento attraverso diversi livelli di comprensione significa far uso di più variabili che consentano di spiegare l'argomento da diversi punti di vista.

"Un futuro senza nome?"

Lo sviluppo del dibattito sul metodo, più che sulle altre due dimensioni, può rivelarsi utile per riuscire a dare un nome ad una disciplina finora intenzionalmente "anonima". Una possibilità è che si raggiunga un'intesa almeno sul fatto che le Relazioni Internazionali non debbano più essere considerate un mero "contenitore", quanto piuttosto una disciplina "globale" che si caratterizza per la capacità di offrire una visione comprensiva dei problemi che sono di interesse comune per l'intera umanità. Insomma, che si qualifichi in fine come "scienza cosmo-polita".


2. "Realismo e Neorealismo"


"Introduzione"

A partire dalla pubblicazione nel 1948 dell'opera di Morgenthau "Politica tra le nazioni", l'approccio realista (e neorealista) ha rappresentato il cuore dello studio della politica internazionale negli Stati Uniti. Il realismo ha costituito, per alcuni, un'utile cornice al cui interno studiare la politica mondiale. Ciò è avvenuto poiché tale approccio teorico affronta le questioni chiave delle Relazioni Internazionali: quali sono le cause del conflitto e della guerra tra le nazioni e quali sono le condizioni perché tra queste ultime vi siano cooperazione e pace? Per altri, il realismo è stato semplicemente il modello a cui contrapporre approcci analitici alternativi. Proprio per questo motivo, se si vuole comprendere lo sviluppo e lo stato attuale del dibattito accademico americano sulle Relazioni Internazionali, bisogna partire da questa scuola di pensiero.


"Elementi centrali della teoria realista internazionale"


"Gli assunti"


1. Gli attori della politica internazionale: la centralità dello Stato.

Per i realisti lo Stato-nazione costituisce l'unica unità di riferimento dell'organizzazione politica, nonostante altri attori operino nel sistema internazionale.

"Gli stati creano la scena in cui rappresentano i loro drammi e i loro affari quotidiani insieme agli attori non-stati. Benché possano decidere di interferire poco negli affari degli attori non-stati sono sempre gli stati a stabilire i termini delle relazioni,... quando giunge il momento critico, gli stati cambiano le regole che consentono agli attori di operare"(Waltz)


2. Il contesto d'azione:l'assunto anarchico.

Gli stati coesistono in un contesto di anarchia internazionale, vale a dire in totale assenza di una autorità  centrale e sovraordinata. Situazione in cui - secondo Waltz - tra Stati formalmente uguali tra loro "nessuno ha diritto di comandare e nessuno ha il dovere di obbedire".

L'assunto dell'anarchia ha due implicazioni di stampo realista:

  1. Alla luce dell'assenza di una autorità sovraordinata su cui fare affidamento, gli Stati riconoscono di coesistere in un ambiente pericoloso.
  2. L'assenza di tale autorità centralizzata implica il fatto che gli Stati siano per definizione agenti che provvedono autonomamente all'autodifesa.

"Per raggiungere i propri obiettivi e conservare la propria sicurezza, le unità che si trovano in una situazione di anarchia, devono fare affidamento solo sui mezzi da essi prodotti e sugli accordi in proprio favore. L'auto-difesa è il principio necessario all'azione in un ordine anarchico" (Waltz)


3. Gli attori: gli Stati come attori razionali, autonomi e unitari.

a. Gli stati sono attori razionali. Ciò significa che hanno degli obiettivi che ordinano in modo logico e coerente, e che escogitano strategie razionali per raggiungerli. Come corollario a questo primo assunto, i realisti suppongono che gli Stati siano "sensibili ai costi" e possano modificare le proprie strategie in base a tale fattore.

b. Gli Stati sono sufficientemente autonomi dalle loro società nazionali per riconoscere e perseguire gli interessi della nazione nel suo complesso e non solo di gruppi particolarmente potenti all'interno della comunità.

c. Gli Stati possiedono la capacità di agire in modo coerente rispetto agli altri paesi.


"Proposizioni"


1. L'interesse dello Stato in materia di sicurezza: gli Stati come attori difensivi.

Per la teoria realista, il fatto che gli Stati riconoscano che la forza potrebbe essere usata contro di loro li rende particolarmente sensibili alla questione della sicurezza, che rappresenta dunque il loro interesse principale. In sostanza, nella misura in cui rispondono e sono forgiati dall'ambiente esterno, gli Stati sono attori profondamente difensivi.

"Nell'anarchia la sicurezza è il fine più alto. Solo se la sopravvivenza è assicurata, gli stati possono cercare in modo sicuro di raggiungere altri obiettivi come la tranquillità, il profitto e il potere" (Waltz)


2.La relatività del potere: gli Stati come posizionalisti difensivi.

Gli Stati, oltre ad essere consapevoli che la propria sicurezza dipende esclusivamente dai propri sforzi, tendono preoccuparsi della propria forza relativa, perché è proprio quest'ultima a determinare la capacità di potenza e di auto-difesa. Tale fattore li induce ad essere "posizionalisti difensivi". 


3. L'interesse dello Stato per l'indipendenza e l'autonomia.


In quanto posizionalisti difensivi sensibili al potere relativo, gli Stati cercano di essere liberi di scegliere le strategie che più probabilmente promuovono la loro sicurezza e di intraprendere quelle azioni, sia all'interno che all'esterno, che più verosimilmente saranno in grado di garantire il mantenimento della loro posizione di potere relativo e di contribuire dunque ad assicurare la loro sicurezza.


"Un giudizio sull'assunto dello Stato come attore unitario

Molti hanno indagato direttamente la praticabilità e l'utilità di quello che è forse l'assunto più controverso del realismo, vale a dire l'idea che gli Stati agiscono come attori unitari, relativamente indipendenti dal carattere delle istituzioni nazionali o dalle preferenze di segmenti particolari della società. Krasner ha rilevato che una sostanziale autonomia governativa può essere osservata anche nel caso apparentemente difficile degli USA, dove uno Stato generalmente debole interagisce con una società statunitense forte. Tale scoperta è stata anche supportata dallo studio di Ikenberry sulla politica americana di liberalizzazione del prezzo del petrolio perseguita durante gli anni Settanta. (ved pag. 34)


"Le proposizioni realiste empiriche: verifiche empiriche ed estensioni"


  1. L'equilibrio. Gli studiosi di impostazione realista hanno formulato tre gruppi principali di previsioni riguardanti il comportamento effettivo dello Stato e gli effetti internazionali di questo. La prima e più importante previsione è quella del "balancing". Stati sfidati dall'aumento di potenza di un altro Stato, risponderanno a tale sfida unendosi contro la potenza in ascesa; per contrastarlo, non adotteranno un atteggiamento di "bandwagoning", non si schiereranno dalla parte del più forte nella speranza di ricavarne i migliori accordi possibili e di sfruttare gli Stati che costituiscono l'obiettivo immediato della parte in crescita. Negli ultimi anni Stephen Walt ha modificato l'ipotesi realista suggerendo che gli Stati realizzano l'equilibrio contro uno sfidante nascente, identificato non solo in base alla sua forza materiale, ma anche in base alla minaccia politica che quello Stato può rappresentare.

  1. Polarità e stabilità del sistema. Per i realisti, la stabilità dell'ambiente internazionale può essere condizionata da fattori sistemici e in particolare dalla polarità del sistema, cioè dal numero degli Stati di maggior peso al suo  interno. Waltz sostiene che i sistemi multipolari tendano ad essere più soggetti all'instabilità e al conflitto, e che siano quindi meno equilibrati, meno prevedibili e caratterizzati da maggior interdipendenza economica rispetto ai sistemi bipolari.


  1. Il realismo e il problema della cooperazione internazionale. La cooperazione è una caratteristica rilevante del la politica internazionale. Tuttavia essa è molto difficile da raggiungere e da mantenere. I realisti hanno identificato tre impedimenti  di natura sistemica che condizionano la volontà degli Stati di cooperare anche quando condividono interessi comuni. Il primo vincolo è rappresentato dall'alta possibilità di essere ingannati. In secondo luogo, gli Stati, costretti ad auto-garantirsi la propria sicurezza, preferiscono svolgere in piena autonomia le proprie funzioni. Il terzo ostacolo è costituito dalla questione dei guadagni relativi: gli Stati tendono ad evitare la cooperazione quando hanno la consapevolezza che i loro partner otterranno guadagni sproporzionatamente maggiori.

  1. Le condizioni per la cooperazione:la leadership egemonica. I realisti hanno sviluppato una spiegazione della cooperazione nel campo dell'International Political Economy attraverso la politica della leadership egemonica. Alla luce dell'incertezza e dell'instabilità, insite nelle relazioni economiche internazionali, una condizione necessaria per la formazione ed il mantenimento di una economia internazionale di impronta "liberale" è che vi sia un singolo Stato che svolga un ruolo egemonico sul sistema economico.

"La teoria realista internazionale: critiche tradizionali, nuovi problemi e prospettive per la ricerca futura"


Le teorie sistemiche delle Relazioni Internazionali che si presentano come alternative al realismo moderno, per esempio l'istituzionalismo neoliberale teorizzato da Keohane e il costruttivismo sociale proposto da Wendt, accettano ampiamente il ritratto della politica internazionale proposto dal realismo moderno come punto di partenza delle loro indagini. Questi approcci alternativi non si pongono quindi in maniera antitetica alla teoria che le precede.


"Le critiche tradizionali"


1. La questione del cambiamento internazionale. Un importante e durevole filone di critica mossa alla teoria realista è che tale approccio non riconosce e non può spiegare il "cambiamento internazionale". I realisti rispondono asserendo che le continuità nella politica internazionale, da loro individuate, sono più importanti dei cambiamenti nelle relazioni interstatali.


2. La questione delle variabili a livello delle unità.  La seconda critica è che quest'ultimo non prende in considerazione l'impatto che i "fattori interni" (quali i processi politici, economici e sociali) esercitano sul comportamento estero degli Stati. I realisti replicano affermando che la loro scuola tiene conto dei fattori interni. Essi vanno oltre le critiche secondo cui il Realismo dovrebbe focalizzarsi su variabili di secondo livello e sostengono che sono le strutture interne ad essere modellate dalle dinamiche del sistema internazionale.


"Nuovi problemi per il realismo"


1. l'Unione Europea e il continuo enigma delle istituzioni internazionali. La teoria realista ridimensiona notevolmente l'importanza delle istituzioni internazionali quali oggetto della politica statale o quali attori autonomi della politica internazionale. Gli studiosi di impostazione realista devono quindi spiegare perché i paesi dell'UE hanno cercato di sviluppare in maniera significativa le istituzioni europee e perché la costituzione di istituzioni internazionali può essere una strategia razionale per gli Stati. In questa prospettiva, una possibile linea di analisi potrebbe essere quella di suggerire che gli Stati più deboli possono scegliere di cooperare attraverso un'istituzione al fine di ottenere una "voice opportunity". Tale spiegazione lascia irrisolta la questione del perché i partner più forti si rendano persino promotori dell'istituzionalizzazione.  L'ipotesi realista è che l'istituzionalizzazione consente allo Stato più forte di esercitare la propria egemonia in modo efficiente e sotto una copertura di uguaglianza tale da favorirne le intenzioni.


2. Il problema della massimizzazione della sicurezza contro la massimizzazione del potere. I critici del realismo si domandano: l'anarchia conduce gli Stati a massimizzare la sicurezza o il potere? Se i realisti replicassero sostenendo che gli Stati considerano il potere più importante della sicurezza, dovrebbero quindi ipotizzare che gli stati ricorrano al "bandwagoning" invece che all'aquilibrio. In seconda istanza, affermare che gli Stati mettono al primo posto il potere, dovrebbe indurre i realisti a modificare la loro attuale interpretazione della cooperazione internazionale: gli Stati dovrebbero cercare non di evitare di differenziali nei guadagni che favoriscono i partner, ma piuttosto di massimizzare tali divari a proprio favore. La teoria realista potrebbe evitare di cadere in contraddizione rispondendo che gli Stati, molto sensibili alla questione della sicurezza, cercano di auto-garantirsela, non massimizzando il potere a loro vantaggio, ma minimizzando i divari di potere che possono favorire rivali o avversari. Questa interpretazione implica la scelta dell'equilibrio invece del bandwagoning, e il temere la differenziazione funzionale.


"Il realismo e il suo approccio alle previsioni empiriche"

I realisti e i loro critici sembrano essere d'accordo sul fatto che il realismo sposa l'idea che gli Stati cercano l'equilibrio contro una potenza nascente; che gli Stati non riusciranno a cooperare se si profila il problema dei guadagni relativi e che, infine, gli Stati si opporranno alla specializzazione invece di abbracciarla di fronte al rischio della dipendenza. Tuttavia è possibile che entrambi i lati traggano beneficio da due aggiustamenti di queste ipotesi. In primo luogo, sarebbe meglio avanzare ipotesi più probabilistiche sull'atteggiamento degli Stati nei confronti di potenze nascenti, e non affermare che questi scelgono sempre la via dell'equilibrio. In secondo luogo, si dovrebbe ampliare la gamma delle variabili "dipendenti", in modo da includere le "conseguenze" del comportamento statale, cosa con cui il realismo non si è mai confrontato.


3. "L'istituzionalismo neoliberale"


"Introduzione"

L'istituzionalismo neoliberale si è sempre dedicato alla descrizione e all'analisi dei soggetti relativamente concreti del diritto internazionale e delle organizzazioni internazionali. In contrasto con i neorealisti, gli istituzionalisti neoliberali ritengono che i regimi, e più in generale le istituzioni internazionali, possano forgiare le questioni internazionali in modo significativo, e cercano di spiegare tanto il funzionamento di queste quanto le loro origini.

All'interno della letteratura delle Relazioni Internazionali si possono identificare due filoni principali: l'istituzionalismo neoliberale razionalista e quello sociologico. L'approccio razionalista prende a prestito gran parte della sua ispirazione e diversi strumenti analitici dall'economia, condivide con il neorealismo un certo numero di assunti e concentra l'attenzione sulle componenti più formali e manifeste dei regimi e delle altre istituzioni. L'approccio sociologico, meno omogeneo, attinge da varie branche della sociologia e pone l'accento sugli aspetti cognitivi, normativi ed intersoggettivi delle istituzioni internazionali.


"L'istituzionalismo razionalista"


"Caratteri distintivi"

A partire dagli anni '80, il filone principale dell'istituzionalismo neoliberale è stato caratterizzato da una natura razionalista ed utilitarista. Le analisi di questo tipo partono dall'assunto che gli attori sono "egoisti e razionali" che agiscono con il fine di massimizzare la propria utilità individuale. 

Inizialmente, molti scritti razionalisti sui regimi condividevano con il neorealismo altri assunti:

  1. Vedevano negli Stati gli attori principali delle relazioni internazionali
  2. Accettavano la caratterizzazione neorealista del sistema internazionale come un mondo anarchico
  3. Consideravano gli Stati attori unitari

Tale scelta di un quadro analitico, basato sullo Stato, ha consentito agli istituzionalisti di controbattere alle affermazioni pessimistiche neorealiste sulla cooperazione internazionale. Al di là di questo punto, l'istituzionalismo razionale e il neorealismo attuano percorsi divergenti. Mentre realisti e neorealisti enfatizzano il potenziale di conflittualità tra gli Stati, gli istituzionalisti razionali evidenziano la frequente presenza di interessi comuni. Così le relazioni internazionali non sono contraddistinte da una lotta per il potere; anzi, sono caratterizzate da situazioni in cui l'azione collettiva crea la possibilità di guadagni congiunti attraverso la cooperazione. Nella prospettiva dei razionalisti, la presenza dei regimi internazionali può alterare l'ambiente strategico nel quale gli Stati operano. I regimi possono creare opportunità e imporre vincoli che rendono la cooperazione più probabile.


"Primi obiettivi d'analisi e risultati"

Inizialmente l'istituzionalismo razionalista ha cercato di spiegare le origine e le funzioni dei regimi internazionali, giungendo ad adottare una prospettiva decisamente contrattualista e funzionalista: i regimi sono creazioni intenzionali e volontarie degli Stati, i quali li creano in base alle conseguenze che prevedono di ottenerne.

Giudati da Keohane , gli istituzionalisti razionalisti hanno identificato diversi ostacoli che soffocano la cooperazione:


  1. Costi di transizione per raggiungere accordi specifici
  2. Frequente incertezza che circonda le intenzioni e le azioni degli altri Stati
  3. Esistenza di incentivi per gli Stati a violare i contratti stipulati

I regimi possono contribuire ad attenuare concretamente tali problematiche:


1. Abbassano i costi di transizione legati al raggiungimento di accordi internazionali

2. Possono ridurre l'incertezza che ostacola la cooperazione producendo e fornendo informazioni sulle preferenze e le intenzioni degli Stati

3. Possono generare incentivi al rispetto degli accordi preesistenti che possono contrastare qualsiasi restante impulso a ritirare la parola data.


Un secondo importante contributo dell'approccio razionalista è stato quello di spiegare le variazioni delle caratteristiche del regime. Stein e Snidal hanno evidenziato l'esistenza di tipi fondamentalmente differenti di problemi legati alla cooperazione, ognuno dei quali richiede un diverso tipo di soluzione istituzionale.


"Sviluppi successivi"

L'apporto dei razionalisti ha generato un certo numero di critiche da parte delle altre correnti. I realisti hanno accusato l'emergente letteratura razionalista di trascurare il ruolo del potere e le conseguenze della cooperazione sui vantaggi relativi degli Stati. Altri hanno sottolineato la necessità di considerare l'impatto della politica interna. Una terza critica riguarda il relativo disinteresse per le conseguenze dei regimi internazionali. Alcuni tra i più importanti contributi dei razionalisti degli anni '90 sono stati il risultato del tentativo di replicare a tali critiche:

1. Inclusione del potere nella cornice analitica

2. Ruolo della politica interna nel determinare quando vengono creati i regimi, le forme che assumono e il loro impatto


"L'istituzionalismo sociologico"


"Caratteri distintivi"

L'istituzionalismo sociologico è molto meno uniforme della variante razionalista. Le analisi sociologiche partono dalla premessa che la conoscenza umana del mondo è essenzialmente soggettiva: può esserci più di un modo plausibile di percepire un dato insieme di circostanze. Inoltre, la conoscenze, le credenze e i valori che informano il comportamento umano sono autonomi e non riducibili alle strutture materiali: di conseguenza, gli approcci sociologici rivolgono tutti l'attenzione sugli aspetti intersoggettivi dei regimi. Si possono distinguere tre varianti principali dell'istituzionalismo sociologico:

1. La prima variante accetta l'assunto che gli stati e gli altri attori so comportano razionalmente, ma sottolinea che la loro comprensione delle situazioni in cui agiscono, inclusi i propri interessi, non è scevra di problemi.

2. Una seconda variante va oltre, rigettando l'assunto della massimizzazione razionale dell'utilità. Adotta un modello di comportamento in cui gli Stati sono trattati come interpreti di ruolo o attori guidati dall'abitudine: il loro comportamento è modellato da una logica normativa di appropriatezza piuttosto che da una logica strumentale legata alle conseguenze.

3. La terza variante problematizza l'esistenza stessa degli attori. Gli Stati e gli altri attori della scena mondiale sono costituiti da istituzioni fondamentali quali la sovranità, che a loro volta sono perpetuate dalle azioni di quegli attori.


"Primi obiettivi d'analisi e contributi"

I primi importanti lavori dell'istituzionalismo sociologico, apparsi verso la fine degli anni '70, hanno esplorato in che modo la collaborazione internazionale istituzionalizzata, al momento della formazione del regime, possa derivare dai cambiamenti nel sapere consensuale e nelle concezioni condivise. (ved pag. 60)


"Sviluppi successivi"

In anni più recenti, la letteratura sociologica si è concentrata su tre questioni principali:

1. I meccanismi attraverso i quali vengono generate le conoscenze consensuali dei problemi internazionali e le loro possibili soluzioni cooperative. In questo ambito, uno sviluppo importante è stato rappresentato dallo studio delle comunità epistemiche.

2. La dimensione normativa dei regimi: le fonti e le implicazioni di quella che viene percepita come una generale propensione degli Stati a conformarsi agli obblighi internazionali.

3. Le istituzioni costitutive delle relazioni internazionali, specialmente quella della sovranità statale.


"Valutazioni e prospettive"


"Le direzioni future della ricerca"


1. Gli effetti e le conseguenze dei regimi. Gli effetti dei regimi richiedono sicuramente una ricerca più approfondita, dato che la maggior parte della letteratura sui regimi è concentrata sulle loro origini e determinanti. Gli studi futuri dovranno effettuarsi su tre questioni: attraverso quali meccanismi i regimi influenzano il comportamento e gli esiti delle interazioni tra attori internazionali; quali fattori sia endogeni sia esogeni rispetto ai regimi, determinano quando, come e in quale misura essi contano; quali schemi di ricerca esistono che permettano di isolare identificare gli effetti del regime.


2. Integrare gli approcci razionalista e sociologico. Sebbene partano da un set simile di questioni, i due filoni possiedono grandi differenze ontologiche ed epistemologiche: mentre i razionalisti si concentrano principalmente sugli stati e vedono i regimi come il risultato delle azioni statali, l'istituzionalismo sociologico ha posto maggior enfasi sugli attori transnazionali e sulle istituzioni fondamentali della società internazionale. Ciò nondimeno, per diversi aspetti i filoni risultano complementari, giacchè ognuno aiuta a rispondere alle questioni che l'altro solleva ma per le quali è male equipaggiato a rispondere. Gli approcci razionalisti lasciano inesplorate le determinanti delle strategie che gli Stati perseguono e le scelte che compiono, anche gli interessi degli Stati, la loro visione delle opzioni disponibili e la percezione delle conseguenze delle diverse scelte. Proprio questi, per converso, sono i tipi di questioni con i quali gli approcci sociologici hanno avuto a che fare.

3. Allargare il "focus" per includere tutte le istituzioni internazionali. Come ultima sfida è necessario che l'istituzionalismo neoliberale allarghi il proprio orizzonte per comprendere tutte le forme di istituzioni internazionali.


4. "Il costruttivismo"


"La costruzione sociale della realtà internazionale"

Tale corrente di pensiero ritiene che anche la politica internazionale sia un fenomeno sociale. Norme, aspettative e idee condivise influenzano non soltanto il modo in cui gli Stati perseguono gli obiettivi tradizionali della politica estera: sicurezza, potere e benessere, ma la stessa elaborazione della loro identità, la definizione degli interessi e gli sviluppi politici in ambito internazionale. Ciò che tiene insieme il mondo materiale della politica internazionale è l'insieme dei fattori immateriali - norme, aspettative e idee condivise - che gli attori elaborano nel corso della loro vita in società.

In anarchia, gli Stati possono essere guidati dalla logica della "comunità di sicurezza", una diversa struttura sociale caratterizzata dalla comune fiducia nell'effettiva rinuncia alla violenza come strumento per la risoluzione delle controversie tra i membri della comunità stessa. Un'anarchia popolata da amici è diversa da un'anarchia di nemici, ma amici e nemici  si diventa, non si nasce. Il costruttivismo è un approccio intrinsecamente dinamico, utile a gettar luce sul processo di costruzione sociale della realtà internazionale.

Se l'approccio classico pone che tutti gli Stati siano uguali in quanto sovrani e che il sistema internazionale sia anarchico proprio come conseguenza di ciò, in chiave costruttivista, l'analisi verterà piuttosto sulle modalità attraverso le quali gli Stati negoziano costantemente la forma della loro sovranità e il significato dell'essere sovrani.


"Funzione costitutiva delle norme e logica dell'appropriatezza"

L'obiettivo del costruttivismo, che non è una teoria, bensì un metodo, è comprendere il processo di costruzione sociale della realtà internazionale, concentrandosi su quei fattori "ideazionali" che sono il prodotto di una "intenzionalità collettiva". I costruttivisti concentrano la loro attenzione sui fatti sociali, perché è a questi che compete la funzione di strutturare i contesti sociali, politica internazionale compresa. In particolare, l'attenzione è rivolta sulle norme e sulla capacità "costitutiva" della stessa realtà sociale che viene loro attribuita. Le norme sociali che definiscono la struttura del sistema internazionale costituiscono anche gli agenti, nel senso che li inducono a definire la propria identità e relativi interessi in termini di appropriatezza rispetto alle aspettative di ruolo.

La logica dell'appropriatezza, che si contrappone a quella di tipo consequenziale (mezzi/fini), ipotizza che le istituzioni politiche siano costituite da insiemi di norme che definiscono le azioni appropriate per ciascun ruolo in ogni situazione.


"L'origine degli interessi: il confronto col neorealismo e neoliberalismo"

Il costruttivismo si occupa di ciò che neorealismo e neoliberalismo, accomunati dal medesimo impianto metodologico "neoutilitarista", trascurano: l'origine degli interessi, nella convinzione che gran parte della politica internazionale abbia a che fare con la definizione, piuttosto che con la difesa dell'interesse nazionale.

La tesi che siano le norme sociali a plasmare identità e interessi degli Stati rende il costruttivismo inconciliabile con l'impianto metodologico individualista, razionalista, materialista, comune a neorealismo e neoliberalismo. Queste due scuole condividono:


  1. Concezione degli Stati come egoisti razionali che agiscono in modo da massimizzare l'utilità attesa in ternini di sicurezza, potere e benessere
  2. Approccio sostanzialmente statico, inadatto ad analizzare i processi e le evoluzioni delle strutture sociali internazionali
  3. Una metodologia positivista che impedisce agli studiosi di tenere conto dell'operare dei  fattori ideazionali

Il neoliberalismo, che contrariamente al neorealismo, attribuisce maggior peso alle idee, si distingue dal costruttivismo nell'affermare che "le preferenze degli attori, rispetto agli esiti del processo politico internazionale, contribuiscono a spiegare l'interazione, ma non è vero il contrario". Il costruttivismo insiste sulle concezioni intersoggettive, quelle che esistono grazie alla comunicazione sociale, e ipotizza che, attraverso un processo di "apprendimento complesso", fattori ideazionali come le norme sociali o le idee condivise possano spingere gli attori a rielaborare la propria identità e i propri interessi.

Un altro aspetto che distingue il costruttivismo dal neorealismo e neoliberalismo è la capacità "causale" che questi ultimi attribuiscono ai fatto bruti o agli interessi, chiaramente più diretta e meccanica. Non potrebbe essere diversamente data la diversa matrice dei due approcci: sociologica, quella dei costruttivismo, microeconomica, quella dei due filoni neoutilitaristi.

Questa divergenza spiega la diversa interpretazione della natura delle funzioni delle norme sociali. Esistono due tipi di norme: quelle "costitutive" e quelle "regolative". Le prime fanno sì che una certa attività esista. Le seconde regolano un'attività che aveva luogo precedentemente alla loro introduzione. I costruttivisti si concentrano sulle norme costitutive, in quanto interessati al processo attraverso il quale la realtà internazionale si struttura. Neorealisti e neoliberali considerano esclusivamente le norme regolative, assumendo implicitamente che le norme costitutive esistano. Tale è la ragione per la quale essi sono costretti ad ipotizzare che gli attori agiscano in un mondo "dato".

Il tratto che distingue il realismo waltziano da quello classico e che gli ha fatto meritare la particella "neo" è il suo strutturalismo. Ciò che accade a livello internazionale non dipende dall'egoismo umano, come voleva Morgenthau, ma dalla struttura anarchica del sistema, che è considerata da Waltz "insieme di condizioni di costrizioni", che determina direttamente il comportamento degli Stati.

A questo strutturalismo esasperato si è sostituita una nuova concezione della struttura, derivata dalla teoria formulata da Giddens. (ved pag. 82)

I costruttivisti, adottando quest'ultima logica, si propongono di analizzare come i singoli Stati, concorrono a determinare la struttura sociale internazionale per poi analizzare quali siano gli effetti di questa sul comportamento degli attori stessi.

La struttura, nella concezione waltziana, ha tre componenti: il principio ordinatore (anarchico e immutabile), la differenziazione delle funzioni e la distribuzione della capacità, ovvero della forza. Nella concezione costruttivista, la struttura si articola diversamente: significati condivisi, conoscenze comuni e aspettative.


5. "La teoria critica e le teorie postmoderne"

"La teoria critica della società"

Elaborata a partire dagli anni Trenta del XX sec, la teoria critica della società è il risultato delle riflessioni dell'autentico laboratorio filosofico e sociologico che si formò sotto la direzione di Horkeimer nella Scuola di Francoforte. Tale teoria è denuncia delle contraddizioni e dell'irrazionalità della società capitalistica e rifiuto di quelle concezioni che pretendono si possa discutere di struttura sociale e di scienza prescindendo dalle condizioni storiche e culturali in cui esse si sviluppano. La teoria si manifesta come discorso corrosivo circa l'idea positivista di scienza: soprattutto quando questa, presa dall'imperativo di stabilire le regole "procedurali dell'indagine, finisce per ignorare le ragioni del soggetto. D'altra parte, dalla confutazione delle impostazioni analitiche e positive della scienza sociale, la teoria critica fa derivare che queste ultime siano ideologicamente determinate e che svolgano una funzione di conservazione dell'assetto politico dominante.

Ciò che ci consegna la teoria francofortese è la critica di una ragione che si riveli indifferente alla natura e al reale del corso della storia. Ci offre la critica di una ragione che, prigioniera del suo essere divenuta esclusivamente formale e incapace di qualsiasi movimento dialettico, si volga in strumento di assoggettamento culturale e di dominio politico.


"Quale postmodernità?"

Fissare un significato certo e un equivoco di postmodernità è cosa che appare problematica. Il termine stesso non indica nulla di preciso riguardo ciò che alla modernità dovrebbe subentrare. La modernità fa perno sulla ragione e sul suo primato; ha una visione lineare e progressiva della storia e lavora per il superamento di ogni tradizione. Ciò che sappiamo è che tutto questo è respinto dalla postmodernità.

Esistono due modi di vedere il mondo che si possano dire post-moderni: l'uno che fa capo a una prospettiva radicale ed estremizzante, l'altro che invece esprime una sorta di post-modernismo ben temperato.


Il post-modernismo radicale.

Il post-modernismo radicale si risolve in una specie di relativismo assoluto: tutti i significati sono alla fine idiosincratici e non trasmettibili. L'assunto d'avvio è che la storia (anche quella del pensiero) non possa più essere letta quale processo di rischiaramento operato dalla ragione. Di qui si arriva a negare qualsiasi oggettività sino a giungere all'isteria della soggettività. Seguendo una teoria di dissociazioni senza limiti, tutto il complesso della vita sociale si frammenta: l'azione collettiva, il progetto, l'universalità, i valori stessi si eclissano e vengono sostituiti dal linguaggio. Il mondo richiederà l'esercizio continuo dell'ermeneutica, ma di una ermeneutica fine a se stassa e senza sbocchi.


Il post-modernismo temperato.

Il post-modernismo temperato, per nulla influenzato dal nihilismo relativistico, cerca di individuare metodi e percorsi per la realizzazione di un pluralismo plausibile. La figura centrale di questo tipo di post-modernismo è individuata da Bauman nell'intellettuale-interprete, alla quale spetta il compito di tradurre idee e asserti formulati in una data tradizione, così che essi possano essere compresi anche da chi vive all'interno di un altro sistema di conoscenza. Tale figura, nel disegno di Bauman, dovrebbe sostituire progressivamente quella dell'intellettuale-legislatore. 


"Quale pluralismo?"


Il pluralismo metodologico, nelle Relazioni Internazionali, respinge la logica sostitutiva, così come la logica cumulatova tipica della scienze sociali comportamentiste: soprattutto quando esse con ingenuità pari alle presunzione pensano di poter raccogliere i singoli studi organizzandoli in un un'unica e coerente intrapresa scientifica. Il pluralismo accetta piuttosto, ponendo l'uno accanto all'altro su un piano paritario.


"Teoria e ordine alternativi"

La teoria critica, che non nasce avente come oggetto le problematiche delle Relazioni Internazionali, diventa internazionalista a partire dagli anni '80, grazie all'opera di Maclean, Cox, Ashley ed altri a cui si riconosce un ruolo pionieristico in questo campo. I loro obiettivi sono:

1. Il primo obiettivo si manifesta come critica radicale dell'assunto che vuole la politica mondiale decisa dal grande gioco degli interessi statuali-nazionali: gioco in cui la società civile internazionale avrebbe poco conto. L'idea è che come non è più corretto affermare la separazione fra stato e società civile sul piano interno, allo stesso modo non è più possibile continuare a vedere l'insieme dei rapporti interstatuali come un ambito autonomo e sovraordinato, rispetto alla rete delle relazioni che si sviluppano tra gruppi e forze sociali internazionali. In questa prospettiva, la dialettica che si determina entro la moltitudine di soggetti che vivono e agiscono nella società civile internazionale eserciterebbe sullo stesso sistema interstatuale un'influenza ben superiore rispetto a quella che è disposto a riconoscere il pensiero realista.

2. Nel secondo obiettivo, si vogliono offrire una teoria ed una prassi di emancipazione per quelle forze della società internazionale che non siano allineate con l'ordine mondiale in corso. Al contempo si cerca di disegnare un possibile ordine alternativo. Sotto questo profilo, la teoria critica si pone come approccio alternativo a quello realista.

3. Il terzo obiettivo è di mostrare come i produttori di conoscenza non possano minimamente considerarsi semplici osservatori delle dinamiche sociali e politiche che animano la scena internazionale.


"Decostruire e riassemblare"

Fra i primi obiettivi degli approcci post-moderni vi è la "decostruzione". Non c'è dubbio che il modo post-moderno di guardare alle relazioni internazionali si proponga di smontare alcuni punti fermi della tradizione teorica internazionalistica.

Un ulteriore obiettivo post-modernista è di aprire una nuova stagione teoretica. Ciò che conta è che le teorie "forti" dovrebbero cedere il passo a un nuovo modo di teorizzare: forse meno sistematico, ma certamente più aperto.

Il terzo intento discende da quella pratica post-moderna del rivisitare, del guardare alle cose note come prima non s'era mai fatto, del risistemare, dello scomporre, dell'accostare in modo nuovo vecchi pezzi, dell'oltrepassare e rendere vani i confini e di smetterla con quelle grandi ideazioni di artifizi che hanno segnato la modernità. Il post-modernismo si appropria, mette assieme e trasforma marxismo e fenomenologia, nihilismo, teoria critica ed ermeneutica. L'esito metodologico di questo generale rimescolamento  è di mettere in primo piano linguaggio, simboli e significati (delle teorie politiche internazionali trascurate).


6. "Struttura interna e politica estera"


"La struttura interna come ponte teorico"

L'approccio generalmente identificato con il nome di " struttura interna" cerca di collegare i livelli di analisi interna ed internazionale, concentrandosi sul nesso rappresentato dallo Stato. La letteratura sulla struttura interna ha costituito un trait d'union tra teorie interne ed esterne della politica estera in tematiche che vanno dalla IPE alla politica di sicurezza internazionale.  


"International Political Economy e struttura interna"

Katzenstein, comparando la politica energetica degli USA a quella della Francia durante la crisi energetica degli anni '70 (a seguito dell'embargo arabo sul petrolio), ha cercato di illustrare il ruolo che la struttura interna gioca nel mediare le risposte degli Stati ai cambiamenti dell'economia internazionale. Egli ha sviluppato delle ipotesi di base delle teorie realista e liberale e le ha applicate al caso empirico. Le spiegazioni realiste avrebbero predetto il comportamento unitario di ciascuno Stato, nel tentativo di assicurarsi una fornitura di petrolio a prezzi contenuti, in virtù di un generico interesse nazionale. Le teorie liberali avrebbero predetto che la politica sarebbe stata il risultato della competizione tra diversi gruppi di interesse rilevanti. Le teorie realiste avrebbero predetto la corsa al potere da parte degli attori statali, mentre quelle liberali il perseguimento della ricchezza da parte degli attori sociali.

A tali approcci Katzenstein ne oppose un terzo, basato sull'analisi delle strutture interne: la risposta dei due paesi alla crisi petrolifera sarebbe dipesa dalla loro struttura interna, in particolare, dalla relazione Stato-società. La Francia risultava uno Stato forte con una società debole, in cui il potere politico è altamente concentrato; gli USA si sono rivelati l'opposto, uno Stato debole con società forte, in cui la politica è caratterizzata dal pluralismo sociale. L'approccio di Katzenstein prevedeva che la politica francese si sarebbe avvicinata al modello realista, dominato dallo Stato, e fondato sul perseguimento del potere, mentre la politica statunitense avrebbe assomigliato al modello liberale, guidato dalla società, e fondato sul perseguimento della ricchezza.

L'approccio giunge alla conseguente ipotesi che paesi con Stati forti e società deboli inclinino verso risposte realiste, mentre paesi con Stati deboli e società forti tendano verso risposte liberali.


"Politica di sicurezza e struttura interna"

Entrambi gli approcci, realista e liberale, sono presenti anche nella letteratura sulla politica di sicurezza e, in particolare, in quella inerente al tema della corsa agli armamenti. Evangelista ha comparato le politiche sugli armamenti degli USA e dell'URSS. Egli ha sostenuto che la teoria realista avrebbe previsto che ciascun paese sviluppasse gli armamenti in risposta a quelli dell'altra parte secondo una "dinamica di azione-reazione". L'approccio della politica burocratica liberale prevedeva che l'impulso per il potenziamento degli armamenti sarebbe venuto, senza essere sollecitato, dai laboratori di ricerca bellica, dai fornitori di armi e dall'esercito.

Evangelista ha evidenziato che gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica avevano approcci molto diversi alla politica di sicurezza, basati in parte sulle loro divergenti strutture interne: USA come Stato debole, in cui la frammentazione e decentralizzazione dell'autorità permettono di formulare molteplici imput "botton-up"(dal basso verso l'alto);le iniziative politiche nello Stato Sovietico forte, centralizzato e gerarchico, erano di tipo "top down"(dall'alto verso il basso). Così ci si sarebbe potuti aspettare che la politica degli USA sarebbe stata più vicina al modello della politica burocratica, mentre il comportamento sovietico si sarebbe conformato alle aspettative realiste.


"La struttura interna come variabile interveniente"

Sempre sfruttando l'approccio della struttura interna, Thomas Risse-Kappen effettuò una relazione tra opinione pubblica e politica di sicurezza. Il problema che questi ha cercato di risolvere riguarda il perché, dati atteggiamenti simili nell'opinione pubblica verso le spese militari e le relazioni con l'Unione Sovietica durante la guerra fredda, i governi di quattro democrazie liberali abbiano adottato scelte così differenti nelle politiche inerenti alla sicurezza e all'URSS. La sua risposta è stata che le strutture interne mediano l'opinione pubblica.

Risse-Kappen sostiene che la "struttura interna" si concentri su tre componenti: istituzioni politiche, società e policy-networks.

  1. La natura delle istituzioni politiche riguarda il grado della loro centralizzazione e concentrazione, soprattutto del potere esecutivo
  2. La struttura della società ha a che fare con il suo grado di polarizzazione, la forza dell'organizzazione sociale e il livello al quale la pressione sociale può essere mobilitata
  3. La natura dei processi di costruzione delle coalizioni nei policy-networks unisce Stato e società. Di questi ne esistono tre tipi:

1. In paesi con istituzioni politiche centralizzate ma società polarizzate e organizzazioni sociali deboli, il policy-network è generalmente dominato dallo Stato. (Francia)

2. In paesi caratterizzati da un alto grado di mobilitazione sociale ma con strutture statali deboli, ci si dovrebbe aspettare che la costruzione della coalizione avvenga tra "attori sociali"e che l'opinione pubblica abbia un ruolo decisivo. (USA)

3. In paesi con istituzioni politiche e organizzazioni sociali di pari forza, i policy-network sono caratterizzati da una contrattazione "corporativista" tra attori politici e sociali, che sfocia in politiche "a metà strada". (Germania e Giappone)

Tutte queste caratteristiche hanno contribuito a creare differenti modi attraverso i quali gli Stati hanno risposto alla fine della Guerra fredda.


7. "Interdipendenza, sanzioni economiche e sicurezza nazionale: i temi d'indagine dopo la Guerra fredda"


"Le sanzioni economiche negative: porsi le domande giuste"

Negli anni successivi alla prima guerra mondiale, numerosi studiosi erano convinti che le sanzioni economiche rappresentassero una valida alternativa all'uso della forza militare. Successivi drammatici fallimenti di questa tesi, ha indotto gli studiosi, negli anni '60 e '70, a sostenere una conclusione ancora più pessimistica e cioè che le sanzioni economiche possono provocare dolore e distruzione economica ma che non conducono necessariamente ad un significativo cambiamento politico. Durante gli anni '80 David Baldwin ed altri hanno messo in dubbio questa visione, successivamente contrastata, negli anno '90 dai sostenitori della tesi pessimistica. Si è giunti alla conclusione che il funzionamento o meno delle sanzioni economiche negative "dipenda" da svariati fattori.

Quali sono gli obiettivi delle sanzioni? Alcuni obiettivi sono più ardui di altri. E' più difficile utilizzare le sanzioni per rovesciare un governo sovrano che per indurre quel governo a modificare le sue politiche commerciali o quelle riguardanti i diritti umani. Al crescere della difficoltà degli obiettivi perseguiti, aumenta la probabilità che le sanzioni falliscano.

Bisogna comprendere la logica delle sanzioni, vale a dire il loro funzionamento. Esse comportano l'esercizio di pressioni economiche per produrre un determinato risultato politico, un cambiamento del comportamento del governo bersaglio o un cambiamento del governo bersaglio stesso. La logica suggerisce che quanto più sarà grande il danno che si può infliggere all'economia bersaglio, tanto più alte saranno le probabilità che il governo bersaglio ceda. Ma è stato osservato che questa logica è fallace e ingenua, in quanto una sofferenza economica non si traduce necessariamente in un guadagno politico, perché le sanzioni posso provocare il cosiddetto effetto del "rally around the flag" (es. Fidel Castro).

Il fatto che non ci sia un nesso stretto tra il danno economico e il successo politico ha implicazioni importanti. Spinge a vedere le sanzioni come strumento di "distruzione assicurata". Queste implicano costi alti e colpiscono la popolazione civile del paese bersaglio, trattandola come il nemico nel tentativo di esercitare pressioni sul nemico reale, cioè chi governa.

Ci si domanda se le sanzioni economiche possano essere indirizzate con maggior precisione contro i regimi e i loro sostenitori, cioè se queste possano essere più "intelligenti" per evitare danni collaterali. Ma ciò non è facile.

Molti concordano che le sanzioni multilaterali siano molto più efficaci di quelle unilaterali, in quanto consentono di massimizzare l'effetto della pressione economica e l'isolamento politico del governo bersaglio.

Alcuni peasi bersaglio sono più sensibili di altri? Gli Stati che hanno economie più grandi sono meno vulnerabili rispetto a quelli con economie più ridotte. Tale logica è plausibile anche se si deve sottolineare che spesso paesi bersaglio piccoli e dipendenti resistono efficacemente alle sanzioni. (es. Cuba ecc) Dimostrano che anche economie vulnerabili possono trovare protettori esterni, sfruttare effetti di integrazione politica e ricorrere alla produzione interna. Le democrazie appaiono più vulnerabili perché lo Stato è più responsivo nei confronti della società, i regimi autoritari invece sono meno esposti alla pressione sociale.

Qual è la relazione tra le sanzioni economiche e altri strumenti dell'arte di governo, quali la forza militare o la diplomazia? Le sanzioni dovrebbero essere intese come strumenti alternativi alla forza militare o alla diplomazia. Esse possono diminuire la capacità militare e tecnologica di un bersaglio nell'eventualità di un conflitto. La diplomazia invece, benché le si dedichi sempre poca attenzione, in quanto considerata troppo debole come alternativa alla forza o alle sanzioni,  hanno sempre supportato le sanzioni, fornendo elementi contrattuali e operando in varia maniera.


"La riscoperta delle sanzioni economiche positive"

Gli incentivi economici positivi sono stati riscoperti soprattutto alla luce dell'interdipendenza economica ristabilitasi a livello internazionale alla fine della Guerra fredda. Le sanzioni economiche positive possono essere definite come l'assegnazione o la promessa di assegnazione di benefici economici per indurre cambiamenti nel comportamento dello Stato bersaglio. Esistono due tipi diversi di strumenti di governo positivi:

  1. Il primo comporta la premessa di una concezione economica ben specificata nel tentativo di alterare "una specifica politica estera o interna" del paese bersaglio. Questa può essere definita "linkage positivo specifico". ( USA offre prestiti a Gran Bretagna, Francia e URSS nel periodo postbellico) Le sanzioni specifiche agiscono ad un livello più immediato. Lo Stato sanzionatore calcola che fornire un particolare tipo di ricompensa economica possa essere sufficiente per convincere i policy makers del paese bersaglio a riconsiderare la loro politica estera o interna.
  2. La seconda versione, che si potrebbe chiamare "linkage positivo" o "impegno a lungo termine", comporta lo sforza di impiegare un "flusso continuo" di benefici economici per modificare "l'equilibrio degli interessi politici" nel paese bersaglio. Lo Stato che ricorre alla sanzione positiva spera che un impegno economico sostenuto possa produrre una trasformazione politica e cambiamenti auspicabili nel comportamento del paese bersaglio. (es. le relazioni della Germania nel periodo delle due guerre con i paesi dell'Europa Centrale). Gli impegni di lungo periodo funzionano ad un livello più profondo.  Chi ricorre alla sanzione fornisce nel tempo una serie continua di benefici e quei benefici modificano gradualmente gli interessi politici interni dello Stato bersaglio. La genesi di questa idea può essere individuata nel lavoro di Albert Hirschman. (ved pag. 153-4)

"Interdipendenza, guerra e pace: quali connessioni?"

I liberali sostengono che l'interdipendenza economica diminuisca gli incentivi al conflitto e alla guerra, poiché unisce più strettamente le persone e aumenta i costi  della rottura economica.(Mansfield)

I realisti sostengono che questa conduca più probabilmente al conflitto, in quanto aumenta il potenziale di frizione politica e smaschera la vulnerabilità degli attori insicuri in un contesto anarchico. Un secondo filone realista sostiene che l'interdipendenza non produce un effetto sistematico sul verificarsi della guerra o della pace. (Uchitel e Liberman)




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