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Il contributo della società civile: cooperazione non governativa e Fair Trade

economia



Il contributo della società civile: cooperazione non governativa e Fair Trade

La mobilitazione della società civile nella direzione della cooperazione allo sviluppo si è manifestata attraverso una quantità di organizzazioni private senza scopo di lucro, di associazioni di volontariato, di gruppi formali, comunemente definiti "organizzazioni non governative" (ONG). Tale denominazione proviene dalla Carta delle Nazioni Unite, che con l'articolo 71 autorizza il Consiglio economico e sociale a stabilire relazioni con le ONG. Si 949g67j è trattato del riconoscimento ufficiale di organismi a carattere non governativo, e cioè frutto di iniziative private.

Le ONG rientrano nell'area sociale delle organizzazioni non profit, ma sono legate essenzialmente alla cooperazione e alla solidarietà internazionale, ed esistono già dagli anni Sessanta, sia nel Sud che nel Nord del mondo; tuttavia è nell'ultimo decennio che si è assistito ad una straordinaria crescita del fenomeno. Tale crescita può essere letta come una delle risposte della società agli effetti destrutturanti del mercato mondiale. Attualmente nei paesi dell'OCSE le ONG sono più di 7000, mentre al Sud sono circa 50000[1].



La fisionomia delle organizzazioni è differente sia come dimensioni sia come origini: alcune sono di chiara ispirazione religiosa, altre hanno un carattere più specificamente politico, così come, riguardo alla struttura, alcune sono di piccole dimensioni, mentre altre sono organismi molto estesi.

L'incremento del numero delle organizzazioni attive nel Nord dimostra come lo sviluppo sostenibile possa essere considerato una responsabilità istituzionale condivisa dai governi e dalla società civile. D'altra parte una politica di cooperazione allo sviluppo adeguata alle esigenze attuali dei paesi del Sud, flessibile e innovativa, può trarre giovamento da un'unione degli sforzi e da un rapporto di collaborazione tra istituzioni e organizzazioni private.

Gli interventi delle ONG possono aumentare la loro efficacia se i loro micro-interventi sono coordinati con i macro-interventi dei governi. Le attività delle ONG spesso si strutturano intorno ad una rete capillare di micro-progetti a livello di villaggio, attuati con la partecipazione delle popolazioni locali. Questa modalità di intervento offre opportunità inedite per la realizzazione di un intervento mirato, e basato su una conoscenza delle necessità reali espresse dalla popolazione.

E' altresì importante, ai fini della costruzione di un intervento efficace, lo sviluppo di un miglior coordinamento fra ONG che lavorano nello stesso paese e territorio. Questo elemento rimanda direttamente all'esigenza di networking, tipica di una dimensione come quella del terzo settore. L'esistenza di una molteplicità di soggetti attivi al suo interno, infatti, richiede il maggior grado possibile di coordinamento, come dimostrano le reti già avviate o in via di costruzione. E' evidente, infatti, che pur trattandosi di soggetti autonomi e dotati di una propria specificità, il campo d'azione e le finalità sociali li accomunano, fatto che costituisce una straordinaria risorsa per lo sviluppo di sinergie e per la forza e l'impatto sociale da esso creato.

Nel caso delle ONG l'avviamento di progetti condivisi e che si avvalgano del contributo di molteplici soggetti può non solo evitare lo spreco di energie e sovrapposizioni di intervento, ma migliorare l'azione, in termini sia qualitativi che quantitativi.

Le stesse organizzazioni di commercio equo traggono beneficio dalla presenza in loco di ONG, che possono attuare sopralluoghi e mettere a disposizione le conoscenze apprese a contatto diretto con le popolazioni del Sud. Il commercio equo, d'altra parte, costruisce la propria azione a partire da una relazione contestuale e dialogica con i produttori, nell'ottica di una riduzione dello "scarto di informazione" tra questi ultimi e i consumatori.

Il valore del fair trade, tuttavia, non è solo quello di restringere le distanze tra luoghi di produzione e luoghi di consumo, tipiche del mercato capitalistico. Il commercio equo, infatti, ha dato vita ad una forma di cooperazione allo sviluppo del tutto insolita, mettendo i beneficiari del sostegno in una condizione non di "assistito", subordinato a progetti stabiliti a migliaia di chilometri di distanza, bensì di protagonista consapevole del proprio autosviluppo. Il produttore che decide di prendere parte alla rete del commercio equo guadagna un accesso in qualche modo privilegiato a mercati a lui altrimenti preclusi, ma sulla base della propria libera offerta di lavoro. Ciò significa favorire una relazione paritaria, fondata su un interscambio non solo economico, ma anche culturale, ricco di implicazioni sia per il produttore che per il consumatore etico. Quest'ultimo, infatti, si trova in tal modo impegnato direttamente in una forma di cooperazione allo sviluppo, dimostrando come sia possibile allargare le dimensioni di "aiuto all'autosviluppo", attraverso gesti quotidiani compiuti dalla società civile.



Smillie [1995]




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