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Il commercio equo e solidale al Parlamento Europeo

economia



Il commercio equo e solidale al Parlamento Europeo

Il miglioramento delle ragioni di scambio per i paesi del Sud, all'interno del circuito commerciale globale, può essere ottenuto solo a partire da politiche concertate a livello internazionale e comunitario. In quest'ambito più che mai, infatti, un'azione coordinata e promossa a livello istituzionale è l'unico mezzo possibile per offrire visibilità ed opportunità di realizzazione ad obiettivi che coinvolgono in profondità le relazioni socio-economiche.

In questa prospettiva si collocano le aspirazioni del movimento equo ad acquisire una propria identità all'interno delle istituzioni europee. Diversi deputati hanno appoggiato e promosso la causa del commercio equo nell'ambito del Parlamento Europeo, attraverso risoluzioni e comunicazioni che mettono in luce i 131i87b l ruolo svolto dal fair trade all'interno della cooperazione allo sviluppo. Si tratta indubbiamente di un riconoscimento ufficiale delle potenzialità insite nella società civile, nell'ambito di settori che ormai non possono più essere considerati di competenza esclusivamente governativa. Già dall'inizio degli anni Novanta, d'altra parte, la Commissione Europea aveva sostenuto diversi progetti presentati da ONG nel campo dell'educazione allo sviluppo, elemento essenziale dell'attività che le organizzazioni della società civile svolgono in relazione alla promozione della coscienza sui temi dello sviluppo.



La sensibilizzazione dei politici sul tema del commercio equo è avvenuta anche attraverso la tenuta nella sede del Parlamento Europeo a Bruxelles del Fair Trade day. Inoltre, dal 1994, il caffè servito all'interno degli edifici parlamentari proviene dal circuito equo. Tale pratica si è diffusa poi all'interno di molti paesi membri dell'Unione Europea, tra cui l'Italia, in cui la buvette del palazzo di Montecitorio, sede del Parlamento, serve prodotti equi.

La prima risoluzione approvata dal Parlamento Europeo sulla promozione del commercio equo e solidale fra Nord e Sud, elaborata da Alex Langer, risale al 19 gennaio 1994. In essa si esorta la Comunità europea a sostenere le iniziative del commercio equo, stanziando fondi e inserendo il fair trade nella politica comunitaria di cooperazione allo sviluppo. La risoluzione Langer, in particolare, "auspica che nel bilancio comunitario venga inserita una linea specifica per il Commercio Equo e Solidale e che venga creato presso la commissione uno sportello per il miglioramento della commercializzazione del fair trade e per l'informazione in merito". Inoltre si raccomanda il riconoscimento e la difesa di un marchio di qualità per i prodotti equi.

L'interesse per il movimento del commercio equo e solidale si è manifestato nella crescita dei finanziamenti ai progetti di fair trade. Tra il 1992 e il 1995 la Commissione ha cofinanziato 28 progetti in 11 Stati europei, per un importo complessivo di 3,6 milioni di euro. Nel 1996 sono stati finanziati 16 progetti per un totale di 1.925.000 euro, mentre nel 1997 la Commissione ha stanziato 2.911.511 euro a sostegno di 15 progetti di sensibilizzazione al commercio equo e solidale[1]. Altri contributi finanziari della comunità sono andati a beneficio di tre progetti per il consumo socialmente responsabile, che comprendono alcune iniziative in materia di fair trade. Due di questi erano relativi alla sensibilizzazione dei consumatori, mentre il terzo riguardava l'elaborazione di una guida del consumatore alla "spesa sostenibile".

Nello stesso anno il Comitato Economico e Sociale della Comunità europea si era espresso in merito al movimento "European Fair Trade Marking", relativo alla necessità di un sistema di certificazione indipendente, tale da offrire garanzie sia sul piano del rispetto dei diritti dei produttori che su quello della salvaguardia dell'ambiente e della qualità della merce.

Nell'ottobre del 1997 l'Assemblea paritetica tra i Paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP) e l'Unione Europea,

uniti in un accordo di cooperazione attraverso la Convenzione di Lomè, ha approvato una risoluzione chiedendo all'UE di offrire un accesso privilegiato alle banane eque e solidali sul mercato comunitario. L'indagine di Eurobarometro "Atteggiamenti dei consumatori UE nei confronti delle banane Fair Trade", svolta all'inizio del 1997, aveva rilevato come il 74% degli europei si fosse dichiarata disponibile a comprare banane eque, se fossero state facilmente reperibili sul mercato. Nell'aprile 1999 il Consiglio ha adottato un regolamento che stabilisce un quadro di sostegno ai fornitori di banane ACP tradizionali, regolamento in cui si accenna alla possibilità di finanziare iniziative in materia di commercio equo.

La seconda risoluzione in materia di commercio equo è la 198/98, proposta dall'europarlamentare Raimondo Fassa e approvata dal Parlamento Europeo il 2 luglio 1998. Nella risoluzione si considera il commercio equo strumento utile alla promozione dello sviluppo nei paesi del Sud, e ne viene sottolineata l'opera di sensibilizzazione in merito ai rapporti Nord-Sud "attraverso il rafforzamento della cooperazione da cittadino a cittadino"[2]. Nel documento si dichiara, inoltre, che è necessario stabilire criteri comuni "in merito a quanto costituisca commercio equo e solidale", criteri che hanno trovato in seguito espressione nella "Carta dei Criteri" , ratificata dalle organizzazioni di commercio equo nell'ottobre del 1999. Alcune delle richieste contenute nella risoluzione riguardano sia l'integrazione del commercio equo nella politica estera, di cooperazione allo sviluppo e commerciale dell'Unione Europea, attraverso il sostegno ai progetti e la creazione di una linea distinta di bilancio per il fair trade, sia l'opportunità di favorire il coordinamento fra i vari importatori europei, in modo da creare un unico interlocutore con le istituzioni europee.

Nel 1999 la Comunicazione 619 della Commissione al Consiglio sul

commercio equo e solidale[4] ha riproposto la discussione in materia di iniziative commerciali eque. Nel documento si affronta il tema della compatibilità tra sostegno a iniziative di commercio equo e partecipazione all'Organizzazione mondiale del commercio (WTO), la cui fondazione nel 1995 aveva portato a compimento il processo di riduzione delle barriere commerciali, portato avanti nelle sedute del GATT. Nella Comunicazione, dunque, si dichiara che "fin tanto che le iniziative C.E.S. restano a carattere privato e vengono realizzate a titolo volontario, il C.E.S. può considerarsi compatibile con un sistema commerciale multilaterale non discriminatorio, in quanto non impone restrizioni alle importazioni o altre forme di protezionismo". D'altra parte l'istituzione di un sistema commerciale più liberale aveva sollevato dubbi, in sede di costituzione del WTO, riguardo alle opportunità di crescita dei paesi in via di sviluppo in un ambiente commerciale più aperto. Tali perplessità avevano portato alla dichiarazione, da parte dei firmatari dell'accordo di istituzione del WTO, della necessità di sostenere l'espansione del commercio e le possibilità di investimento dei paesi del Sud.

In questo ambito si è quindi creato lo spazio per il sostegno alle iniziative di commercio equo e solidale, ritenuto strumento favorevole alla partecipazione dei produttori dei paesi in via di sviluppo alle opportunità offerte dalla mondializzazione del commercio.



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