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E' opinione diffusa che una vera e propria teoria delle organizzazioni non profit non esista ancora1. Ciò può non essere sorprendente se si considera il dibattito ancora in atto riguardo il tentativo di delimitare il fenomeno non profit e conseguentemente di classificare la categoria delle organizzazioni non profit. Le tante definizioni di volta in volta utilizzate mettono in evidenza un unico aspetto specifico del non profit in quanto strumentale a particolari obiettivi di ricerca, esiste quindi una notevole confusione terminologica. Tutti i tentativi sin qui espletati possono essere riassunti in due filoni principali. Il primo si basa su una concezione del fenomeno non profit quale area di soggetti , esso quindi definisce l'organizzazione non profit il cui aggregato delimita il settore non profit; secondo una definizione internazionale, che è comunemente la più seguita, "attributi indispensabili affinché si possa parlare di organizzazione non profit sono i seguenti cinque:
Costituzione formale,
Natura giuridica privata,
Autogoverno o autonomia decisionale,
Assenza di distribuzione degli utili,
Presenza di una certa quantità di lavoro volontario"3.
La concretezza di questo approccio è riscontrabile soprattutto nelle indagini statistiche, le quali, solo negli ultimi anni, hanno trovato il giusto spazio e un'adeguata attenzione da parte della dottrina. Il secondo filone, invece, muove da una concezione del fenomeno non profit quale area di azione4; un soggetto, indipendentemente dalla sua natura, rientrerà nell'ambito del non profit nel momento in cui la sua azione presenterà determinate caratteristiche. La corrente più seguita definisce non profit "un'azione collettiva, promossa e realizzata nell'ambito di un progetto sociale da un soggetto capace di anteporre i fini sociali ai mezzi e in grado di controllare strumenti e mezzi operativi" . Sebbene apparentemente complessa, tale definizione evidenzia come un'azione non profit debba essere finalizzata alla promozione del benessere sociale, continua e organizzata al di là della natura giuridica o economica del soggetto proponente. Questo è molto importante nell'ambito del dibattito attorno al ruolo delle organizzazioni non profit, poiché si sottolinea l'importanza di questa nuova forma di aggregazione quale manifestazione di una rinnovata coscienza sociale. Molte teorie tendono a vedere nello Stato e nelle istituzioni del mercato gli attori principali dell'organizzazione sociale: il primo finalizzato a regolare la convivenza civile e a farsi carico di soddisfare determinati bisogni mediante la produzione e distribuzione di beni pubblici e collettivi; il mercato, invece, quale espressione della libertà d'azione, diretto alla creazione di profitto attraverso la produzione e distribuzione di beni privati. Sembra dunque non esserci posto per un terzo settore, il non profit. Negli ultimi anni, però, nuovi fattori giustificano la necessità dell'esistenza di organizzazioni non profit: innanzitutto lo sviluppo della domanda di beni relazionali , ovvero quei beni la cui utilità non risiede tanto nel contenuto oggettivo, bensì nell'interazione umana e personale che si instaura tra le due parti: basti pensare per esempio al bisogno di sicurezza e attenzione sociale di un malato lungodegente ricoverato in una struttura residenziale, in questo caso la domanda del paziente va al di là delle cure mediche. Un altro fattore è la necessita di collaborazione da parte dello Stato: esso infatti presenta alcune rigidità, dovute al funzionamento basato su norme e procedure, al bisogno di legittimazione , che riducono il libero ed efficiente svolgimento di determinate attività. Il terzo settore, invece, non gravato da alcun bisogno di legittimazione, può integrare l'azione dello Stato e può farlo in maniera più efficiente rispetto al mercato e alle sue istituzioni. Questo perché la particolarità dei campi di intervento permette alle organizzazioni non profit di sfruttare una sorta di "vantaggio competitivo" dato dal fenomeno del volontariato, dalla motivazione del personale, dalle varie forme di agevolazioni, dalle donazioni. Rinviando il discorso sulla necessaria efficienza gestionale delle organizzazioni non profit si può vedere nel terzo settore un partner ideale per lo Stato. D'altra parte anche il mercato può trarre beneficio dall'esistenza di un settore non profit organizzato e ben sviluppato; le imprese for profit sono potenzialmente in grado di produrre e distribuire qualsiasi tipo di bene, a patto però che siano comunque garantite le condizioni di profittabilità: si possono avere cliniche private, teatri privati e tanti altri esempi. La finalità economica, però, copre solo una parte della domanda, lasciando insoddisfatta quella delle fasce più deboli. Ecco quindi che il terzo settore, capace di sfruttare il vantaggio competitivo suddetto, può intervenire realizzando così anche una funzione redistributiva.
Sebbene si faccia riferimento al terzo settore come ad un aggregato residuale rispetto allo Stato e al mercato8, la sua utilità distintiva ne rivaluta il ruolo promuovendolo ad attore protagonista dei futuri scenari sociali ed economici. Questa concezione marginale delle non profit viene meno nel momento in cui all'indispensabilità si affianca un eccezionale sviluppo non solo economico, ma anche occupazionale come si avrà modo di vedere. Ciò non toglie, però, come allo stato attuale il terzo settore non sia in grado di sopportare la responsabilità a cui è chiamato; al di là delle lacune legislative, desta non poca preoccupazione il ritardo con cui le organizzazioni non profit acquisiscono quelle capacità organizzative e manageriali che permettono loro di sfruttare il vantaggio competitivo suddetto. Questo vuol dire che oltre ai ruoli sopra descritti il terzo settore ha un altro obiettivo, che inoltre appare decisamente più urgente: trasformare le proprie istituzioni in organizzazioni dinamiche, aperte all'ambiente esterno, efficienti e soprattutto consapevoli delle grandi potenzialità insite nelle collaborazioni, a livello di logiche gestionali e finanziarie, con il mondo economico-aziendale attraverso sia le sue istituzioni, quali le imprese, che il reclutamento integrativo di personale dirigenziale specializzato, esistente anche in chiave volontaria .
La mancanza di un approccio unitario allo studio del terzo settore mostra i suoi effetti anche nell'ambito delle rilevazioni statistiche finalizzate a misurare l'importanza di questo fenomeno. Il terzo settore è cresciuto a tassi esponenziali negli ultimi venti anni, in concomitanza con l'insorgere della crisi del welfare state, tanto da far pensare ad una inversa proporzionalità tra spessore del settore non profit e ruolo dello Stato nella produzione e distribuzione di beni pubblici e collettivi. In Italia, una ricerca effettuata nell'ambito di un progetto internazionale e i cui dati risalgono al 1991, ha evidenziato come le dimensioni del terzo settore abbiano raggiunto livelli estremamente importanti. Un testimonianza è data dal livello occupazionale il quale mostra valori simili a quello del settore bancario e assicurativo:
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occupati |
volontari |
totale |
Valore assoluto (unità t.p.) |
418.128 |
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% occupazione totale |
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%occupazione servizi |
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Occorre considerare, però, che per quanto riguarda i volontari, questi sono stati considerati a livello di unità standard, per cui il loro numero effettivo è notevolmente superiore: Questo dimostra, e sarà approfondito più avanti, come il non profit sia molto diffuso tra la popolazione. Analizzando questi dati a livello comparativo, si nota come l'Italia sia indietro rispetto agli altri paesi occidentali dove si riscontrano livelli occupazionali maggiori:
PAESE |
%occupazione totale |
Stati Uniti |
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Francia |
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Gran Bretagna |
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Giappone |
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Italia |
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Altri due indicatori dimensionali appaiono rilevanti e sono: il rapporto tra le spese correnti del settore non profit e il PIL italiano; il rapporto tra il valore aggiunto generato dal terzo settore e il PIL quale somma dei valori aggiunti creati dai diversi settori dell'economia:
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Spese correnti |
Valore aggiunto |
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Degli occupati |
Stima volontari |
totale |
Valore assoluto (mld lire) |
26.607 |
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% sul valore aggiunto: intera economia dei servizi |
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Riguardo il livello di spese correnti sarebbe più opportuno confrontarlo non con il PIL bensì con il livello delle spese correnti dello Stato, escludendo il pagamento degli interessi passivi sul debito pubblico e la spesa per prestazioni previdenziali, poiché le due aree si sovrappongono in maniera notevole. In questo caso l'attività del terzo settore è pari al 7% di quella pubblica con una tendenza in forte rialzo. Sul valore aggiunto riscontrato occorre fare delle precisazioni; esso ha un peso inferiore a quello occupazionale per tre ragioni: la prima è che nel terzo settore il livello delle retribuzioni è mediamente più basso rispetto ai canoni di mercato; il secondo riguarda il basso apporto di capitale; il terzo fa riferimento alla mancanza di avanzi di gestione riscontrabile nella maggior parte delle organizzazioni. Occorre, però, porre attenzione all'apporto dei volontari, i quali seppur non remunerati, contribuiscono in modo determinante all'attività delle organizzazioni; per cui se si valutano le prestazioni dei volontari mediante le retribuzioni spettanti agli occupati, il valore aggiunto del terzo settore ha lo stesso peso del livello occupazionale.
Un dato molto importante è la ripartizione settoriale degli occupati, dei volontari, delle spese e del valore aggiunto, in quanto mostra la netta tendenza del terzo settore italiano a svilupparsi nelle aree tipiche del welfare state; aree nelle quali vengono evidenziate: la funzione di integrazione del non profit all'attività dello Stato, le maggiori potenzialità di sviluppo ed efficienza rispetto alle istituzioni di mercato quali le imprese, ma soprattutto la necessità da parte delle organizzazioni non profit di assimilare quelle logiche gestionali capaci di indirizzarle sulla via dell'efficienza economica posta al servizio della massimizzazione dell'efficacia sociale. Sono aree molto critiche, soprattutto dal punto di vista finanziario, in quanto qui si esplica la funzione di redistribuzione della ricchezza in cui lo Stato ha fallito e dove il terzo settore può riuscire a patto di sfruttare le grandi potenzialità offertegli dalle logiche della finanza aziendale.
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occupati |
volontari |
spese |
Val..agg. occupati |
Val..agg.. volontari |
Val. agg totale. |
% sul totale |
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Cultura e ricreazione |
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Istruzione e ricerca |
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sanità |
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Servizi sociali |
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Ambientalismo |
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Comunità locale |
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Diritti civili |
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Intermed. filantrop |
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Attività internazionali |
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Org. prof. |
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Settore non profit |
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Come si vede, quindi, i comparti dell'assistenza sociale, dell'educazione e ricerca, della sanità e della cultura e ricreazione coprono circa il 75% del settore non profit. In queste aree divengono fondamentali le forme di collaborazione con lo Stato e il mercato. La cooperazione con lo Stato non deve limitarsi allo stanziamento di fondi, bensì prevedere per il terzo settore un ruolo attivo, consultivo nelle elaborazioni delle politiche sociali al pari dei sindacati e delle organizzazioni imprenditoriali. D'altra parte in queste aree, dove la domanda è in crescita sia a livello quantitativo che qualitativo, le organizzazioni non profit possono trarre non pochi benefici riprendendo e adattando i canoni gestionali delle imprese di mercato.
Le organizzazioni non profit, sia a livello aggregato che singolarmente prese, evidenziano un problema che può frenarne lo sviluppo: la disponibilità e la continuità delle fonti di finanziamento; i motivi per cui essi sono ritenuti punti deboli possono essere tanti. Sebbene le organizzazioni non profit riescano a soddisfare circa un terzo del proprio fabbisogno di capitale mediante i ricavi ottenuti dalla vendita di beni e servizi si manifesta una costante difficoltà ad attrarre capitale di rischio visti i vincoli alla distribuzione di avanzi di gestione e la predestinazione del capitale in caso di scioglimento. Altrettanto importante è l'insistenza con la quale le organizzazioni non profit cercano il sostegno dello Stato attraverso il sistema dei finanziamenti pubblici senza tenere conto dei rischi relativi alla mancata diversificazione delle fonti. Diversificazione che però è ostacolata da due fattori: la diffidenza da parte dei dirigenti delle organizzazioni non profit verso il fund raising e le difficoltà di accesso al capitale di credito. La seguente tabella mostra l'importanza delle diverse fonti di finanziamento :
Sett. Non profit |
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% delle entrate totali |
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Contratti e convenzioni |
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Trasferimenti a fondo perduto |
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Pagamenti indiretti |
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Totale entrate pubbliche |
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Donazioni |
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Vendita beni e servizi |
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Quote di iscrizione |
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Redditi da capitale |
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Altri redditi |
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Totale entrate private |
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Totale entrate (miliardi) |
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Si nota come le organizzazioni non profit abbiano una certa tendenza alla commercializzazione, ovvero riescono a finanziarsi tramite i ricavi di vendita. Occorre, però, distinguere i ricavi ottenuti da attività commerciali marginali e di supporto finanziario a quella istituzionale da quelli ottenuti attraverso il ricarico sul costo direttamente nelle attività istituzionali. Ad esempio nel campo della formazione i ricavi presenti sono del secondo tipo, mentre nell'ambientalismo, nella cultura si riscontra maggiormente il fenomeno delle attività di supporto. Nell'ambito delle aree critiche, quali quelle appartenenti al sistema di welfare, i ricavi dovuti ai ricarichi sui costi possono rappresentare una realizzazione della funzione di redistribuzione della ricchezza, propria del welfare, poiché la maggiorazione di prezzo verso coloro che manifestano condizioni economiche più favorevoli può consentire l'accesso ai servizi ai più disagiati. Tornando alle difficoltà finanziarie del terzo settore è necessario fare delle considerazioni sul difficile rapporto esistente tra organizzazioni non profit e istituzioni bancarie. Lo status giuridico di tali organizzazioni, come si è visto, non favorisce l'afflusso di capitale di rischio e ciò porta ad una loro scarsa dotazione patrimoniale, un basso livello di investimenti (la spesa per investimenti non supera il 7% del totale) e una bassa redditività. Quest'ultima, oltre a non rientrare negli obiettivi primari rappresenta un vincolo per l'accesso al capitale di credito, poiché le banche, basano le proprie politiche di affidamento su due elementi di cui le organizzazioni non profit sono prive: garanzia patrimoniali e la stessa redditività13. Tra terzo settore e istituzioni creditizie si viene quindi a creare un circolo vizioso di difficile soluzione. Oggi, però, si sta diffondendo un nuovo approccio alla soluzione del problema finanziario del non profit, si stanno infatti ponendo le basi per nuovi circuiti finanziari, definiti di "finanza etica" , i quali trovano espressione in istituzioni creditizie e finanziarie tradizionali e specializzate che offrono nuovi servizi finanziari. Questi nuovi strumenti, al di là delle varie tipologie quali conti correnti etici, certificati di deposito etici, fondi di investimento etici ed altri ancora, possono essere classificati in due gruppi. Il primo è dato da servizi finanziari come quelli appena illustrati i cui rendimenti, o parte di questi, vengono canalizzati con l'approvazione dei risparmiatori verso le organizzazioni non profit . In questo caso le banche o altri intermediari finanziari, nell'ambito della loro consueta gestione mirata alla massimizzazione del profitto, suggeriscono ai propri clienti risparmiatori di devolvere parte dei loro rendimenti a organizzazioni non profit mettendo a disposizione la loro struttura così da facilitare l'afflusso di risorse verso tali organizzazioni. La titolarità della scelta di finanziare o meno è sempre del risparmiatore; la banca attraverso un opera di promozione funge da vettore. Il secondo gruppo è, invece, dato da quei servizi finanziari che impiegano nel settore non profit, a condizioni agevolate, i risparmi stessi dei risparmiatori i quali saranno disponibili ad accettare rendimenti mediamente inferiori a quelli di mercato . Dal punto di vista del risparmiatore questi due gruppi di strumenti etici differiscono di poco: nel primo si devolvono parte dei rendimenti ottenuti, che sono comunque a livello di mercato; nel secondo investono in attività in cui rendimenti sono più bassi di quelli di mercato, ma, sostanzialmente, al fine di donare, il risparmiatore accetta di lucrare meno dai propri risparmi. L'unica obiezione che si potrebbe muovere è il grado di rischio dei servizi appartenenti al secondo gruppo: stando però ai dati , le organizzazioni non profit attraverso questi finanziamenti a condizioni agevolate, mostrano una solvibilità maggiore rispetto ai clienti tradizionali delle banche, per cui questa obiezione non trova conferme. Dal punto di vista delle organizzazioni non profit, invece, la differenza tra i due gruppi di strumenti è assai più rilevante. La donazione dei rendimenti rappresenta una fonte importante, ma soprattutto con costi minimi, poiché le organizzazioni non profit hanno la possibilità di appoggiarsi gratuitamente alle strutture bancarie e alla rinomata esperienza delle banche di intrattenere rapporti con i risparmiatori e di influenzare le loro scelte. Le organizzazioni da parte loro, oltre ad essere meritevoli sul piano gestionale e sociale della fiducia delle banche, possono investire i risparmi di costo nella struttura o nella propria immagine. Riguardo gli strumenti che prevedono l'impiego del risparmio per finanziare il terzo settore a titolo di credito, e in qualche circostanza di capitale di rischio, le organizzazioni non profit si trovano di fronte ad una fonte di finanziamento nuova, viste le difficoltà di cui si è già parlato, e a condizioni più favorevoli rispetto a quelle di mercato. Inoltre per quanto riguarda le garanzie, occorrerebbe incentivare lo sviluppo di un circuito parallelo di consorzi a cui partecipano gli enti non profit, detti consorzi fidi, finalizzati a raccogliere risorse presso le organizzazioni stesse per costituire un fondo che funga dal garanzia verso le istituzioni creditizie a fronte dei finanziamenti erogati. Inoltre, l'accesso ai finanziamenti stimola, o meglio costringe, le organizzazioni finanziate non solo a perseguire fini di utilità sociale, ma anche a legare la propria gestione a criteri di efficienza, e ciò per due motivi: le organizzazioni devono risultare solvibili; le istruttorie relative alla concessione dei finanziamenti oltre a verificare la socialità dei progetti, esaminano anche la solidità economica e finanziaria del richiedente.
Come si è visto dalla tabella nel paragrafo precedente, le entrate pubbliche soddisfano circa il 50% del fabbisogno di capitale manifestato dalle organizzazioni non profit. Il legame tra Stato e organizzazioni non profit è comunque in evoluzione. Negli anni '70 e '80 esisteva il fenomeno dei finanziamenti a pioggia, a fondo perduto; un sistema di finanziamenti diretto alla ricerca di legittimazione da parte della classe politica piuttosto che alla risoluzione di problemi sociali18. Questi finanziamenti non erano legati ad alcuna controprestazione da parte delle non profit, essi sostenevano il terzo settore in quanto tale, meritevole di un appoggio dello Stato. Negli anni '90, invece, iniziano a prevalere i vincoli di bilancio all'azione dello Stato, vengono alla ribalta importanti scandali politici, si inizia a premere per una riforma del sistema di welfare, l'ecologia diventa uno dei nuovi problemi del decennio; tutto questo, ed altri fenomeni ancora, cambia il rapporto finanziario tra lo Stato e il terzo settore: Infatti, oggi, la fonte pubblica principale è data dai contratti e dalle convenzioni, ovvero finanziamenti a fronte di una prestazione di servizi da parte delle organizzazioni non profit. Le modalità tecniche di questa forma, però, vengono comunque criticate poiché non incentivano le organizzazioni non profit all'efficienza e permettono alla pubblica amministrazione di godere di margini di discrezionalità ancora ampi. A gran voce viene acclamata la forma del contracting out , attraverso la quale si procede a gare di appalto secondo criteri incentivanti sia la minimizzazione dei costi che la massimizzazione della qualità. Occorre mettere in evidenza che, sebbene lo Stato stia mutando il proprio ruolo, le organizzazioni restano in uno stato inerziale; in nome di legami storici esse sembrano sottovalutare le opportunità offerte dalla cittadinanza, continuando a richiedere l'appoggio dello Stato ostentando la finalità sociale delle proprie attività. Un esempio di questo fenomeno è dato dalle difficoltà con cui le organizzazioni non profit ottengono finanziamenti dalla Comunità Europea la quale giustamente pretende oltre alla finalità sociale, la capacità organizzativa di raggiungere tali scopi. Le organizzazioni non profit italiane sono un po' indietro in questo senso. Lo stretto legame con la pubblica amministrazione, oltre ad essere un'ampia fonte di finanziamento, rappresenta una pericolosa fonte di burocrazia e inefficienza che impedisce al terzo settore di ricoprire il ruolo di integratore efficiente dell'azione sociale dello Stato. Le organizzazioni non profit sono un fenomeno della società, seppur interagente con Stato e mercato, per cui è con la società che occorre sviluppare legami, anche finanziari. I finanziamenti statali sono molto importanti, soprattutto se manifestazione della separazione delle funzioni di finanziatore ed erogatore di servizi rispettivamente in capo alla Stato e al terzo settore ; essi, però, non devono essere tali da trasformare il settore non profit in una diretta continuazione della pubblica amministrazione. Occorre, inoltre, rilevare che la dipendenza finanziaria dal settore pubblico limita la capacità evolutiva delle organizzazioni non profit; queste, infatti, sono prive del controllo sia qualitativo che quantitativo sulla fonte pubblica, per cui perdono anche la capacità di controllare la propria dinamica evolutiva. Una gestione dinamica richiede il controllo delle variabili fondamentali, tra le quali rientrano la definizione dei fabbisogni di capitale e la scelta delle fonti idonee a soddisfarli; in questi termini, l'eccessiva dipendenza dallo Stato rappresenta un freno allo sviluppo.
L'articolazione delle fonti di finanziamento sembra non lasciare molto spazio al fund raising; in effetti questa fonte contribuisce solo per il 5% alla copertura del fabbisogno finanziario delle non profit. Ma anche in paesi ritenuti da questo punto di vista più evoluti, come gli Stati Uniti, essa non supera il 19%, mentre la media internazionale si attesta attorno al 10%. Resta comunque in evidenza che in Italia il fund raising è non poco trascurato. Comunemente si ritiene il fund raising21 come l'attività di raccolta fondi presso il pubblico; questo però è un approccio abbastanza limitato. I cittadini rappresentano un vasto bacino di potenziali donatori, ne è testimonianza il rapido sviluppo della finanza etica. Questo bacino non viene tenuto in debita considerazione da parte delle organizzazioni non profit, o meglio queste ritengono che, da sola, loro esistenza dovrebbe far leva sul senso di solidarietà del pubblico. Le imprese commerciali sanno bene quanto si sia evoluta la categoria dei consumatori e per questo investono buona parte delle loro disponibilità in attività di marketing con lo scopo di studiare il consumatore attraverso l'analisi dei suoi bisogni, attrarlo e fidelizzarlo. Dal canto loro, le organizzazioni non profit, seppur manifestazione di una nuova coscienza sociale, tendono a separarsi dal pubblico confondendo il fund raising con l'elemosinare fondi. Il potenziale bacino di donatori non è solo fonte di finanziamento, ma fonte di stabilità finanziaria; il fund raising mira proprio alla realizzazione di questo legame. Ma tale legame richiede, da parte delle organizzazioni non profit, un avvicinamento alle logiche del marketing, finalizzato alla conoscenza dei potenziali donatori, alle loro necessità e al modo di avvicinarli all'organizzazione. Il marketing sociale , ovvero quell'insieme di tecniche e principi finalizzati alla promozione di un'idea o di un comportamento sociale, è un mezzo per educare i cittadini all'importanza del benessere e della convivenza sociale. Il fund raising nasce dalle logiche del marketing sociale; esso significa: comunicare, sensibilizzare un pubblico vastissimo, educare informare, reperire con continuità risorse per raggiungere gli obiettivi. Ma soprattutto vuol dire collaborare con il pubblico, renderlo partecipe di un progetto sociale, concedergli la possibilità di intervenire attivamente nella società; per questo il fund raising non è solo fonte di finanziamento, non è solo donazione. Come si è detto poc'anzi esso può essere fonte di stabilità finanziaria, in quanto il rapporto tra organizzazione e donatore si basa su un processo continuo di informazione, comunicazione, collaborazione. Il rapporto con il pubblico copre una tale importanza che oggi si parla anche di people raising , ovvero la ricerca di volontari o comunque di forme di collaborazione durevole. Essi rappresentano una risorsa fondamentale, in quanto, uniscono alla forte motivazione il loro status di dipendenti particolari: infatti possono essere visti come dipendenti che devolvono all'organizzazione l'intera retribuzione: Tornando al fund raising, esso, in un'accezione più tecnica, va inteso come "attività strategica di reperimento di risorse finanziarie volte a garantire la sostenibilità di un'organizzazione nel tempo, affermando verso una molteplicità di interlocutori, la verità sociale dell'organizzazione stessa" . La connotazione strategica pone in evidenza come tale attività sia direttamente legata alla realizzazione delle finalità sociali in quanto fonte di energia dell'organizzazione stessa. Inoltre la molteplicità di interlocutori verso cui si rivolge non si limita al pubblico, ma anche alle imprese. Queste ultime, oltre a rappresentare un sostegno finanziario, assurgono a ruolo di guida sulla via dell'efficienza, nell'ambito della collaborazione sociale a cui si è fatto riferimento all'inizio di questo studio. Il "volontariato d'impresa" è un fenomeno da molti indicato quale possibile soluzione ai problemi gestionali delle non profit; esistono oggi iniziative di manager, manager in pensione ecc., che si pongono al servizio di organizzazioni non profit al fine di rendere più efficiente la gestione. D'altra parte questo scambio di conoscenze potrebbe essere bidirezionale, così da sensibilizzare le imprese a particolari aspetti dell'utilità sociale, come ad esempio l'ecologia. Infine l'attività di fund raising si basa sulla manifestazione della verità sociale verso questi interlocutori; ciò vuol dire che non basta essere organizzazione non profit per attivare il potenziale bacino di donatori. Questi ultimi provengono da anni di insoddisfazione verso i servizi, in particolar modo sociali, forniti dallo Stato, e in più, mostrano una domanda sempre crescente; per cui sono disponibili a finanziare solo quelle organizzazioni in grado di rispondere al loro bisogno di partecipare a questo nuovo progetto sociale che è il terzo settore. Occorre, infine, rilevare come scopo del fund raising non sia solo il finanziamento, ma garantire la sostenibilità dell'organizzazione nel tempo; la sua connotazione strategica sottolinea la fondamentale importanza dell'aspetto qualitativo del processo di finanziamento, in altri termini il controllo delle fonti in funzione dei fabbisogni nascenti e della continuità. Molti dirigenti di organizzazioni non profit vedono nel fund raising una pericolosa contaminazione da parte del marketing e delle logiche commerciali; questa visione non tiene conto del fatto che il non profit nasce dal pubblico ed è con esso che deve costruire rapporti stabili, non a fini di lucro, ma per meglio raggiungere le finalità sociali. Il fund raising aiuta l'organizzazione a capire la propria missione, a legare con gli interlocutori più indicati per i propri scopi, a dare continuità finanziaria così da permette all'organizzazione stessa di guardare al lungo periodo, di dare un indirizzo alla sua attività, di coordinare nel tempo le sue azione massimizzando i fini sociali invece di dar vita ad azioni che, seppur lodevoli sul piano delle intenzioni, rimangono fini a se stesse. Comune opinione, sempre tra i dirigenti di organizzazioni non profit, è che le risorse impiegate nelle attività di fund raising vengono distolte dagli scopi sociali originari; occorre considerare la continuità finanziaria, frutto dell'attività di fund raising, un investimento i cui ritorni vanno misurati non solo attraverso la manifestazione monetaria delle raccolte, ma anche attraverso la continuità di tali manifestazioni monetarie, dalla più stretta collaborazione con il pubblico, dalle accresciute capacità di portare a termine la propria missione.
Fund raising, social marketing, promozione dei progetti e people raising sono tutte attività fondamentali per lo sviluppo di un'azienda non profit. Di parere contrario sembrano essere molti dirigenti non profit che guardano a tali forme di investimento come ad una deviazione dallo scopo sociale dell'azienda. Molti si spaventano davanti ai costi di programmi di promozione o di fund raising. Effettivamente bisogna dire che queste sono attività che richiedono una certa professionalità per essere sviluppate efficientemente. Oggi però esiste una nuova via data dalla rete internet. Milioni di persone comunicano ogni giorno attraverso internet; le imprese cominciano ad affacciarsi a questo nuovo canale sia per attività pubblicitarie che per vere e proprie attività di vendita. Negli Stati Uniti il commercio in rete cresce a tassi impressionanti, così come nell'Europa del Nord; la comunicazione attraverso internet si diffonde così rapidamente che il settore delle telecomunicazione, o meglio della telefonia fissa, sembra essere già il passato. L'elemento straordinario di tale forma di comunicazione è il bassissimo livello dei costi. Le aziende non profit hanno la possibilità di essere protagoniste di un'evoluzione stimolata e incentivata da più parti e ciò attraverso un mezzo di comunicazione dalle impressionanti prospettive. Il fund raising, nella parte in cui si occupa della raccolta di fondi presso il pubblico, nasce da attente ricerche di mercato; la capacità dei software moderni permette di elaborare milioni di dati raccolti presso il pubblico. Ma ciò è niente rispetto alle potenzialità della log analysis, ovvero alle ricerche di mercato effettuate tra gli utilizzatori di internet, il cui numero cresce in maniera esponenziale; tali ricerche si presentano molto più rapide, altrettanto efficaci. Stanno nascendo molte piccole imprese che si occupano di log analysis, i cui costi sono minimi e i raggi d'azione enormi. Il direct mailing, il telemarketing sono strumenti destinati a scomparire nel breve termine. Il social marketing e la promozione dei progetti attraverso la rete hanno la possibilità di raggiungere milioni di persone, preliminarmente suddivise nei vari target, con un costo decisamente inferiore rispetto ai normali canali; e in più si ha la possibilità di trasmettere molte più informazioni, sarà poi il soggetto ricevitore a scegliere quali informazioni accettare e quali scartare, senza che ciò influisca sui costi. C'è chi può essere interessato ai bilanci, altri ai risultati, altri ancora ai servizi offerti. Le aziende non profit poi possono seguire la strada di accordi e alleanze con imprese informatiche, venditori on line per aumentare la velocità di diffusione dei messaggi all'interno della rete e per facilitare le modalità di supporto finanziario. Facilitando le donazioni si riesce ad abbassare la media delle somme donate e allo stesso tempo ad allargare il bacino di donatori: in questo modo si determinano le basi per un più facile rinnovo delle donazioni ai fini di una maggiore continuità finanziaria. Questa nuova strada velocizza inoltre la comunicazione a due vie tra l'azienda non profit e i propri sostenitori, i propri soci e associati, i propri clienti effettivi e potenziali sempre a costi minimi; attraverso software aggiornati si può rispondere alle domande di migliaia di persone al costo di una telefonata media di pochi minuti. Di per sé, il costo dei software è in continua diminuzione grazie allo sviluppo della concorrenza che si ha in questo settore. All'interno dell'azienda, oggi l'informatica è diventato un supporto cruciale per la gestione; se poi a questa si aggiunge la comunicazione allora diventa fondamentale anche per l'apertura dall'azienda al proprio ambiente. Quest'ultimo inoltre vedrà allargarsi i propri confini; aziende non profit di livello locale possono, molto più facilmente, farsi conoscere in uno spazio più grande soprattutto se gestiscono servizi a grande domanda e offerta limitata. Crescono le possibilità di stabilire rapporti con altre aziende non profit e pertanto agire in rete; la distanza terrena perde ogni significato. Le aziende non profit non possono non sfruttare questa grande opportunità; esse hanno la possibilità di rivoluzionare la propria azione con molte meno risorse di quanto tanti dirigenti miopi possano al momento immaginare.
Molte indagini realizzate nell'ambito del terzo settore hanno evidenziato una scarsa attenzione verso gli aspetti di tipo economico-gestionale26. Oltre ad una insufficienza degli strumenti operativi, ciò che desta preoccupazione è la scarsa presenza di una cultura manageriale, seppur rispettosa delle peculiarità del settore, quale strumento chiave per il conseguimento degli obiettivi sociali. Ancora più debole sembra essere la considerazione degli aspetti finanziari, i cui risultati sono spesso in contro tendenza rispetto alle performances rilevate nella gestione caratteristica. Le imprese commerciali hanno compreso a loro spese l'importanza degli aspetti finanziari della gestione; "alla condizione necessaria dell'equilibrio economico si affianca la condizione sufficiente dell'equilibrio finanziario" , ovvero non basta avere ricavi maggiori dei costi ma occorre che i flussi monetari in entrata prevalgano su quelli in uscita ai fini dell'equilibrio aziendale. Nell'ambito delle organizzazioni non profit gli elementi prettamente finanziari non godono ancora della dovuta considerazione. Così come avviene nelle imprese, anche qui gioca un ruolo fondamentale la grande dimensione dell'organizzazione quale espressione di una gestione complessa che non permette di trascurare gli aspetti finanziari. Nelle piccole non profit è frequente che essi vengano confusi con la normale contabilità, ma questo fenomeno è purtroppo diffuso anche nelle medio/grandi. Le organizzazioni non profit sono, indipendentemente dai fini, soggetti produttivi e come tali acquisiscono fattori produttivi, soddisfano fabbisogni di capitale, vendono la produzione e, in caso di cessione gratuita, reperiscono altre fonti di copertura dei costi. Esse quindi sono soggette ad uscite ed entrate monetarie, a debiti e a crediti, a costi e ricavi, a finanziamenti e investimenti. Molti dei dirigenti di organizzazioni non profit ignorano gli effetti finanziari della gestione. Per esempio, sono famosi i ritardi con cui lo Stato effettua i pagamenti o liquida i finanziamenti promessi; per cui, nonostante l'organizzazione vanti dei crediti e quindi economicamente sia coperta dinanzi ai futuri costi, succede che la mancanza di liquidità porti alla non solvibilità e, nei casi più gravi, alla fine dell'attività. Si potrebbe ricorrere all'indebitamento, ma indebitarsi all'ultimo momento, e quindi appesantire un conto economico già di per sé instabile, per sopperire ad un prevedibile ritardo nella riscossione di un credito non sembra essere una scelta oculata; molte organizzazioni entrano in crisi non perché non riescono a coprire i costi, ma per aver trascurato la dinamica delle entrate e delle uscite così da essere insolvibili in un particolare momento. In base a quanto detto nei paragrafi precedenti, il terzo settore manifesta non poche difficoltà finanziarie; ma questo non è dovuto alla mancanza di fonti, delle quali anzi ne nascono sempre di nuove, bensì all'indifferenza dei dirigenti verso le problematiche finanziarie. Anche in questo caso si pensa di far fronte a tali problemi ostentando l'esistenza e la finalità sociale delle organizzazioni non profit. Senza anticipare ciò che verrà detto nel prosieguo di questo studio, occorre mettere in evidenza come i flussi monetari che attraversano l'organizzazione forniscono ad essa l'energia per continuare nella propria attività. La capacità di prevederli, ma soprattutto di gestirli in funzione delle proprie esigenze e non di accettarli passivamente, pone le basi per un'attività continua nel tempo e maggiormente capace di cogliere i propri obiettivi. Molti parlano di modello ideale di organizzazione non profit rappresentato da quell'ente che riesce a raggiungere i propri traguardi senza ricorrere a risorse finanziarie, ma soltanto attraverso volontariato, donazioni di beni e servizi e loro distribuzione gratuita . Nella realtà è difficile che ciò avvenga, o meglio questo può essere il caso di organizzazioni estremamente piccole o di azioni individuali, comunque lodevoli sul piano sociale; come già detto, quindi, le organizzazioni vengono attraversate da flussi finanziari per cui è necessario sviluppare la capacità di adattarli alle proprie esigenze.
Il terzo settore si presenta come un insieme eterogeneo di organizzazioni, che differiscono sotto molteplici punti di vista: giuridico, gestionale, target sociale di riferimento ed altri ancora. Accanto al dibatto relativo alla definizione di terzo settore ne esiste una altro dal contenuto più concreto attinente alla funzionalità delle non profit. Argomento della discussione è la configurazione di un ente non profit come organizzazione o come azienda29. Un'organizzazione può essere considerata un sistema organico di risorse dotato di scopo, attività e valori; l'azienda può essere una derivazione economica del concetto di organizzazione in quanto "centro organizzato di produzione sistematica di beni e servizi strumentali ai fini del fondatore" . Le organizzazioni non profit sono istituti diretti al soddisfacimento di bisogni di interesse collettivo, di rilevanza sociale; la mancanza di profitto non è né un obbligo né un incentivo all'inefficienza, ma è un diverso modo di indirizzare l'attività. Tale attività, seppur a fini sociali, è un susseguirsi di azioni economiche come l'acquisizione di fattori produttivi, la trasformazione e la vendita o distribuzione gratuita dei beni ottenuti.. Per cui all'interno dell'organizzazione non profit esiste un'azienda non profit : la prima si occupa di elaborare e gestire i fini sociali; la seconda è diretta a creare le condizioni economiche e di continuità nel tempo affinchè l'organizzazione realizzi la propria missione. Entrambe rappresentano le due dimensioni di un ente non profit: una sociale, l'altra, economica, al servizio della prima. L'organizzazione non profit attraverso la sua immagine e la sua rete di relazioni sociali fornisce i mezzi, quali i volontari, le donazioni, i contributi ecc. all'azienda non profit la quale, nell'ambito della gestione, li combina restituendo le condizioni di sopravvivenza e sviluppo che includono anche la capacità di facilitare l'organizzazione nel compito di reperire le risorse necessarie. Queste due entità, quindi, non solo sono le due dimensioni dello stesso istituto ma interagiscono cosicché l'una coadiuvi l'altra nella realizzazione dei propri fini, i quali convergono verso l'obiettivo generale del soddisfacimento dei bisogni collettivi. La teoria economica riconosce più tipologie di aziende le quali differiscono per finalità e per fonte di copertura dei costi, non per funzionalità economica :
Imprese for profit: sono finalizzate alla creazione di profitto, nell'accezione di remunerazione del capitale, e trovano nei clienti la fonte di copertura dei costi;
Aziende autoproduttrici: nascono poiché alcuni soggetti trovano più conveniente esercitare insieme determinate attività e utilizzare direttamente la produzione, anziché reperirla sul mercato o esercitare tali attività singolarmente; la fonte di copertura dei costi è data dalle quote degli associati;
Aziende di erogazione: nascono all'insegna della solidarietà, destinano la produzione a soggetti in qualche modo svantaggiati di cui si vuol incrementare il benessere; la copertura dei costi avviene tramite l'intervento di soggetti diversi dai destinatari della produzione (Stato, donatori, volontari ecc)
Imprese sociali: destinano la produzione al mercato secondo le sue regole ma non per realizzare profitto, ma per inserire nel mondo del lavoro persone svantaggiate e per soddisfare la domanda di beni di interesse collettivo; la copertura dei costi avviene tramite i ricavi di vendita e l'apporto dei volontari.
Come si vede, quindi, il non profit nasce e resta un fenomeno sociale, ma che per realizzare la sua missione necessita di sviluppare al suo interno una dimensione economica che assurga a ruolo di fonte energetica. L'azienda non profit necessita, prima ancora che di capacità e professionalità, di una cultura che riabiliti la gestione economica e finanziaria come strumento chiave per gli obiettivi sociali prefissi.
Come si è già avuto modo di dire, le aziende non profit mancano di una specifica teoria economica, probabilmente derivante da una perdurante mancanza di una chiara ed unica definizione di terzo settore. Nell'ambito dei dibattiti attorno al non profit, un argomento che vede in posizioni contrapposte studiosi e dirigenti di organizzazioni non profit, di formazione generalmente non economico-professionale, riguarda l'attitudine e la necessità da parte delle organizzazioni stesse ad agire secondo criteri di economicità. Il timore da parte di numerosi dirigenti resta sempre quello di una contaminazione speculativa nei confronti del non profit quale espressione del valore di solidarietà, ritenuto avverso ad ogni logica economica. Molte organizzazioni hanno, oggi, raggiunto dimensioni notevoli, capaci di mobilitare risorse per svariati miliardi a con un raggio d'azione che supera i confini italiani. E' giusto che ci si pongano delle domande riguardo alle modalità di gestione di tali risorse, visto soprattutto il delicato contesto operativo dato da una domanda di beni attinenti al diritto di cittadinanza e da molti ritenuta insoddisfatta o coperta in modo inefficiente. Ciò che differenzia le imprese commerciali dalle aziende non profit è la finalità che le porta all'esistenza e i soggetti che si avvantaggiano della ricchezza creata; a livello operativo e funzionale, però, entrambe realizzano processi di produzione e distribuzione di beni e servizi: collettivi o di pubblica utilità le non profit, di natura privata o commerciale e imprese; inoltre nelle non profit la ricchezza, grazie alla rilevante presenza del volontariato, viene per la maggior parte distribuito ai "clienti" sotto forma di accessibilità a condizioni agevolate, anche in forma gratuita, a beni e servizi di qualità. Prima di rifiutare il concetto di economicità occorre aver ben compreso il suo significato. Se l'economicità viene intesa esclusivamente in termini economico-finanziari, come il rispetto di quelle condizioni che permettono all'impresa di generare e massimizzare il profitto ne consegue la sua inapplicabilità alle aziende non profit in quanto non finalizzate al profitto. L'essenza dell'economicità non è il profitto, quest'ultimo è la sua manifestazione nell'ambito del mercato, le cui istituzioni rispondono a regole economiche. L'economicità è la capacità di ottimizzare le risorse disponibile al fine di realizzare gli obiettivi per i quali l'azienda si è costituita33. Nel paragrafo precedente si è evidenziato come nella teoria economica il concetto di azienda sia unico, ma anche come esso possa essere indirizzato a fini diversi: profitto, solidarietà, mutualità, inserimento di persone svantaggiate nel mondo del lavoro. L'attività di produzione è strumentale ai fini dei fondatori che possono provvedere al benessere personale o a quello di soggetti in qualche modo svantaggiati; ma a monte delle finalità esiste questo centro di produzione sistematica chiamato azienda. Operare in economicità vuol dire indirizzare l'uso delle risorse verso un fine comune che si esprime tramite la missione ; quest'ultima richiede del tempo, per cui l'azienda deve essere capace di durare nel tempo, ovvero creare più ricchezza di quanta ne consumi per la sua attività, altrimenti non sarà più in grado di procurarsi i fattori produttivi. L'economicità è, quindi, la capacità di raggiungere i propri obiettivi ottimizzando le risorse, obiettivi che possono variare da settore a settore. Il profitto è solo una sua espressione in un determinato contesto., quello di mercato; esso dipende da due fattori, i ricavi e i costi; le imprese tendono alla sua massimizzazione agendo su entrambi i fattori. Il significato dell'economicità può essere ben compreso anche adattando il concetto di profitto all'ambito delle non profit: si può prendere come esempio un'azienda non profit, che opera nell'ambito dei servizi sociali con prestazioni sia a domicilio che residenziali, che si finanzia mediante attività di fund raising, redditi da capitale e una piccola parte di contributi statali, ma soprattutto che distribuisce gratuitamente, o in base al reddito del cliente, i propri servizi. Anche questa azienda non profit in un certo senso tenderà a massimizzare il profitto, ma i soggetti a cui è destinato sono diversi dagli azionisti dell'impresa commerciale: La non profit, infatti, tenderà a ottimizzare i costi e massimizzare le entrate al fine di garantire una maggiore accessibilità ai propri servizi senza trascurare il fattore qualità; per cui i percettori del profitto saranno i clienti stessi .
Nelle imprese, il profitto aumenta la ricchezza degli azionisti; nelle non profit esso viene distribuito a quanti più clienti possibile così da incrementarne il livello di benessere. Per gli azionisti, l'impresa, indipendentemente dal settore merceologico in cui opera, è una scelta di investimento, per cui nel caso in cui questa non esistesse, gli azionisti avrebbero altre alternative per investire i propri capitali e per conseguire un guadagno (un profitto). Il loro profitto nasce da una domanda che accoglie la loro offerta di capitali. Per i clienti delle non profit è diverso: il loro profitto nasce dalla presenza di un'offerta che soddisfa a condizioni favorevoli la loro domanda che altrimenti resterebbe insoddisfatta; essi non hanno alternative di scelta.
Nelle aziende non profit, l'economicità si manifesta attraverso l'efficienza economica e l'efficacia sociale35. Riguardo la prima occorre innanzitutto sgombrare il campo dai tanti equivoci cui sono soggetti molti dei dirigenti di aziende non profit. Essi, generalmente, associano l'efficienza a due pratiche particolari: taglio indiscriminato dei costi, eliminazione di quelle attività o quei progetti che non producono reddito. Entrambe non trovano fondamento, poiché la maggior parte delle loro attività non produce redditi nell'accezione prettamente economica, come è stato dimostrato nel paragrafo precedente. Per quanto riguarda i tagli ai costi sarebbe più opportuno associare l'efficienza all'ottimizzazione; essere efficienti vuol dire, così come nelle imprese, trarre il massimo beneficio dalle risorse impiegate in relazione ai fini prefissi; ciò non vuol dire tagliare i costi così come si è efficienti quando si eliminano quelle attività, che a fronte delle risorse consumate, non avvicinano l'azienda ai propri fini. Seppur simili nel concetto, l'efficienza nelle imprese e nelle aziende non profit differiscono sotto l'aspetto pratico. Nelle imprese sia i ricavi che i costi sono legati allo stesso oggetto: il prodotto; per cui l'efficienza può essere misurata mediante il rapporto, in termini fisici o economici, tra input ed output, per poi agire in una o entrambe le direzioni. Nelle aziende non profit, in particolare quelle che maggiormente si avvicinano al concetto di azienda di erogazione, non esiste una correlazione tra ricavi e costi, nel senso che essi attengono a oggetti diversi. I costi continuano ad essere relativi ai fattori di produzione, trasformazione, distribuzione dei prodotti, ai quali sono legati da una più o meno perfetta proporzionalità; i ricavi, invece, sono legati ad altri fattori in quanto la fonte di copertura dei costi non è la vendita dei prodotti, ma la raccolta fondi, i finanziamenti pubblici. Da parte loro, i prodotti, essendo ceduti gratuitamente, o in una logica di sussidi incrociati, in un mercato dove il livello concorrenziale è tale da non permettere la rilevazione di un prezzo medio e, trattandosi di servizi o di beni a forte contenuto immateriale e relazionale, non facilitano la misurazione dell'output, sia in termini fisici che economici, creando problemi nella misurazione dell'efficienza. Nelle non profit, quindi, il rapporto tra input e output risulta più complesso proprio per i problemi di definizione del secondo. L'obiettivo dell'efficienza economica risulta, quindi, di difficile indagine; per cui lo strumento della break even analisys , molto importante nelle imprese, necessita qui di processi di adattamento. Sebbene anche nelle non profit esista una suddivisione dei costi in fissi e variabili, manca la correlazione tra ricavi e quantità prodotta che non permette di stabilire il punto di equilibrio economico mediante la relazione:
Q=CF/(p-cv) con: Q= livello della produzione di equilibrio
CF=
costi fissi; cv= costi variabili
unitari; p= prezzo
A livello grafico si può notare come i ricavi siano raffigurati
da una retta parallela all'asse delle ascisse, con la conseguenza che
contrariamente alla situazione normale di ricavi proporzionali alla produzione,
la diminuzione dei ricavi stessi abbassa il punto di pareggio. Come si è detto
la break even analisys può mantenere la sua validità se opportunamente
modificata. Nelle imprese essa presuppone la conoscenza del prezzo di vendita e
dell'incidenza dei costi in base alle condizioni struttali e tecnologiche della
produzione. Nelle non profit, invece, attraverso lo sviluppo di un processo di
budgeting della raccolta, derivato da una ben strutturata funzione di
marketing, un processo simile a quello relativo alle previsioni del volume di
vendite nelle aziende, il management è in grado di conoscere in anticipo, con
le relative approssimazioni, i ricavi totali dell'azienda; i costi saranno
vincolati alle condizioni organizzative e tecnologiche della struttura
operativa, la quale sarà dimensionata in funzione degli obiettivi strategici esposti
in sede di pianificazione, da cui scaturiranno anche gli obiettivi per la
funzione di fund raising. Noti i ricavi totali e i costi, noto l'obiettivo
dell'azienda non profit ovvero massimizzare il profitto in termini di
accessibilità gratuita ad un servizio di qualità, in base alla funzione dei
ricavi parallela all'asse delle ascisse, la gestione tenderà all'efficienza
economica se sarà in grado di diminuire l'inclinazione, o rendere negativa la
pendenza, delle curve di costo così da innalzare il punto di pareggio, che in
questo caso assumerà il significato di quantità massima di servizio erogabile
per livelli di efficienza e ricavi massimizzati. Il punto di equilibrio dato
dalla break even analisy risulta ancora valido come confine dell'efficienza economica.
Anche le aziende non profit hanno, dunque, due leve per massimizzare
l'efficienza economica: il fund raising, nella sua accezione strategica, e
l'ottimizzazione funzionale. Riguardo la prima si è già avuto modo di rilevare
la sua importanza nei paragrafi precedenti, per la seconda occorrono delle
considerazioni. La previsione dei costi si basa sull'analisi degli standard;
nella trasformazione delle
strategie in programmi operativi occorrerà stabilire il livello dei costi in funzione del livello di funzionalità prescelto in base ad un razionale processo di analisi; altrettanto razionale è l'attività di quantificazione dei costi che è prudente avvenga a prescindere da eventuali agevolazioni di cui normalmente godono le non profit, quali volontari, prezzi d'acquisto di favore, commissioni più basse ecc. Questa attività genera una curva dei costi previsionale, prudente e realistica. La funzione di fund raising deve porsi come obiettivo quello di coprire interamente questa curva dei costi, solo così l'azienda può definirsi efficiente, poiché le risorse che raccoglie soddisfano la struttura dei costi definita in base a standard ritenuti ottimi. Come si è detto nei paragrafi precedenti, oggi, le organizzazioni non profit riescono ad attrarre risorse, sotto qualunque forma, non per il solo fatto di esistere, ma perché si pongono nei confronti dei vari interlocutori istituzionali, quali fondatori, sostenitori, finanziatori, donatori, volontari, comunità locale ecc, come soggetti capaci di creare e realizzare un efficace progetto sociale rendendo partecipi gli interlocutori stessi. Per cui la capacità del management nel creare una struttura organizzativa rispondente alle esigenze dei vari interlocutori permetterà una proficua collaborazione con gli stessi e di attirando di conseguenza volontari, finanziatori, sostenitori, sponsor ed altri soggetti che traggono vantaggio dal rapporto con l'azienda non profit stessa. Tutto questo permetterà un abbassamento, o un'inversione di pendenza, della curva dei costi e l'avanzamento del punto di equilibrio che come si è detto indica la quantità massima di servizi erogabili per livelli di efficienza e ricavi massimizzati. Ecco, quindi, che nell'ambito delle aziende non profit, l'efficienza economica non solo supporta l'organizzazione nel raggiungimento dei fini sociali, ma può dar inizio ad un circolo virtuoso tra se stessa e massimizzazione dell'utilità sociale; questo perché l'efficienza, nell'accezione suddetta, crea quelle condizioni affinchè l'azienda non profit possa godere di quelle agevolazioni che gli interlocutori istituzionali concedono a chi ritengono meritevole dando così la possibilità all'azienda stessa, da una parte di incrementare i ricavi che sarebbe corretto definire proventi, dall'altra di minimizzare i costi e liberare nuove risorse, a parità di ricavi, per aumentare il livello dei attività. Dall'adattamento della break even analisys scaturisce la possibilità di adattare un altro strumento utilizzato nelle imprese: il margine di sicurezza38 Esso è definito come di diminuzione massima dei ricavi sopportabile per non entrare nell'area delle perdite:
MdS= (P-BEP)/P
Il valore di tale rapporto è conveniente che tenda a crescere. Nell'ambito delle non profit il significato del break even point è cambiato, invertendo la direzione di sviluppo ottimale del punto di pareggio. A questo punto, visto il processo di cui sono protagonisti i costi, il margine di sicurezza, che in questo caso sarebbe meglio definire margine di efficienza, potrebbe essere espresso proprio in funzione dei costi:
MdE= (BEP-C)/BEP oppure MdE= (BEP-C)/C
dove il BEP è il livello dei costi ritenuto ottimo.
Il risultato, che in caso di efficienza non massimizzata sarà negativo, indica di quanto variano, in termini relativi, i costi effettivi rispetto a quelli ritenuti ottimali; per cui evidenzia quanto l'impresa è distante dall'efficienza economica ottima, ovvero quella che permette all'azienda non profit, tramite l'organizzazione e la gestione, di liberare nuove risorse. Occorre fare una considerazione: se l'azienda non profit riesce ad attrarre risorse finanziarie sufficienti a coprire i costi determinati secondo prudenza, ovvero prescindendo da eventuali condizioni favorevoli, essa opera in efficienza economica; viceversa se essa raccoglie risorse sufficienti soltanto a coprire i costi comprensivi delle varie condizioni di favore, sarebbe corretto dire che essa tocca la soglia di sussistenza senza essere efficiente,, poiché basterebbe che un particolare vantaggio non si verificasse per compromette l'esistenza stessa dell'ente; infine , se si verifica il primo caso e, attraverso un'organizzazione formale e informale che riesca non solo ad attrarre, ma a incrementare l'afflusso e la stabilità di quelle condizioni favorevoli cui si è prima accennato, l'azienda non solo opera efficientemente ma si trova in un punto denibile di efficienza ottima. Anche qui occorre ribadire l'importanza del processo di previsione degli standard e dei livelli di attività dell'azienda non profit in termini di costi.
Condizione base per questo processo è che l'azienda al suo interno crei un ambiente efficiente e a ciò saranno finalizzati gli strumenti operativi protagonisti dei prossimi paragrafi.
Trattando dell'efficienza economica si è avuto modo di constatare la difficoltà insita nella gestione delle organizzazioni non profit di valutare il prodotto finale, sia in termini fisici che economici. Tale problema si ripercuote immediatamente su un altro indicatore di economicità: l'efficacia sociale. Questa attiene alla capacità dell'organizzazione di perseguire gli scopi prefissi, i quali sono per definizione di natura sociale. Nelle imprese la valutazione dell'efficacia è espressa dal rapporto tra risultati effettivi e risultati attesi, stabiliti in sede di pianificazione e programmazione. Nella maggior parte dei casi le organizzazioni non profit operano nel settore dei servizi con una ulteriore complicazione: la forte personalizzazione nell'erogazione. Sia in sede di valutazione che di programmazione risulta difficile quantificare il risultato; possono essere di aiuto particolari parametri39 corrispondenti a beni fisici attraverso il quale il servizio viene in parte fornito. Per esempio nell'ambito di un progetto di diffusione della cultura teatrale può essere di aiuto il numero di spettatori, ma ciò evidentemente non basta a verificare l'effettiva riuscita del progetto e il suo impatto su tali spettatori.; per le altre aree operative del terzo settore il discorso non muta. E' un discorso molto delicato che porta facilmente ad una soluzione definita dal singolo contesto; è molto difficile teorizzare un unico metodo di valutazione rappresentativo dell'intero settore non profit. Questo non vuol dire, però, che si debba trascurare l'efficacia sociale di un'organizzazione; come si è detto poc'anzi, una strada percorribile è la definizione di parametri quanto più rappresentativi dell'impatto sociale delle organizzazioni. Questi parametri dovranno essere dotati di una stretta correlazione con il fenomeno in oggetto e con le sue variazioni; il loro utilizzo è molto diffuso nell'ambito della ricerca scientifica, dove, al di là della scoperta di una cura per una certa patologia, esistono risultati intermedi come la scoperta di un gene, o di un particolare processo , di cui, magari, si ignora l'intensità di correlazione con la patologia studiata; parametri comuni sono il numero di progetti finanziati, il numero di pubblicazioni ecc. In settori quali quello della sanità e dell'assistenza sociale la scelta dei parametri appare più semplice come in numero di assistiti, ore di assistenza, numero di interventi ecc, ma ad una misurazione dell'aspetto quantitativo non può non affiancarsi quelle dell'aspetto qualitativo. L'incremento nel numero di assistiti a scapito della qualità del servizio non è un'azione diretta a massimizzare l'efficacia sociale; come si è già detto, l'obiettivo delle non profit può essere visto come la creazione e distribuzione del profitto sotto forma di accessibilità, anche gratuita, ad un servizio di qualità, ad un numero sempre crescente di soggetti. Della qualità, comunque, si avrà modo di parlare più avanti. Fondamentale, quindi, è la scelta di parametri il più possibile rappresentativi del fenomeno; una scelta che punti sull'utilizzo di più parametri, soprattutto se questi interagiscono a livello sistemico, ovvero il significato della variazione di uno di essi viene confermato dalla variazione di un altro. Essendo l'efficacia data dal rapporto tra risultati effettivi e attesi, il problema della sua valutazione si pone sia in sede di programmazione che di controllo. La massimizzazione dell'utilità sociale è il fine ultima delle organizzazioni non profit, per cui va perseguita per gradi: occorre rispettare delle condizioni e degli obiettivi intermedi che avvicinano col tempo l'organizzazione alla sua missione . La prima di queste condizione consiste nella valutazione dell'efficienza economica e finanziaria dell'azienda non profit. Come si è visto, se essa viene trascurata l'organizzazione non solo non raggiungerà i propri scopi nel breve termine, essa non sarà in grado di realizzare alcun progetto sociale e, quindi, la propria missione che per sua natura richiede un'azione continua e coordinata nel medio lungo periodo. L'equilibrio economico e finanziario ha in sé anche una connotazione sociale, poiché, in caso di sua assenza, non solo l'attività sociale non viene massimizzata, ma le risorse concesse dalla società vengono deviate da un possibile utilizzo alternativo più efficiente ed efficace. La seconda condizione è insita nell'effettiva produttività dell'azienda non profit; l'efficienza economica diventa vana se l'attività non raggiunge il target di beneficiari prefissato, o se i risultati programmati non tengono conto dell'effettivo contesto ambientale di riferimento. L'efficacia dell'organizzazione nasce a livello di programmazione e si realizza nella gestione. L'ultima e fondamentale condizione è la realizzazione della propria missione. Tutte le attività poste in essere, sia dall'organizzazione che dall'azienda in essa vivente, sebbene diverse nel contenuto e negli obiettivi specifici, devono essere indirizzate verso il raggiungimento di uno scopo comune e unitario che è appunto la missione, ovvero il motivo per il quale l'organizzazione è stata creata.
Senza anticipare gli argomenti trattati più avanti, occorre mettere subito in evidenza come l'efficacia sociale venga trascurata sotto il profilo della comunicazione43. Allo stato attuale le organizzazioni non profit comunicano con i propri interlocutori attraverso il bilancio, nelle varie forme dettate dalle leggi vigenti, il quale esprime la situazione economica, finanziaria e patrimoniale dell'ente. Al di là della veridicità di tali documenti, essi non esprimono in alcun modo il raggiungimento dei veri obiettivi da parte dell'organizzazione; le imprese hanno come obiettivo la massimizzazione degli utili e comunicano i propri risultati attraverso il bilancio che sintetizza l'operato della gestione. Le organizzazioni non profit hanno fini sociali e l'economicità è strumentale a tali fini; il bilancio non risponde alle domande degli interlocutori, o almeno a parte di essi come più avanti verrà dimostrato, né sull'effettiva capacità dell'organizzazione di cogliere i propri obiettivi, né su ciò che è stato fatto fino ad ora. Nasce la necessità, riguardo all'efficacia sociale, non solo di affrontare il problema della valutazione, ma anche quello della comunicazione che è alla base della rete di rapporti sociali su cui si fonda l'operatività dell'organizzazione.
Par.1.11 La qualità sociale
Come si è più volte detto, l'obiettivo delle non profit è incrementare l'accessibilità, anche gratuita, a servizi di qualità. Parte della dottrina sembra scettica sul rapporto tra organizzazioni non profit e qualità, poiché quest'ultima è giustificata da incentivi di tipo economico e le non profit non agiscono in una logica economica. La domanda ricorrente è quali incentivi hanno le organizzazioni non profit perché offrano servizi di qualità. Una prima risposta si basa sulla crisi del sistema di welfare state; esso è divenuto economicamente insostenibile, la sua struttura ha incentivato la dipendenza, ma soprattutto è divenuto inefficiente a fronte di una qualità relativamente scarsa. La protesta sociale nasce appunto dalla constatazione di una pressione fiscale elevata a cui non corrisponde un'elevata qualità dei servizi di welfare e di altri tipi, come i trasporti. Del resto lo Stato ha agito da monopolista, in un'ottica di continua ricerca di legittimazione del potere politico presso i cittadini44 ed è stato vittima della sua stessa burocrazia; questi elementi, se negli anni fossero stati tenuti in considerazione, potevano essere valutati alla stregua degli incentivi economici che secondo gli economisti sono gli unici a indirizzare la produzione di beni e servizi verso la qualità. Questo vuol dire che ci sono altri motivi per i quali un'organizzazione produttiva, sia essa pubblica o privata, fornire beni di qualità. Oggi il consumatore ha un livello culturale e di informazioni maggiore; lo sanno bene le imprese. Le aree nelle quali i produttori godono del vantaggio dell'asimmetria informativa sono sempre di meno. La seconda risposta al quesito posto da parte della dottrina riguarda il ruolo del terzo settore nei confronti dell'azione dello Stato. Si fa un gran parlare della separazione tra la funzione di finanziatore e quella di fornitore di servizi di pubblica utilità, con lo Stato che si occupa della prima e il terzo settore della seconda. Questo gioverebbe all'efficienza e alla qualità dei servizi. In questo modo si svilupperebbe un certo livello di concorrenza tra organizzazioni per avere i finanziamenti statali; si eviterebbe la pesante burocrazia dello Stato a vantaggio di organizzazioni più snelle e flessibili; inoltre le non profit hanno vantaggi di efficienza anche nei confronti delle imprese poiché riescono, in determinati settori, ad attrarre risorse ad un costo minore. Dal lato della qualità, anch'essa trarrebbe giovamento dalla concorrenza; ma soprattutto essa diventerebbe un obbligo per le organizzazioni non profit per i seguenti motivi: la scarsa qualità rappresenterebbe un fallimento del terzo settore nel suo ruolo di integratore dell'azione dello Stato, poiché la scarsa qualità ha giocato un ruolo importante nella protesta sociale dei cittadini; in secondo luogo l'erogazione di servizi di qualità inferiore agli standard farebbe perdere il vantaggio che le non profit hanno nei confronti delle imprese, ovvero la capacità di attrarre risorse ad un costo minore; in presenza di un basso livello di qualità, nessuno trarrebbe vantaggio dal finanziare, nelle varie forme, un'organizzazione non profit. La qualità, oltre ad essere oggetto di discussione a livello di terzo settore in generale, pone quesiti anche a livello di singola organizzazione. Quest'ultima, infatti, vede cambiare il proprio rapporto finanziario con lo Stato; una fonte che fina a pochi anni fa sembrava inesauribile, oggi spinge le organizzazioni sia ad incrementare il livello di efficienza e qualità sia a curare maggiormente il rapporto con altre fonti. Nel caso delle sponsorizzazioni, ad esempio, un'impresa sarà incentivata a finanziare organizzazioni non profit conosciute per l'efficienza e la qualità; lo stesso avviene nel circuito della finanza etica dove le banche eviteranno rapporti con organizzazioni che non giovano alla propria immagine; anche per i donatori il discorso non cambia. Riguardo ai beneficiari, i clienti, delle organizzazioni non profit, anch'essi premono per una maggiore qualità, sia perché insoddisfatti da tanti anni di monopolio statale, sia perché conoscono ormai i benefici della concorrenza. Il ruolo del terzo settore e delle sue istituzioni è molto delicato; essi sono chiamati a soddisfare una domanda che cresce sempre più sul piano quantitativo e qualitativo e che per troppo tempo è stata trascurata; si trova inoltre ad affrontare un pubblico più informato, più consapevole. Il terzo settore è il frutto di questo pubblico ma deve eliminare quella tendenza a distaccarsene per porsi in stretta connessione con lo Stato, soprattutto per gli aspetti finanziari. Qualità, efficienza ed efficacia si pongono come condizioni imprenscindibili per lo sviluppo del terzo settore e delle singole organizzazioni ed è proprio a queste condizioni che si rivolgono gli strumenti trattati nel prosieguo di questo studio.
La gestione di un'organizzazione non profit è un'attività al quanto complessa poiché occorre continuamente mediare tra l'economicità e le finalità sociali. Normalmente coloro che operano in questo settore sono spinti da forti motivazioni, per cui sono facilmente propensi a trascurare gli aspetti economici e finanziari convinti che ciò possa incrementare il livello di attività sociale. Il contributo dell'economia aziendale va al di là degli strumenti tecnici e del loro adattamento. Colui che ha la responsabilità decisionale nell'ambito di un'organizzazione si trova a dover continuamente fare i conti con una realtà decisamente dinamica e che a volte spiazza teorie e concetti; egli, quindi, deve essere in grado di sviluppare la capacità di adattare le nozioni teoriche con il contesto di riferimento45. Nel terzo settore l'obiettivo non è di natura economica ma sociale; il management di un'organizzazione deve essere caratterizzato da un'ampia flessibilità ricordando che in questo settore l'efficienza economica si pone in rapporto strumentale verso l'efficacia sociale. Le caratteristiche fondamentali del management non cambiano tra impresa e organizzazione non profit: immaginazione, informazione, progettazione, organizzazione, direzione, controllo . Nelle non profit divengono ancora più importanti la leadership, le relazioni informali; le motivazioni dei volontari devono essere gestite ma non limitate, la contemporanea presenza di dipendenti retribuiti e volontari deve essere opportunamente controllata poiché facile fonte di dissidi. Gli aspetti economici come si è visto sono estremamente importanti; altrettanto lo sono quelli finanziari, ai quali è dedicata la restante parte dello studio. Nelle imprese la finanza aziendale favorisce quelle scelta dirette ad incrementare il valore economico dell'impresa; nelle organizzazioni non profit esse mette a disposizione le sue logiche, i suoi strumenti al fine di garantire la presenza continua di quelle condizioni che permettano all'organizzazione di proseguire la sua azione nel tempo, in modo coordinato e in una logica incrementale e non di mera sussistenza. Essa, quindi, anche qui favorisce le scelte che permettano un incremento durevole di ricchezza, la quale, però, si manifesta attraverso valori sociali, solo in parte quantificabili economicamente. Lo sviluppo delle capacità manageriali è basilare per un approccio dinamico della gestione; la logica della ripartizione dei fondi non garantisce la continuità nel tempo e, quindi, il raggiungimento degli scopi. La managerialità porta alla consapevolezza che la sostenibilità e la crescita nel tempo derivano dal controllo delle variabili chiave, in altri termini da una gestione che precede gli eventi e ne adatta la manifestazione; attraverso la logica di ripartizione dei fondi, invece, la gestione si adatta alle circostanze eliminando le base per un qualsiasi discorso di medio e lungo periodo.
I vari tentativi non hanno dato vita a vere e proprie correnti di pensiero, cfr.: Lunaria: Il terzo settore in Europa: teorie ed analisi; working paper per il progetto Nets, marzo 1998
I dati sono desunti da una ricerca comparativa elaborata dalla Johns Hopkins University of Baltimora, per l'Italia, cfr.: Barbetta G.P.: Senza scopo di lucro, Il Mulino, 1995
Cfr.: Ambrogetti F., Cohen Cagli M., Milano R., Manuale di fund raising: la raccolta fondi per le organizzaizoni non profit, Carocci, 1998
Cfr.: Fasanelli B., Come generano il benessere sociale gli organismi non profit, in "Il fisco", n°26, 1997, pagg. 7-19
I dati statistici evidenziati nelle seguenti tabelle sono stati desunti da una ricerca comparativa elaborata dalla Johns Hopkins University, per l'Italia, cfr.: Barbetta G.P., op. cit.
Sul tema terzo settore e sistema finanziario, cfr.: Capriglione F., Etica della finanza e finanza etica, Laterza, 1997
Sul tema della sovibilità delle aziende non profit, cfr.: Barbetta G.P., Moro M., Fabbisogno di capitale e gestione finanziaria del settore non profit in Italia, 1997
Cfr.: Barbetta G.P., Sul contacting out nei servizi sociali e sanitari, in "Impresa Sociale", n°15, 1994, pagg.18-29
Sul tema del fund raising, cfr.: Ambrogetti F., Cohen Cagli M., Milano R., Manuale di fund raising: la raccolta fondi per le organizzaizoni non profit, Carocci, 1998; AA.VV., Raccolta di articoli 1993 1994 sul fund raising, in "Articoli tratti dalla rivista: fund raising management", 1994; Fiorentini G., Fidelizzare il donatore, in "Vita", n°36, 1997; Gandini G., La raccolta di fondi nelle organizzazioni non profit, in "Economia&Management", n°6, 1996; Studio Lentati, Il fund raising: una strategia, una tecnica, un mestiere, un'arte?, Studio Lentati, Milano, 1993
Andreaus M., Le aziende non profit: circuiti gestionali, sistema informativo e bilancio d'esercizio, Giuffrè, 1996
Cfr.: Tessitore A., La produzione e distribuzione di valore, in "raccolta di articoli sul non profit, Mondadori, 1996
Sul tema dell'economicità nelle aziende non profit, cfr.: Arduini S, Le aziende non profit: il controllo dell'efficacia e dell'efficienza, Giappichelli, 1996; Morganti M., Non profit: produttività e benessere. Come conuigare efficienza e solidarietà nelle organizzazioni del terzo settore, Francoangeli, 1998
Per l'analisi break even point: ns elaborazione dati: IPSOA, Enciclopedia degli enti non profit, IPSOA, 1998
Cfr.: Pestoff V., Rendiconto sociale per cooperative e organizzazioni non profit, in "Impresa Sociale",n°28, 1996
Cfr.: Francesconi A., Meccanismi di finanziamento e gestione delle aziende non profit: il caso delle aziene ospedaliere, Maggioli, Rimini, 1995
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