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Storia della Letteratura Italiana - Le origini e il Duecento

letteratura



Storia della Letteratura Italiana


Le origini e il Duecento

Tardiva è l'origine della letteratura italiana rispetto alle maggiori di lingua romanza, provenzale, francese, castigliana. I primi monumenti letterari italiani appartengono al XIII sec. Più a lungo che in altri paesi si mantenne in Italia l'uso del latino. Al fiorire di una nuova letteratura fu di ostacolo il carattere della società italiana del basso medioevo, scarsamente sensibile ai valori della civiltà feudale e cavalleresca, che era stata la grande ispiratrice delle nuove forme di poesia presso gli altri popoli dell'Occidente europeo. È assodato che nella prima metà del Duecento, sotto l'impulso di eventi storici tipicamente italiani, sorse con caratteri suoi la poesia volgare.

Da un fenomeno profondamente legato ad aspirazioni cristiane quale la predicazione di san Francesco d'Assisi 252c23c nacque non solo il mirabile Cantico di frate Sole, ma ebbe incentivo la poesia dei laudesi umbri, alla quale si collega ancora, sulla fine del secolo, l'opera personalissima di Jacopone da Todi. Ma nella storia della poesia italiana, il fatto di maggiore rilievo, press'a poco coevo alla predicazione di san Francesco, fu la scuola poetica siciliana, fiorita alla corte di Federico II di Svevia. I poeti della cosiddetta prima scuola celebrarono l'amore cortese in forme eleganti e convenzionali; tuttavia alcuni di essi, e in particolare Rinaldo d'Aquino e Odo delle Colonne, non rifuggirono dall'introdurre nei loro versi precise note di cronaca, e altri, quali Giacomino Pugliese e Cielo d'Alcamo, vissuti probabilmente lontano dalla corte del re svevo, indulsero addirittura a note di sensualità e di realismo giullaresco. Ma fu col passare nella Toscana comunale che la moda poetica inaugurata dai Siciliani arrivò a maggiore complessità di temi e a una nuova profondità, prima con Guittone d'Arezzo e i suoi seguaci, cantori della vita morale e religiosa oltre che dell'amore, poi con i poeti dello Stil novo (G. Guinizelli e G. Cavalcanti fra i maggiori), che all'idea dell'amore cortese impressero il segno di una forte interiorità. Altro vitale filone fu quello della poesia realistica toscana, che in parte prese argomento dalle violente passioni politiche con Schiatta Pallavillani, Monte Andrea, Orlanduccio Orafo, Chiaro Davanzati; in parte, e soprattutto, tale filone continuò i modi della poesia medievale dei goliardi, celebrando la taverna, il dado, l'amore sensuale, ed ebbe i suoi maggiori esponenti nel senese Cecco Angiolieri, nel fiorentino Rustico di Filippo e, con sue particolari note di eleganza, in Folgore da San Gimignano. Al quadro sintetico della poesia duecentesca non può infine mancare la menzione delle laude drammatiche, forme semplicissime di teatro religioso, proprie specialmente dell'Umbria e dell'Abruzzo, ma non sconosciute alle altre regioni. Meno ricco e vario è il bilancio della prosa duecentesca.



Il Trecento

Nel Trecento uno dei fatti di maggiore rilievo fu il carattere eminentemente, se non esclusivamente, toscano che assunse la letteratura italiana. Temi e lingua degli stilnovisti s'imposero nella lirica d'amore. A Dante, Petrarca, Boccaccio, soprattutto spetta il merito di avere fatto della lingua fiorentina la lingua letteraria d'Italia. La loro posizione di privilegio si fonda innanzi tutto sull'avere essi, grandi poeti, riassunto e spiegato il profondo travaglio di una civiltà che usciva dal medioevo e preparava un'era nuova, quella del Rinascimento.

L'Umanesimo e il Quattrocento

Il Petrarca fu l'iniziatore dell'Umanesimo, e perciò contemporanei e posteri immediati, dallo stesso Boccaccio a Coluccio Salutati, ammirarono in lui innanzi tutto il dotto latinista. Nondimeno anche la sua poesia volgare ebbe immediata efficacia, non quella soltanto dei Trionfi, ma anche quella del Canzoniere, che ben presto fu riconosciuto modello di eleganza, degno di reggere il confronto con i più insigni testi della poesia antica. La vera efficacia della lezione del Petrarca si trova in quel movimento di pensiero e in quegli studi filologici che, affinando progressivamente gli strumenti della ricerca e acquistando una nozione sempre più chiara della civiltà antica e della sua attualità, ebbero i loro maggiori maestri in Niccolò Niccoli, Poggio Bracciolini, Leonardo Bruni, Lorenzo Valla, Francesco Filelfo, Angelo Poliziano. Anche il Boccaccio esercitò la sua influenza prima che come stilista come maestro di un sentimento di un tutto mondano e terreno della vita. Di fatto con l'Umanesimo si creava una cultura supernazionale, e questo spiega come il fenomeno di origine italiana si allargasse a tutta l'Europa. L'Umanesimo quattrocentesco non solo preparò il maturo classicismo del Cinquecento, ma favorì nei maggiori esponenti della letteratura volgare quella nuova sintesi di antico e di moderno, di popolare e di letterario che in varie forme si riconosce negli scritti di Leon Battista Alberti, di Angelo Poliziano, di Lorenzo de' Medici, di Iacopo Sannazzaro, e che si trova con impronte originali nel Morgante di Luigi Pulci e nell'Orlando innamorato del Boiardo, i due poemi che dalle storie cavalleresche, divenute svago del popolo e della borghesia, tolsero la materia per dare forma fantastica a una disincantata visione del destino dell'uomo.


Il Cinquecento

Il fatto fondamentale della letteratura cinquecentesca fu il trionfo del volgare e la sua codificazione quale lingua letteraria. È significativo che Pietro Bembo, il più autorevole codificatore del volgare, fosse altresì colui che inaugurò due delle più importanti correnti della letteratura cinquecentesca: quella della trattatistica d'amore e quella della lirica petrarchesca. In direzione mondana si svolse la novellistica, che ebbe come modello il Decameron. Altri generi poi vollero rifarsi proprio ai modelli delle letterature antiche: così la commedia con l'Ariosto fu plautina e terenziana, nondimeno seppe immettere nelle trame, simili a quelle dei latini, vivaci spunti di costume contemporaneo e di psicologia moderna con il Lasca, Giovanni Maria Cecchi, Alessandro Piccolomini, Pietro Aretino, Annibal Caro, e arrivò a creare autentici capolavori quali La Mandragola del Machiavelli, La Venexiana e Gl'ingannati di autori ignoti, tutto il teatro del Ruzzante. Meno felice risultò l'esperienza del teatro tragico, che, si orientò con l'Orbecche del Giraldi Cintio (1541) verso il teatro di stampo senechiano. Non senza subire l'influenza dei modelli antichi fiorì anche la poesia didascalica in latino (Vida, Fracastoro) e in volgare (Rucellai, Alamanni, Erasmo da Valvason, Bernardino Baldi), come a Platone e a Cicerone si ispirò l'abbondante produzione di trattati, per lo più scritti in forma di dialogo, tra i quali eccellono, oltre a quelli d'amore sopra menzionati, Il cortegiano del Castiglione e il Galateo del della Casa. Ma la prima metà del XVI sec., è caratterizzata dalla nascita di sommi capolavori della poesia e del pensiero: l'Orlando furioso dell'Ariosto, il Baldus del Folengo, gli scritti teorici e storici del Machiavelli e del Guicciardini. Tuttavia nella grande letteratura della prima metà del Cinquecento, per il grado di maturità al quale essa seppe portare l'ideale umanistico, era implicita l'insidia di pericolosi irrigidimenti. La critica d'arte, già avviata nel Quattrocento dalle speculazioni di Leon Battista Alberti e dalle suggestive osservazioni sulla pittura di Leonardo da Vinci, nel pieno Cinquecento portò a quel capolavoro che sono le Vite di Giorgio Vasari, apparse nel 1550 e in seconda edizione rielaborata e accresciuta nel 1568. La crisi politica e morale che colpì l'Europa nella II metà del secolo ebbe il suo grande poeta in Torquato Tasso, pervaso da un sentimento doloroso della vita per il quale egli fu non solo uno dei più grandi poeti di ogni età, ma uno dei più autentici precursori della sensibilità romantica. Nell'opera ricca e non priva di contraddizioni dell'autore della Liberata si compendiano i valori più alti della poesia e della letteratura del tardo Cinquecento, e il nuovo stile del Tasso - uno stile ricco di fascino musicale e di chiaroscuri, sensuale e patetico, nobilmente atteggiato e ricco di forza tragica - influenzò profondamente la poesia posteriore, esasperandosi in seguito nella ricerca di effetti vistosi.


Il Seicento

Al barocco trionfante nelle arti figurative, tra la fine del Cinquecento e il principio del Seicento, corrispose un barocco letterario, che si protrasse per quasi tutto il XVII sec. Maestro acclamato di quello stile fu Giambattista Marino, nell'Adone e nelle varie raccolte di liriche (La lira, La galeria, La sampogna), e da lui venne al gusto affermatosi allora nella poesia il nome di marinismo. La vera grandezza della letteratura del Seicento si riconosce nella prosa politica, scientifica, filosofica. Traiano Boccalini, Tommaso Campanella, il Tassoni dei Pensieri, Paolo Sarpi e soprattutto Galileo Galilei con la loro prosa materiata di pensiero, appassionata e lucidissima, furono i conservatori della tradizione rinascimentale e, al tempo stesso, gli scrittori che resero possibile una continuità della nostra cultura in un'età fin troppo viziata da segni di decadenza. Specialmente in Toscana alla nobile tradizione della prosa scientifica si accompagnò la difesa del patrimonio letterario antico per merito di scrittori che operarono nell'ambito dell'Accademia della Crusca: Benedetto Buonmattei, Benedetto Menzini, Vincenzo da Filicaia collaborarono in diversa guisa ad arginare il gusto barocco e prepararono, insieme con autori di altre regioni d'Italia, quali Alessandro Guidi, Francesco de Lemene, Carlo Maria Maggi, quella restaurazione classicistica che ebbe la sua sanzione ufficiale con la fondazione dell'Arcadia romana (1690).


Il Settecento

Il classicismo dell'Arcadia si ispirò a una concezione razionalistica della poesia. Testi fondamentali del classicismo arcadico restano Della perfetta poesia di L.A. Muratori (1706) e la Ragion poetica di G. V. Gravina (1708). Sui molti scrittori per vari aspetti rappresentativi si elevarono tuttavia, come meglio capaci di esprimere ciò che di più originale portava quel classicismo manierato e scolastico, Paolo Rolli e Pietro Metastasio. Fu soprattutto nei melodrammi del Metastasio, ammirati in tutta Europa, che la poesia dell'Arcadia diede la prova più convincente con la lucida rappresentazione delle passioni e la facile vena musicale, nella quale si effonde quel tanto di patetico che ancora si chiedeva alla poesia. Se si pensa però all'opera di un filosofo della statura di Giambattista Vico, alle infaticabili ricerche erudite del Muratori e del Maffei, alle coraggiose posizioni della storiografia politica di Pietro Giannone, ben si vede che la letteratura del primo Settecento non si chiude negli stretti confini dell'Arcadia. Carlo Goldoni fu lo scrittore di genio che seppe immettere nel teatro un potente senso di verità. La sua poesia era nata dall'esperienza molto profonda del teatro, ma era anche attentissima ai molteplici aspetti della società settecentesca, e in particolare di quella veneziana che nel Goldoni trovò l'interprete inuguagliato. Affine al Goldoni per certi aspetti della satira di costume da lui svolta nel Giorno, il Parini, meno grande poeta del veneziano ma letterato e artista più complesso, perseguì per tutta la vita un'idea di classicismo che lasciò una traccia profonda nella nostra poesia. Il suo ideale oraziano fu al tempo stesso morale ed estetico. Il rinnovamento del XVIII sec. consistette in buona parte nello sforzo di inserire la cultura italiana nel grande circolo della cultura europea. Questo sforzo toccò le sue vette con Pietro Verri e gli scrittori del Caffè, coraggiosamente affiatati con l'Illuminismo. A Melchiorre Cesarotti spetta il merito di avere dato nel Saggio sulla filosofia delle lingue la più geniale soluzione al giusto rapporto di conservazione e innovazione nella lingua e, insieme, quello di avere proposto con la traduzione in versi dei poemi di Ossian il più alto modello di poesia preromantica. Ma l'incontro di correnti di cultura e di gusto differenti e apparentemente lontane non fu destinato a produrre opere di superficiale e accomodante sincretismo come è testimoniato dall'eccezionale personalità di Vittorio Alfieri. In lui l'impulso libertario di origine illuministica si fuse con una tensione ormai schiettamente romantica all'esaltazione della individualità

L'Ottocento

Il gusto dominante rimase neoclassico. Il neoclassicismo fu quello di Vincenzo Monti e, in ambito più ristretto, di Pietro Giordani, scrittori convinti che l'essenza dell'arte consistesse nel dare un sapore antico alle cose nuove, e perciò inevitabilmente condannati a peccare per eccesso di eloquenza e per sostanziale freddezza. Perciò tanto grandeggia sul principio del XIX sec. l'opera di Ugo Foscolo. In lui, le esperienze profondamente sofferte dell'età rivoluzionaria e napoleonica trovarono non il cronista eloquente, quale fu Vincenzo Monti, ma il poeta altamente commosso. Il tumulto di natura romantica espresso nelle giovanili Ultime lettere di Jacopo Ortis, nate dal doppio dramma dell'amore infelice e della patria tradita, non venne mai rinnegato dal Foscolo, e se la sua poesia, attraverso le odi, i sonetti e i Sepolcri, volle giungere alla purezza assoluta delle Grazie, non fu per un intiepidirsi della sua ispirazione ma per il proposito tenacemente perseguito di sublimare le passioni nella pura atmosfera della contemplazione artistica. Foscolo poté essere maestro ai letterati della nuova generazione dei romantici: Silvio Pellico, Giovanni Berchet, Ludovico di Breme, Pietro Borsieri. L'esigenza profonda dei nostri romantici fu quella di dare un'impronta popolare alla letteratura. In questo programma ebbero come compagno Alessandro Manzoni. Nel Manzoni, la conversione al Romanticismo coincise con la conversione religiosa, e pertanto la poesia della sua maturità, dagli Inni sacri ai Promessi sposi, ebbe più profonda motivazione morale. Il suo itinerario di creatore dopo le geniali prove delle liriche, specie gli Inni sacri, e delle tragedie si concluse nella prosa del romanzo, in quel realismo psicologico nutrito di profonda meditazione morale e religiosa, che fa dei Promessi sposi l'opera in cui s'invera l'aspirazione di tanta letteratura settecentesca dall'Arcadia al Goldoni, dal Parini agli illuministi, e al tempo stesso si pone un ideale di prosa viva e moderna. Diversa da quella del Manzoni ma non meno rappresentativa del rinnovamento romantico fu la contemporanea opera del Leopardi. Egli approdò a una visione tragica della vita: all'idea che il dolore è la legge del creato, e che all'uomo che voglia affermare la propria dignità altro non resta che soffrire in solitaria ed eroica fermezza. Nacquero da questa sua concezione opere come i Canti, le Operette Morali e lo Zibaldone. Più ardito che non nello stesso Manzoni fu il realismo dei grandi poeti dialettali Carlo Porta e Giuseppe Gioacchino Belli. I narratori più rappresentativi della generazione postmanzoniana furono Giovanni Ruffini e Ippolito Nievo. Ma con costoro, e più ancora con Giovanni Prati e Aleardo Aleardi il Romanticismo italiano toccò le sue punte estreme e si esaurì. Nella seconda metà dell'Ottocento non senza l'influsso della filosofia positivistica, la letteratura accentuò le tendenze realistiche che erano già state tanto forti nel Romanticismo lombardo. Il bisogno del concreto e del reale fu affermato con sempre più chiara coscienza da Francesco De Sanctis. Ma la corrente nella quale la letteratura del secondo Ottocento diede a pieno la misura dei suoi nuovi ideali fu il verismo. Il verismo si volse soprattutto a interpretare l'ambiente delle nostre province, e la Sicilia ebbe i suoi autori in Verga, Capuana, De Roberto; Napoli ebbe la Serao e Di Giacomo; la Toscana Mario Pratesi e Fucini; la Lombardia De Marchi e Rovetta. Il Carducci tenne una posizione ben sua, che non può essere ricondotta senza forzature nella corrente del verismo, né può essere vista quale anticipazione del decadentismo. Per il Carducci vale la definizione data dal Croce: «ultimo poeta classico d'Italia», e per la funzione pure cospicua che esercitò come critico ed erudito egli non può essere staccato da quella cultura di stampo positivistico e ancor ricca di ideali romantici


Il Novecento

L'opera del Fogazzaro, del Pascoli e del D'Annunzio segnò l'avvio a esperienze che, legate alle correnti del pensiero e del gusto europei di fine Ottocento, ruppero i rapporti con la tradizione propriamente italiana. Ma di un rinnovamento più profondo e duraturo fu capace all'inizio del XX sec. Benedetto Croce. Sperimentazioni e improvvisazioni furono opera di scrittori quali G. Papini, G. Prezzolini, G.A. Borgese. Futuristi (con F.T. Marinetti) e crepuscolari più di tutti esercitarono siffatta funzione di innovazione. Le personalità più vere fra gli scrittori del primo Novecento risultano a noi G. Gozzano, Dino Campana, Alfredo Panzini, Renato Serra. Allo sperimentalismo del principio del Novecento si opposero negli anni immediatamente successivi al primo conflitto mondiale gli scrittori del gruppo della Ronda: V. Cardarelli, E. Cecchi, R. Bacchelli, A. Baldini, B. Barili, L. Montano, N. Savarese. Maestri di una letteratura capace di affrontare i difficili problemi della coscienza moderna e di una poesia fatta di intenso ed essenziale lirismo furono Luigi Pirandello, la cui efficacia si esercitò allora soprattutto attraverso il teatro, Italo Svevo, e tra i poeti Giuseppe Ungaretti, Umberto Saba, Arturo Onofri e Vincenzo Cardarelli. Una nuova stagione per la narrativa cominciò con A. Moravia, C.E. Gadda, E. Vittorini, C. Pavese, V. Brancati, R. Bilenchi, F. Jovine P.A. Quarantotti Gambini, G. Piovene, M. Soldati, G. Dessi, V. Pratolini, I. Silone, T. Landolfi, D. Buzzati; fra le scrittrici, si ricordano A. Banti, A. De Céspedes, G. Manzini. Ma anche più profondo che nella narrativa fu il rinnovamento attuatosi nella lirica con Ungaretti, Saba, Montale. C. Betocchi, S. Quasimodo, S. Solmi, L. Sinisgalli, A. Gatto, M. Luzi, V. Sereni, S. Penna hanno dato vita a una delle più interessanti stagioni della letteratura novecentesca: l'ermetismo. Il dopoguerra ha segnato il passaggio dalla prosa lirica al romanzo. Le opere di C. Levi, Bernari, Calvino, Tomasi di Lampedusa sono permeate di nuovi contenuti politici, sociali e morali. La solitudine dell'uomo viene trattata da G. Bassani e G: Cassola. Negli anni recenti il romanzo si rivolta verso trame più aderenti alla realtà con P. Levi e L. Sciascia e inoltre con N. Ginzburg, Banti, Romano, E. Morante, Buzzati, G. Testori, Mastronardi, Bianciardi, Volponi, G. Morselli, Ledda, Camon, Tomizza, Malerba, Arpino, Eco, Pasolini, Fenoglio, Pratolini. In poesia i versi più limpidi si trovano in: Caproni, Penna, Raboni, Fortini, Roversi, Zanzotto, D. Bellezza, M. Cucchi. Tra i critici letterari più raffinati si annoverano: Contini, Caretti, Getto, Binni, Asor Rosa, Barberi-Squarotti, Pampaloni, Fortini, Magris





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