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Il cognitivismo
La Gestalt e il comportamentismo entrarono sulla scena della psicologia del primo Novecento
annunciati da due articoli, quello di Wertheimer del 1912 e quello di Watson del 1913, che
rappresentarono il punto di riferimento teorico e metodologico per le ricerche che in seguito si
collocarono in tali prospettive. Il cognitivismo, che costituì una delle principali correnti di ricerca
degli anni '60 e '70, non fu presentato in un manifesto altrettanto decisivo. Quando nel 1967 uscì
Cognitive psychology, di Ulric Neisser, le indagini di orientamento cognitivistico erano in corso già da
una decina di anni. Il libro di Neisser divenne uno dei libri più letti dalle nuove generazioni di
psicologi non tanto perché presentava una nuova prospettiva quanto perché, attraverso una
chiara e accurata sistematizzazione della letteratura, esplicitava l'esistenza di un orientamento che
di fatto era già seguito da molti ricercatori. Anzi si può dire che quando fu pubblicata la sintesi di
Neisser, il cognitivismo era ormai al massimo delle proprie potenzialità teoriche e sperimentali. I
contributi più importanti, infatti, per questa prospettiva erano stati prodotti nella seconda metà
degli anni '50 e nei primi anni '60; inoltre il cognitivismo si impose, soprattutto nel campo della
psicologia sperimentale, gradualmente e non come un movimento di completa e immediata
rottura: da una parte emergeva dall'ambito stesso delle indagini comportamentistiche di
laboratorio e, dall'altra, continuava una tradizione di ricerca che era rimasta apparenternente
nell'ombra nel primo Novecento, ma che ora riacquistava tutta la sua importanza teorica e
metodologica. Se quindi il cognitivismo è un orientamento che si organizzò come tale intorno agli
anni '60 nella psicologia nord-americana, vi era però una tradizione di ricerca, una prospettiva che
aveva una storia più lontana e affondava le proprie radici nelle indagini dei laboratori europei
dell'inizio del secolo.
In una visione d'insieme dai primi decenni del Novecento fino agli anni '60, la prospettiva
cognitivistica comprende una varietà di indirizzi e ambiti di ricerca che possono essere
accomunati da una serie di principi fondamentali.
In primo luogo (principio delle basi biologiche dei processi psichici), la psicologia studia essenzialmente
le strutture e le funzioni del sistema nervoso, nella sua massima complessità, e i processi psichici,
che controllano l'adattamento dell'organismo all'ambiente. Inoltre, i processi psichici si
sviluppano in relazione alla maturazione del sistema nervoso (principio dello sviluppo). Lungo questo
sviluppo i processi psichici operano in modo attivo sull'ambiente, filtrando l'informazione esterna
e producendo risposte motorie in funzione dei propri schemi di conoscenza e di azione (principio
del costruttivismo). Parlando di mente, invece che di psiche, ci si riferisce in particolare
all'organizzazione tipica del processi psichici, caratterizzati non tanto dalla produzione di risposte
agli stimoli (come si poteva pensare, ad esempio, per la psiche vegetativa o sensoriale aristotelica),
ma da modelli («modelli mentali»), spesso coscienti, che guidano il comportamento attraverso una
rappresentazione interna del mondo esterno (principio del mentalismo). La costruzione dei modelli
mentali avviene attraverso l'elaborazione dell'informazione esterna e interna compiuta da unità
specializzate all'interno della mente (Principio della elaborazione dell'informazione). L'elaborazione
dell'informazione può essere simulata su macchine non organiche (calcolatori) perché sia la
mente che il calcolatore operano fondandosi su processi e regole simili (principio della simulazione).
Questi principi, tra loro connessi, non sono stati condivisi nel loro complesso da tutti gli
psicologi di orientamento cognitivistico, fatta eccezione per il cognitivismo degli anni '60 e '70
che li fece propri pressoché in blocco. Va notato che per questa prospettiva, l'influenza dei fattori
sociali, storici e culturali sullo sviluppo cognitivo ha scarsa rilevanza. Anche se alcuni psicologi di
da G. Mecacci, Storia della psicologia del Novecento, Laterza, Bari, 2002, pp.239-315.
questo orientamento hanno preso in considerazione tali fattori, non si è mai pervenuti a ritenerli
il presupposto fondamentale dello sviluppo dei processi cognitivi, contrariamente a quanto sostiene
la teoria storico-culturale. La metafora della mente come un calcolatore considera la mente
in modo astratto e universale, appunto come una macchina che agisce al di fuori del contesto
storico, sociale e culturale.
In questo quadro più esteso, che ingloba sotto la prospettiva cognitivistica una vasta gamma di
ricerche svolte lungo tutto il Novecento fino al cognitivismo vero e proprio degli anni '60 e '70,
vanno presi in esame in primo luogo tutti gli studi sul processi cognitivi svolti dalle varie scuole. La
scuola di Würzburg, tra la fine dell'Ottocento e il primo decennio del Novecento, mise in evidenza
alcune caratteristiche dei processi di pensiero esclusi dall'indagine della scuola wundtiana. Altri
psicologi, in particolare Otto Selz e Frederic C. Bartlett, compirono importanti elaborazioni
teoriche sul pensiero e sulla memoria.
Le teorie dell'intelligenza (con il problema connesso degli strumenti per misurarla, ovvero i
test) contribuirono ad arricchire le conoscenze sulla struttura multifattoriale della mente e a porre
in evidenza la questione del rapporto tra fattori ereditari e fattori ambientali nelle prestazioni
cognitive. Questo problema fu affrontato in un'ottica diversa dalle teorie dello sviluppo psichico
(le teorie principali del primo Novecento furono quelle di James M. Baldwin e Heinz Werner).
La sintesi più importante e innovativa sui processi cognitivi nella loro dimensione evolutiva fu
elaborata da Jean Piaget, a partire dagli anni '20. Le ricerche di Piaget sullo sviluppo cognitivo nel
bambino furono alla base di un progetto interdisciplinare sulle strutture della conoscenza umana
(epistemologia genetica) avviato negli anni '50. La teoria di Piaget rimane tuttora un riferimento
fondamentale degli studi sullo sviluppo cognitivo infantile.
Le ricerche sulla percezione furono approfondite, a cominciare dagli anni '40, mettendo in evidenza
come la percezione non sia un sistema di recezione passiva dell'informazione, ma interagisca con
altri processi psichici in una rappresentazione attiva della realtà. Gli orientantenti teorici più
importanti furono il transazionalismo, il funzionalismo probabilistico di Egon Brunswik, e il New
Look. Negli anni '60 e '70 ha avuto una vasta risonanza la teoria della percezione (ottica ecologica)
elaborata da James J. Gibson.
Negli anni '60 emerse nell'ambito della psicologia nord-americana il nuovo indirizzo di ricerca
denominato cognitivismo, frutto della convergenza di indagini teoriche e sperimentali svolte in
ambiti disciplinari diversi: la psicologia sperimentale, la teoria dell'informazione e la cibernetica, la
linguistica, le neuroscienze. Il libro che sistematizzò la leteratura in questa prospettiva sui processi
cognitivi fu, come abbiamo detto, Cognitive psychology (1967) di Ulric Neisser. La produzione
cognitivistica degli anni '60 e '70 sui vari processi cognitivi, concepiti come unità di elaborazione
dell'informazione, fu ricchissima. Nella seconda metà degli anni '70 i principi teorici e i risultati
del cognitivismo furono sottoposti ad una revisione critica che sottolineò l'esigenza di una ricerca
attenta alle condizioni naturali in cui opera la mente umana (approccio ecologico) e che non si
limitasse a studiare i processi cognitivi in condizioni di laboratorio.
Alla fine degli anni '70 si sviluppò l'orientamento della «scienza cognitiva». È uno studio
interdisciplinare dei processi cognitivi in un'ottica nella quale la simulazione al calcolatore è una
caratteristica fondamentale per comprendere la struttura e il funzionamento di tali processi. La
realizzazione sul calcolatore di programmi che svolgano complessi compiti cognitivi, non
necessariamente simili a quelli umani, è un ramo fondamentale (intelligenza artificiale) della
scienza cognitiva. Un ultimo orientamento di ricerca all'interno della scienza cognitiva è il
connessionismo, sviluppatosi negli anni '80.
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