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La tragedia di sei milioni di bambini che nel mondo annualmente muoiono per la denutrizione è la più grande emergenza umanitaria del XXI secolo.
Tipologia D: tema di ordine generale
Questo significa che sei milioni di piccoli esseri umani, pari all'intera popolazione infantile dell'Italia e della Francia, cade ogni anno vittima della miseria, della denutrizione, della mancanza delle più elementari condizioni igienico-sanitarie.
Sono gli effetti più catastrofici della povertà che attanaglia alcune aree particolarmente degradate del Sud del Pianeta, come gran parte dell' Africa subsahariana e molti Paesi asiatici e dell' America Latina.
La sottoalimentazione rende ovviamente i bambini più vulnerabili alle malattie: in organismi debilitati e sotto peso, basta una diarrea, il morbillo o un banale attacco influenzale, cioè disturbi che siamo abituati a curare facilmente, per creare dei danni irreparabili. Inoltre la malnutrizione nell'infanzia ritarda la crescita e l'apprendimento e quindi incide negativamente sull'istruzione e sulla capacità lavorativa, le uniche risorse per uscire dal sottosviluppo. sorse per uscire dal sottosviluppo.
La denutrizione è anche una pesante eredità delle guerre civili e dei conflitti interetnici che si sono combattuti o ancora si combattono in alcuni Paesi del Terzo Mondo, i cui effetti si abbattono sulle popolazioni civili, peggiorandone le già precarie condizioni di vita. E, come sempre accade, a subire le maggiori conseguenze sono ancora una volta i bambini, molti dei quali, quando sopravvivono, restano orfani o menomati nel fisico, nella psiche, negli affetti.
Secondo
In realtà, la denutrizione non dipende dalla mancanza di cibo, bensì dalla diseguale distribuzione dello stesso: una disparitàche s'inserisce nel più ampio divario esistente tra i Paesi ricchi e quelli poveri del mondo. È la contraddizione più stridente del nostro mondo che, ancora nel ventunesimo secolo, vede una parte della popolazione complessiva del Pianeta fruire dei vantaggi e del comfort assicurati dalla tecnologia ed un'altra, la maggioranza, affannarsi alla ricerca di condizioni minime di sopravvivenza. Ma poco o nulla si fa in sostanza per ridurre questo divario; anzi, il processo di globalizzazione dell'economia sembra aver allargato la forbice tra chi corre con il progresso e chi continua a precipitare nel baratro della povertà.
Non bisogna dimenticare che, all'origi ne del sottosviluppo di tanti Paesi del Terzo Mondo, c'è stata la politica colonialista delle Potenze europee che, dalla prima metàdell'Ottocento, colonizzarono immensi territori dell' Africa e dell' Asia, privandoli delle loro risorse umane e materiali.
Il processo di decolonizzazione, che a partire dagli anni del secondo dopoguerra permise alle colonie di conquistare l'indipendenza, non ha arrestato lo sfruttamento perpetrato dalle Potenze occidentali che, anzi, ha assunto una nuova forma, definita "neolocolonialismo". Quest'ultimo non agisce mediante l'occupazione politica ed armata dei territori, come avveniva in passato, bensì attraverso un dominio economico, finanziario e tecnologico a distanza e tale da imporre lo "scambio ineguale" tra i prodotti fmiti, ad alto valore aggiunto, dei Paesi ricchi e le materie prime e i semilavorati, a limitato valore aggiunto, di cui dispongono i Paesi poveri del Sud del mondo.
A compromettere ogni tentativo di crescita economica del Sud del mondo è l'indebitamento accumulato dai Paesi poveri con i governi e le banche degli Stati ricchi: un fenomeno che risale al periodo immediatamente successivo alla decolonizzazione, quando i neonati governi locali si rivolsero all'Occidente per fmanziare i loro programmi di sviluppo che non si sono mai realizzati. Così a quei primi crediti se ne sono aggiunti altri, con il risultato che attualmente i Paesi poveri non sono in grado neanche di pagare il tasso d'interesse di servizio sul credito ricevuto.
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