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HOBBES - LA VITA E LE OPERE

politica



HOBBES

LA VITA E LE OPERE

Thomas Hobbes visse in un periodo particolarmente tormentato della storia inglese . La tendenza degli Stuart ( prima Giacomo I , poi Carlo I ) ad accentrare il potere nelle mani del re aveva provocato gravi tensioni tra la Corona e il Parlamento, una parte del quale - la Camera dei Comuni - rappresentava gli interessi di una classe media sempre più intenzionata a far sentire il proprio peso nella vita della nazione . Gli squilibri politici erano inoltre strettamente intrecciati con quelli religiosi . Da un lato la politica accentratrice della monarchia si rifletteva sulla struttura episcopale della Chiesa anglicana che, pur essendosi resa indipendente da quella di Roma , ne eveva conservato oltre ai dogmi , anche l'organizzazione gerarchica e autoritaria ; dall'altro i presbiteriani accoglievano l'esigenza puritana di una maggiore de-cattolicizzazione della Chiesa inglese e di un'articolazione più democratica del clero che avrebbe dovuto essere eletto dal basso, cioè dai fedeli stessi organizzati in comunità parrocchiali ( presbiteri ) , anzichè venire nominato dall'alto del potere vescovile. Questi conflitti politico religiosi condussero l'Inghilterra alla guerra civile , alla condanna e alla decapitazione di Carlo I e alla successiva dittatura repubblicana di Oliver Cromwell . Quest'ultima fu espressione , sul piano politico, della media borghesia e, su quello religioso , di una variante puritana più radicale dei presbiteriani - gli Indipendenti , che pretendevano una completa autonomia della Chiesa dal re e dal potere polirtico . La storia dell'Inghilterra della prima metà del Seicento è dunque in gran parte la vicenda del confronto tra i sostenitori dell'assolutismo monarchico e dell'episcopalismo e dei difensori di una più o meno grande redistribuzione del potere che consentisse maggiori margini di autonomia agli strati mediobassi della borghesia e della Chiesa . Sebbene di estrazione piccolo-borghese - era nato a Malmesbury nel 1588 da un pastore di campagna - Hobbes si schierò decisamente a favore del partito realista e della Chiesa anglicana . Ciò è stato in parte spiegato con il suo carattere timoroso , pieno di orrore per ogni sedizione e disordine civile , in parte con il fatto che egli visse lungamente al servizio e sotto la protezione dei potenti : fu precettore di due generazioni di Cavendish , futuri duchi del Devonshire , nel castello dei quali concluderà i sui giorni, ed insegnò matematica al futuro Carlo II che , diventato re , lo proteggerà nell'ultima parte della sua lunga vita. In ogni caso la scelta di Hobbes è in piena sintonia con la sua teoria secondo cui l'unico modo per garantire la pace e la sicurezza civile è la concentrazione di tutto il potere delle mani di uno solo . Se il pensiero politico di Hobbes è fortemente influenzato dalle vicende storiche da lui vissute , la sua formazione filosofica dipende in gran parte dai lunghi soggiorni che egli trascorse nel Continente . Dopo aver conseguito nel 1608 il bacca-laureato delle Arti ad Oxford, dal 1610 al 1612 egli accompagna il discepolo William Cavedish in un viaggio in Europa . Questo primo contatto con la cultura continentale verrà consolidato da altre permanenze, soprattuttto in Francia e in Italia, negli anni 1629-31, 1634-37, 1640-51 . L'ultima di esse è un volontario esilio , motivato da ragioni di sicurezza : nel 1640 egli aveva fatto circolare manoscritti gli Elementi di legislazione naturale e politica , in un momento in cui si radicalizzava la lotta tra il re e il Parlamento . Durante questi viaggi Hobbes ebbe occasione di conoscere Galilei ad Arcetri e, a Parigi , Gassendi , Mersenne ( su invito del quale scrisse le terze Obiezioni alle Meditazioni di Cartesio ) e molti esponenti dell'ambiente libertino . Si delineavano così alcuni aspetti essenziali del suo pensiero : l'assunzione del modello matematico in filosofia , l'attenzione per il razionalismo cartesiano , corretto però dall'empirismo di Gassendi , la critica razionalistica alla religione che sfiora l'ateismo . Durante il soggiorno parigino Hobbes pubblica il De cive ( 1642 ) , che costituisce l'ultima parte di una trilogia filosofica-politica , gli Elementa philosophiae , le cui prime due componenti , il De corpore e il De homine , usciranno rispettivamente nel 1655 e nel 1658, dopo il rientro in Inghilterra . Prima di ritornare in patria egli pubblica tuttavia la sua opera principale , il Leviatano ( 1651 ) , che costituisce la summa del suo pensiero, anche se la discussione dei problemi politici è nettamente prevalente sull'esposizione dei temi gnoseologici ed etici . Caduto Cromwelle restaurata la monarchia, Hobbes trova un valido protettore nella persona di Carlo II , suo antico discepolo . Morirà a Londra , più che novantenne nel 1679 .




La condizione dell' uomo é una condizione di guerra di ciascuno contro ogni altro.


Gli interessi principali di questo pensatore non sono tanto metafisici , quanto politici . D' altronde la sua filosofia matura nel contesto della guerra civile inglese degli anni 40 del Seicento . Ebbe una vita particolarmente lunga ( circa novant' anni ) che coprì l' intero XVII secolo . La distinzione tra Hobbes e l' altro grande filosofo politico inglese del 1600 ( Locke ) deriva soprattutto dal diverso periodo storico in cui sono vissuti . Nell' Inghilterra , infatti , nel 1600 ci sono state ben due rivoluzioni , quella degli anni 40 ( é l' epoca in cui scrive Hobbes ) e quella degli anni 80 , detta " gloriosa " ( é l' epoca in cui vive Locke ) : mentre la prima é una vera e propria guerra civile , una vicenda traumatica , la seconda rivoluzione ( la " gloriosa " ) é considerata un fatto altamente positivo , l' atto con cui l' intera società inglese si é sbarazzata di una monarchia oppressiva e ha dato vita ad una monarchia costituzionale . Il fatto stesso che Hobbes abbia maturato le sue idee e i suoi scritti nel corso della prima rivoluzione e Locke nella seconda , é significativo per capire le differenze tra i due . Per Hobbes la cosa che va evitata più di ogni altra é la guerra civile , per Locke la perdita della libertà . Hobbes mira alla sicurezza , Locke alla libertà . La prima opera importante di Hobbes é una traduzione inglese della Guerra del Peloponneso di Tucidide ; il che dimostra due cose : in primo luogo il suo interesse prettamente antropologico , storico e politico . In secondo luogo dobbiamo tener conto che Tucidide non era uno storico qualunque : era fortemente pessimista e si curava di una storia attenta al diritto del più forte : Hobbes sarà molto influenzato da questa concezione della storia . Nella guerra civile Hobbes resta sempre legato alla monarchia e segue perfino la corte di Carlo II in esilio in Francia dopo la decapitazione di Carlo I . Hobbes é sì fortemente legato alla monarchia ( dalla quale , dopo il rientro in Inghilterra , riceverà la pensione che veniva data ai " fedeli " , con la quale potevano vivere senza lavorare ) , tuttavia da essa non sarà mai visto con troppa simpatia : egli é sì uno dei grandi teorici dello stato assoluto , ma non necessariamente della monarchia assoluta , verso la quale , comunque , Hobbes nutre grandi simpatie . Esistono tuttavia due modi distinti di concepire la monarchia assoluta : uno , più tradizionale , che vede in Giacomo I , nei primi anni del Seicento , il grande teorizzatore : egli fondava il potere del sovrano sull' idea ( di origine medioevale ) che fosse attribuito direttamente da Dio ; ci sarà anche , sempre in questo ambito , chi arriverà a dire che il potere del sovrano non é altro che un' estensione del potere del padre sulla famiglia ad un intero stato : Dio ha dato ad Adamo un potere assoluto sulla famiglia e sui figli ; da Adamo il potere si é esteso ai patriarchi di Israele per poi arrivare ad investire intere strutture statali . Si tratta quindi di un' idea patriarcale e divina del potere assoluto . Locke polemizzerà contro i sostenitori di questa teoria , in particolare contro un' opera scritta in quegli anni , intitolata " Il patriarca " . La posizione di Hobbes , che é comunque assolutista , é meno tradizionale rispetto a quella di Giacomo I ed é fondata in maniera laica : nello stato assoluto secondo Hobbes Dio non c' entra niente , il potere non deriva dall' alto , ma dal basso : gli uomini guidati dalla loro ragione decidono di associarsi e di rinunciare a porzioni della propria libertà in favore di un' istanza superiore ( il sovrano ) . Con Hobbes concorderanno Locke , Spinoza e Rousseau : le differenziazioni tra questi pensatori nasceranno poi su come concepiranno l' idea di stare insieme . Tuttavia concorderanno tutti pienamente con Hobbes che non é Dio ad attribuire il potere al sovrano , ma é il popolo stesso guidato dalla propria ragione . Si tratta quindi di uno stato assoluto il cui fondamento primo é il consenso : esso é la base del potere anche quando si arriva a stati assoluti : é l' idea dominante per tutto il 1600 . L' interesse principale di Hobbes , come accennavamo , é la politica , tuttavia egli ritiene di dover fondare la politica su una base fisico - matematica . Egli si fa portavoce , in altri termini , di una concezione riduzionista delle scienze : le scienze sono parecchie ( biologiche , umane , naturali , fisiche , ecc. ) e un sociologo per analizzare i problemi della società umana deve senz' altro tener conto della realtà fisica e biologica in cui il comportamento si svolge ; il presupposto biologico che le persone mangino , per dire , é presupposto fondamentale della sociologia , che indagherà su che cosa mangino e cose del genere . Tuttavia non c' é riduzionismo , ossia non pensiamo che tutta la sociologia possa essere dedotta dall' ambito biologico e che l' ambito biologico possa essere a sua volta dedotto da quello chimico , il quale può essere dedotto da quello fisico , deducibile da quello matematico , riducendo così tutto ad una sola scienza : certo bisogna tener conto della biologia ( ad esempio ) studiando la sociologia , ma comunque quest' ultima non sarà riducibile solo a biologia . Invece Hobbes ha una concezione tipicamente riduzionistica : le scienze possono essere ridotte ad una sola ( la fisica ) : tutto ( la politica , l' etica , ecc ) può essere spiegato secondo le leggi della fisica matematizzata . Per Cartesio , invece , con la fisica si può arrivare a costrui 828c25i re la biologia ( dalle leggi fisiche all' animale macchina ) e studiare un corpo o un orologio , in fondo , per lui é la stessa cosa , tuttavia egli non estende la fisica alla politica e alla sociologia per il fatto che c' é la res cogitans che glielo impedisce . Hobbes invece , affrontando il problema lasciato in eredità da Cartesio del rapporto tra res cogitans e res extensa , lo risolve annullandolo , ossia eliminando radicalmente la res cogitans ( la spiritualità ) : tutto ciò che esiste é materiale e anche quello che ci sembra spirituale ( la coscienza , la memoria , il dolore ) non é altro che una manifestazione della res extensa : la coscienza e il sentimento non sono altro che epifenomeni , ossia manifestazioni oggettive , appendici : é la materia che dà la parvenza di essere coscienza . Ecco quindi spiegato perchè Hobbes fa derivare tutte le scienze dalla fisica e dedica ben due trattati alla fisica e alla metafisica , lui che si interessava di politica . Addirittura leggendo la sua opera principale , il Leviatano , ci si accorge di come egli , ancora prima di trattare della vera e propria politica , parta dalla concezione della materia per poi arrivare solo in un secondo tempo alla politica . D' altronde per Hobbes la politica non é altro che una fisica particolarmente complessa : con il suo metodo riduzionistico si parte dalla fisica , si arriva alla biologia e poi alla sociologia ( la politica ) . La politica diventa allora una vera e propria fisica sociale . Sul piano storico é tipico che se una branca funziona particolarmente bene si finisce per farla diventare egemone in ogni campo : nel 1600 , neanche a dirlo , la branca egemone é la fisica matematizzata . Tuttavia non é detto che tutti quelli che prendano a modello la fisica siano riduzionisti come Hobbes : Cartesio é un grande fisico , ma non é un riduzionista : lo é fin quando non arriva a parlare dell' uomo , in cui convivono res cogitans e res extensa . Tutto per Hobbes va investigato in termini fisici proprio perchè le uniche cose esistenti sono i corpi ( la materia , res extensa ) , la cui caratteristica é la misurabilità in termini matematici . Ecco allora che accanto ad uno scritto intitolato De cive ( il cittadino ) , ne troviamo un altro intitolato De corpore ( il corpo ) , quasi come se Hobbes volesse scrivere un' enciclopedia dello scibile umano in termini fisici . E' poi interessante il fatto che sia Hobbes sia Cartesio cominciano a scrivere nelle lingue nazionali ( in inglese Hobbes e in francese Cartesio ) per diffondere il loro sapere : il Leviatano , l' opera più importante di Hobbes , é in inglese . Stranamente Hobbes , per cominciare lo studio della realtà in generale , parte da una definizione dell' essere data a suo tempo da Platone nel Sofista : Platone diceva che si può dire che é tutto ciò che può agire o subire un' azione ; certo Platone non intendeva dare una soluzione meccanicistica come farà Hobbes , tant' é che con questa definizione dimostrava l' esistenza delle idee : ciò che agisce o subisce un' azione esiste , quindi le idee che io penso , subendo l' azione dell' essere pensate , devono esistere . Qualche tempo dopo Platone , gli stoici avevano ripreso in termini più rozzi questa definizione del Sofista dicendo che a subire e a compiere azioni sono solo le cose materiali . Hobbes la pensa come gli stoici e arriverà a dire che esiste solamente la realtà corporea . La realtà non é altro che un insieme di corpi e di movimenti di corpi . In una polemica con un vescovo arriverà a sostenere che anche Dio é realtà corporea e che non potrebbe essere altrimenti : se non fosse corpo non esisterebbe perchè tutto ciò che esiste é corporeo ; ma Dio esiste , quindi é materiale . Su questa fisica radicalmente meccanicistica Hobbes costruisce tutto il suo pensiero , elaborando una dottrina delle sensazioni e delle attività " spirituali " : molte sono le analogie tra Hobbes e Cartesio , però la vera differenza da tenere a mente é che per Hobbes la res cogitans non esiste . Hobbes , per spiegare una sensazione , ricorre ad uno stimolo esterno che genera ( in termini meccanicistici ) un movimento dalla periferia del corpo verso il centro ( che per Hobbes può essere tanto il cuore quanto il cervello ) ; al centro si genera un altro moto che si identifica con la sensazione , che noi siamo soliti pensare come spirituale , ma che , spiega Hobbes , in realtà é puramente fisica e meccanicistica . La sensazione non é altro che un movimento impercettebile degli organi centrali del corpo . Similmente egli spiega anche la memoria : come mai ci ricordiamo delle cose e , tuttavia , col tempo il ricordo tende a sbiadirsi ? Hobbes dà anche qui una spiegazione meccanicistica : quando vediamo , ad esempio , qualcosa i nostri sensi sono urtati e si innesca il movimento materiale tramite il quale vediamo la cosa che ci sta davanti ; quando poi la cosa non ci sta più davanti continuiamo a vederla perchè il moto innescatosi quando la osservavamo ( per la legge di inerzia ) perdura e così con la mente continuiamo a vedere l' oggetto che prima ci stava di fronte . Ecco allora che la memoria é un moto attenuato che permane in noi per un certo tempo . Se ho ricevuto una sensazione che é diventata ricordo , poi , si tratta , come dicevamo , di un moto che dura per un pò e che sa mettere in moto la catena in senso opposto : al centro perdura il moto del ricordo , viene trasmesso alla periferia e vado a trovare una persona che da dieci anni non vedevo . Questa tesi hobbesiana é piuttosto ingenua , ma non é poi così profondamente diversa rispetto a quella fornita dalla biologia e dalla medicina attuali . Quella di Hobbes risulta quindi essere una filosofia materialistica ; é interessante notare come la parola materialismo abbia sostanzialmente due significati : può voler dire che esiste solo la materia , riconducibile ad estensione e a movimento ( e così di fatto la intende Hobbes ) ma può anche voler dire che non esiste solo la materia , ma che comunque essa é la realtà fondamentale : così la intenderà Marx nell' Ottocento : ciò che chiamiamo non materia é solo una manifestazione secondaria ( un epifenomeno ) della materia . Il marxismo , non a caso , dirà che i fenomeni considerati come non materiali sono comunque dipendenti e derivati dalla materia : le concezioni culturali di una persona , allora , dipenderanno dalle condizioni storiche in cui essa vive . La posizione di Hobbes , però , é e resta rigorosa : tutto ciò che esiste é materia e le sensazioni stesse sono una forma di movimento microscopico . La filosofia di Hobbes é in buona parte un tentativo di superare le difficoltà create da Cartesio : se esistono una res cogitans ( spirito ) e una res extensa ( materia ) nettamente distinte che entrano in contatto tra loro ( la res cogitans anima decide di alzare il braccio e la res extensa braccio si solleva ) , come si spiega il contatto tra realtà materiale e realtà spirituale ? Sì , perchè se si parla di contatto allora si parla di urti materiali , ma é assurdo parlare di urti materiali in una realtà metafisica quale é la res cogitans ! Ecco allora che Cartesio ricorreva alla ghiandola pineale dove avveniva il misterioso incontro tra res cogitans e res extensa . Hobbes elimina la res cogitans e riconduce tutto alla res extensa . Così però , se vengono superati i problemi connessi alla ghiandola pineale , ne vengono creati di nuovi , forse ancora più grossolani . Hobbes infatti non dice che le sensazioni sono prodotte da movimento , ma arriva a dire che le sensazioni sono movimento , il che é abbastanza assurdo . Sia che si tengano in gioco la res extensa e la res cogitans ( Cartesio ) , sia che si consideri solo la res extensa ( Hobbes ) si cade inevitabilmente in contraddizione : se dico che il movimento provoca la sensazione entro nell' aporia cartesiana : la res extensa si muove e genera un qualcosa che non é più res extensa ( la sensazione , che per Cartesio é res cogitans ) : é un qualcosa di materiale che , misteriosamente , produce qualcos' altro di spirituale . Se invece , sulle orme di Hobbes , dico che il movimento é sensazione cado in una contraddizione ancora più grossolana : la sensazione é sensazione , non é un movimento , ce ne accorgiamo tutti bene o male ! Pare quindi che non ci sia una via d' uscita : la scienza moderna tende a far vedere che non é la materia a generar la sensazione ( come diceva Cartesio ) ma che non può neanche essere accettata la teoria hobbesiana secondo la quale la materia é sensazione , bensì sottolinea come certi stati di coscienza corrispondano a certi stati di materia : a ogni stato della res extensa , spiega la scienza moderna , corrisponde uno stato della res cogitans ( della coscienza ) . Ma il problema non viene risolto : non viene cioè spiegato il rapporto tra res cogitans e res extensa . Che ci sia corrispondenza tra le due realtà era noto a partire da Cartesio , quel che non si sapeva era appunto il tipo di rapporto esistente tra le due sostanze . In realtà la scienza del giorno d' oggi non si pone neanche più di tanto il problema perchè in fondo ( per dirla con Galileo ) le interessa più il come che il cosa e il perchè . Fatto sta che tutti possiamo cogliere la contraddizione di Hobbes , insita nell' affermazione stessa : la sensazione é il movimento . Dire che il movimento sia sensazione é assolutamente assurdo perchè una cosa é il movimento , un' altra cosa é la sensazione . Si torna quindi al problema cartesiano : che rapporto c' é tra le due res ( cogitans ed extensa ) , che tra loro qualche rapporto devono per forza averlo ( altrimenti come si spiega che quando metto la mano sul fuoco sento il calore ? ) . Col cogito ergo sum cartesiano ho la certezza di esistere come soggetto pensante con tutte le idee presenti nella mia testa : l' idea di libro presente nella mia testa esiste , bisogna però chiarire se , oltre all' idea di libro presente nella mia testa , esista qualcosa di esterno ad essa da cui l' idea proviene . La coscienza che ho di esistere con il cogito ergo sum é effettivamente totalmente sganciata dal mondo fisico della res extensa : esisto come soggetto pensante , ma non so se esista il mondo esterno ( compreso il mio corpo ) . Però posso esser certo che l' idea di libro ( anche se il libro in carne ed ossa non esistesse ) esiste come oggetto della mia attività intellettuale , che ho dimostrato esistente ( cogito ergo sum ) . Anche se non ci fosse nulla al di fuori della mia attività intellettuale , l' idea di libro continuerebbe ad esistere come fatto della mia coscienza : quando poi scoprirò ( come fa Cartesio ) che esiste un mondo esterno all' idea di libro si aggiungerà il libro materiale , ma l' idea resterà invariata : essa é presente nella mia coscienza sia che il libro materiale esista sia che non esista . Ecco allora che l' idea di libro , presente nella mia coscienza come sensazione , non é affatto moto di materia ( la materia potrebbe anche non esistere senza per questo influenzare l' idea ) : la tesi di Hobbes é stata confutata . Il materialismo comporta quindi due contraddizioni : il materialismo di Hobbes , il più rigoroso , sbaglia dicendo che gli stati di coscienza sono movimenti di materia ; il materialismo di Marx ( ed in parte di Cartesio ) sbaglia dicendo che un determinato stato di materia genera uno stato di coscienza . Ricapitolando : per Hobbes esiste solo ciò che può fare o subire un' azione , quindi esiste solo la res extensa ; la nostra stessa coscienza é riconducibile a materia , a corpo e a movimento : movimenti che dal centro ( cuore o cervello ) vanno verso la periferia e viceversa . A questo punto interviene nel discorso di Hobbes l' etica , totalmente stravolta nella sua concezione di bene e male rispetto a tutte le filosofie precedenti . In tutte le filosofie il bene é sempre stato ciò verso cui si deve tendere e il male ciò verso cui non si deve tendere . Certo i filosofi hanno individuato in modi differenti il bene e il male cui si deve o non si deve aspirare : per Epicuro il bene era il piacere , per Aristotele la felicità , per gli stoici la virtù , per Platone il Bene in sè , e così via . Tutti in fondo facevano un ragionamento di questo tipo : il bene é questo , dunque si deve tendere a questo . Questi pensatori , in altri termini , vedevano il bene in termini teleologici , come il fine a cui tendere ; addirittura un materialista come Epicuro invitava i suoi discepoli a tendere al piacere , visto come sommo bene . Ora , in una filosofia meccanicistica e materialista quale é quella di Hobbes , il finalismo non può assolutamente essere accettato : non esistono cose buone ( stabilite a priori ) a cui aspirare . In base alle leggi meccaniche , ogni comportamento é legato ad azioni di tipo meccanicistico ( ricordiamoci che Hobbes é un riduzionista : tutto é riconducibile ai movimenti della materia e quindi tutto va spiegato in modo meccanicistico ) : a certi stimoli corrispondono determinate reazioni ; é come nelle macchine ( l' uomo stesso per Hobbes é una macchina ) in cui ad ogni imput corrisponde un output . L' uomo reagisce sempre in maniera tale da sopravvivere , da autoconservarsi : reagendo così sceglierà certe cose e non altre , in altre parole opterà per tutto ciò che gli consentirà di sopravvivere ( a volte commetterà errori e non ce la farà ad autoconservarsi ) . E' evidente come il finalismo sia del tutto fuori luogo in una visione della realtà come quella di Hobbes . Ma che cosa sono il bene e il male ? Per Hobbes il bene é ciò che l' uomo di fatto sceglie e il male é ciò che l' uomo di fatto evita : tutti gli uomini si comportano in una certa maniera e , di fatto , definiremo come bene ciò a cui essi tendono . Però il bene a cui essi tendono non é un qualcosa di stabilito a priori ( il bene cui si tende é la virtù , il piacere , la felicità , ecc. ) , ma é ciò a cui aspirano per inclinazione naturale . Per Hobbes l' uomo agisce così in modo meccanico e il modo in cui agisce , quello é il bene per l' uomo . Il male viene allora ridotto a ciò che l' uomo non fa . La definizione stessa di bene dipende da ciò che l' uomo decide di fare e non é un qualcosa a priori . Va notato come in questi ragionamenti ci sia un evidente riallacciarsi alla matematica , imperante in tutto il 1600 : Hobbes stesso riteneva che pensare non fosse altro che operare e che ogni nostro pensiero fosse riconducibile ad operazioni di somma o di sottrazione : dire " la rana é verde " significa addizionare alla rana il verde ; dire " la rana non é verde " significa sottrarre alla rana il verde . Anche nell' etica Hobbes tende a matematizzare , riducendo il comportamento a definizioni geometriche " infondate " , e avvicinandosi così al pensiero di Spinoza . In base alle leggi meccanicistiche l' uomo persegue le cose che gli garantiscono l' autoconservazione : proprio in esse é il bene . Sulla base di questo bene e di questo male appena spiegati si genera il comportamento individuale , ma a Hobbes, da politico , interessa maggiormente quello collettivo . Nella società civile il bene e il male per natura cedono il passo al bene e al male per convenzione . Tra le varie doti di cui l' uomo dispone vi é anche la ragione , fa notare Hobbes ; gli animali stessi , in qualche misura , sembrano averne : in Hobbes viene a cadere quella netta distinzione di stampo cartesiano tra uomo e animale proprio perchè manca la res cogitans , che era poi ciò che appunto differenziava l' uomo dalle altre creature : non essendoci la res cogitans , gli uomini sono macchine al pari degli animali . Gli animali per Hobbes provano sensazioni ( a differenza di quanto diceva Cartesio ) , hanno l' intelletto , ma non la ragione , intesa come pensare in termini generali tramite il linguaggio : l' uomo grazie al linguaggio e alla ragione può attribuire nomi comuni alle cose e di conseguenza può parlare per categorie . Ovviamente Hobbes é nominalista : le idee non esistono proprio perchè non esiste la sostanza spirituale : tutto ciò che esiste é materiale ; le idee sono solo flatus vocis e i nomi ci consentono di raggruppare tante cose in categorie . Gli uomini , proprio perchè dotati di ragione , sono in grado di stabilire che cosa é più utile per la loro sopravvivenza ; la ragione stessa li porta a vedere cosa é più utile per l' autoconservazione sul lungo termine e non solo sul momento : certo sul momento per autoconservarmi mangiare andrà bene , ma non basta , bisogna vedere sul lungo termine . Ecco allora che gli uomini ragionano su che cosa garantisca loro l' autoconservazione al di là del presente . Ed é proprio quest' esigenza che li porta a far nascere lo Stato civile . In origine gli uomini , spiega Hobbes , vivevano nello stato di natura in cui vigeva una situazione nella quale ciascuno aveva diritto su ogni cosa : oggi ciascuno di noi ha diritto non su tutto , ma su qualcosa perchè così sanciscono le leggi in vigore nello Stato : é il diritto di proprietà . Ma nello stato di natura , in cui non c' é lo Stato civile e quindi non ci sono le leggi , tutti han diritto su tutto . Ciascuno può cioè fare ciò che desidera per procurarsi ciò che gli serve : si potrà allora rubare e uccidere per sopravvivere e , proprio perchè finalizzato all' autoconservazione , questo sarà un bene . Lo stato di natura quindi é uno stato di bellum omnium contra omnes , una condizione di guerra di ciascuno contro ogni altro dove ciascuno mira alla propria autoconservazione a discapito degli altri . Per Hobbes quindi l' uomo non é per natura incline ad essere socievole , come aveva sostenuto Aristotele a suo tempo definendo l' uomo come animale politico . A questo punto interviene la ragione , la quale suggerisce che la situazione di guerra di ciascuno contro tutti gli altri nata dall' esigenza di autoconservarsi porta ad un risultato opposto a quello per cui era nata : infatti nel momento in cui tutti mirano alla propria autoconservazione a discapito degli altri , la vita di ciascuno diventa altamente insicura e neanche il più forte può vivere sicuro perchè ci sarà sempre qualcuno più forte e comunque anche i più deboli potranno in qualche modo minacciare la sua vita . La ragione , di cui tutti gli uomini dispongono nella stessa misura , suggerisce allora di uscire dal precario stato di natura . Prima di vedere come se ne esca , però , si possono fare alcune osservazioni sullo stato di natura . In tutti gli autori ( Locke , Spinoza , Rousseau ) che ci ragioneranno sopra c' é l' idea di fondo che un reale stato di natura non sia mai effettivamente esistito nel corso della storia . Per quanto possano esserci state situazioni particolarmente retrograde e vicine allo stato di natura , un vero e proprio stato di natura non é mai esistito . Il ragionamento di questi autori é più che altro teorico : vogliono cioè far vedere non tanto quello che c' é stato prima dello Stato civile , quanto piuttosto quello che succederebbe se venisse meno lo Stato civile . Non a caso il vero stato di natura radicato nella mente di Hobbes non é quello appena descritto , bensì quello della guerra civile inglese degli anni '40 del Seicento ( da lui vissuta in prima persona ) . Nella guerra civile infatti non vi é più lo Stato come autorità suprema e la guerra comporta un ritorno provvisorio al retrogrado stato di natura di lotta di ciascuno contro ogni altro . Uscendo dallo stato di natura su incitamento della ragione si passa a quello civile , che é un superamento appunto dello stato di natura : all' interno dello Stato civile non ci sarà più la guerra di ciascuno contro ogni altro , ma essa perdurerà , secondo Hobbes , nei rapporti tra Stato e Stato : Hobbes non riconosce il diritto internazionale e vede il rapporto tra uno Stato e l' altro come quello tra uomo e uomo nello stato di natura . Va poi sottolineato il fatto che egli , parlando di guerra di ciascuno contro tutti gli altri , non intende dire che ciascuno combatte incessantemente una guerra contro tutti quelli che lo circondano ( il che sarebbe assurdo ) ; vuole piuttosto sottolineare come nello stato di natura vi sia una potenziale guerra di ciascuno contro tutti gli altri proprio perchè non ci sono le istituzioni che lo impediscono : ciascuno nello stato di natura é contemporaneamente e potenzialmente sempre aggresssore e aggredito . Secondo Hobbes si esce dallo stato di natura per approdare a quello civile nel momento in cui ciascun individuo autolimita i propri diritti . La vera differenza nelle concezioni politiche tra Hobbes e Locke sta proprio nel come essi intendano l' uscita dallo stato di natura ; é proprio il modo in cui se ne esce che determina lo Stato civile che verrà originato . Per Hobbes la cosa più importante che debba essere garantita ai cittadini é la sicurezza , per Locke la libertà . Secondo Hobbes il principio fondamentale é l' autoconservazione ( la sicurezza ) e tutto il resto é secondario tanto da poter essere sacrificato pur di ottenere la sicurezza . Ma in concreto che diritti devo sacrificare per garantirmi la sicurezza ? Secondo Hobbes qualsiasi diritto deve essere limitato proprio perchè la sicurezza é garantita dal fatto che si limitino fortemente tutti i diritti di tutti affidando un diritto coercitivo ad una sola persona che può decidere ciò che vuole . Ognuno si deve cioè privare dei suoi diritti in favore di un' istanza superiore che può tutto su chi si é tolto i diritti , tranne togliere il diritto di sicurezza : si é affidato il potere a questa persona proprio perchè lo garantisse . In altre parole , questa persona cui viene affidato il potere , deve essere investita di un tale potere da potere tutto tranne che togliere ai sudditi il diritto alla sicurezza . Sarebbe d' altronde ridicolo sacrificare anche il diritto di sicurezza : ho rinunciato a tutto perchè esso mi fosse garantito ! La ragione stessa , che ha condotto l' uomo fuori dallo stato di natura , gli detta alcune leggi di natura : innanzitutto ognuno deve evitare di aggredire gli altri purchè anche gli altri facciano altrettanto . Non dobbiamo assolutamente fare violenza quando tutti sono d' accordo a non fare violenza . Esiste cioè un giusnaturalismo , ossia uno ius naturae , un diritto inscritto nella natura stessa delle cose , contrapposto allo ius positum ( diritto positivo , stabilito dai singoli Stati ) . L' atto con cui si esce dallo stato di natura e dal giusnaturalismo per entrare nello Stato civile e nel giuspositivismo é l' emanazione di un contratto sociale , idea tipica del 1600-1700 : vari possono essere i tipi di contratti e , per esempio , quello di Hobbes é radicalmente diverso rispetto a quello di Locke : secondo Hobbes , dal momento che ad un certo momento tutti i membri di un gruppo , guidati dalla loro ragione , si rendono conto che bisogna uscire dallo stato di natura per potersi garantire la sicurezza e l' autoconservazione , ciascuno di loro rinuncia a tutti i diritti , fatta eccezione per quello alla sicurezza ( che é l' obiettivo della limitazione degli altri diritti ) ; tutti gli altri diritti naturali vengono abbandonati per garantire la sicurezza individuale e vengono affidati , come si suol dire , ad un terzo , il quale si trova a detenere un potere illimitato ( può tutto tranne negare la sicurezza ai cittadini ) e può quindi garantire la pace perchè ha poteri così grandi da comandare su ogni cosa . Nel momento in cui questo personaggio viene investito del potere , stabilisce le leggi con le quali decreta cosa é bene e cosa é male : a differenza dello stato di natura in cui bene era ciò che garantiva a ciascuno l' autoconservazione , nello Stato civile bene e male dipendono totalmente da ciò che il sovrano vuole : tra tutti i diritti di cui egli gode vi é anche quello di decretare che cosa sia bene e che cosa sia male . Evidentemente una concezione di questo tipo fonda lo Stato assoluto , ossia la situazione in cui il sovrano ha diritti ampissimi che si estendono a tutto fuorchè alla vita dei cittadini . Ma va subito sottolineato come sovrano non sia sinonimo di monarca ; la sovranità , infatti , può essere detenuta da un' assemblea . A questo punto il sovrano può decretare ciò che é giusto e obbligare i cittadini a comportarsi di conseguenza . Hobbes dichiara esplicitamente di nutrire grandi simpatie nei confronti della monarchia in quanto essa non porta a lotte di fazioni interne e , soprattutto , evita le guerre civili , favorendo la sicurezza . Possiamo a questo punto ricordare un' importante osservazione fatta dal filosofo novecentesco di ispirazione illuministica Norberto Bobbio : egli fa notare che in ogni epoca ci sono categorie di pensiero fondamentali che , talvolta , sono così forti da costringere a servirsi di esse anche chi non la pensa così perchè altrimenti non verrebbe compreso , visto che tutti si avvalgono di quelle categorie . Bobbio , nel caso di Hobbes , nota come il pensatore seicentesco si serva di categorie giusnaturalistiche particolarmente in voga all' epoca per poi fornire un contenuto sostanzialmente giuspositivista ( giuspositivismo : non c' é alcun diritto naturale , ma solo diritti imposti dagli Stati ) ; in realtà Hobbes propugna tesi giuspositiviste camuffandole da giusnaturaliste : in ultima istanza ciò che é giusto o sbagliato lo é perchè lo decide il sovrano e non perchè di per sè sia giusto o sbagliato : se il sovrano decide che é giusto agire così , io suddito devo agire così senza far appello a leggi di natura . Per riprendere un interrogativo tipicamente platonico ( vedi Eutifrone ) : le cose sono sante perchè piacciono a Dio o piacciono a Dio perchè sono sante ? Hobbes , a differenza di Platone , opterebbe per la prima . La rivoluzione inglese nacque per questioni finanziarie : il re chiese ai contribuenti una tassa extra per poter fare una guerra . Venne allora coniato il motto nessuna tassa senza rappresentanza ( no taxation without rappresentation ) : sullo sfondo c' era l' idea che la proprietà privata dei cittadini non potesse venir toccata dal sovrano ; le tasse van bene solo se quando vengono stabilite noi sudditi possiamo essere rappresentati e dire la nostra . In altri termini , lo Stato non potrebbe metter le mani sulla proprietà privata . Hobbes si schiera a favore dello Stato e contro i cittadini che difendono l' intoccabilità della proprietà privata da parte dello Stato : potrei dire che lo Stato non ha diritto di confiscarmi la proprietà se essa fosse un diritto che sta a monte dello Stato civile ; ma nello stato di natura non c' é proprietà e tutti han diritto su tutto . Essa nasce nello Stato civile e si fonda non sul diritto naturale , ma su quello stabilito dallo Stato : é il sovrano che ha varato leggi che garantiscono il diritto di proprietà . Ma se é lo Stato stesso che stabilisce le leggi che garantiscono il diritto di proprietà , così come le ha stabilite , può anche abolirle e confiscare la proprietà ai cittadini . Certo non potrebbe se essa stesse a monte dello Stato civile , ma così non é . Il sovrano può tutto , tranne che toccare la mia esistenza , e di conseguenza così come ha elargito dei diritti ( quello alla proprietà ad esempio ) , può anche riprenderseli . Hobbes si schiera anche contro i diritti consuetudinari , di derivazione medioevale . Si tratta di quegli antichi diritti che non sono stati decretati dal sovrano , ma sono validi per tradizione . Tipico diritto consuetudinario é quello secondo il quale uno Stato che si annetta un territorio , deve rispettare le leggi che in esso vigono . Hobbes non nega che il sovrano possa decidere di mantenere in vigore le leggi in vigore per tradizione nel territorio annesso , tuttavia dice che se il sovrano vuole , può cambiarle : se il sovrano con una sua libera decisione stabilisce di mantenere le leggi tradizionali di quel Paese , comunque la loro validità non dipenderà dal fatto che sono antiche e che quindi pure il sovrano deve attenervisi , bensì dal fatto che é il sovrano che decide di sua iniziativa di mantenerle valide . Esse non valgono per la loro antichità , tant' é che il sovrano può cambiarle quando e come gli pare e piace . La rivoluzione inglese nasce nel momento in cui il parlamento rimprovera al sovrano di aver rinnegato alcuni diritti tradizionali : secondo il parlamento certi diritti neanche il sovrano poteva toccarli . Ma Hobbes si schiera dalla parte del sovrano sostenendo che egli possa tutto fuorchè mettere in pericolo lo Stato stesso e i cittadini : ma quando mette in pericolo lo Stato e i cittadini , la sovranità si disfa da sola proprio perchè non più in grado di garantire la sicurezza , obiettivo per cui era stata creata . Quindi Hobbes con le sue idee ha fondato il nucleo teorico dell' assolutismo affermando due cose : 1 ) che non esiste alcun diritto prima della costituzione dello stato civile : nello stato di natura , infatti , vige il diritto del più forte e ciascuno é nemico di tutti ( homo homini lupus , dice Hobbes riprendendo le parole di Plauto ) : lo Stato civile , per severo e intransigente che possa essere , é l' unica vera fonte del diritto e così come fornisce ai cittadini alcuni diritti può anche sottrarglieli senza dover rendere loro conto ( dovrebbe se questi diritti esistessero a monte dello Stato civile ) ; se Hobbes ragiona nell' ambito dello stato naturale , come dice Bobbio , lo fa solo per poter parlare del giuspositivismo in modo che tutti possano comprendere . 2 ) Le modalità del contratto sociale previsto da Hobbes sono il fondamento stesso dello Stato assoluto : il fondamento dello Stato per Hobbes é il consenso ( e per questo egli non risultava troppo gradito alla monarchia ) ; ma il contratto per Hobbes non viene stipulato tra il futuro sovrano e tra i futuri sudditi , come dirà invece Locke : per Locke , essendo stipulato tra sovrano e sudditi , entrambi hanno dei doveri e nel momento in cui il sovrano o il popolo li trasgrediscono si devono prendere provvedimenti ( se li trasgredisce il sovrano il provvedimento é la guerra civile ) . Ma nella concezione hobbesiana , a stipulare il contratto sono solo i cittadini , che decidono di privarsi di tutti i diritti per garantirsi quello alla sicurezza : il futuro sovrano non stipula alcun contratto , egli si limita a raccogliere dei diritti abbandonati senza stipulare contratti ; non avendo stipulato un contratto , egli non deve sottostare ai dettami di tale contratto , ai quali invece debbono obbedire i sudditi che l' hanno stipulato . Ecco allora che il sovrano é assoluto ( dal latino absolvo ) , ossia slegato dagli obblighi che invece hanno i cittadini semplicemente per il fatto che lui non ha siglato alcun contratto , ma ha raccolto i diritti di cui il gruppo si é privato e gli ha ceduto affinchè lui , col suo potere smisurato , garantisca loro il diritto alla sicurezza : ed é l' unica cosa che il sovrano deve garantire , tutto il resto dipende dal suo arbitrio . Il fatto che il sovrano sia svincolato da ogni dovere porta Hobbes a proclamare il divieto di ribellione : il sovrano , proprio perchè non l' ha stipulato , non potrà mai rompere il contratto e ogni suo atto i sudditi devono considerarlo come se compiuto da loro stessi visto che essi hanno volontariamente delegato a lui i loro diritti . La ribellione sarebbe una contraddizione logica al pari di quando si manda qualcuno a rappresentarci in un' assemblea di condominio e noi ci opponiamo alle scelte da lui prese : gli abbiamo delegato il nostro potere e il suo volere é quindi il nostro volere . Quando il sovrano fa qualcosa é come se lo stessi facendo io suddito che gli ho affidato il potere di mia iniziativa . Ribellarsi é una contraddizione logica : é come fare un qualcosa e non voler farlo . L' opera più famosa di Hobbes , in cui egli esprime tutte le sue teorie politiche é il Leviatano , che prende il nome da un mostro mitologico dell' Antico Testamento ; é interessante notare che oltre al Leviatano , Hobbes scrisse un' altra opera ( meno famosa ) , intitolata Behemoth : anche Behemoth é un mostro biblico , però , a differenza di Leviathan , é fortemente negativo e simboleggia la ribellione che , come detto , per Hobbes é una contraddizione logica : quindi Behemoth , la ribellione , é un mostro distruttivo , che va assolutamente vinto . Il Leviatano , titolo dell' opera , non é altro che lo Stato stesso : nel frontespizio della prima edizione dell' opera compare un curioso disegno : un grande uomo con la corona sul capo che é a sua volta composto da tanti piccoli omini ; lo Stato per Hobbes non é altro che un insieme di corpi e , poichè il corpo é spiegabile in termini meccanicistici , così deve essere spiegato anche lo Stato ( che é un insieme di corpi , un corpo gigante composto da corpi piccoli ) : ricordiamoci che Hobbes é riduzionista . Lo Stato , ossia l' aggregazione dei cittadini , viene presentato come un mostro positivo , come un " Dio in terra " : lo Stato é quella realtà , spiega Hobbes , dalla quale , subito dopo Dio , ci si devono aspettare i beni maggiori : é un vero e proprio Dio sulla terra . Ciò non toglie che questo Dio terreno venga presentato come un mostro , dipinto cioè in termini ambigui : é sì la realtà da cui ci si devono aspettare grandi beni , ma lo é proprio perchè dotato di potere immenso ( i cittadini gli cedono tutti i loro diritti ) e Hobbes non può nascondere che sia comunque un qualcosa di aggressivo e terribile . Ma il fatto che sia terribile non implica che debba essere evitato : é e rimane l' unico mezzo per non piombare nello stato di natura , dove vige il diritto del più forte . Questo spiega , tra l' altro , perchè Hobbes apprezzasse un "rivoluzionario" come Cromwell : ciò che conta é che ci sia un potere forte , non importa di qual natura : il potere valido é quello che c' é , purchè sia potente e purchè ci sia .


LA CONOSCENZA

Indubbiamente uno degli ambiti in cui Hobbes si rivela maggiormente influenzato dalla cultura continentale é quello della conoscenza : egli abbraccia le teorie meccanicistiche di Cartesio con un rigoroso sensismo gnoseologico , che deve probabilmente essergli derivato dalle teorie di Gassendi . Infatti , se Cartesio riconosceva la possibilità di idee innate , per Hobbes ogni conoscenza deriva dai sensi . A sua volta la sensazione viene spiegata in termini di movimento corporeo . La sensazione nasce dalla pressione esercitata dagli oggetti esterni sugli organi sensoriali e , tramite i nervi , sul cervello ; a questa pressione l' apparato percettivo dell' uomo reagisce con un contro movimento che si conclude nella produzione dell' immagine o fantasma dell' oggetto . Dal momento che la reazione degli organi sensoriali é un movimento proiettivo verso l' esterno , la produzione dei fantasmi sarà caratterizzata dalla convinzione soggettiva che le immagini esistano esternamente rispetto al corpo . Ma in realtà il contenuto della sensazione si risolve in una pura apparenza ( o fantasma , per dirla alla greca ) : ciò che all' occhio appare come colore e all' orecchio come suono , oggettivamente non é che movimento meccanico di un corpo ( l' oggetto esterno ) su un altro corpo ( l' organo sensoriale del soggetto percipiente ) . La dottrina della conoscenza sensibile di Hobbes poggia dunque su un presupposto gnoseologico di tipo fenomenistico . Dal movimento meccanico in cui consiste la sensazione , nasce anche il pensiero . Le idee , i pensieri , i concetti , in altri termini gli oggetti della mente e quindi il materiale della conoscenza , non sono infatti altro che il risultato di immagini sensoriali sedimentate nella memoria . Oltre alle immagini delle singole sensazioni , nella memoria permangono tuttavia anche le connessioni tra una sensazione e l' altra e quindi tra un' immagine e l' altra : ed é proprio nella ricostruzione di queste connessioni che consiste il pensiero . Pensare non é altro che cercare i nessi causali relativi al determinato fantasma ( o pensiero ) che in un certo momento prevale sugli altri nella nostra mente : vale a dire connettere questo pensiero ( ad esempio , " pioggia " ) con quelli che possono esserne le cause ( per esempio , " nube " ) o , viceversa , con quelli che possono esserne gli effetti ( per esempio , " bagnarsi " ) .

FILOSOFIA POLITICA

Nonostante il significato di bene sia relativo e soggettivo , almeno su una cosa , la conservazione della propria vita e l' integrità del proprio corpo , tutti gli uomini si trovano dello stesso parere . Ma proprio questo bene viene messo in forse nello vstato di natura che precede la costituzione della società civile . In questa condizione infatti , non esistendo alcuna autorità che freni l' arbitrio individuale , l' uomo é indotto a ricercare il proprio vantaggio a danno di quello degli altri in parte per necessità , dal momento che egli deve contendere loro i pochi beni che la natura offre , in parte per sua propria volontà , visto che per natura egli é incline non alla socievolezza ma all' aggressività nei confronti del prossimo : ecco allora che Hobbes stravolge la concezione aristotelica dell' uomo come animale politico , portato dalla sua inclinazione naturale a vivere insieme ai suoi simili negli agglomerati urbani . Hobbes riprende quanto diceva già Plauto : homo homini lupus ; l' uomo é lupo all' uomo , non gli é amico ! Non a caso Hobbes dice : La condizione dell' uomo é una condizione di guerra di ciascuno contro ogni altro : lo stato di natura é quindi un perpetuo stato di guerra ( bellum omnium contra omnes ) nel quale , trovandosi nella necessità di difendere se stesso e i propri averi con il solo ausilio delle proprie forze , ciascun uomo detiene un diritto su tutte le cose ( ius in omnia ) che lo autorizza a compiere ogni azione e a servirsi di ogni mezzo che egli soggettivamente reputi opportuni per raggiungere quello scopo primario . In altri termini , nello stato di natura il diritto si estende tanto quanto la propria forza . In questa condizione , in cui tutti sono nemici di tutti e detengono un diritto su tutto , nessuno può essere certo di non incorrere nel massimo dei mali , la morte violenta . Ed é proprio per questo che bisogna uscire dallo stato di natura , obbedendo alle leggi naturali medianti le quali la ragione calcolatrice indica all' uomo i mezzi necessari per conseguire il fine supremo dell' autoconservazione . La legge di natura fondamentale comanda di cercare e realizzare la pace , che é la prima condizione di ogni sicurezza personale . Ma la pace può essere ottenuta soltanto quando ciascun individuo stipuli con tutti gli altri un patto , nel quale ognuno rinuncia a gran parte del suo diritto naturale su tutto ( mantenendo solamente il diritto alla vita e all' integrità fisica ) e consente a una persona sola ( o a un' unica assemblea di persone ) di conservare il diritto naturale della sua interezza . La società che nasce da questo patto é una società politica o Stato ; coloro che rinunciano al diritto naturale diventano sudditi , mentre la persona o assemblea che lo conserva assume la funzione di sovrano . Di conseguenza quest' ultimo entra in possesso di una forza irresistibile , in grado di dominare tutte le altre con la sua incomparabile superiorità , rendendo impossibile quella guerra naturale che nasceva dall' equivalenza delle forze individuali e , quindi , dalla speranza di ognuno di poter sopraffare l' avversario . Alla molteplicità delle volontà individuali , sempre in conflitto tra loro , si sostituisce inoltre l' unità della volontà sovrana , che decide per tutti che cosa sia giusto o ingiusto , dando significato a termini che nella condizione naturale , dove il diritto di natura legittimava ogni cosa , non potevano avere alcun valore . Nelle mani del sovrano é riposto un potere illimitato : e ciò non soltanto perchè il sovrano é l' unica persona a detenere , nello Stato , il diritto naturale su ogni cosa , ma anche perchè egli beneficia del contratto senza impegnarsi in esso : infatti , il patto é stipulato reciprocamente tra gli individui in favore del sovrano e non tra gli individui e il sovrano . Il pactum unionis e il pactum subjectionis , che scandivano i due momenti della creazione dello Stato secondo la tradizione giusnaturalistica per Hobbes coincidono : gli individui si riuniscono in una comunità politica solamente nel momento in cui ( e per il fatto che ) rinunciano a gran parte dei loro diritti naturali in favore del sovrano . Per questo il problema della forma di governo diventa secondario ,, in quanto il potere del sovrano é sempre assoluto , indipendentemente dal fatto che sia formalmente detenuto dal popolo , dall' aristocrazia o dal re , anche se ciò non impedisce a Hobbes di esternare la sua preferenza per la monarchia , nella quale l' unità della volontà politica coincide con l' unicità fisica della persona che governa . Il pensiero di Hobbes é pertanto generalmente considerato come il modello teorico dell' assolutismo politico , anche se una sua corretta interpretazione esige che esso venga inquadrato nella particolare situazione storica cui si é prima fatto cenno . Importantissima é poi la posizione assunta da Hobbes a riguardo dei rapporti tra Stato e Chiesa : se l' unicità e l' indivisibilità del potere sovrano é la condizione essenziale per garantire la pace all' interno dello Stato e impedire che la forza torni a frantumarsi in una molteplicità di fazioni in reciproco conflitto , lo Stato non può tollerare una Chiesa che gli si contrapponga come potere autonomo : é assurdo che i sudditi siano obbligati a riconoscersi sudditi dello Stato e della Chiesa allo stesso tempo : la Chiesa si configura agli occhi di Hobbes come contropotere rispetto allo Stato , come Stato dentro allo Stato . La Chiesa deve quindi far parte dello Stato e il capo di quest' ultimo eserciterà la sua autorità anche sulla gerarchia ecclesiastica . La filosofia di Thomas Hobbes rappresenta una risposta in senso assolutistico non solo alle forze economico-sociali che minavano l' integrità del potere regio , ma anche al movimento puritano che indeboliva la subordinazione della Chiesa anglicana al re : l' una e l' altra tendenza alla decentrazione del potere si traducevano necessariamente , secondo il calcolo razionale delle conseguenze , in un ritorno allo stato di natura e du guerra , come il conflitto civile avrebbe avuto modo di dimostrare .

GIUSNATURALISMO

Il pensiero giuridico-politico di Hobbes intrattiene stretti legami con il giusnaturalismo . Con questo termine - che deriva dal latino ius , diritto e natura - ci si riferisce alla dottrina secondo cui il diritto ha un fondamento naturale indipendente dall' autorità politica che emana la singola legge e le conferisce una determinata configurazione storica o positiva . Nell' antichità e nel Medioevo , periodi nei quali il giusnaturalismo trovò espressione soprattutto nello stoicismo , nella Patristica agostiniana e nella Scolastica tomista , la "natura" in cui si trova inscritto il diritto è lo stesso ordine ontologico e teologico del mondo . Nel Sei-Settecento il giusnaturalismo assume una forma moderna - cui corrisponde la più esatta denominazione di "scuola del diritto naturale" - nella quale il diritto viene fondato non più sulla natura in generale , ma su quella umana in particolare , e quindi sulla ragione . Il diritto naturale perde il carattere metafisico-teologico (e quindi oggettivo , inscritto nelle stesse cose) , per diventare diritto razionale (e quindi soggettivo , non nel senso di variare da individuo a individuo , poichè la ragione è unica , ma di essere proprio soltanto del soggetto umano) . L' università della ragione permetteva così di di individuare diritti naturali fondamentali e inalienabili per tutti gli uomini ; mentre l' autorità della ragione come fonte di conoscenza vera conferiva al giusnaturalismo una incisiva funzione critica nei confronti delle legislazioni storicamente realizzate . Il diritto positivo che nasce dalla costituzione dello Stato e dall' esercizio della sovranità potrà infatti essere una specificazione di quello naturale , oppure una sua integrazione nelle questioni per esso indifferenti , ma in nessun caso potrà entrare in contraddizione con esso , negando i diritti fondamentali dell' uomo . Al giusnaturalismo moderno sono strettamente connesse le teorie dello stato di natura e del contratto sociale . In primo luogo , se il diritto ha un fondamento naturale , esso deve fare riferimento a uno stato di natura (reale o ideale) che preceda la costituzione della società civile . In secondo luogo , in quanto opposta allo stato naturale , la società civile (o Stato) esprime una condizione artificiale e convenzionale, nascendo da un patto o contratto . Quest' ultimo contiene in sè due momenti (che possono essere intesi in senso logico o cronologico) : un patto di unione ( pactum unionis ) con cui gli individui stabiliscono di entrare in una società politica e un patto di sudditanza ( pactum subjectionis ) con cui essi si sottomettono a un' autorità sovrana , definendo contemporaneamente la forma di governo in cui si dovrà esprimere (monarchia , aristocrazia , democrazia) . A proposito di Hobbes , però , possiamo ricordare un' importante ossevazione fatta dal filosofo novecentesco di ispirazione illuministica Norberto Bobbio : egli fa notare che in ogni epoca ci sono categorie di pensiero fondamentali che , talvolta , sono così forti da costringere a servirsi di esse anche chi non la pensa così perchè altrimenti non verrebbe compreso , visto che tutti si avvalgono di quelle categorie . Bobbio , nel caso di Hobbes , nota come il pensatore seicentesco si serva di categorie giusnaturalistiche particolarmente in voga all' epoca per poi fornire un contenuto sostanzialmente giuspositivista ( giuspositivismo : non c' é alcun diritto naturale , ma solo diritti imposti dagli Stati ) ; in realtà Hobbes propugna tesi giuspositiviste camuffandole da giusnaturaliste : in ultima istanza ciò che é giusto o sbagliato lo é perchè lo decide il sovrano e non perchè di per sè sia giusto o sbagliato : se il sovrano decide che é giusto agire così , io suddito devo agire così senza far appello a leggi di natura . Per riprendere un interrogativo tipicamente platonico ( vedi Eutifrone ) : le cose sono sante perchè piacciono a Dio o piacciono a Dio perchè sono sante ? Hobbes , a differenza di Platone , opterebbe per la prima .


RIASSUNTO DEL LEVIATHAN (1651)

Hobbes è il massimo teorico dell'assolutismo. E' il primo caso in cui all'unità del Corpus Christianum medievale si contrappone una potenza puramente e totalmente terrena dello STATO SOVRANO (le prime monarchie assolute in Francia, Spagna, Inghilterra che affermavano la loro indipendenza dal papato ne erano comunque, sebbene in parte, influenzate).La vita sociale diventa vita politica.

PUNTO DI PARTENZA DI HOBBES

La ricerca non è più il genere umano ma lo stato ,unione stretta dagli individui per formare una società armata di potere sovrano. Quindi lo STATO E' UNA FORMA SUPREMA DI ORGANIZZAZIONE SOCIALE RISPETTO CUI L'INDIVIDUO E' TOTALMENTE SUBORDINATO e viene costituito a partire da una nuova società borghese: uomini liberi, indipendenti ed eguali che si uniscono in vista della conservazione della vita e del benessere.

METODO DI HOBBES

E' improntato sul metodo galileiano e consiste nella scomposizione dei principi primariamente e nella composizione del corpo politico successivamente. Lo stato è necessario da un punto di vista razionale perché la relazione fra protezione ed obbedienza dà agli uomini pace e vita per cui IL POTERE DELLO STATO NON E' SOLO IL SUPREMO DOVERE MA ANCHE IL PRIMO INTERESSE DEGLI UOMINI. Si evince da qui che la filosofia politica di Hobbes ha come supremo valore la pace e si basa sul fatto che tale pace si consegue solo alla creazione di un sovrano assoluto che freni passioni ed interessi individuali. Lo stato padrone di Hobbes segna la rottura definitiva col mondo ecclesiastico del medioevo perché si fonda sull'interesse degli individui, quindi sul calcolo. E' facile perciò comprendere come Hobbes teorizzi un assolutismo essenziale per lo sviluppo borghese. Due sono le figure cardine del suo pensiero:

a. l'individuo ( alla ricerca del proprio profitto)

b. il sovrano ( proiezione di tutti i diritti della società)


LO STATO DI NATURA

Definizione delle qualità originarie dell'uomo per giustificare una concezione di stato: questa è la definizione hobbesiana (e non solo). Esso quindi (lo stato di natura) non è semplicemente una condizione storica ma un' ipotesi necessaria al fine di riconoscere il problema centrale che è L'ORIGINE DEL POTERE POLITICO IN RAPPORTO ALLA NATURALE INDIPENDENZA DELL'UOMO .

Locke : l'uomo precede la società perché UOMO ( creatura sociale e razionale) ; condizione naturale dell'uomo è la comunità retta dalla ragione. Pertanto, secondo John Locke lo ststo di natura è uno stato di pace

Hobbes: forte antitesi fra condizione naturale e condizione civile (che sono sfere opposte che si escludono l'un l'altra).

Condizione naturale (fuori dalla stato) : guerre, paure, passioni

Stato civile (nello stato) : ragione, pace, sicurezza

L'uomo è uomo solamente come suddito di uno STATO dato che la condizione naturale dell'uomo è uno stato di isolamento e guerra dettati dagli interessi dei singoli che si contrastano a vicenda mossi da spinte esclusivamente egoistiche (amor proprio).

Fuori dallo stato la vita NON E' MORALE

L'indole degli uomini è caratterizzata dalle passioni che determinano forze che mirano alla sola superiorità di se stessi sugli altri NON ESISTE PROPENSIONE DEGLI UOMINI ALLA SOCIETA' c MA SOLO UN LORO VANTAGGIO

Lo stato di natura è quindi uno stato di guerra.

La tesi hobbesiana dice quindi che lo stato di natura è sicuramente una condizione di libertà ed uguaglianza ma che questa libertà è lontanissima dalle tesi liberaliste lockiane : libertà significa per Hobbes il PURO NON IMPEDIMENTO, cioè licenza sfrenata che determina un conflitto universale. IL CONCETTO DI LIBERTA' E' QUINDI INCOMPATIBILE CON QUELLO DI PACE : essa equivale ad una ricerca di DOMINIO e pertanto deve essere ALIENATA NELLO STATO. Essere uguali vuol dire avere la stessa capacità di nuocersi a vicenda

cNON ESISTE UNA SOCIETA' NATURALE . CIO' COMPORTA IL VENIR MENO DI OGNI PRINCIPIO CHE CONSIDERI L'UOMO AL DI FUORI DELLO STATO.

Giustizia ed ingiustizia non appartengono né al corpo né alla mente perché se lo fossero si troverebbero in ogni singolo uomo, cosa dimostratasi non vera, perciò esse appartengono solamente all'uomo IN SOCIETA'.

L'amor proprio e le passioni fanno dell'indipendenza originaria dell'uomo una condizione miserabile ed impongono una necessità primaria: uscire da tale condizione.Pertanto Hobbes non distingue società civile da società naturale, perché quest'ultima non è società e pone come base del suo discorso politico LA CONCILIAZIONE DEGLI INTERESSI UMANI: essa presuppone che i privati cessino di essere tali e si regolino pubblicamente in modo tale da far nascere immediatamente la società nel momento in cui nasce un ordinamento politico.

L'uomo, per la sua natura bellicosa, è uno strano animale per cui la società si presenta come OPPOSIZIONE DI ALTRI UOMINI CHE OSTACOLANO IL RAGGIUNGIMENTO DEI PROPRI FINI ( carattere individualistico ed antagonistico dell'uomo). Per questa ragione lo stato deve essere fornito di POTERE ASSOLUTO per assicurare la pace e l'unità sotto la protezione del SOVRANO. La nature egoistica dell'uomo crea però grosse difficoltà all'istituzione dello stato: infatti, spesso, per soddisfare le passioni e gli orgogli personali l'uomo compromette la propria vita, infrange il bonum sibi per PAURE PERSONALI: la sottomissione allo stato ha quindi lo scopo utilitaristico di regolamentare secondo ragione e prudenza i rapporti umani.

IL GIUSNATURALISMO HOBBESIANO

Hobbes quindi volge il concetto di stato di natura per giustificare il potere assoluto dello stato.

Giusnaturalismo medievale: partecipazione razionale all'ordine divino

Giusnaturalismo di Hobbes: IUS QUIA IUSSUM : la giustizia dipende dal volere politico

La legge di natura proibisce di fare all'uomo ciò che è dannoso per la sua vita ( infrazione del bonum sibi). Nella condizione di natura l'uomo finisce con lo scendere in guerra con i suoi simili: LA RAGIONE SUGGERISCE tali sono cREGOLE IN BASE ALLE QUALI GLI UOMINI POSSONO VIVERE IN MOLTITUDINE  le leggi di natura

I Legge di natura (fondamentale): ogni uomo tende alla pace finchè ha speranza di ottenerla

II Legge di nature: ogni uomo depone il diritto a tutte le cose (che originerebbe un conflitto universale) per mezzo di patti.

Le altre leggi (sono 19) si basano tutte sulla legge fondamentale.

Il giusnaturalismo hobbesiano implica un restringimento della sfera di ciò che è lecito per natura, introducendo limiti individuali con la differenza (rispetto al liberalismo) che diritti e doveri non scaturiscono dalla natura ma DALLO STATO.

Tale teoria si appoggia ad una tradizione medievale razionalistica: LEGGE MORALE = ETERNA LEGGE DELLA RAGIONE. Ma è proprio per questo che essa non può essere considerata legge:

"Autoritas non veritas facit legem"

Questa conclusione porta alla difesa di se stessi, rendendo il concetto di legge proprietà di colui che per diritto ha il potere. La ragione di Hobbes perde il carattere metafisico per essere uno strumento umano, un calcolo: LA FILOSOFIA MORTALE NON INDICA I FINI MA I MEZZI

L'insieme delle leggi fondamentali sono impotenti a frenare le passioni umane, pertanto NON COSTITUISCONO LIMITE GIURUDICO: chi si comporta socievolmente non fa altro che darsi in preda agli altri perché LE LEGGI NATURALI NON GARANTISCONO PACE E SICUREZZA

Quale rapporto c'è dunque tra leggi naturali e leggi civili ?

2 soluzioni proposte da Hobbes:

Le leggi naturali costituiscono il contenuto di quelle civili che le rendono valide (soluzione poco credibile)

L'obbligo di obbedire alla legge si fonda su un patto con cui i sudditi si impegnano ad obbedire al sovrano. C'è impossibilità di contrasto tra i 2 ordini di diritto: se la legge civile ordina di compiere azioni contrarie alla legge naturale l'obbedienza sarà uguale in virtù di quella legge di natura che impone il rispetto dei patti. (soluzione più coerente)



IL CONTRATTO E LO STATO

L'idea del contratto nasce dal fatto che nessuna obbligazione può essere contratta se non grazie ad un atto personale. Il contrattualismo di Hobbes elabora una teoria del potere politico che porta ad una rigorosa teoria della sovranità. Tale teoria è una sintesi del doppio contratto della dottrina tradizionale:

Pactum unionis : gli individui formano la società

Pactum subiectionis : gli individui delegano il potere al sovrano *

Hobbes nega tale presupposto : il popolo, come tale, non può esistere prima del potere sovrano. Prima di tale istituzione può esistere solamente un consenso fondato sulla forza delle parole.

Esiste infatti una differenza tra moltitudine e popolo:

MOLTITUDINE : collezione di volontà indipendenti

POPOLO : persona unica in grado di esprimere una sola volontà

Solo il popolo può presentarsi come parte di un contratto e di conseguenza non può esistere prima del contratto né tantomeno prima del sovrano o di un potere sovrano: LA MOLTITUDINE DIVENTA POPOLO ESCLUSIVAMENTE NELLA SOGGEZIONE AD UN POTERE.

LA SOCIETA , pertanto, NASCE CON L'ISTITUZIONE DELLO STATO E NON PRIMA.

Detto ciò il problema diventa ora il principio di unità, cioè bisogna dare una volontà unica a tutti i membri dello stato: tale volontà si ottiene solamente ALIENANDO LE VOLONTA' PARTICOLARI NELLO STATO (cioè come sottomissione ad un sovrano che si faccia portatore di una sola volontà del popolo)

C'è quindi una connessione necessaria tra unione e sottomissione (vedi sopra c*) Tema centrale del contrattualismo hobbesiano.

CONTRATTO POLITICO = alienazione del diritto naturale, cioè della libertà piena ed assoluta

L'unico modo in cui gli uomini possono erigere un potere comune è quello di conferire tutto il loro potere e la loro forza ad un uomo o ad una assemblea di uomini che, a maggioranza di voti, possa ridurre tutte le loro volontà ad una volontà unica al fine di creare una persona sola tramite un patto.

Il patto ha in sé quindi i concetti di autorizzazione e rappresentanza, che consentono di pensare le parole di un uomo come fossero quelle di un altro.

E' un po' come il rapporto autore - attore: l'attore rappresenta gli atti di un altro, agisce in nome dell'autore.

Solamente così una moltitudine può divenire popolo.






Conclusioni


Hobbes introduce la distinzione fondamentale tra diritto naturale (ius naturae) e legge naturale (lex naturae): lex e ius - egli nota - non sono la stessa cosa e tale dicotomia rimanda ad un problema sostanziale che ora esamineremo. Ius naturae è il diritto naturale ed è innanzitutto libertà che appartiene al singolo individuo (ius indica dunque il diritto soggettivo), di contro alla tradizione giusnaturalistica, che era, da Aristotele in poi, olistica e non individualistica. Viceversa, lex è il contrario della libertà, è vincolo collettivo della libertà dell'individuo e rimanda sì ad una prospettiva olistica, più precisamente alla prospettiva artificiale dello Stato. Nella prima parte del De cive, Hobbes si sforza di definire l'ipotetico scenario dello stato di natura, caratterizzato dall'assenza del potere sovrano e, partendo da ciò, egli prova a costruire un'antropologia e poi uno Stato. Nello stato di natura, egli non considera le famiglie (come invece faceva Aristotele), ma gli individui: essi si trovano in una condizione duplice di uguaglianza e di volontà di nuocere (voluntas ledendi). Questi due punti di partenza sono il rovesciamento di quelli di Aristotele, che muovendo dalla famiglia notava come quella originaria fosse una situazione di disuguaglianza (padre/figlio, marito/moglie, padrone/schiavo) e come l'uomo fosse uno zwn politikon mosso da filia. Tanto l'idea di uguaglianza originaria quanto quella di voluntas ledendi, che Hobbes assume come punto di partenza, sono il portato del cristianesimo, ancorché la teoria di Hobbes sia assolutamente laica e stia alla base dello Stato laicamente inteso. Da questi due elementi originari, scaturisce che nello stato di natura, ove si è uguali ma ognuno vuole nuocere agli altri, la condizione umana è di paura reciproca e già Tucidide, del quale Hobbes tradusse da giovane le Storie, poneva tra i fattori della politica il foboV, ossia la paura. Questa costruzione, tale per cui dall'uguaglianza e dalla volontà di nuocere deriva un diffuso stato di paura, è in Hobbes complicata da un'attenta analisi delle passioni: egli cerca di spiegare perché l'uguaglianza porti alla paura e perché ne nasca un terrore pervasivo. Nel terzo paragrafo del cap.1 del De cive, egli dice che la paura reciproca deriva appunto dall'uguaglianza e dalla volontà di nuocere, precisando che "sono uguali coloro che possono fare cose uguali l'uno contro l'altro" e dato che tutti possono uccidere (chi con la forza, chi con la frode), allora se ne ricava che nello stato di natura tutti gli uomini sono uguali. La volontà di nuocere è in tutti, ma non è la stessa per tutti: ci sono i moderati e i prepotenti, e i secondi, in base a un'eccessiva stima di sé, si sentono autorizzati a prevaricare (è ciò che accade, ad esempio, nei Promessi sposi quando è intimato a Fra' Cristoforo di cedere la diritta); i primi, pur non essendo vanagloriosi, finiscono poi ugualmente per nuocere agli altri per difendere i loro averi e la loro libertà (essi nuocciono per difendersi, sicché sono meno colpevoli rispetto ai prepotenti). Inoltre, Hobbes nota che causa frequentissima del nuocere è che molti desiderano al contempo una stessa cosa che finisce poi nelle mani di chi risulta più forte nella lotta. Pertanto la volontà di nuocere dipende a) dalla prepotenza, b) dalla necessità di difendersi (ossia dalla diffidenza), c) dalla competizione per i beni. Queste tre radici, coagendo con l'uguaglianza, realizzano la situazione di paura che regna nello stato di natura. Però poi Hobbes complica il quadro introducendo un'altra variabile (ed è qui che fa la sua comparsa il diritto naturale): egli infatti sostiene che nello stato di natura gli uomini si perpetrano violenze d'ogni tipo (quaestio facti) e che - qui sta il punto saliente - essi hanno il diritto a farlo (quaestio juris) perché ne va della loro stessa sopravvivenza. In questa prospettiva, il discorso hobbesiano si spezza in una componente descrittiva e in una normativa. Considerati i molti pericoli che minacciano la vita del singolo nello stato di natura, non è affatto biasimevole prendersi cura di sé, cercando ciò che per sé è un bene e fuggendo ciò che è per sé un male. In questi termini, l'uomo è presentato come un animale desiderante il bene (innanzitutto l'autoconservazione) e fuggente il male (innanzitutto la morte) e che così agisce con la stessa necessità con cui una pietra, se lasciata, cade al suolo. Hobbes si propone dunque di analizzare l'uomo con le stesse leggi con cui Galileo studiava il mondo: non è assurdo né biasimevole se ci si adopra per conservare il proprio corpo dai dolori e dalla morte; lo si fa con diritto e il diritto è "la libertà che ciascuno ha di usare delle proprie facoltà secondo retta ragione". In opposizione alla lezione cristiana, Hobbes dice che tutto ciò che fanno nello stato di natura, gli uomini lo fanno con diritto: oltre ad essere uguali e ad avere certe passioni, essi sono legittimati ad averle e ad agire a quel modo al fine di autoconservarsi. In vista dell'autoconservazione, essi hanno diritto a tutto ciò che serve alla loro autoconservazione: la conseguenza è il bellum omnium contra omnes, ossia una costante guerra di tutti contro tutti. Gli individui sanno di avere il diritto ad ogni cosa (ius ad omnia) pur di autoconservarsi: soltanto l'individuo è giudice dei mezzi che gli occorrono per la propria autoconservazione. Hobbes lascia intendere che uguaglianza e libertà sono concetti alquanto problematici, che finiscono per produrre conflittualità tra gli individui, ciascuno dei quali sa di aver diritto a tutto. Non si può dire che cosa sia giusto per il singolo individuo (qui sta il non cognitivismo etico di Hobbes), giacché soltanto egli è giudice di sé, e talvolta finisce per essere giudice fallibile. Nello stato di natura, la misura dell'azione è l'utilità o, meglio, la valutazione soggettiva dell'utilità: a rendere ulteriormente instabile la condizione che caratterizza lo stato di natura è la fallibilità del giudizio dei singoli. Il loro dunque un conflitto di identità ancor prima che di beni: l'agire e addirittura il parlare sono il manifestare coi fatti e con le parole la volontà di lottare e di nuocere. In questi termini, Hobbes ha ampiamente dimostrato la contraddittorietà dell'esistenza nello stato di natura: da tutto ciò, egli deduce che si deve uscire da tale stato di natura, essendo in esso continuamente minacciata la sopravvivenza di tutti gli individui. A permettere l'uscita è la lex naturae: la sua presenza indica che, accanto allo ius naturae, nella natura umana c'è la legge di ragione, che suggerisce possibili vie per uscire dalla conflittualità imperante nello stato di natura. Uno dei mezzi di autoconservazione era, per l'appunto, la legge naturale: gli individui, per garantire l'autoconservazione, potevano cioè decidere di darsi leggi che li tutelassero. Ma il ricorso alla lex naturae dipende dall'individuo: sta a lui scegliere se usarla oppure no. Da ciò si capisce come, nella prospettiva hobbesiana, il giusnaturalismo sia utilizzato per poi essere buttato a mare. La legge (da legere, in italiano "legare") è per sua stessa natura un vincolo alla libertà: quest'ultima, secondo un materialista quale è Hobbes, non è che assenza di impedimento al moto, cosicché la legge si configura come un ostacolo che limita tale moto proibendo determinate cose. Essa opera nella duplice direzione di proibizione (additando quali cose non è possibile fare) e di obbligazione (prescrivendo ciò che si deve fare): ora, il giusnaturalismo non operava una distinzione tanto netta e proponeva soluzioni compromissorie rese possibili dall'assenza di siffatta distinzione e dal fatto che non concepiva gli individui come ostili fra loro e anzi guardava alla sola comunità. La legge di natura cerca di eliminare il conflitto (mentre il diritto naturale lo sortiva come effetto), anche se in fin dei conti non funziona in maniera completa: e se Hobbes vede nel diritto un elemento che produce il conflitto, al contrario per i giusnaturalisti nè la legge naturale né quella positiva, intesa come mera specificazione e rafforzativo di quella naturale, portano a ciò (infatti la legge naturale mi dice di non uccidere, quella positiva mi dice che la pena per l'omicidio è il carcere). Sicchè per i giusnaturalisti la legge naturale è sufficiente per neutralizzare il conflitto: dal canto suo, Hobbes assume una diversa posizione, sostenendo che la sola legge naturale non basta per azzerare il conflitto, giacché essa opera nello stato di natura, in cui vigono sì precetti di legge naturale che proibiscono certi comportamenti (ad esempio mi dicono di stare ai patti, di non essere ingrato, di essere accomodante verso gli altri, ecc), ma ciò non di meno nello stato di natura, data la natura fortemente conflittuale degli uomini, il conflitto è inevitabile e la ragione suggerisce ad ognuno di usare i mezzi ch'egli ritiene adeguati per la propria sopravvivenza. Pertanto il singolo finisce per non rispettare la legge naturale, perché il conflitto è tale da far sì che il rispetto della leggi di natura si volga a suo svantaggio. Per chiarire questo punto, Hobbes cita le relazioni tra gli Stati: essi si trovano in una situazione di perenne stato di natura, hanno il potere sovrano, che non ne riconosce altri superiori, e per ciò se anche stipulano tra loro dei patti, essi presentano la clausola rebus sic stantibus, cosicché quando almeno uno dei due Stati non ha più l'interesse a rispettarli, li infrange. Da ciò si capisce come le leggi naturali obblighino sì l'individuo, ma in foro interiore, nella sua coscienza e mai nei comportamenti esterni. Se tutti fossero moderati, allora le leggi naturali sarebbero sufficienti: ma poiché vi sono anche i prepotenti, che attaccano gli altri, anche i moderati si trovano nella condizione di dover confliggere, per difendersi. Hobbes attribuisce alla ragione un ruolo che non è limitato al calcolo razionale: essa è innanzitutto un mezzo di sopravvivenza, serve cioè come strumento di calcolo per rapportare i mezzi ai fini in maniera tale da garantire l'autoconservazione del soggetto. Ma per dare un contributo che sia realmente tale, la ragione deve anche promuovere l'autoconservazione del gruppo: qui emerge la nozione di recta ratio, la quale si esprime coi dettami della legge naturale e non è più la ragione strumentale che mira unicamente all'autoconservazione del singolo. Essa mira piuttosto all'autoconservazione dell'intero gruppo: è perciò una "ragione morale" e superiore, nel senso che si pone il problema di rendere possibile la convivenza fra individui. Compie il primo passo verso la kantiana "razionalità morale" che induce a riconoscere gli individui come fini, come valori, di contro alla ragione strumentale, che negli individui scorgeva esclusivamente degli strumenti. In realtà si tratta di un processo funzionante solo in maniera ipotetica: se nello stato di natura gli individui seguissero la legge naturale, allora non ci sarebbe alcun problema; ma dal momento che essa obbliga solo in foro interiore, nello stato di natura "nemo tenetur ad impossibilia", nessuno può cioè mettere a repentaglio la propria vita. Ne segue allora che la legge naturale non risolve il problema, ma indica una via per risolverlo. I singoli si accordano fra loro per lottare contro altri, ma ciò non risolve la situazione, perché la guerra continua a sussistere: bisogna cercare la pace e bisogna rinunciare al proprio diritto di autoconservazione illimitata nella misura in cui vi rinunciano anche tutti gli altri. Se è vero che il diritto all'autoconservazione è impregiudicabile e irrinunciabile, non è altrettanto vero che gli individui debbano sempre mantenere il diritto su tutte le cose (ius ad omnia): occorre trovare un accordo per cui essi mantengano il diritto alla vita ma perdano gli altri, che possono essere trasferiti ad un potere comune e artificiale (il sovrano), il quale è la somma di tutti i diritti in esso trasferiti e serve a tutelare gli individui. Per questo motivo, nello Stato il sovrano non può in alcun caso privare i sudditi della vita, giacché essi sono entrati in esso proprio al fine dell'autoconservazione. La prima legge naturale derivata, secondo la quale bisogna trasferire lo ius ad omnia ad un potere sovrano, è alquanto problematica: tale trasferimento non è infatti immediato, ovvero non c'è una rinuncia immediata in vista di un bene del quale, nello stato di natura, non si ha ancora conoscenza. Sicché Hobbes ci presenta dapprima l'essere umano come diffidente e antisocievole e poi, ribaltando la prospettiva, lo tratteggia come fiducioso nel firmare il patto sociale in vista di un bene che ancora non c'è. Ma v'è anche un altro problema altrettanto serio: finché egli parla dello stato di natura, ci presenta una ragione strumentale e un linguaggio finalizzato all'inganno, cosicché non si capisce perché tale ragione riesca poi, mediante le leggi naturali, a mutare la condizione umana e a configurarsi come ragione morale. Se nello stato di natura non sussistono patti che possano avere validità assoluta, giacché valgono solo con la clausola rebus sic stantibus, allora come si può arrivare ad un patto di tutti in favore del potere sovrano? Ciò comporta infatti che tutti gli individui rinuncino allo ius in omnia in favore di chi è slegato dal patto (da ciò scaturirà che il sovrano, proprio perché slegato dal patto, detiene un potere assoluto, indivisibile, irrevocabile). Le leggi naturali sono riconosciute dalla recta ratio, ma non basta conoscerla: bisogna applicarle e qui sta il difficile. Il problema che Hobbes si pone è quello non già della validità o della giustizia delle leggi naturali, bensì della loro efficacia: ed esse sono efficaci nella misura in cui garantiscono la sicurezza degli uomini. Sicché anche per Hobbes la legge naturale fornisce il fondamento di validità a quella positiva, ma sta poi al potere fornirle l'efficacia: ciò è ben espresso dal motto "auctoritas, non veritas, facit legem". Dal canto suo, Aristotele ammette che anche le api e le formiche, pur prive di ragione, siano capaci di costruire società al pari degli uomini: in disaccordo, Hobbes nota come siano cose diverse, poiché le aggregazioni degli animali non sono Stati né essi devono essere detti "politici", in quanto sono tutti volontà distinte che mirano verso il medesimo fine senza che da ciò nasca la volontà unica. Tutto cambia se consideriamo gli uomini, i quali si distinguono per ben sei aspetti: 1) tra gli uomini c'è contesa per onore e per dignità, da ciò nascono l'odio e l'invidia e, da essi, la guerra; 2) l'uomo è animale che si contrappone polemicamente ai suoi simili, pretendendo uno statuto di superiorità al bene privato: in altri termini, per l'uomo non v'è identità tra bene privato e bene comune. 3) Gli animali non vedono difetti nell'amministrazione delle loro repubbliche: invece, alcuni degli uomini introducono novità, ciascuno a modo suo, cosicché scaturiscono le guerre civili. 4) Gli animali mancano dell'arte della parola, la quale suscita i turbamenti dell'animo. Avverso ad ogni forma di retorica, la quale usa la lingua come "tromba di sedizione", Hobbes nota che la parola umana sa esagerare in maniera tale per cui le descrizioni trapassano in prescrizioni e proibizioni: speranza e paura sono le due molle di questa antropologia. 5) Gli animali non operano distinzioni tra torto e danno: gli uomini, invece, sono tanto più dannosi quanto più si danno all'ozio. Se gli animali non si spingono oltre la battaglia per la fame, l'uomo è vanaglorioso, combatte per una moltitudine di motivi. 6) Il consenso degli animali è naturale, quello degli uomini è artificiale, avviene tramite un patto. La volontà di tutti deve essere unica e perciò ciascuno deve riporre la propria volontà in un singolo: in questo senso, la volontà generale è contrapposta a quella di tutti i singoli. Si fonda così il contrattualismo, anche se in realtà l'idea del patto sociale era già presente nella cultura occidentale fin dal Critone di Platone, opera in cui tale patto è fondato sulla gratitudine per i benefici ricevuti. Nel Medioevo il discorso del patto torna ad essere centrale nella vita prima feudale, poi comunale, giacché si contrattano con l'imperatore i diritti. Nell'ambito di questo dibattito, due erano le principali concezioni del patto: a) c'era chi lo intendeva come pactum societatis, concependo la società come il frutto di un accordo fra gli individui che, stanchi di vivere da soli, si aggregano per vivere insieme, rinunciando a qualcosa per ottenere in cambio qualcos'altro; b) c'era poi chi lo intendeva come pactum subiectionis, sostenendo che la società altro non era se non un aggregato di individui - già formanti un popolo - che si sottomette a un sovrano e, così facendo, genera un impero o un regno, chiedendo, in cambio di tale sottomissione, protezione e obbedienza. Dal canto suo Hobbes, erede di questa tradizione, parla di pactum unionis come unità simultanea dei due patti: gli individui - egli dice - contemporaneamente diventano popolo e si sottomettono a un sovrano. I giuristi partivano dalla lex de imperio, secondo la quale il potere era trasferito dal popolo al sovrano, ma tale trasferimento poteva essere inteso o come concessio o come translatio: nel primo caso, il popolo trasferisce la sovranità al signore in usufrutto, mantenendola sempre come propria e perciò riservandosi il diritto di revocarla; nel secondo caso, invece, si ha un trasferimento del potere, il quale transita dal popolo al sovrano. Nel caso della concessio, il popolo affida al sovrano l'esercizio della sovranità, ma la titolarità resta al popolo; nel caso della translatio, sono ceduti al sovrano sia la titolarità sia l'esercizio del potere. Ora Hobbes, che vive nel pieno della guerra civile e che pertanto si prefigge l'obiettivo di non far sì che essa si ripeta, sa bene come la concessio porti ad una soluzione instabile, giacché nel momento in cui il popolo revoca il potere al sovrano, ecco che scoppia la guerra civile. Tuttavia egli rileva come anche la translatio comporti seri problemi, giacché comporta l'idea che, in origine, ad essere sovrano fosse il popolo, il quale poi cedeva al sovrano titolarità ed esercizio del potere, cosicché esso potrebbe da un momento all'altro tornare sui propri passi. Per evitare che ciò possa verificarsi, Hobbes congegna un patto che sia tale da non potersi più sciogliere: chi cerca di annullarlo, sarà un sedizioso e, in quanto tale, dovrà essere punito dallo Stato. Nel cap.6, Hobbes illustra le caratteristiche del patto sociale e ragiona sulle conseguenze che esso comporta. Già Bodin definiva la sovranità come potere assoluto (nel senso di legibus solutus: l'unico limite erano a suo avviso le leggi divine) e perpetuo, cioè irrevocabile. Però tale tesi era poi minata dalle assunzioni della giurisdizione che faceva riferimento alla lex de imperio. Storicamente, Hobbes ha buone ragioni per essere scettico su molte professioni di assolutismo fatte al suo tempo, giacché in realtà il potere non era realmente assoluto (Bodin stesso lo vede vincolato dalla legge salica): per questo motivo, egli, con la sua costruzione teorica, si propone di fondare in maniera concreta il potere assoluto del sovrano e, per fare ciò, muove dal patto sociale. Quello che egli descrive è un patto che lega le mani a chi lo stringe, rendendolo un patto perpetuo ed assoluto, tale da non poter più essere sciolto una volta che è stato stipulato. Ciò emerge chiaramente nel De cive (VI, 20), quando il filosofo inglese sostiene che il patto è un contratto stipulato da tutti gli individui contemporaneamente e in favore di un terzo che, non vincolandosi al patto stesso, ne resta slegato, cosicché ad esso è garantita assolutezza ed irrevocabilità. In conseguenza di quel patto, il potere sovrano è irrevocabile non solo di fatto, ma anche di diritto: si potrebbe a questo punto obiettare - ed è quel che Hobbes stesso fa - che se tale patto è fondato dal consenso reciproco degli individui, allora esso può essere revocato nel momento in cui a deciderlo sia quello stesso consenso che l'ha statuito. Hobbes smonta questa possibile obiezione rilevando che basta che uno solo non sia d'accordo a revocarlo perché esso sia, di fatto e di diritto, irrevocabile: in altri termini, sarebbe legittimo revocarlo se l'unanimità dei contraenti fosse d'accordo, ma essendo ciò impossibile ne segue che il patto è e resta irrevocabile. Quando tale potere sovrano è affidato non a un sovrano ma ad un'assemblea (il che è possibile, ma di fatto Hobbes opta per la prima possibilità), ecco allora che possono esservi opinioni diverse e varrà il principio della maggioranza, per cui la volontà unica sarà quella della maggioranza, ma ciò varrà esclusivamente quando lo Stato s'è già costituito. Appena quarant'anni dopo Hobbes, John Locke sosterrà la possibilità di sciogliere il potere sovrano: a suo avviso lo stato di natura è - un po' come per Aristotele - una condizione fondamentalmente pacifica, nella quale tuttavia, mancando un giudice che possa dirimere le contese, possono insorgere conflitti di interessi tra gli individui e qualcuno può indebitamente far sua la proprietà altrui (proprietà che per Locke sussiste già nello stato di natura). Proprio al fine di avere un giudice che impedisca tali soprusi si stipula il patto sociale e si fonda lo Stato. Ben si capisce come, a differenza di Hobbes, Locke non abbia interesse ad instaurare un potere assoluto, ma piuttosto si preoccupi di trovare un giudice che restauri un ordine violato. Da ciò affiora l'idea di come la modernità non possa in alcun caso essere ridotta alla dicotomia Aristotele/Hobbes: la prima grande variante che la contraddistingue è quella rappresentata da Hobbes, la seconda è l'appena citata filosofia politica di Locke, che fa sua una concezione antropologica mediana tra Aristotele e Hobbes. Locke muove infatti dal modello hobbesiano di stato di natura (pur concependolo in maniera piuttosto diversa) e dall'uscita da esso; però poi riconosce, sulla scia di Aristotele, alle leggi naturali una forte capacità impositiva, cosicché ne emerge una concezione liberale del potere e destinata a vincere, nell'età moderna, su quella assolutistica prospettata da Hobbes. Infine, la terza variante della modernità è data da Hume e da Adam Smith: essi non muovono dall'idea del contratto sociale, cercano invece di guardare alla genesi delle società umane e in esse rinvengono delle convenzioni (non dei patti) tra individui, le quali finiscono per produrre stabilità e ordine. Lungi dall'essere costruito artificialmente (come sosteneva Hobbes), l'ordine delle società moderne è cresciuto per evoluzione delle relazioni (divisione del lavoro, specificazione dei bisogni, ecc) che poi creano la simpatia: se infatti intrattengo rapporti di reciproca utilità con un altro individuo, accade poi che col tempo il rapporto assumerà anche qualità morali di simpatia). Ed è interessante come tanto Hume quanto Smith sviluppino questa tesi della benevolenza e della simpatia a partire dal mercato. Tutte queste varianti della modernità, che a tutta prima possono apparire diversissime e perfino autoelidentisi, hanno in comune l'attenzione - tipicamente moderna - per l'individuo. Fatta questa panoramica sulla filosofia politica dell'età moderna, torniamo a Hobbes: il sovrano non si accorda con nessuno, è semplicemente il beneficiario del patto. Quest'ultimo si presenta nei suoi confronti come un dono che gli individui gli fanno e non come un atto di reciprocità che lo coinvolga direttamente (la reciprocità varrà dopo la stipulazione, quando i sudditi saranno tenuti ad obbedire e in cambio avranno protezione del sovrano). Col patto comune, gli individui si vincolano due volte (pactum subiectionis e pactum societatis), cosicché, se anche tutti ci ripensassero e volessero revocarlo, sarebbe il sovrano a opporsi. A questo punto, Hobbes si pone un'obiezione: non si rischia che, essendo assoluto e irrevocabile, il potere sovrano degeneri in tirannide? Essendo svincolato dalle leggi, il sovrano potrà fare quel che vuole? Hobbes nota che, se si dà il potere assoluto a una repubblica democratica, non si va incontro ad obiezioni, ma se il potere sovrano è affidato alla monarchia, allora subito sorgono i problemi, perché il monarca può comportarsi a suo piacimento, da tiranno e da folle. Che lo Stato sia contenuto nella persona del re - rileva Hobbes -, ai più risulta difficile da accettare, anche perché se un uomo godesse di tanto potere, i più vivrebbero in modo miserabile. Egli si propone pertanto di smascherare la tesi secondo cui, essendo sciolto dalle leggi, il sovrano potrebbe atteggiarsi a mo' di tiranno: lo fa attraverso tre argomentazioni. 1) Anche se può fare ciò legittimamente, senza cioè commettere torto verso i sudditi, non può farlo giustamente, perché va contro il volere di Dio. Sicché (in Hobbes come in Bodin) il potere del sovrano è assoluto ma non a tal punto da liberarlo dal diritto morale di rispettare le leggi divine. 2) Anche se potesse tiranneggiare giustamente, non avrebbe comunque alcun motivo di farlo e di spogliare i cittadini, giacché non gliene verrebbe alcun bene: questo argomento utilitaristico mette in luce come un tale agire sarebbe irrazionale e improduttivo. 3) Il sovrano avrà talvolta la predisposizione ad agire malvagiamente: non è da escludere che il sovrano possa essere un tiranno, però non è limitandogli il potere che ciò cesserà di accadere. Infatti, se ha potere sufficiente per difenderci, allora ne ha abbastanza anche per opprimerci. Da ciò si evince che la colpa è fondamentalmente della natura malvagia degli uomini e non del potere sovrano. Ci può essere prudenza nell'esercizio del potere (così è per gli Stati cristiani), ma ciò è dovuto solo a una strategia e non toglie il fatto che quello del sovrano sia un diritto assoluto. Il titolare del potere deve essere, secondo Hobbes, anche colui che lo esercita: da ciò deriva l'indivisibilità dei poteri - principio contrario a quello, propugnato dal liberalismo, della divisione dei poteri, finalizzata a scongiurarne gli abusi. In questo senso, la teoria di Hobbes può essere interpretata contro le intenzioni del suo autore: egli sostiene espressamente di preferire la forma monarchica (giacché uno solo è più rapido nel prendere le decisioni, evita i conflitti, ecc), ma ciò non di meno dice cose che saranno lette in senso anti-monarchico da autori a lui successivi. Ciò avviene già nel Tractatus logico-polithicus e nel Trattato politico di Spinoza: quest'ultima opera, in particolare, si concentra sulle teorie dello Stato e, fin dal primo capitolo, l'autore va sostenendo che le passioni, lungi dall'essere vizi (come lo concepiva una lunghissima tradizione), sono proprietà essenziali della natura umana. In seguito, Spinoza definisce la virtù del potere come sicurezza, recuperando alcuni assunti di Hobbes: il fine degli individui è l'autoconservazione e pertanto, il diritto naturale ha - hobbessianamente - a che vedere con essa. Se l'impianto teorico è piuttosto vicino a quello di Hobbes, ciò non di meno Spinoza mette poi in forse il primato della monarchia, ponendo invece l'accento sulla versione democratica del contratto sociale, la quale sarà portata fino in fondo da Rousseau. E proprio nel De cive (cap.12, par.8) troviamo un paragrafo sintomatico di questo passaggio dalla monarchia alla democrazia Hobbes sta trattando delle opinioni sediziose, le quali producono la dissoluzione dello Stato; tra queste, egli annovera il diritto di giudicare che cosa sia il bene e che cosa il male, sostenendo che tale giudizio non spetti ai singoli, perché la ragione non può stabilire in senso universale ed oggettivo che cosa siano, cosicché, per garantire la stabilità dello Stato, dev'essere il potere sovrano a giudicare che cosa sia bene e che cosa sia male. Anche il diritto di resistenza, del tirannicidio, della divisibilità dei poteri e del fatto che il sovrano stesso sia soggetto alle leggi positive sono messi al bando: e del resto, la stessa proprietà privata, in quanto frutto della ripartizione effettuata dal potere sovrano, può da esso essere revocata. Anche l'ignorare la differenza tra moltitudine e popolo è un gravissimo errore che dev'essere estirpato, poiché produce guerre: ed è proprio da questo punto che si giungerà alla teoria radicale della democrazia. Il popolo è un che di unitario, ha azione e volontà uniche: "anche nelle monarchie il popolo comanda", scrive Hobbes, "infatti il popolo vuole attraverso la volontà di un solo uomo". La moltitudine è invece una pluralità indistinta e "il re è il popolo": il potere monarchico è dunque ridotto a potere sovrano della collettività. Sicché Hobbes, argomentando a sostegno del potere e contro le rivoluzioni popolari, apre inavvertitamente spiragli in direzione rivoluzionaria, giacché titolare del potere sovrano finisce per essere un qualcosa che è anteriore alla persona fisica del sovrano: tale è il popolo costituito attraverso il patto sociale. Col suo modello contrattualistico, Hobbes ha allora costituito il grado zero della teoria liberale e, al contempo, di quella democratica: col suo dispositivo teorico, egli riconosce l'ambito della società civile e, nel paragrafo successivo, parla della tassazione e sostiene - in una prospettiva perfettamente razionalistica, tale da tener conto delle esigenze di una nascente società mercantile - che "le ricchezze si producono con l'industria" e "si conservano con la parsimonia". Così dicendo, Hobbes instaura una teoria della divisione del lavoro tra pubblico e privato. Lo Stato regge la spada che protegge ed è alimentata dal lavoro dei cittadini. Le imposte sono allora il salario per quelli che difendono i beni privati e l'industrialità dei singoli. In questi termini, lo Stato è un "guardiano notturno" (Nozick) che vigila affinché non si verifichino furti e torti, tesi che sarà portata alle estreme radicalizzazioni dai liberali. Ma una tale prospettiva, che sostiene che il popolo è il re, è anche il punto d'avvio per la teoria democratica. Così, Rousseau, che si colloca sulla linea contrattualistica (non a caso la sua opera più celebre si intitola Contratto sociale),  è assai critico nei riguardi di Hobbes e di Locke. La stessa filosofia della storia che sta alla base del suo pensiero è diversissima da quella dei due autori inglesi: nello stato di natura - nota Rousseau - gli uomini sono inclini alla benevolenza reciproca e a vivere isolati, senza cercarsi a vicenda se non per soddisfare i bisogni elementari. Essi, anziché muoversi guerra, provano una pietà reciproca e vivono seguendo il sentimento. Dallo stato di natura escono per ragioni contingenti (ad esempio, per via della divisione del lavoro, della crescita demografica, ecc): dal primigenio stato pacifico di appagamento dei bisogni si entra nella società civile, la quale si identifica con la disuguaglianza, la prevaricazione e la corruzione. Se per Hobbes insostenibile era lo stato di natura, per Rousseau tale è la società civile, la quale si presenta pertanto come il male da superare. Il contratto sociale, nell'ottica rousseauiana, è il momento di una possibile rigenerazione della società: anch'egli, al pari di Hobbes, pensa lo Stato come prodotto artificiale e il patto come pactum unionis. Ma la sua è una filosofia della libertà, non dell'ordine. Quando parla del contratto sociale (Contratto sociale, cap.6), egli va sostenendo la necessità di trovare un'associazione "che protegga la persona e i beni di ogni associato", in maniera tale che ognuno, unendosi a tutti, obbedisca a se stesso e, dunque, resti libero come persona. Il problema è allora quello della preservazione della libertà, intesa come autonomia: se per Hobbes non v'è molta libertà nello Stato (v'è quella dei privati, intesa come assenza di costrizioni, ma non quella politica), al contrario per Rousseau essa è autonomia che rende i singoli autonomi e non eteronomi. Per ottenere un tale risultato, occorre stipulare un patto che (come quello di Hobbes) sia alienazione pressoché totale, in maniera tale che ciascuno si dia tutto e che dunque la condizione di partenza sia la stessa per tutti, senza che qualcuno abbia interesse a renderla onerosa per gli altri. L'alienazione di cui parla Rousseau è però ancora più radicale rispetto a quella hobbesiana, giacchè il filosofo ginevrino sostiene che "chi si dà a tutti, non si dà a nessuno". In questo senso, ogni forma di dipendenza personale è una forte compromissione della libertà in quanto a autonomia. Sicché il primato spetta alla totalità, non agli individui: l'obiettivo che Rousseau si prefigge è di far stare insieme, in qualche modo, la totalità con la prospettiva individualistica. In Hobbes, c'era forte valenza verticale e gerarchica, in quanto dall'alto il sovrano imponeva ai sudditi (e ciò in forza di un privilegiamento del pactum subiectionis): in Rousseau, invece, c'è privilegiamento del pactum societatis, con la conseguenza di un maggior interesse per la società nella sua orizzontalità. Dall'unione dei due patti (di soggezione e di società) nel pactum unionis deriva - e ciò vale tanto per Hobbes quanto per Rousseau - una forte disattenzione per i diritti dell'individuo, come avranno modo di rilevare soprattutto i liberali. A questo punto, dopo aver fatto una rapida panoramica su alcuni dei principali filosofi politici della modernità, possiamo tentare una schematizzazione. Per quel che riguarda lo stato di natura, lo si può concepire o come un avvenimento storico realmente accaduto oppure come un'ipotesi di ragionamento. Così Hobbes è per la seconda posizione, mentre Locke sostiene che lo stato di natura è realmente esistito e che tuttora esiste nelle popolazioni delle Americhe del suo tempo. Lo stato di natura può poi essere inteso come bellicoso oppure come pacifico: Hobbes è per la prima posizione, mentre Locke e Rousseau si collocano sulla seconda. Infine, si può dire che lo stato di natura è una condizione di isolamento oppure che è una condizione di socialità: sicuramente Rousseau è per la prima posizione, giacché a suo avviso gli individui conducono un'esistenza isolata, unendosi quasi solo per la procreazione e per la crescita dei figli. Più sfumata è invece la posizione di Hobbes: a suo avviso, lo stato di natura non è isolamento, ma neanche socialità in senso positivo; è piuttosto una socialità realizzata in termini profondamente conflittuali. Diversamente, Pufendorf - facendo sua la posizione di Hobbes, ancorché in versione ammorbidita - riterrà che lo stato di natura sia sociale. Anche per quel che invece concerne il patto sociale, si può sostenere che esso sia un fatto storico oppure un'ipotesi di ragionamento: per Hobbes è un'ipotesi, anche se poi nel De cive va in cerca di prove storiche all'interno delle Scritture; similmente, Kant, nel suo scritto Sul detto comune 'questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la prassi' (1793) scrive che "questo contratto, detto contratto originario ovvero patto sociale, come coalizione in un popolo di ogni volontà privata e particolare in volontà pubblica e comune non è in alcun caso da presupporsi come un fatto, anzi come tale non è neppure possibile". Si tratta - nell'ottica kantiana - di una semplice idea della ragione che ha indubitabile realtà pratica, in quanto obbliga ogni legislatore ad emanare le sue leggi così come esse sarebbero potute nascere dalla volontà riuscita di un intero popolo: questa è la pietra di paragone della legittimità delle leggi (è, allora, una quaestio juris). Il patto sociale può poi essere diversamente inteso per le sue modalità d'attuazione: può essere inteso come patto d'associazione (Locke) o di soggezione, oppure come patto d'unione (Hobbes e Rousseau: ma per il primo è trasferimento dei diritti ad un terzo, per il secondo alla collettività di cui l'individuo stesso è membro). Diverse sono poi le tesi in merito al contenuto del patto sociale, a seconda della quantità e della qualità dei diritti che con esso vengono trasferiti: così per Hobbes sono trasferiti tutti fuorché uno, mentre per Locke solo uno (quello di farsi giustizia da sé) è trasferito. Infine, variano i modi di concepire la finalità del patto, a seconda delle concezioni filosofiche generali dell'autore: per alcuni (Hobbes), la finalità è la protezione dell'individuo; per altri (Rousseau), il fine è trasformare gli individui corrotti dalla società (i quali sono assai simili a quelli dello stato di natura di cui parla Hobbes). Per Kant, la finalità è morale, giacché si tratta di migliorare gli individui. Per quel che riguarda il potere sovrano, esso può essere inteso come assoluto (Hobbes e Rousseau) oppure come limitato (Locke e Kant); indivisibile (Hobbes e Rousseau) oppure divisibile (Locke e Kant). Rousseau propugna l'indivisibilità del potere sovrano, convinto che esso scongiuri i particolarismi e i privilegi che ne derivano. Ciò non di meno, egli è e resta libertario, sostenendo l'indivisibilità del potere legislativo, ma facendo dell'esecutivo (di cui sarebbe facile abusare) un che di distinto e di subordinato a quello legislativo (è quest'ultimo, infatti, a dare ordini all'esecutivo). Del resto, per Rousseau l'unico patto è quello d'unione: stipulatolo, il governo è istituito per decisione del corpo sovrano. Infine, il potere sovrano può essere inteso come irreversibile (Hobbes, Rousseau, Kant) oppure come reversibile (Locke, che ammette il diritto di resistenza).





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