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Politiche estroverse e introverse

economia politica



Politiche estroverse e introverse


La priorità data in un'economia al mercato interno o a quello estero è stato il criterio usato per definire le strategie di sviluppo dei paesi periferici e distinguere strategie "estroverse" ed "introverse".

Le politiche di sviluppo "estroverse", secondo le parole di Paul P.Streeten (1973), "incoraggiano non solo il libero commercio ma anche il libero movimento di capitali, lavoratori, imprese e studenti., le imprese multinazionali e un sistema aperto di comunicazioni.."

Di contro, le politiche "introverse" sottolineano il bisogno dei paesi periferici di evolversi secondo i loro stili di sviluppo e di auto-determinarsi il loro destino. Ciò comporta politiche che stimolino e incoraggino il learning by doing locale e sviluppino attività produttive che si avvalgano di tecnologie appropriate, cioè compatibili con la dotazione di risorse  del paese. Una maggiore autosufficienza può essere perseguita solo se "si restringono i rapporti commerciali, il movimento degli individui e le comunicazioni con l'esterno e se si tengono fuori dal territorio nazionale le multinazionali con le loro produzioni inadatte, con i distorti desideri che esse alimentano e le loro inappropriate tecnologie".



Queste due posizioni si sono fronteggiate nella letteratura economica sui temi di sviluppo sin dagli anni '50.

Nei primi due decenni dopo la seconda guerra mondiale due furono i motivi che spinsero molti paesi periferici a privilegiare uno sviluppo "introverso", basato sulla domanda interna:

la crisi degli anni '30 che aveva penalizzato fortemente i paesi esportatori di prodotti primari e l'egemonia degli Stati Uniti, nel secondo dopoguerra, paese sostanzialmente autonomo, fecero concludere che il commercio non poteva essere considerato il motore della crescita, così come era stato in passato;

l'aspirazione ad una totale indipendenza politica ed economica dai paesi sviluppati doveva passare necessariamente attraverso un processo di industrializzazione: bisognava creare industrie in grado di produrre all'interno beni che sostituissero le importazioni.


I sostenitori della sostituzione delle importazioni ritengono che le LDCs debbano inizialmente sostituire i beni di consumo prece 242i89c dentemente importati con beni di consumo prodotti all'interno, e quindi sostituire una più ampia gamma di prodotti manufatti con produzioni domestiche, proteggendo tutte queste attività dalla concorrenza estera, imponendo alte tariffe e quote sulle importazioni. Nel lungo periodo, però, i sostenitori di queste politiche ritengono che gli aspetti positivi di questo modello di sviluppo basato sulla domanda interna consistano nei benefici che derivano da una più ampia diversificazione delle produzioni industriali interne (crescita bilanciata, Rosenstein Rodan, 1943) e nella possibilità di esportare i prodotti manufatti precedentemente protetti non appena le economie di scala nella produzione, i più bassi costi del lavoro e le esternalità positive derivate dal learning by doing rendano i prezzi interni competitivi con quelli internazionali.

Negli anni '50 e '60 si è assistito ad una egemonia teorica e ad una quasi totale applicazione dell'orientamento introverso nei paesi periferici. Negli anni successivi si è andato affermando tra i teorici, ed è stato ampiamente seguito nella pratica, l'orientamento estroverso, anche grazie al favore che questo ha riscosso presso le organizzazioni economiche internazionali, Fondo monetario e Banca Mondiale.

Tuttavia, la priorità della domanda interna e la limitazione degli scambi con l'estero sono obiettivi che vengono riproposti anche nell'ambito di strategie volte al raggiungimento dell'autosufficienza alimentare e alla soddisfazione dei bisogni essenziali della popolazione.

Inoltre, il passaggio da una politica introversa ad una politica estroversa, sebbene auspicato dai paesi sviluppati, viene in realtà osteggiato nella misura in cui questi introducono barriere tariffarie e non tariffarie che limitano l'accesso dei prodotti dei paesi periferici sui mercati internazionali.

La strategia tipica di una politica introversa consiste in primo luogo nell'erigere barriere tariffarie o quote su certi beni importati, quindi nel costituire una industria locale anche grazie a joint venture con compagnie straniere, incoraggiate ad aprire stabilimenti nel paese usufruendo di agevolazioni fiscali e protezioni commerciali. Sebbene i costi di produzione risultino nel breve periodo più alti dei prezzi dei beni precedentemente importati, la motivazione economica di una tale strategia sta nella possibilità che l'industria locale o industria nascente possa usufruire di adeguate economie di scala e più bassi costi che la possano rendere competitiva in futuro anche sui mercati internazionali e che la bilancia dei pagamenti migliori grazie alla minore quantità di beni importati.


Problematiche relative alle politiche introverse: limiti del mercato interno e come superarli

Le principali risposte al problema dei limiti della domanda interna, cioè alle dimensioni del mercato interno sono:

la politica della crescita equilibrata (Rosestein Rodan (1943) esempio della industria calzaturiera ripreso da Nurske (1972): l'investimento in attività industriali di un paese periferico a vocazione agricola deve essere di grandi dimensioni e avvenire più o meno contemporaneamente in un vasto complesso di industrie diverse (diversificato). Solo in questo caso l'incremento della produzione distribuito tra le varie industrie creerebbe la propria domanda in quanto i lavoratori occupati in ogni settore sarebbero i consumatori dei beni prodotti da tutti gli altri. Opportunità di creare anche economie esterne. Questo tipo di politica introversa è stata generalmente associata con un indirizzo centralizzatore e statalista.

la politica della sostituzione delle importazioni. Questa politica può riguardare qualsiasi tipo di prodotto che viene importato e al quale si vuole sostituire un prodotto nazionale. Questa scelta non viene sempre presa in modo consapevole ma può essere il risultato insito in qualsiasi processo di industrializzazione  (Inghilterra dopo la rivoluzione industriale) o essere dettato da ragioni di necessità (America Latina anni '30). Ciò che distingue la sostituzione delle importazioni che si ebbe in Inghilterra e quella vissuta negli altri paesi è che l'Inghilterra ha goduto di un vantaggio comparato rispetto ai paesi precedentemente esportatori, ma questo vantaggio non esiste per i cosiddetti "late comers" e per i paesi periferici che hanno intrapreso questa politica. Difficilmente le tecniche trasferite dall'estero sono le più avanzate e quando anche lo siano spesso il loro assorbimento è reso difficile dalla mancanza di forza lavoro adeguatamente preparata, dalle infrastrutture insufficienti e quindi da costi più elevati di quelli che la produzione comporta nei paesi già industrializzati.

I principali problemi sono:

scelta degli strumenti amministrativi, fiscali o monetari che possono contrarre le importazioni e compensare i maggiori costi della produzione interna;

scelta dei settori industriali da creare per sostituire le importazioni dall'estero.


Il protezionismo e i suoi costi

Nella storia del sistema mondiale capitalistico, il libero scambio è stato l'assetto dominante i rapporti economici internazionali solo per brevi periodi e, soprattutto, lo sviluppo industriale dei paesi che costituiscono il centro del sistema si è sempre accompagnato alla protezione dell'industria nazionale.

I paesi periferici sono caratterizzati da una forte estroversione e i sostenitori di una strategia di sviluppo basata sul mercato interno non hanno mai teorizzato la soppressione degli scambi con l'estero ma semmai un loro controllo e un loro diverso orientamento (protezionismo non è sinonimo di autarchia).

Gunnar Myrdal, uno dei fondatori dell'economia dello sviluppo e critico delle teorie classiche e neoclassiche del commercio internazionale, sostiene (1956) che bisogna restringere l'importazione di beni di consumo, sviluppare un'industria nazionale sostitutiva delle importazioni e diversificare le esportazioni. La valuta risparmiata dalle minori importazioni e quella ottenuta dalle esportazioni sarà destinata all'acquisto di beni capitali.

Per molte industrie del Terzo Mondo una politica protezionistica volta a sostituire le importazioni costituisce il prerequisito per una strategia di promozione delle esportazioni. Per questo e per altri motivi quali il desiderio di ridurre la dipendenza dall'estero, il bisogno di costruire una industria nazionale e la facilità di aumentare le entrate fiscali dalla raccolta delle tariffe la sostituzione delle importazioni è una strategia molto apprezzata dalle LDCs.


Le giustificazioni del protezionismo

Manifestarsi di un disavanzo nella bilancia dei pagamenti o il peggioramento delle ragioni di scambio.

Gli effetti sulla bilancia dei pagamenti ottenuti con misure restrittive di questo tipo possono essere favorevoli a un aumento del tasso di crescita.

Promozione dell'industria nascente (infant industry): l'intervento dovrebbe essere limitato nel tempo. Perché l'intervento pubblico sia giustificato dal punto di vista dell'efficienza economica occorrono tre condizioni:

che l'industria possa godere di costi decrescenti;

che il processo di crescita produca conoscenze ed esperienze che hanno il carattere di esternalità e non siano pertanto privatamente appropriabili;

che vi siano imperfezioni nei mercati dei capitali.


Posizioni critiche su questa teoria:

Non è detto che sia utile entrare oggi in settori per i quali si godrà di vantaggi comparati solo in futuro;

la protezione dell'industria manifatturiera non ha alcuna utilità se non contribuisce a rendere concorrenziale l'industria stessa;

il fatto che per far crescere un settore industriale siano necessari tempo e costi non costituisce un'argomentazione a favore di interventi governativi.

Strumento per eliminare distorsioni e squilibri esistenti nell'economia di un paese periferico e che limitano la formazione e lo sviluppo dell'industria. Divergenze tra costi e ricavi privati e sociali e in situazioni di disequilibrio nel mercato del lavoro.


Strumenti del protezionismo

Il termine "protezionismo" designa tutte le forme di intervento statale che modificano le condizioni alle quali i produttori nazionali si confrontano con i concorrenti esteri rispetto a quelle che esisterebbero in una situazione di libero mercato.

Le diverse forme di intervento si possono dividere in due categorie:

politiche commerciali: dazi all'importazione di determinate merci straniere o all'esportazione di quelle nazionali, commisurati al valore (dazio ad valorem) o alla quantità fisica (dazio specifico) del prodotto, in restrizioni quantitative al commercio, mediante la fissazione di quote o contingentamenti, la concessione di licenze, i limiti all'ammontare di valuta estera della quale gli importatori possono disporre, oppure in tassi di cambio multipli o in pratiche amministrative - regolamenti sanitari, controlli di qualità e procedure di sdoganamento - che hanno effetti limitativi o discriminatori;

interventi sul mercato interno: sussidi o sgravi e rimborsi fiscali concessi a determinate attività produttive, concessioni di crediti a tassi agevolati, acquisti da parte dello Stato o di enti pubblici di prodotti nazionali anche quando quelli esteri sono disponibili a prezzi minori.



I costi della protezione

Le critiche alla strategia di sostituzione delle importazioni

Si contestano i presupposti di fatto che dovrebbero giustificare questa strategia  e si evidenziano gli insoddisfacenti risultati che ne derivano in termini di crescita quando si confrontano i risultati con quelli ottenuti dai paesi che hanno seguito politiche liberiste.

5 effetti indesiderati

sicure dei muri tariffari e immuni dalle pressioni competitive, molte industrie "protette" (di proprietà sia pubblica che privata) rimangono inefficienti e operano a costi elevati;

i principali beneficiari dei processi di sostituzione delle importazioni sono imprese straniere che decidono di localizzarli nel paese che segue queste politiche per usufruire dei muri tariffari e godere dei vantaggi e degli incentivi fiscali;

la gran parte della sostituzione delle importazioni è avvenuta grazie alle importazioni sussidiate dal governo di beni capitali e prodotti intermedi da parte di imprese nazionali e straniere. Ciò ha dato luogo a due risultati:

sono state realizzate soprattutto industrie capital-intensive con un impatto minimo in termini occupazionali;

anziché migliorare la situazione della bilancia dei pagamenti delle LDCs e alleviare i problemi del debito, l'indiscriminata sostituzione delle importazioni, in alcuni casi, ha persino peggiorato la situazione aumentando la domanda di inputs di capitale e di prodotti intermedi importati e facendo sì che buona parte dei profitti tornino all'estero sotto forma di pagamenti per trasferimenti privati;

L'impatto sulle esportazioni dei tradizionali prodotti primari. I tassi di cambio, proprio per incoraggiare l'importazione di beni capitali e intermedi a basso costo, sono spesso artificialmente sopravvalutati. Ciò ha l'effetto di aumentare il prezzo delle esportazioni e di abbassare il prezzo delle importazioni in moneta locale. Questa sopravvalutazione della moneta locale rende i produttori agricoli locali meno competitivi sui mercati internazionali. In termini di distribuzione del reddito, il risultato di queste politiche è di penalizzare i piccoli produttori e di migliorare i profitti dei proprietari di capitali nazionali ed esteri.

la sostituzione delle importazioni, che è stata concepita proprio per avviare dei processi di industrializzazione creando dei legami "a monte" e "a valle" con il resto dell'economia, ha in realtà spesso inibito questo processo.



Critiche di carattere teorico

La tesi ampiamente condivisa dalla letteratura di impronta neoclassica sul commercio internazionale è che, solo nel caso di ragioni di scambio sfavorevoli per un paese di grandi dimensioni, l'istituzione di dazi sulle esportazioni può aumentare il suo reddito e il suo benessere.

In tutti i casi nei quali, invece, la protezione è introdotta per compensare distorsioni interne (fallimenti del mercato interno) o per raggiungere finalità definite extra-economiche, le misure protezionistiche determinano un allontanamento dalla posizione ottimale e comportano un costo, in termini di perdita di reddito e di benessere che deve essere confrontato con gli eventuali vantaggi ottenuti  (vedi fig.9.3).

I costi delle misure protezionistiche sono stati prevalentemente valutati mediante analisi di equilibrio parziale.

Un dazio imposto sull'importazione del prodotto di una data industria avrà come effetto di aumentarne il prezzo interno nella misura della tariffa; di conseguenza il suo consumo diminuirà e le importazioni subiranno una contrazione mentre aumenterà la produzione interna.

Il vantaggio del dazio dipende dalla capacità del paese che lo impone di far diminuire i prezzi esteri all'esportazione; nel caso in cui il paese sia piccolo e quindi non in grado di influenzare i prezzi in modo significativo, quest'ultimo effetto svanisce e i costi del dazio superano i relativi benefici.

Un sussidio all'esportazione è un pagamento effettuato all'impresa o all'individuo che esporta beni all'estero. Nel paese esportatore i produttori guadagnano, mentre i consumatori e il Governo subiscono una perdita, quest'ultimo a causa degli esborsi necessari a finanziare il sussidio. Oltre a ciò, il sussidio peggiora le ragioni di scambio, poiché provoca una diminuzione del prezzo all'esportazione nel mercato. Un sussidio all'esportazione genera pertanto costi che eccedono sicuramente i corrispondenti benefici.

Un contingentamento delle importazioni (detto anche quota sulle importazioni) è una restrizione diretta sulla quantità di un certo bene che può essere importata. Tale restrizione è solitamente imposta instaurando un regime di licenze concesse a certi gruppi di individui o imprese. Ha sempre l'effetto di innalzare i prezzi interni delle merci importate. A differenza di un dazio, il governo non percepisce alcun introito. I profitti ricevuti dai possessori di licenze di importazione sono noti come rendite di contingentamento. Essi sono pari alla differenza tra il prezzo interno e il prezzo internazionale e per poterlo ottenere svolge attività di rent-seeking. In questo caso, oltre alla perdita di rendita dei consumatori, si verificano altri effetti connessi al modo in cui le licenze vengono concesse. Nel caso in cui il diritto di vendere sul mercato interno venga concesso ai governi dei paesi esportatori (molto frequente) il trasferimento all'estero di queste rendite rende il costo di un contingentamento molto superiore a quello di un dazio.

Una variante rispetto ai contingentamenti è costituita dalle limitazioni volontarie delle esportazioni (Voluntary Export Restraint, VER). Una  VER è un contingentamento dei flussi commerciali imposto dal lato del paese esportatore, anziché da quello del paese importatore. Restrizione molto costosa per il paese importatore. La maggior parte del costo rappresenta un trasferimento di reddito più che una perdita di efficienza.

Requisito di contenuto nazionale minimo della produzione: norma in base alla quale una porzione prestabilita del bene finale deve essere prodotta internamente. In taluni casi questa frazione è espressa in termini fisici; in altri casi in termini di valore: si richiede, cioè, che una quota minima del prezzo del bene rappresenti valore aggiunto prodotto all'interno. Per i produttori interni, equivale a un contingentamento delle importazioni. Per le imprese costrette a rifornirsi all'interno, non impongono a rigore alcun limite alle importazioni. Non vi sono né introiti per il Governo, né rendite da contingentamento. La differenza tra il prezzo dei beni importati e quelli di produzione interna si risolve in un maggior onere sui consumatori del prodotto finito.  

Quando si vogliono considerare gli effetti di una politica protettiva sull'intera economia, si ricorre ad analisi di equilibrio generale che tengono conto del trasferimento di risorse da un'attività produttiva ad un'altra e delle variazioni dei prezzi dei fattori e dei prodotti di tutte le attività. L'aumento della produzione delle merci protette implica un trasferimento di risorse nelle attività che le producono. Nel caso di una protezione uniforme su tutte le attività produttrici di merci sostitutive delle importazioni, essa determinerà un trasferimento di risorse dalle attività non protette che producono per l'esportazione (prodotti primari dell'agricoltura). A bilancia commerciale in pareggio, le minori esportazioni significheranno minori importazioni e quindi maggiori produzioni interne.

Gli elementi dei quali occorre tenere conto per valutare, confrontare e determinare i relativi "trade-off" tra effetti positivi ed effetti negativi delle misure protettive in un quadro di equilibrio generale sono numerosi in quanto comprendono le diverse possibili condizioni del mercato dei fattori produttivi, la struttura della produzione, la posizione del paese sul mercato internazionale.



Struttura delle tariffe e Protezione effettiva

Per misurare il grado di protezione, ci si deve chiedere in che misura queste restrizioni fanno sì che i prezzi interni delle importazioni superino i prezzi che questi beni avrebbero se non fossero stati protetti. Ci sono due misure della protezione:


il tasso nominale di protezione che mostra la misura in cui, in termini percentuali, il prezzo interno dei beni importati ecceda il prezzo di questi in assenza di protezione. Si definisce come

t =


dove t = tasso della tariffa nominale ad valorem;

p' e p sono rispettivamente i prezzi unitari dell'output dell'industria con e senza tariffe.


Di contro, il tasso effettivo di protezione mostra di quanto in termini percentuali il valore aggiunto in ogni particolare fase di produzione di un'unità di prodotto di un'industria domestica superi il valore aggiunto determinato senza protezione. Il tasso effettivo (g) si può definire come la differenza tra il valore aggiunto in prezzi nazionali e il valore aggiunto in prezzi internazionali, espressi come percentuale del secondo, cosicché


g =


dove v' e v sono rispettivamente il valore aggiunto per unità di output con e senza protezione. Il risultato può essere positivo o negativo; in molti LDCs è positivo.

Il tasso effettivo è il migliore indicatore del grado di protezione perché permette di osservare l'effetto netto su un'impresa o su una industria delle restrizioni sulle importazioni sia degli output che degli input.

I tassi effettivi di protezione sono considerevolmente più alti dei tassi nominali anche nei paesi sviluppati (Stati Uniti e Stati membri dell'Unione Europea).

Il protezionismo può avere un importante ruolo nello sviluppo del Terzo Mondo ma è uno strumento di politica economica che va impiegato in modo selettivo e con cautela, tenendo conto degli effetti di brevi e lungo termine.


Argomenti a favore del commercio

La liberalizzazione del commercio (cioè la promozione delle esportazioni, la svalutazione della valuta, la rimozione delle restrizioni al commercio) produce crescita economica perché permette di realizzare i seguenti benefici:

promuove la concorrenza, migliora l'allocazione delle risorse e genera economie di scala nelle aree in cui le LDCs hanno un vantaggio comparato. I costi di produzione di conseguenza si abbassano;

stimola i miglioramenti di efficienza, di prodotto, i cambiamenti tecnologici, aumenta la produttività dei fattori e quindi abbassa i costi di produzione;

accelera la crescita economica globale, aumenta i profitti e quindi i risparmi e accelera i processi di accumulazione,

attrae capitali stranieri e "expertise" nelle LDCs che ne sono carenti;

promuove gli scambi di valute che possono essere necessari per importare cibo nel caso di catastrofi naturali;

elimina le distorsioni economiche prodotte dagli interventi governativi che sono di costo elevato per la collettività;

promuove un eguale accesso alle risorse scarse, che contribuisce a migliorare l'allocazione complessiva delle risorse.


I sostenitori del commercio ritengono che se nel breve periodo la promozione delle esportazioni produce guadagni limitati, nel lungo periodo i benefici economici tendono a generare un effetto moltiplicativo mentre la sostituzione delle importazioni ha rapidi rendimenti decrescenti.


La promozione delle esportazioni sia di prodotti primari che di manufatti produce efficienza e crescita, sostituisce a ristretti mercati domestici più ampi mercati internazionali, evita le distorsioni nei costi e nei prezzi prodotti da politiche protezioniste, ha contribuito al successo delle economie del sud-est asiatico, Corea del Sud, Taiwan, Singapore e Hong Kong.


Argomenti a sfavore del commercio

3 argomenti fondamentali:

crescita limitata della domanda mondiale di prodotti primari da esportare. Ciò è imputabile ai seguenti motivi:

uno spostamento nei paesi sviluppati verso prodotti ad alta tecnologia, skill-intensive e conseguente minore domanda di materie prime dalle LDCs;

maggiore efficienza nell'uso delle materie prime;

sostituzione delle materie prime naturali con prodotti sintetici;

bassa elasticità della domanda al reddito dei prodotti primari e dei prodotti di manifattura leggera;

crescente produttività dell'agricoltura nei paesi sviluppati;

crescente ondata protezionistica per le produzioni agricole e labour-intensive nei paesi sviluppati; 

deterioramento persistente delle ragioni di scambio dei paesi produttori di prodotti primari. Motivi:

controllo oligopolistico dei mercati dei fattori e dei beni nei paesi sviluppati a fronte di una crescente competitività delle esportazioni delle LDCs;

generalmente, una più bassa elasticità della domanda al reddito delle esportazioni delle LDCs;

nascita di un "nuovo" protezionismo" contro le esportazioni dei prodotti agricoli lavorati e i manufatti provenienti dai paesi del Terzo Mondo.

Il liberismo non è una panacea.




Espansione delle esportazioni di manufatti: alcuni successi, molte barriere

La quota nel commercio mondiale che proviene dalle LDCs è piuttosto limitata anche se è cresciuta dal 7% del 1965 al 18% del 1990. Essa è per l'80% rappresentata dalle esportazioni delle "quattro tigri asiatiche".

Per molti anni, dal lato della domanda, è stata realizzata da parte dei paesi sviluppati un'ampia rete di protezione dai prodotti manufatti provenienti dalle LDCs. Ciò è stato in parte un tentativo di difesa dal successo ottenuto dalle esportazioni di manufatti a bassa costo provenienti dal Sud-Est asiatico negli anni '60 e '70. Il livello di protezione scelto dai paesi sviluppati cresceva al crescere del livello di trasformazione del prodotto. Il più significativo di questi interventi è l'Accordo Multifibre, un complesso sistema di accordi bilaterali contro le esportazioni di prodotti di cotone, di lana e di fibre sintetiche provenienti dalle LDCs (non più in vigore dal 1 gennaio 2005).


Tuttavia, il successo di politiche estroverse dipende anche dal contesto internazionale. Si osserva infatti che dal 1963 al 1973, in una fase di relativa espansione e stabilità del mercato mondiale, i risultati in termini di crescita migliorano passando da paesi introversi a paesi estroversi; viceversa, nel periodo 1973-1985, i paesi moderatamente introversi realizzano migliori performance di quelli moderatamente estroversi. I risultati conseguiti dai paesi tendenzialmente estroversi dipendono anche dal prodotto medio pro-capite di cui godevano all'inizio del periodo: migliori erano le condizioni iniziali, migliori le performance conseguite con le esportazioni. Il successo delle politiche estroverse dipende quindi sia dall'economia interna del paese che le adotta sia, ovviamente, dall'economia mondiale.

L'enfasi data al ruolo del commercio internazionale quale motore di sviluppo negli anni '70 non è riuscita però a far venire meno due punti caratterizzanti le precedenti impostazioni teoriche:

il ruolo dei processi di industrializzazione nell'attivare processi di crescita (cambiamento strutturale);

ruolo esercitato dallo Stato nel promuovere e indirizzare lo sviluppo economico (cambiamenti istituzionali).




IL GATT


Al posto dell'International Trade Organization (ITO), la cui costituzione era prevista già negli accordi di Bretton Woods ma non venne mai realizzata per la mancata adesione degli Stati Uniti e di altri paesi all'accordo internazionale (Carta dell'Avana) dal quale essa derivava, ha operato un accordo fra vari paesi che, sorto come provvisorio, è durato sino al I gennaio 1995. Tale accordo prende nome di General Agreement on Tariffs and Trade (GATT) e fu sottoscritto a Ginevra nel 1947 da 23 paesi.

Il GATT era pertanto ufficialmente un accordo, non un'organizzazione.

Scopi:

eliminazione delle discriminazioni commerciali poste in essere da un paese (clausola della nazione più favorita: assicura ai firmatari di un trattato commerciale l'estensione automatica delle eventuali facilitazioni che ognuno di essi accordi successivamente ad altri paesi);

stabilizzazione e progressiva riduzione dei dazi, attraverso sessioni di negoziazioni multilaterali (trade round) (tra cui l'Uruguay Round nel 1993);

eliminazione o regolamentazione delle restrizioni quantitative (contingentamenti).


Dal 1947, sono stati organizzati otto negoziati, l'ultimo dei quali - l'Uruguay Round, che ebbe inizio nel 1986 e si concluse nel 1994 - ha costituito il WTO (World Trade Organisation). Nel 1999, il tentativo  di aprire un nuovo negoziato a Seattle fallì. Nel 2001, cominciò il IX negoziato di Doha nel Golfo Persico e nel 2003 a Cancun il X negoziato si concluse con un nulla di fatto.

I primi cinque round del GATT avvennero nella forma di negoziati bilaterali "paralleli", in cui ogni paese trattava contemporaneamente con una serie di altri paesi, due a due.

Il sesto accordo, noto come Kennedy Round, fu completato nel 1967 e portò ad una riduzione generalizzata del 50% su tutti i dazi vigenti da parte dei principali paesi industrializzati, eccezion fatta per alcuni specifici settori industriali in cui i dazi rimasero immutati. L'oggetto principale delle trattative fu proprio l'identificazione dei settori esenti dalle riduzioni. Nel complesso, il Kennedy Round comportò una diminuzione media dei dazi pari al 35%.

Nel successivo Tokyo Round (completato nel 1979) si introdussero regole nuove, nel tentativo di contenere la proliferazione di barriere non tariffarie, quali le VER.


Difficoltà nel perseguimento dei suoi scopi:

necessaria l'adesione unanime dei paesi interessati, anche nel caso di un conflitto prodotto, ad esempio, dall'introduzione di ostacoli al commercio da parte di un paese. Tali ostacoli potevano peraltro essere giustificati sulla base di obiettivi di politica economica interna.


Uruguay Round 

Ultima sessione di negoziazioni multilaterali organizzata dal GATT nel 1986, sollecitata dagli Stati Uniti e dal Giappone.

I principali risultati possono essere sintetizzati in liberalizzazione commerciale e riforme amministrative. In particolare:

ulteriore riduzione dei dazi sui prodotti manifatturieri: l'aliquota daziaria media è scesa dal 6% al 4%; la quota sul totale delle importazioni esenti da dazi aumenta dal 20% al 43%;

accordo di liberalizzare il commercio nell'agricoltura e nell'abbigliamento (impegno ad eliminare l'Accordo Multifibre);

proibizione di altre barriere protettive: le barriere non tariffarie sono state proibite anche se ciò va conseguito entro un certo intervallo temporale;

nuove regole in materia di appalti pubblici che dovrebbero aprire numerosi contratti pubblici ai prodotti importati;

introduzione di nuove regole per ridurre barriere non tariffarie e disciplinare le situazioni di conflitto (misure antidumping).Ad esempio, incoraggia l'adozione di standard tecnici internazionali minimi senza però precludere scelte non aventi carattere discriminatorio.


Il WTO


Il WTO è stata creato a Marrakech nel 1994, a conclusione dell'Uruguay Round ed ha iniziato ad operare dal I gennaio 1995. Attualmente vi aderiscono 142 paesi: nel 2001, a Doha ha fatto il suo ingresso la Cina. Durante la vigenza del GATT si era stabilita la pratica che le decisioni dovessero essere prese con il consenso di tutti i suoi membri. L'accordo istitutivo del WTO richiama espressamente questa pratica per tutte le decisioni prese in seno al WTO e sostiene che solo laddove non sia possibile arrivare al consenso è possibile ricorrere ad una votazione. Nelle votazioni (che possono essere prese a maggioranza semplice o rinforzata - tre quarti dei membri- a seconda dell'argomento), le parti contraenti hanno in linea di principio eguale posizione ("una nazione un voto"). In verità, non vi sono molte votazioni: le parti negoziano in gruppi e tentano di raggiungere un consenso unanime.

Esso costituisce la sede di negoziati commerciali multilaterali e di confronto tra gli Stati riguardo alla attuazione degli accordi commerciali raggiunti. Assume il ruolo dell'organizzazione prevista a Bretton Woods. Ha un carattere istituzionale più accentuato di quello del GATT, prevede una struttura stabile anche se contenuta (vi lavora al suo interno uno staff di circa 500 persone) ed un organo (il Dispute Settlement Body) cui è affidata la risoluzione quasi automatica dei conflitti. Sono previste procedure di conciliazione o di arbitrato e la possibilità di imporre sanzioni commerciali nei confronti del paese condannato che non si adegui alle decisioni.


Struttura interna

L'organizzazione interna del WTO (vedi fig.6.12) comprende:

La Conferenza Ministeriale che rappresenta la più alta autorità nel WTO. Si riunisce almeno una volta ogni due anni;

Il Consiglio Generale che è l'organismo che prende le decisioni quotidiane, cioè è responsabile dell'esecuzione regolare dei vari compiti del WTO. Delega gran parte dei suoi uffici ad altri corpi e consigli: in primo luogo, all'Organismo per il controllo delle politiche commerciali e al Dispute Settlement Body; in secondo luogo, ai Consigli per il commercio in beni, servizi, e per i TRIPS;

Commissioni e gruppi di lavoro preparano i meeting ed elaborano accordi su numerosi argomenti;

Il Direttore Generale ha il compito di preparare i meeting delle varie conferenze e Consigli.


Non vi è un corpo esecutivo. Le proposte avanzate per l'introduzione di un tale organismo non sono state mai accettate per la mancanza di accordo tra UE e USA e l'opposizione delle LDCs.  

Nei primi anni di attività ha continuato sostanzialmente l'azione del GATT. Principali innovazioni rispetto ai compiti svolti dal GATT:

GATS (General Agreement on Trade in Services): introduzione di regole sul commercio di servizi (che non hanno ancora avuto un grande impatto sul commercio in servizi, ma serviranno come base per i negoziati futuri).

Accordo sugli Aspetti Commerciali della Proprietà Intellettuale (Agreement on Trade-Related Aspects of Intellectual Property o TRIPS): applicazione internazionale dei diritti di proprietà intellettuale. Nel 1996, si è raggiunto l'accordo per la piena liberalizzazione degli scambi nella farmaceutica e nei prodotti che utilizzano tecnologie informatiche.


La procedura di risoluzione delle dispute

L'aspetto più importante del WTO è la procedura di risoluzione delle dispute, che insorgono perché, ad esempio, un paese accusa un altro paese di violare le regole del sistema degli scambi. Prima del WTO operavano dei tribunali internazionali ma le procedure tendevano a durare molti anni e in ogni caso non vi era modo di rendere la sentenza operativa.

Il WTO prevede una procedura più formale ed efficace. Gruppi di esperti sono selezionati caso per caso e, di solito, raggiungono una conclusione in meno di un anno; anche in caso di appelli successivi (l'organo di appello funziona come una Corte di Cassazione ed è un organo permanente composto da giudici eletti per un periodo di 4 anni), la procedura non può durare più di 15 mesi.

Tuttavia, anche il WTO in sé non ha potere coercitivo: quello che può fare, nel caso in cui si riscontri che un paese ha effettivamente violato le regole e non voglia ammettere le proprie responsabilità, è che il paese che ha aperto il caso adotti misure di ritorsione. Le aspettative sono per un numero ridotto di simili dispute. In molti casi, la minaccia di portare un caso davanti al WTO dovrebbe già di per sé funzionare da deterrente; nella maggioranza degli altri casi, i paesi accettano le risoluzioni del WTO e cambiano le misure che violano le regole.





Le principali eccezioni

I Paesi contraenti possono però invocare alcune eccezioni che li esonerano dagli accordi tariffari sanciti nell'ambito del WTO (e in precedenza dal GATT) nei seguenti casi:

la creazione di aree di libero scambio e di unioni doganali che consentono di adottare un regime commerciale favorevole nei confronti di determinati paesi senza essere costretti ad estendere tali benefici agli altri membri del WTO. E' necessario però il consenso degli altri membri del WTO per la loro applicazione;

misure a tutela di interessi rilevanti: la salute pubblica (compresa quella degli animali), la morale pubblica, la tutela del patrimonio storico ed artistico di un paese;

misure temporanee di difesa commerciale (es. difesa industria dell'acciaio negli USA e accordi antidumping).



Principali contestazioni di fondo della legittimità democratica del WTO

mancanza di trasparenza dei processi decisionali. Peso eccessivo dei paesi sviluppati nella presa delle decisioni (meccanismo delle green rooms);

permangono delle barriere alla partecipazione al sistema di soluzione delle controversie da parte delle LDCs (barriere sostanziali, per la scarsità di risorse di cui dispongono vedi tabb.1-2), dei gruppi di interesse domestici e della società civile in generale;

scarsa credibilità e certezza democratica degli strumenti di intervento (accountability).




Gli Accordi commerciali preferenziali

Le riduzioni dei dazi all'interno del GATT/WTO avvengono sempre con la clausola della nazione più favorita (MFN): si tratta di una garanzia per cui gli esportatori di questi paesi non viene imposto alcun dazio superiore a quello praticato al paese per cui esso è minimo.

Nel caso in cui vengono siglati degli accordi commerciali preferenziali, i dazi applicati dagli aderenti all'accordo sui prodotti provenienti da altri paesi aderenti, sono inferiori a quelli praticati sugli stessi beni provenienti dal resto del mondo. Il GATT vieta in generale questi accordi ma li permette se conducono al libero scambio tra i paesi partecipanti.

Vi sono due tipi di accordi commerciali preferenziali:

area di libero scambio (ALS), nella quale i beni di ciascun paese possono essere trasportati negli altri paesi senza dazi, ma nel quale i paesi fissano in modo indipendente i dazi con il resto del mondo (NAFTA);

unione doganale (UD), nella quale essi devono anche accordarsi sui dazi applicati al resto del mondo (UE).


La differenza principale tra  un'ALS e un'UD è data dal fatto che la prima è di facile attuazione, ma di difficile gestione, mentre la seconda è esattamente l'opposto, cioè di più difficile attuazione ma di facile gestione. Il punto è che amministrare un'ALS che non sia anche un'UD richiede non solo che i paesi continuino a controllare i beni al confine, ma che specifichino anche un insieme elaborato di "regole di origine" che determinano se un bene può attraversare il confine senza pagare dazio. Le ALS impongono un grande carico di lavoro amministrativo che può essere un ostacolo significativo agli scambi anche quando il commercio è in regime di libero scambio. La desiderabilità di un'UD dipende in larga misura dal fatto che essa induca creazione o deviazione dei flussi commerciali. Infatti, la partecipazione all'UD può comportare una perdita per uno o più paesi aderenti se i flussi commerciali nel suo ambito si sostituiscono semplicemente a preesistenti flussi commerciali con paesi esterni all'Unione stessa. (esempio, opposta opinione sugli effetti del Mercosur).


Commercio Sud-Sud ed integrazione economica

L'espansione del commercio tra paesi in via di sviluppo costituisce una delle strade di politica commerciale di lungo periodo orientata simultaneamente verso l'interno e verso l'esterno che ha mostrato una lenta ma costante crescita dagli anni '70 agli anni '90 (Fig.13.4). negli anni '90 rappresenta  quasi il 33% di tutte le esportazioni del Terzo Mondo.

Vantaggi di questo tipo di rapporti commerciali:

vantaggi comparati che si possono realizzare nei rapporti Sud-Sud diversi da quelli conseguibili nei rapporti Nord-Sud;

maggiori guadagni in termini dinamici che si possono realizzare con questo tipo di rapporti commerciali;

ridotta instabilità nelle esportazioni a causa delle fluttuazioni economiche nei paesi sviluppati;

possibilità di conseguire un più alto livello di auto-sostentamento collettivo.


Una delle iniziative più significative a favore del commercio Sud-Sud è la costituzione, nel 1991, di un'ALS, nota come Mercosur, tra Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay.

Diverse, tuttavia, sono le valutazioni a riguardo.

Da un lato, c'è chi sostiene il successo dell'iniziativa perché in soli 4 anni il valore del commercio tra questi paesi è triplicato.

Dall'altro, c'è chi invita se questo risultato positivo sia frutto della creazione di flussi commerciali o di deviazione di flussi commerciali. In quest'ultimo caso, l'incremento del commercio potrebbe non aver prodotto incremento del benessere. Nel 1996, uno studio della Banca Mondiale concludeva che, nonostante il successo del Mercosur nella creazione di commercio intra-regionale - o, meglio, proprio perché questo aumento del commercio era avvenuto a scapito del commercio con altri paesi - l'effetto netto sulle economie coinvolte era stato probabilmente negativo. I consumatori dei paesi membri erano indotti a comprare costosi beni dai loro vicini al posto di beni più economici, ma sottoposti ad alti dazi, da altri paesi (es. industria automobilistica brasiliana - fortemente protetta e abbastanza inefficiente - era riuscita a conquistare una quota di mercato in Argentina, sostituendo le importazioni da altri paesi).


I vantaggi della negoziazione

Vi sono almeno 2 ragioni:

un accordo reciproco contribuisce a coalizzare il consenso a favore di una maggiore libertà di commercio;

la negoziazione di accordi commerciali aiuta i governi a evitare di rimanere intrappolati in distruttive "guerre commerciali". Esaminiamo la nozione di guerra commerciale secondo un semplice schema di teoria dei giochi (dilemma del prigioniero).




Giappone




LS

P

USA

LS




P





Ciascun governo, imboccando la strada che si presenta migliore dal proprio punto di vista, sceglierà il protezionismo ( P-P, equilibrio di Nash); eppure entrambi i governi migliorerebbero la propria posizione  se nessuno dei due scegliesse il protezionismo (LS-LS, ottimo paretiano).

La situazione richiede chiaramente che USA e Giappone siglino un accordo (per esempio, un trattato) che li trattenga dall'operare scelte protezionistiche. Ogni singolo può trarre vantaggio dalla limitazione della propria libertà di azione, purché anche l'altro faccia lo stesso: un trattato può quindi essere vantaggioso per entrambi.


L'azione collettiva dei governi nazionali: una spiegazione teorica

La fornitura di un bene pubblico globale (es. liberalizzazione del commercio) non viene da sé ma richiede l'azione collettiva (Olson M., 1965) dei principali attori che segue ovviamente regole di decisione economiche. Le probabilità che un'azione collettiva abbia buon esito sono maggiori quanto più chiari sono i benefici per il gruppo di aderenti, minori i costi di formazione del gruppo e più equa la distribuzione dei costi e dei benefici tra i partners.






Qual è la quantità ottimale di bene pubblico?

La risposta è illustrata nella fig. seguente:




Costi

Benefici




MC


MB



o Qo Q*


La curva MC crescente indica che i costi di negoziazione aumentano man mano che cresce il numero di partners commerciali. La curva MB decrescente mostra che al crescere del numero di partners, l'adesione di un nuovo partner all'accordo di libero commercio comporta un benefico marginale decrescente. L'equilibrio sarà in corrispondenza del punto in cui il MB = MC. Tuttavia, ciascun paese procederà alla propria valutazione dei costi e dei benefici a livello individuale e  vi possono essere 2 soluzioni:

non-cooperazione (Qo);

Cooperazione: i paesi tengono conto degli sforzi degli altri paesi e la curva MB si sposta verso l'alto (Q*).


I paesi aderenti possono avere interesse a muoversi insieme e assicurarsi che il bene pubblico globale venga fornito. La probabilità che l'accordo funzioni dipende anche dall'inclinazione delle curve MB e MC. Distinguiamo i seguenti casi:

MC piatta, MB ripida: il beneficio della cooperazione è piccolo: ciascun paese ha incentivo a svolgere la propria parte del programma per la fornitura di un bene pubblico collettivo;

MC ripida, MB piatta: poche azioni verranno intraprese. I vantaggi dell'azione sono piccoli e non aumentano molto con la cooperazione;

MC piatta, MB piatta. La cooperazione presenta molti vantaggi rispetto alla non-cooperazione (ampia differenza tra Q* e Qo). I benefici netti sono però limitati;

MC ripida e MB ripida. La differenza nei benefici tra i due risultati è molto ampia. Costituisce il caso in cui la cooperazione è più probabile.

Tuttavia, anche in quest'ultimo caso, gli incentivi a comportamenti da free-rider sono molto forti e potrebbero indurre molti ad adottare strategie di "wait and see" lasciando ad altri il carico dell'organizzazione.


Quanti paesi partecipano all'azione collettiva?

Il caso più comune è che siano pochi paesi: un piccolo gruppo può più facilmente definire un interesse comune, ad un costo organizzativo relativamente contenuto.

Se i costi e i benefici non sono gli stessi per ciascun paese firmatario, non è una buona strategia coinvolgere questi partners dall'inizio. In questi casi, un piccolo gruppo di paesi influenti, che ha interesse che l'accordo giunga a buon fine, traccerà i termini dell'accordo. I risultati a cui si giunge potrebbero pertanto non essere né equi né giusti. Si consideri, ad esempio, il caso in cui un gruppo di paesi a livello mondiale definisca le regole di una determinata istituzione a proprio favore. Costituire una organizzazione alternativa non è possibile, per i costi che ciò comporterebbe, pertanto, anche altri paesi tenderanno ad aderire a quella determinata istituzione, almeno per beneficiare dei più bassi costi di transazione che l'adesione all'istituzione già costituita comporta (ad esempio, gli LDCs nel WTO) (soluzione di second best).

Il gruppo di paesi aderenti sarà tanto più grande quanto:

più piccola la parte del beneficio complessivo che ciascun partecipante ottiene dall'adesione;

più piccola la probabilità che una quota del bene fornito vada a favore del piccolo gruppo che assume comportamenti oligopolistici;

più elevato il costo organizzativo.


Quanto più grande il gruppo, tanto più difficile sarà raggiungere il livello ottimale di offerta di un bene collettivo, a meno che non operi contestualmente un meccanismo di incentivi. Il quadro però può mutare se l'organizzazione già esiste. In questo caso, i costi di organizzazione sono decrescenti e le possibilità di coercizione crescenti. Ciò giustifica, ad esempio, i compiti sempre più numerosi che sono stati attribuiti al WTO.







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