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STORIA ECONOMICA - Le differenze tra storia economica ed economia

economia



STORIA ECONOMICA


Alcune questioni di metodo

:: Si deve partire dal termine STORIA e dalla sua stratificazione di significati: in greco historìa = indagine, ricerca (indagine perché lo storico cerca nel passato, quasi come un detective, indizi in tutte le direzioni per rispondere alle sue domande e per trovare ciò che gli serve; i fenomeni storici sono complessi e anche le fonti riflettono questa complessità), da histor = che ha visto, testimone, dalla radice indoeuropea weid = vedere, sapere (viene dal sanscrito). Testimone perché chi vede le cose, le sa anche (il primo storico è stato un greco, che scrisse delle guerre del Peloponneso e vi partecipò lui stesso).

:: L’importanza del passato e della memoria: il passato spiega il presente e, viceversa, il presente spiega il passato. I processi storici si sviluppano nel corso del tempo attraverso eventi di tipo casuale, dove ci sono una causa e un effetto, per questo il passato consente di spiegare e capire meglio il presente. Questa relazione, però, funziona anche al contrario perché il presente è frutto di un processo che viene da lontano.

:: La storia come strumento di conoscenza e misura delle cose: la conoscenza storica è fondamentale perché consente di imparare un modo diverso di ragionare e di capire cos’è rilevante e cosa no, essendo liberi (liberi di fare determinate scelte) e coscienti.



:: La variabile tempo (è molto importante): tempo soggettivo e tempo della storia

- Tempo soggettivo = percezione che ognuno di noi ha del tempo (varia da persona a persona);

- Tempo della storia = tempo misurato, oggettivo = è frutto di convenzioni che dipendono dalle diverse civiltà (che lo misurano in modo diverso l’una dall’altra), per esempio: noi partiamo dalla nascita di Cristo e usiamo il calendario solare, invece i Cinesi usano quello lunare; gli Ebrei partono dalla fuga in Egitto, e così via.

:: I tempi della storia

- una storia quasi immobile: le strutture = realtà che non si evolvono o comunque cambiano in modo lentissimo perché dipendono da cose che cambiano in modo impercettibile (es: il modo di costruire i tetti cambia dal Nord (dove sono a punta a causa della neve) al Sud Italia (dove sono piatti), ma è così da millenni;

- i tempi della società e dell’economia: i fatti che riguardano l’economia si svolgono, invece, in modo più veloce;

- gli eventi: i fatti annotati = fatti di cui si è conservata una memoria (spesso questi coincidono con delle date).

:: La cronologia è rilevante perché la storia procede con relazioni di causa- effetto.

:: Bisogna anche considerare l’importanza di uno sguardo temporalmente distaccato: non si può fare storia dei fatti di oggi, perché non si sa bene come andranno a finire, non si riescono a valutare subito le conseguenze e non si riesce a capire subito quali sono i fatti veramente rilevanti ( per esempio: per adesso non si sa se l’attacco alle Torri Gemelle sia un fatto molto rilevante o meno, perché ci sono ancora determinati e svariati processi in corso)


La STORIA ECONOMICA è una storia specialistica, la cui specializzazione è di due tipi:

- a livello cronologico = la differenza è data dal periodo (ma non studia solo e soprattutto il tempo, si concentra sull’oggetto);

- per quanto riguarda l’oggetto: studia gli avvenimenti economici passati e presenti in uno o più paesi.

E’ una disciplina abbastanza recente, inizia a svilupparsi negli anni ’30 fino agli anni ’70 del ‘900, poi però iniziano “conflitti” con gli economisti, anche perché le domande che gli storici economici si pongono sono le stesse dell’economista: cosa produrre, come produrre, come distribuire ciò che è stato prodotto; se le domande sono le stesse, invece il modo in cui economisti e storici economici lavorano è molto diverso, perché è diverso l’approccio metodologico, questo ha portato la storia a ricercare uno statuto autonomo, dando vita a un rapporto con l’economia spesso conflittuale (storia subordinata?).



Le differenze tra storia economica ed economia

La prima differenza riguarda l’approccio: lo storico economico ha un approccio diacronico (dal greco: διά = attraverso, κρονος = tempo), osserva cioè i fenomeni nel corso del tempo, nel lungo periodo, a differenza ad esempio del sociologo e dell’economista che hanno invece un approccio sincronico, studiano cioè i fenomeni mentre avvengono, studiano il presente in cui vivono (lo storico, invece, sa di non poter fare storia sul presente in cui vive e quindi studia il passato per capire i processi storici).

La seconda differenza riguarda il fatto che si studia il passato per cercare di comprenderlo, per capire come sono andate le cose e perché il presente è così (non bisogna guardare solo i fatti, ma anche le cause che hanno portato ad una determinata situazione).

C’è una fondamentale differenza tra descrizione (la storia- racconto, in cui una serie di fatti viene presentata in ordine cronologico) e interpretazione (dove si cerca di dare una spiegazione): per interpretare occorre cercare di ricostruire la complessità del processi e per farlo è necessario prendere in considerazione il maggior numero possibile di variabili/ di possibili spiegazioni (qui torna in campo la conoscenza), perché i processi delle società umane sono molto complessi. La spiegazione dello storico è tanto più convincente, quante più spiegazioni riesce a trovare.

Un altro problema è il rapporto della storia economica con la teoria economica: il filo e le perle (= fatti/ eventi).

E’ importante valutare le diverse realtà “iuxta sua propria principia” = secondo le loro logiche/ regole di funzionamento interno: non c’è nulla di più sbagliato che fare parti uguali fra diseguali, ovvero non si possono valutare tutti i fatti con lo stesso metro di giudizio. Il dilemma ragionevole/razionale: si devono ricostruire situazioni e fare valutazioni ragionevoli. Lo storico non deve proiettare le sue idee e convincimenti sul passato, ma deve studiare le logiche che c’erano al tempo della società che sta analizzando.

L’economista ha un obiettivo diverso da quello dello storico economico, egli cerca di costruire dei modelli e di formulare leggi in grado di fare previsioni certe (dato X succederà Y) e quindi deve di necessità semplificare la realtà prendendo in considerazione un numero limitato di variabili; se l’economista costruisse un modello con tutte le variabili possibili non farebbe un modello, ma ricostruirebbe la realtà. Si ricercano quindi le regolarità e si punta a compiere delle generalizzazioni. L’ambizione è quella di costruire una “fisica della società”, ma l’economia non potrà mai essere una scienza pura come la fisica, perché non ha possibilità di ripetere un esperimento: una volta che la scelta è stata fatta e il fatto è accaduto non si può cambiare.

Problema della razionalità = razionalità come coerenza interna, come perseguimento dell’interesse proprio e razionalità limitata: sarebbe bello che ci fossero soggetti perfettamente razionali, ma non è possibile, perché si dovrebbero avere tutte le informazioni possibili, gli economisti parlano di razionalità limitata perché si hanno soggetti razionali, ma non in tutte le direzioni.

Lo storico, quindi, è diverso dall’economista perché cerca soprattutto di spiegare i fenomeni, l’ economista di prevedere, facendo una previsione attendibile.


Il problema dello storico rispetto all’economista è il fatto che è lontano temporalmente dai fatti che studia; l’idea della sincronicità è stata costruita dalla psicanalisi, che sostiene che ci siano eventi che hanno concomitanze (avvengono nello stesso momento), che però non hanno relazioni di causa- effetto (due azioni avvenute nello stesso momento non è detto che siano una la causa o l’effetto dell’altra).


:: Come opera lo storico?

Il primo problema che lo storico incontra è quello della distanza temporale dai fatti studiati (come diceva Keynes “nel lungo periodo siamo tutti morti”, volendo quindi esprimere il suo disinteresse per ciò che accadeva appunto nel lungo periodo) e delle sue implicazioni, che portano al problema delle fonti, ovvero di uno studio condotto su una documentazione diligentemente raccolta e criticamente valutata.

La FONTE, attraverso la quale gli storici ricercano informazioni, è una qualsiasi tipologia di documento che arriva dal passato. Ciò che abbiamo è frutto di scelte logiche (questo si vede bene nel caso delle cronache Medievali: . ), ma centra anche il caso (bisogna essere fortunati).


Il primo passo per lo storico è la raccolta delle fonti e già qui ci sono delle domande di partenza, a cui non è detto che le fonti possano rispondere, e si incontrano quindi dei problemi come: 1) la documentazione non è stata prodotta: non c’è o per motivi di carattere culturale, non c’è interesse (per es: in Oriente non si può sapere quante persone abitano in una città, perché non c’è il censimento) o per motivi economici; 2) la documentazione è andata distrutta a causa di incendi, terremoti, . : nel momento in cui i documenti sono stati distrutti, questi non sono più reperibili; 3) la documentazione è andata dispersa volontariamente o meno: un esempio del modo volontario è quello delle imprese (ogni tot anni esse mandano al macero i documenti che non servono più, che sarebbero però fondamentali per uno storico che volesse studiare quell’impresa), l’altro tipo di dispersione dipende invece dal caso.

Altri due aspetti che riguardano la documentazione sono:

la negligenza = i documenti ci sono ma sono mal conservati (per esempio in ambienti umidi o non areati) e, nel corso del tempo, tendono a diventare illeggibili e a non essere più utilizzabili;

il caso (per esempio il dio- coccodrillo Sobk: la scoperta dell’Antico Egitto è avvenuta per caso, quando si scoprirono delle mummie di coccodrilli, rivestite di terracotta, una volta rotta la terracotta sono stati ritrovati i papiri contabili, che sono serviti a scoprire la civiltà egizia) = quanto rimane è frutto di scelte logiche, ma soggettive e anche della casualità.


La documentazione di solito è scritta, ma più si va indietro nel tempo e più le fonti scritte sono rare e lo storico deve quindi ricorrere ad altre discipline come: archeologia; fotografia aerea; numismatica (= studio delle monete, le quali si conservano per moltissimo tempo); linguistica, perché la lingua riflette bene il sistema di valori di una popolazione (per esempio “onorario/ salario”: nel Medioevo, la retribuzione del lavoro di un medico, avvocato o notaio si chiamava “onorario” e rifletteva la posizione sociale della persona, invece per le classi più basse, che facevano per esempio lavori manuali, si parlava di “salario”).

:: Ci sono due tipi di fonti: primarie e derivate.

Fonte primaria = è prodotta direttamente da un soggetto che è testimone diretto, questo tipo di fonte va privilegiata nelle ricerche storiche perché è più attendibile.

Fonte derivata = testimonianza di qualcuno che però non ha partecipato personalmente all’evento.

Gran parte delle fonti sono derivate e questo comporta l’effetto fondamentale della critica delle fonti, cosa che distingue lo storico dall’economista, il quale non è invece interessato alla critica (la storia purtroppo è cosparsa di documenti falsi o non attendibili).


Le fonti si trovano soprattutto nelle biblioteche e negli archivi, che possono essere:

di Stato → conservano la documentazione prodotta dal governo centrale;

storico- civici → conservano la documentazione del Comune.


:: Come sono state conservate le fonti?

Ci sono stati dei problemi, per esempio, nell’Archivio di Milano: un archivista ebbe l’idea “geniale” di dividere e archiviare le fonti per argomento, questa si rivelò essere una pessima idea, perché faceva perdere l’ordine cronologico.




:: La critica delle fonti

Il secondo passo per lo storico è l’ esame critico delle fonti = lo storico raccoglie le fonti e deve poi valutarle criticamente attraverso varie fasi: decifrazione (es: lineare B), interpretazione contenutistica, autenticità, attendibilità.

Decifrazione:lo storico deve decifrare quello che c’è scritto (un esempio molto famoso di decifrazione è quello consentito dal ritrovamento della Stele di Rosetta, che permise di iniziare a capire i geroglifici Egizi; altro esempio è il lineare B, conseguito al ritrovamento, a Creta, di alcune tavolette dell’antica civiltà greca, ancora oggi però tutte le altre tavolette scritte in quello che è chiamato “lineare A” non sono state decifrate).

Interpretazione contenutistica: si deve poi dare un senso logico a quello che si legge

Autenticità: lo storico deve valutare se si tratta di un falso.

Attendibilità


Ci sono molte opzioni intermedie/ sfumature di tipologie di fonti:

fonte falsa con contenuto falso → ne è un esempio la donazione di Costantino che fu ritenuta vera per moltissimo tempo; qui Costantino, dopo essersi convertito, avrebbe scritto che regalava la città di Roma al Papa; nel XV secolo, però, Lorenzo Valla, analizzando il linguaggio usato nel testo, dimostrò che il documento era falso perché scritto molti secoli dopo;

fonte falsa con contenuto veritiero → un esempio è un documento distrutto e poi riscritto: molte fonti originali sono andate distrutte, ma prima erano state copiate e riscritte;

documento genuino con contenuto falso → un esempio è la dichiarazione dei redditi;

documento genuino con contenuto veritiero → è quello che interessa maggiormente allo storico, che dovrebbe cercare di eliminare tutti i documenti che forniscono problemi su quello che dicono.


Ci sono però vari problemi:

tutte le fonti risentono delle opinioni e della soggettività di chi le ha prodotte: le fonti sono condizionate dai valori e dalle credenze della società, inoltre il documento risente della soggettività del produttore; il problema si risolve incrociando fonti con origine diversa, questo permette di capire molto meglio il grado di attendibilità della fonte che si ha in mano.

C’è differenza (= distonia) tra i produttori di documentazione e i consumatori (cioè gli storici), perché hanno fini diversi.

errori di copiatura: poteva capitare che si facessero errori che poi rimanevano perché i documenti originali non c’erano più;

fonti quantitative: c’è l’impossibilità di valutare le distorsioni dei dati (qualsiasi tipo di dato quantitativo pone dei problemi, si deve capire se le cifre fornite sono attendibili), è molto importante individuare gli errori, per esempio guardando le contraddizioni interne o facendo il confronto con altre fonti = si mettono insieme dati di diversa provenienza per cercare di capire meglio.


→ L’età pre- industriale, fino al XVIII secolo, è chiamata età del pressappoco perché i numeri e i dati quantitativi non erano così importanti come lo sono ora (siamo nell’ “Universo della precisione”). Passare dal mondo del pressappoco all’universo della precisione, anche grazie alla rivoluzione scientifica avvenuta con Galileo, non elimina i problemi (per es il contrabbando: se io prendo i dati sull’importazione e l’esportazione, in questi non figura tutto ciò che è relativo al contrabbando; emigrazione clandestina; . ). Questo passaggio avviene a partire dalla rivoluzione scientifica, quando i numeri e i dati diventano molto importanti.

Es: il PIL misura la ricchezza del Paese, ma misura solo quello che è stato registrato, quindi dà solo un’idea sottostimata della ricchezza.


risorse elettroniche (internet): ci sono però 3 problemi fondamentali che riguardano questo tipo di risorse = 1) non si sa come è avvenuta la selezione delle cose da scrivere o da non mettere sul sito; 2) attendibilità: bisogna avere gli strumenti conoscitivi per verificarla; 3) illusione di sapere: su internet non c’è tutto!


Lo storico è convinto di poter raccontare come sono andate effettivamente le cose, a partire dalle fonti disponibili. Ci sono però 4 –ismi (pericoli) da evitare:

semplicismo: i processi storici sono, per definizione, molto complicati, quindi la prima cosa da evitare è semplificare la realtà;

ex- postismo (“ex ante” ed “ex post”, es: Italia del Rinascimento e Olanda del Seicento): lo storico studia fatti già avvenuti, ma si trova in una condizione diversa da chi li ha vissuti (il quale si trova “ex ante”), lo storico si trova “ex post”, sa anche cos’è successo dopo. Non si devono considerare i fatti passati alla luce di quelli che sono avvenuti dopo (rispetto, quindi, agli sviluppi successivi);

tesismo: è il pericolo più grave perché rischia di produrre ricostruzioni fuorvianti: si ha in testa una tesi che si vuole dimostrare e per farlo si “piega la realtà” a proprio favore (es dei dati e dell’ideologia: presentando dei dati parziali, escludendo quindi quelli che non confermano la nostra tesi, ne risente anche l’ideologia);

subiettivismo (inevitabile ma da moderare): una ricerca risente della soggettività di chi la produce, il soggettivismo è inevitabile, non si può eliminare (la ricerca oggettiva non esiste!), però bisogna evitare di farsi condizionare troppo dalle proprie idee e valori.


:: Come si sviluppa una ricerca?

In primo luogo occorre avere una domanda (un problema da affrontare) e quindi partire da una solida base storiografica, ovvero conoscere gli scritti più importanti riguardo al tema che ci interessa, con particolare attenzione al dibattito in sede internazionale, si deve cioè evitare il provincialismo: è importante quello che viene scritto all’estero perché gran parte dei dibattiti storico- economici hanno preso avvio da articoli comparsi su riviste estere. Bisogna inoltre prestare attenzione alla dimensione comparativa: c’è il rischio di “innamorarsi” di quello che uno studia e fa, si deve quindi confrontare ciò che si fa con lavori esteri, perché questo consente di essere meno provinciali.




La domanda sorge quasi sempre per la presenza di aspetti della ricostruzione compiuta in passato che appaiono insoddisfacenti.

Es del prof: la domanda è sorta accorgendosi della presenza di uno iato incolmabile tra l’immagine sonnacchiosa e aristocratica, con le attività economiche quasi pari a zero, della Milano settecentesca e quella capitalistico- industriale della seconda metà del XIX secolo, lo scarto tra questo due momenti era troppo forte.


Ci sono due importanti principi da seguire:

Historia non facit saltus” = è impossibile che ci sia una realtà che diventa una delle città industriali più importanti d’Europa, se prima non c’era niente a livello manifatturiero.

Bisogna inoltre considerare la realtà: “iuxta sua propria principia” = senza proiettare sul passato l’ombra ingombrante del presente.


:: Come si procede concretamente?

Guardando con occhi diversi alle fonti già utilizzate e cercandone e valorizzandone di nuove. Per quanto riguarda l’esempio precedente, il prof si è accorto del fatto che gli storici che si sono occupati di città manifatturiere si sono occupati solo dell’industria tessile, tutti gli altri settori, come per es l’edilizia, che è un settore con un’importanza economica fondamentale, non sono stati studiati. A fronte di questo grande rilievo economico dell’edilizia, gli storici hanno deciso di non occuparsene o perché hanno scelto di ignorarla, o per altri due motivi: dopo un boom di crescita edilizia, ci fu la crisi, quindi la considerarono una cosa negativa; oppure si liquidava l’edilizia per un’idea moralistica di “pietrificazione del denaro” = i soldi investiti per l’edilizia andavano usati meglio, .

L’edilizia non rende sterile il denaro, anzi attraverso di essa i soldi di chi costruisce palazzi, chiese, . ricadono, per es., sui muratori ecc ecc.


La seconda fase è la scrittura: dai fatti si passa all’interpretazione, che comporta però il problema della coerenza logica e del principio di non contraddizione → dopo aver trovato i vari elementi e documenti, bisogna scrivere, ma non ci si può limitare a una semplice descrizione, bisogna anche fornire un’interpretazione, che non può però essere verificata da un esperimento (il lavoro acquista valore se è verificabile dal punto di vista logico). Inoltre non si può scrivere una cosa e poi, poco dopo, scriverne una opposta! La coerenza logica è fondamentale, ma deve coesistere con un linguaggio chiaro e comprensibile.


Lo sviluppo: tema fondamentale per storici ed economisti. Teoria economica e sviluppo.


1)I classici di fine XVIII- inizio XIX secolo, come per esempio Smith (scozzese; con il suo libro si fa iniziare la scienza economica, egli parla della “mano invisibile” = il mercato), Ricardo (Londinese) e Marx (tedesco in esilio a Londra), prestano grande attenzione al problema dell’espansione economica perché si trovano a vivere nel momento della rivoluzione industriale e nel Paese in cui essa sta avvenendo. Essi cercano di cogliere i meccanismi di funzionamento dei processi a cui stanno assistendo, cercando quindi di capire perché c’è una crescita della produzione che in età pre- industriale sarebbe stata impossibile, mettendo i processi attuali a confronto con i sistemi economici precedenti (es: sistema feudale).

Marx è autore de “Il capitale”: parte di questo libro è dedicata a come funzionava l’economia prima della rivoluzione industriale, vi è un confronto fra il sistema economico feudale e quello capitalistico.


2) Economia neoclassica: i marginalisti o neoclassici, cioè gli economisti che scrivono da metà Ottocento in poi, iniziano a non essere più molto interessati allo sviluppo (idea dinamica), spostando il loro interesse sull’equilibrio statico (idea appunto statica), riferendosi alla teoria dell’equilibrio economico generale (quindi l’economia dello sviluppo è andata in crisi). Tale teoria afferma che: (1) in una situazione di concorrenza perfetta (che comunque non si è mai verificata), il sistema economico, se (2) libero da interferenze esterne, è in grado di assicurare, attraverso i comportamenti massimizzanti degli imprenditori (riguardo al profitto) e dei consumatori (riguardo all’utilità) l’equilibrio tra domanda e offerta. (1 e 2 sono i presupposti di questa teoria, che però concretamente non sono mai esistiti).

Si indaga quindi in genere la riallocazione delle risorse date, che di solito sono scarse, all’interno di un sistema.

Gli economisti per fare i loro modelli hanno bisogno di semplificare la realtà.

In un modello come questo, lo sviluppo fa fatica ad entrare, quello che consente lo sviluppo è la tecnologia, variabile esterna.


3) Una differenza molto utile è quella fra stato stazionario (1.) e stato progressivo (2.).

1. Si riferisce alla situazione dell’economia pre-industriale e alla situazione di Paesi che ancora oggi non riescono a svilupparsi. Il PIL non varia, non cresce, i processi produttivi sono sempre gli stessi (= invariabilità dei processi produttivi), c’è poco processo tecnico, quindi pochi investimenti, e di conseguenza poca crescita economica (= assenza di accumulazione e crescita). Questa situazione viene ribaltata dalla rivoluzione industriale che porta una crescita economica enorme.


Alcuni concetti base

1- PRODUZIONE: processo finalizzato ad ottenere e realizzare, in termini di valore, un output (beni o servizi) superiore agli inputs (fattori naturali, lavoro, beni durevoli) utilizzati per produrlo (questo concetto è diverso dalla produttività).

2- 3 FATTORI DELLA PRODUZIONE: risorse utilizzate dall’impresa per la produzione di beni e servizi. Secondo J.B.Say’ sono la terra, il capitale e il lavoro. Il compenso per l’impiego di questi fattori è rispettivamente la rendita, l’interesse e il salario.

Marshall (un neoclassico) aggiunge un quarto fattore che è la capacità organizzativa, il cui compenso è il profitto (= quello che l’imprenditore guadagna).

3- PRODUTTIVITA’: rapporto tra l’output ottenuto dal processo produttivo e i fattori impiegati. Un suo incremento consente una crescita della produzione di tipo intensivo e non più estensivo (= senza che si verifichi un aumento della produttività); es: la produttività della terra si misura rapportando la produzione ottenuta alle unità di superficie. Per es: 10q di grano x ettaro, l’ipotesi è l’aumento della domanda e noi vogliamo un aumento della produzione → coltiviamo 2 ettari (crescita di tipo estensivo), se invece miglioriamo la produzione, apportiamo miglioramenti, tecnologia, ecc, produciamo 20q su un ettaro solo.

4- CRESCITA (“grow”): aumento del valore totale di beni e servizi prodotti da una società, attraverso un processo cumulativo, può essere reversibile. (Questo concetto è diverso da quello di crescita economica moderna, c’è differenza fra una crescita stazionaria e una che porta invece allo sviluppo).

5- SVILUPPO o CRESCITA ECONOMICA MODERNA: crescita economica con elevati tassi percentuali (molto più che nell’età pre-industriale) accompagnata da un sostanziale cambiamento strutturale ed organizzativo non solo dell’economia, ma anche demografico e sociale. Tende ad essere irreversibile = una volta che si sono verificati non si torna indietro.

Es: nell’età pre-industriale l’80% lavorava nell’agricoltura, in età industriale la percentuale si abbassa notevolmente: c’è un cambiamento strutturale irreversibile; inoltre aumenta la popolazione che vive in città.


:: Un problema: lo sviluppo accentua in divario tra i paesi? Catching up or divergence?

Ci sono due scuole di pensiero:

- gli ottimisti = lo sviluppo mette in atto un processo di “catching up”, però questo discorso riguarda solo 15/20 Paesi su 150!

= c’è divergenza.



Grafico relativo al lungo periodo in cui si vuole vedere se lo sviluppo aumenta il divario tra i Paesi






Si è scelto il va-

lore del dollaro

del 1985 e si è

deflazionata la

serie. Bisogna

convertire tutto

in dollari del-

l’85









Fonte: L.Pritchett, Divergence, big time, in “Journal of Economic Perspectives”, summer 1997


I processi di sviluppo hanno aumentato il divario fra i Paesi che si sviluppano e quelli che non si sviluppo. All’interno del processo storico si hanno al mondo situazioni di tipo economico- sociale molto diverse.

La compresenza di tempi diversi: un concetto importante perché lo sviluppo ha interessato una parte ancora limitata del pianeta, es: l’età pre-industriale.

Confronto tra Paesi sviluppati (Italia), in via di sviluppo (Egitto: sta crescendo dal punto di vista economico) e a basso sviluppo (Etiopia) nel 2006 (tempo x).



Italia

Egitto

Etiopia

Speranza di vita delle donne (n° di anni)




Figli per donna




Crescita della popolazione % annuo




% di popolazione urbana




PIL pro capite ($ USA)






Consumo energia pro capite (kwh)




% di analfabeti (capitale umano = popolazione)




Calorie abitante/giorno





















Come si vede dalla tabella, nello stesso momento convivono sul pianeta sistemi demografici, economici e sociali completamente diversi. Ne deriva l’importanza, ai fini della comprensione dei processi, di abbandonare una visione unicamente eurocentrica, perché così facendo non si riesce a capire niente.


:: Un altro problema: la concentrazione della ricchezza


I dieci uomini più ricchi del mondo nel 2008 (miliardi di dollari), viene valutato il loro patrimonio personale.



Nome


Nazionalità

Fonte


Warren Buffett


 USA

Berkshire Hathaway, Investimenti


Carlos Slim Helù


 Mexico

Telmex, América Móvil, Grupo Carso


Bill Gates


 USA

Microsoft


Lakshmi Mittal


 India

Arcelor Mittal


Mukesh Ambani


 India

Reliance Industries Limited


Anil Ambani


 India

Reliance Industries Limited


Ingvar Kamprad


 Svezia

IKEA


KP Singh


 India

DLF Real estate (mercato immobiliare)


Oleg Deripaska


 Russia

Russian Aluminum


Karl Albrecht


 Germany

Aldi ( grande catena di distribuzione)


Gli anni scorsi c’èrano almeno 3-4 statunitensi fra i primi 10, stavolta ci sono anche persone che appartengono a Paesi non del tutto industrializzati.

Si può notare inoltre che, per la prima volta dopo 13 anni, al primo posto non c’è Bill Gates, questo si deve all’anno terribile per le borse: il 2008. Il titolo “Microsoft” ha perso più del 50% e quindi il suo patrimonio si è dimezzato.


Oltre al divario tra paesi sviluppati e non, si accresce all’interno dei primi la concentrazione della ricchezza, mentre la globalizzazione diminuisce i grandi patrimoni nel mondo, al di fuori dei Paesi tradizionalmente sviluppati (dei primi 50, 20 comunque negli USA).

Dei primi 10 patrimoni, due sono negli USA e tutti nel terziario (informatica e finanza), così come Slim Elu (telecomunicazioni), Albrecht (grande distribuzione) e Singh (immobiliare). Kamprad (Ikea), Mittal (acciaio), Ambani (petrolchimica e tessile), Deripaska (alluminio e metalli) sono industriali: questo fa vedere che, dal punto di vista economico, è cambiata la formazione della ricchezza nel mondo.

I più ricchi sono comunque i 4 fratelli Walton (catena Wal-Mart, 76,6 miliardi: è una catena di distribuzione con circa 1.100.000 dipendenti), mentre il primo italiano è Ferrero (68°, con 11 miliardi di dollari, la sua società non è quotata in borsa).

Fra gli Italiani, Berlusconi non si trova più nelle posizioni più alte perché la sua ricchezza è data soprattutto da azioni di Mediaset, quindi con quest’andamento della borsa il suo patrimonio si è ridimensionato.


→ Per avere un’idea della concentrazione della ricchezza basti rilevare che i primi dieci hanno un patrimonio personale pari al 3% del PIL statunitense, analogo al Pil svedese (che, in termini di PIL pro-capite, è uno dei Paesi più ricchi del mondo), superiore del 10% al PIL svizzero e oltre sei volte superiore al PIL del Bangladesh, che ha più di 140 milioni di abitanti.

C’è un processo di concentrazione della ricchezza che crea numerosi problemi di redistribuzione: come si può ridistribuire in modo più equo la ricchezza?

Essa viene ridistribuita in modo non equo: le società dei 2/3 = 1/3 della popolazione non ha problemi, 1/3 riesce a vivere in modo dignitoso, 1/3 è sulla soglia della povertà o addirittura al di sotto.


Alcuni termini importanti

Il PIL pro-capite (prodotto interno lordo) è il valore, a prezzi di mercato, di tutti i beni e i servizi finali prodotti all’interno dei confini di un Paese in un certo periodo di tempo (in genere un anno, ma in situazioni di difficoltà possono anche essere fatte stime più spesso) = contiene tutto ciò che viene prodotto all’interno, è la ricchezza complessiva di una nazione. Non vengono quindi contabilizzati nel PIL tutti quei beni o servizi intermedi che sono stati distrutti o comunque incorporati in altri prodotti durante il processo produttivo (questo per evitare duplicazioni).

Es produzione italiana di scarpe: nel PIL si contabilizza il valore di tutte le scarpe prodotte; non si contabilizzano il valore delle suole, delle stringhe, . perché sono già compresi nel valore finale delle scarpe.


Il PNL (prodotto nazionale lordo) si ottiene sommando al PIL i redditi percepiti all’estero dai fattori produttivi nazionali, ad  esempio, nel caso dell’Italia, profitti di filiali di imprese italiane all’estero (es: Fiat Brasile), le rimesse degli emigrati italiani (= persone che lavorano all’estero, ma mandano soldi alla famiglia che è rimasta in Italia), le rendite da attività finanziarie acquistate all’estero (= il guadagno che un italiano ha da azioni comprate, x esempio, alla borsa di Tokyo). E’ una variabile meno usata rispetto al PIL, ma più esaustiva perché contiene più cose e misura tutto quello che viene prodotto all’estero da italiani (= operatori economici del Paese)


Il PIL, nonostante sia molto utilizzato, è comunque un indicatore che presenta dei problemi. In primo luogo non prende in considerazione tutto ciò che accade al di fuori del regno degli scambi monetari e quindi non tiene conto di tutto quello che non viene contabilizzato e di:

  • costi sociali (es. crimine) e ambientali (es. esaurimento delle risorse naturali): non sono costi direttamente monetizzabili;
  • economie non di mercato cioè tutti quegli scambi che non danno luogo a flussi finanziari, sfuggono alla rilevazione contabile (es. la cura dei bambini e degli anziani tra le mura di casa = la mamma e i nonni che portano il bimbo all’asilo non vengono pagati, però hanno comunque significato economico; oppure il volontariato = i volontari fanno gratuitamente, senza l’utilizzo della moneta, delle cose che, se le chiedessimo a personale specializzato, si farebbe pagare parecchio
  • economia sommersa (circa 30% del PIL italiano e 10% di quello statunitense). Ci sono transazioni che violano la legislazione (es. lavoro in nero) e transazioni illegali (nel 2008 il fatturato della criminalità organizzata in Italia è stato stimato in 130 miliardi di euro 59 dei quali derivanti dal traffico di droga) → c’è il problema che una quota rilevante di questa cifra viene re-investita su mercati legali, entrando quindi nel circuito economico.



:: Per confrontare il PIL di più Paesi occorre convertirlo in una valuta comune, es. dollaro (stessa unità di misura) e poi, per isolare l’influenza della popolazione, calcolare il PIL pro capite (PIL : il n° degli abitanti). Tuttavia questo valore nulla ci dice su come il PIL sia effettivamente suddiviso fra la popolazione (es. dei paesi arabi: il PIL pro capite è mediamente alto, ma questo deriva dal fatto che c’è uno sceicco, ma gran parte della popolazione muore di fame).

Inoltre bisogna compiere delle ulteriori rielaborazioni per tenere conto del reale potere d’acquisto nei diversi paesi (quello che si acquista con un dollaro negli Stati Uniti è molto diverso da quello che si acquista in Etiopia: qui si acquista una quantità di beni molto superiore).


All’ONU è emersa una crescente insoddisfazione nei confronti del PIL, perché non rende conto di come è effettivamente sviluppato il Paese.


Indice di sviluppo umano (ISU)

E’ un indicatore composito, elaborato dall’Onu a partire dal 1990, che fa riferimento a una situazione dello sviluppo umano sotto un profilo non solo economico e che perciò considera anche altri fattori:

1) livello di sanità speranza di vita alla nascita;

2) livello di istruzione indice di analfabetismo della popolazione adulta e della media del numero di anni di studi (ormai, nel mondo di oggi, l’istruzione è fondamentale);

3) reddito PIL pro-capite dopo una doppia trasformazione che tiene conto del reale potere di acquisto del paese.

Si fanno poi una serie di calcoli su queste tre variabili.


L’indice di sviluppo umano (dati 2006), va da 0 a 1 (che è la condizione migliore)


Posizione

Stato

ISU


Islanda



Norvegia



Canada



Australia



Irlanda



Paesi Bassi



Svezia



Giappone



Lussemburgo



Svizzera



Francia



Finlandia



Danimarca



Austria



Stati Uniti



Spagna



Belgio



Grecia



Italia



Nuova Zelanda




Nel 2005 si è registrato un piccolo incremento dell'indice medio globale (da 0,741 a 0,743) generato da un generale miglioramento nei paesi in via di sviluppo, soprattutto nei paesi meno sviluppati, anche se in parte compensato da un decremento dell'indice nei paesi sviluppati.

Problema dell’Africa: un livello sotto 0,5 rappresenta basso sviluppo. In questa fascia ci sono 22 paesi tutti localizzati in Africa. I paesi Africani sub-sahariani con il più alto indice sono Gabon e Sudafrica, che si posizionano al 119° e 121° posto. Ben nove paesi sono passati alla fascia di medio sviluppo rispetto al precedente rapporto


Bilancia commerciale: può essere attiva (se vendo più di quello che importo) o passiva e riguarda le transazioni di merci tra un paese e il resto del mondo. All’attivo sono registrate le esportazioni, al passivo le importazioni.


Bilancia dei pagamenti: comprende, oltre all’import-export, le così dette “partite invisibili” (gran parte di queste hanno a che vedere con cose immateriali), cioè le esportazioni e importazioni di servizi (noli marittimi, assicurazioni, flussi del turismo, commissioni bancarie ecc.) e i trasferimenti unilaterali (rimesse degli emigranti, contributi comunitari ecc.; l’inport- export è una cosa che va in due direzioni, invece i trasferimenti unilaterali vanno in una sola direzione). La bilancia dei pagamenti esprime quindi un valore più grande rispetto alla bilancia commerciale.

Ci può essere il caso in cui un paese ha una bilancia commerciale passiva, ma una bilancia dei pagamenti attiva.


Inflazione: aumento persistente del livello generale dei prezzi e diminuzione del potere di acquisto della moneta. L’inflazione può essere causata da: 1.un eccesso di domanda: è la causa più classica, se per un bene c’è eccesso di domanda, il prezzo tende a salire;

2.un aumento dei costi di produzione: è quello che è successo fino all’estate → se il prezzo del petrolio raddoppia, i costi di produzione delle imprese salgono e questi costi si riflettono sul prodotto da vendere.


2) Svalutazione: diminuzione del potere di acquisto di una moneta rispetto a parità fissate in termini di altre monete (o con riferimento al valore dell’oro). Comporta un aumento del cambio (è una cosa contro- intuitiva), aumenta cioè la quantità di moneta nazionale necessaria per acquistare un’unità di moneta estera. (Es: se ci serve 1,27 dollari per comprare 1€, il dollaro è più forte rispetto a quando serve 1,60 $ per comprare 1€).


3) Deflazione: diminuzione del livello della produzione e del reddito. Spesso le autorità monetarie attuano una politica deflazionistica deliberata (quando credono che ci sia un rischio di inflazione troppo forte) per ridurre la domanda interna o il suo tasso di crescita, operando principalmente attraverso una riduzione della creazione di base monetaria (aumento dei tassi di interesse) = la banca centrale aumenta il costo del denaro.

Questi 3 riguardano la moneta; i primi 2 sono riferiti a due situazioni completamente diverse.


→ La situazione in cui siamo oggi è chiamata stagflazione (si vede per la prima volta, nel mondo sviluppato, con lo shock petrolifero). I prezzi crescono (cosa che di solito succede quando l’economia va bene) e invece l’economia è ferma, non cresce = è la situazione peggiore che si possa pensare dal punto di vista economico.







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