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NOZIONE DI IMPRENDITORE COMMERCIALE

economia



NOZIONE DI IMPRENDITORE COMMERCIALE



La nozione fondamentale nel diritto commerciale è quella di imprenditore commerciale.


Perché questa nozione è fondamentale ?

Perché solo l'imprenditore commerciale è assoggettato ad una determinata disciplina definita "Statuto dell'imprenditore commerciale".

Questa disciplina consiste nell'applicazione delle norme in materia di:

fallimento ed altre procedure concorsuali;

contabilità;



registrazione nella Sezione Generale del Registro delle Imprese;

rappresentanza commerciale (cioè applicabilità di una disciplina speciale della rappresentanza che deroga alla disciplina generale di diritto privato);


Quindi, solo l'imprenditore commerciale può essere assoggettato al fallimento ed alle procedure concorsuali; solo l'imprenditore commerciale ha l'obbligo di preparare e mantenere le scritture contabili previste dal Codice Civile; solo l'imprenditore commerciale deve iscriversi nella Sezione Generale del Registro delle Imprese; solo all'imprenditore commerciale è applicabile la disciplina speciale della rappresentanza.


Bisogna pertanto identificare chi è l'imprenditore commerciale.


Il Codice Civile ("c.c.") non definisce espressamente l'imprenditore commerciale ma nell'art. 2082 definisce l'imprenditore e nell'art. 2195 elenca gli imprenditori che devono essere iscritti nel Registro delle Imprese

La nozione di imprenditore commerciale può identificarsi combinando l'art. 2082 e l'art. 2195


Art. 2082 c.c.: "E' imprenditore chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi."


Art. 2195 c.c.: "Sono soggetti all'obbligo dell'iscrizione nel registro delle imprese gli imprenditori che esercitano:

un'attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi;  

un'attività intermediaria nella circolazione dei beni;

un'attività di trasporto per terra, per acqua o per aria;

un'attività bancaria o assicurativa;

altre attività ausiliarie delle precedenti."


Quindi, può dirsi che l'imprenditore commerciale è colui il quale soddisfa i requisiti previsti dall'art. 2082 c.c. e che, per esempio, svolge una delle attività elencate dall'art. 2195 c.c.









Ma per identificare l'imprenditore commerciale è necessario fare riferimento ad altri due articoli: l'art. 2083 c.c. che definisce il piccolo imprenditore, e l'art. 2135 c.c. che definisce l'imprenditore agricolo.


Art. 2083 c.c.: "Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia."


Art. 2135 c.c.: "E' imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività:

coltivazione del fondo;

selvicoltura;

allevamento di animali;

e attività connesse;


Quindi è imprenditore commerciale colui il quale, oltre a soddisfare i requisiti di cui all'art. 2082  ed ad esercitare, ad esempio, una delle attività elencate nell'art. 2195 c.c. non sia né piccolo, né imprenditore agricolo.

In altri termini, le nozioni di imprenditore agricolo e di piccolo imprenditore servono ad identificare, per esclusione, chi sia l'imprenditore commerciale. In effetti, la giurisprudenza considera imprenditore commerciale colui il quale soddisfa i requisiti previsti dall'art. 2082 c.c. e non sia né piccolo imprenditore, né imprenditore agricolo.



Passiamo ora ad analizzare i singoli requisiti previsti dall'art. 2082 c.c.

Essi sono:

"esercizio professionale" = "professionale" vuol dire esercizio svolto con continuità, costanza, determinazione, intenzionalità....nel senso opposto all'attività svolta come hobby, oppure saltuariamente, di tanto in tanto. Ad esempio, se una persona acquista un'automobile e dopo 1 anno la rivende ricavandoci un profitto, deve costui essere considerato imprenditore ? Certamente no se ed in quanto la persona abbia posto in essere un singolo atto, consistente nell'acquisto e nella rivendita, che pertanto non soddisfa il requisito della continuità;


"attività economica" = "economica" vuol dire che l'attività deve essere organizzata in maniera tale che i costi sostenuti siano inferiori ai profitti. "Attività" poi letteralmente significa una serie di atti. Tuttavia, in alcuni casi anche un singolo atto può dare luogo all'esercizio di un'attività di impresa se si tratta di atto di notevole rilevanza e che quindi, di per sé, implica la professionalità (si pensi al singolo atto che è stato oggetto dell'impresa che ha costituito il Tunnel del Canale della Manica: si trattava di un singolo atto certamente, ma di rilevanza tale da configurare un'attività di impresa); quindi quando si parla di "attività economica" si parla di attività rivolta alla produzione o allo scambio di beni e servizi (precisazione del legislatore)








"attività organizzata" = il requisito dell'organizzazione è il più importante in quanto contraddistingue l'imprenditore commerciale sia rispetto al piccolo imprenditore, che rispetto all'imprenditore agricolo oppure ad una qualsiasi persona fisica che non è imprenditore. Per organizzazione s'intende l'organizzazione di fattori produttivi: capitale, lavoro, macchinari etc.

Esempio: pensiamo ad una delle categorie di piccolo imprenditore: l'artigiano. L'artigiano è colui il quale riesce a realizzare un prodotto utilizzando la sua abilità personale. Ad esempio, un sarto è un artigiano: egli riesce a realizzare un vestito utilizzando prevalentemente le sue mani, la sua abilità. Ma se il sarto comincia a far lavorare con sé altre persone, ad acquistare macchinari per la realizzazione dei vestiti, ed ad utilizzare ingenti capitali presi in prestito da terzi per acquistare macchinari ed corrispondere il salario alle persone impiegate, egli diventa un imprenditore commerciale. Perché ? Perché attraverso l'impiego di altre persone alle sue dipendenze, degli ingenti capitali, e dei macchinari egli mette su una vera e propria organizzazione. A quel punto, il vestito che sarà realizzato dall'insieme di lavoratori dipendenti e dei macchinari sarà un prodotto dell'organizzazione e non il risultato dell'abilità personale dell'artigiano.


Inoltre il nostro sistema distingue i professionisti intellettuali dagli imprenditori, infatti a norma dell' Art.2238- (spiegazione): Coloro che esercitano una professione intellettuale non sono considerati imprenditori se l'organizzazione di cui si servono è soltanto strumentale alla loro attività, affinché diventino imprenditori è necessario che l'esercizio della professione intellettuale avvenga all'interno di una organizzazione produttiva (esempio: è imprenditore il medico che esercita una casa di cura,nella quale egli stesso svolge l'attività di medico; è imprenditore il professore che esercita una scuola,nella quale egli stesso svolge l'attività di docente).


Affinché si abbia un imprenditore è necessario che l'esercizio professionale dell'attività di produzione di beni e servizi risulti organizzata al "fine dello scambio" di almeno una parte dei prodotti e dei servizi dell'attività. Quindi non è imprenditore chi cede gratuitamente i beni o i servizi realizzando un'attività diretta al soddisfacimento di interessi altrui.


Ma l'intento speculativo non è essenziale all'imprenditore; è sufficiente che l'imprenditore "appaia" voler conseguire, attraverso l'esercizio dell'attività di impresa, uno scopo egoistico cioè un qualsiasi interesse patrimoniale a lui riconducibile,( lo scopo egoistico,essendo quello nella realtà più frequente, deve, in mancanza di prova contraria, presumersi.

A tale stregua è imprenditore l'ente pubblico che esercita un'attività economica organizzata(2093, 2201) il quale può non proporsi uno scopo di lucro.

E'imprenditore la società cooperativa (2511, 2515) anche quando essa si proponga esclusivamente uno scopo mutualistico il quale e'uno scopo egoistico perché assicura vantaggi patrimoniali ai suoi soci, non è uno scopo lucrativo perché questi vantaggi non consistono nella distribuzione tra i soci dell'utile realizzato dalla società.

E' imprenditore la persona fisica che gestisce un ristorante fornendo pasti a prezzo di costo o in perdita a scopo caritatevole, ma senza farlo apparire (in mancanza di perseguimento palese dello scopo altruistico,deve presumersi quello egoistico).

E' imprenditore la persona fisica che consegue un utile dalla sua attività ma lo devolve integralmente e sistematicamente ai poveri ( ciò perché, anche se in questo caso lo scopo altruistico è palese, lo scopo altruistico non è realizzato direttamente attraverso l'esercizio dell'attività d'impresa ma attraverso una successiva attività).



L'ACQUISTO DELLA QUALITA' DI IMPRENDITORE


L'acquisto della qualità di imprenditore e' presupposto per l'applicazione ad un dato soggetto del complesso di norme che l'ordinamento ricollega a tale qualifica, e di quelle specificatamente dettate per l'imprenditore commerciale.

Infatti per poter affermare che un dato soggetto e' diventato imprenditore e' necessario che l'esercizio dell'attivita' di impresa sia a lui imputabile e quindi giuridicamente a lui riferibile.


Primo argomento da trattare e' L'IMPUTAZIONE DELL'ATTIVTA' DI IMPRESA

Nel nostro ordinamento vige il principio secondo il quale il centro di imputazione degli effetti dei singoli atti giuridici posti in essere e' il soggetto il cui nome e' stato validamente speso nel traffico giuridico.

Solo questo e' obbligato nei confronti del terzo contraente; e ciò anche quando è un altro soggetto il reale interessato nell'affare ed il terzo sia a conoscenza della dissociazione fra il soggetto agente ed il reale destinatario dei risultati economici dell'atto.


Orbene , l'imputazione degli effetti degli atti posti in essere dal mandatario e' retta da principi contrapposti a seconda che il mandato sia o meno con rappresentanza, anche se in entrambi i casi il reale interessato sia il mandante.

Quando il mandatario agisce in nome del mandante tutti gli effetti negoziali si producono direttamente nella sfera giuridica del mandante; invece quando il mandatario agisce in proprio nome acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti degli atti compiuti con i terzi, anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato, e i terzi non hanno alcun rapporto col mandante.


Quindi diventa imprenditore colui che esercita personalmente l'attivita' d'impresa compiendo in proprio nome gli atti relativi. Non diventa invece imprenditore colui che gestiste l'altrui impresa quando operi spendendo il nome dell'imprenditore, per effetto del potere di rappresentanza conferitogli dall'interessato o riconosciutoli dalla legge

Perciò quando gli atti di impresa sono compiuti tramite rappresentanza volontaria o legale, diventa imprenditore il rappresentato e non il rappresentante.




Però c'è da sapere che nella prassi è molto frequente l'esercizio indiretto dell'attivita' d'impresa (TEORIA DELL'IMPRENDITORE OCCULTO) infatti ci può essere una dissociazione tra il soggetto cui e' formalmente imputabile la qualità di imprenditore ed il reale interessato, questo sarebbe il fenomeno largamente diffuso dell'esercizio dell'impresa tramite interposta persona (praticamente c'e' un soggetto, detto prestanome, che compie gli atti dell'impresa e c'e' un'altro soggetto, detto dominus o imprenditore occulto, che somministra fondi e da indirizzo all'impresa).

Questo modo di operare non da particolari problemi se gli affari vanno bene ma i problemi nascono se l'impresa va male ed il soggetto utilizzato dal dominus sia un nullatenente.

I creditori potranno provocare il fallimento del prestanome che naturalmente non può provvedere ai risarcimenti relativi, senza andare a toccare il dominus che legalmente non risulta facente parte la società fallita.



Si e' cercato di porre rimedio a tutto ciò:


Inizialmente era prevista la responsabilità cumulativa dell'imprenditore palese e dell'imprenditore occulto, nel senso che, quando l'attivita' di impresa e' esercitata tramite prestanome, responsabili verso i creditori sono sia il prestanome sia il dominus (imprenditore occulto).


Un ulteriore passo avanti si ha con la TEORIA DELL'IMPRENDITORE OCCULTO: secondo la quale il dominus di un'impresa formalmente altrui non solo risponderà insieme al prestanome ma fallirà sempre e comunque qualora fallisca il prestanome.


Entrambe le tesi esposte sopra si fondano sulla presunta esistenza nel nostro ordinamento di due criteri di imputazione della responsabilità per i debiti di impresa:


il CRITERIO FORMALE della spendita del nome, in base al quale acquista la qualità di imprenditore, con pienezza di effetti, la persona fisica o la societa' nel cui nome l'attivita' di impresa e' svolta.


il CRITERIO SOSTANZIALE del potere di direzione, in base al quale risponderebbe e fallirebbe anche il reale interessato cioè il dominus (imprenditore occulto)




Secondo argomento da trattare e' L'INIZIO E LA FINE DELL'IMPRESA


La qualità di imprenditore si acquista con l'effettivo inizio dell'esercizio dell'attività di impresa, sia per le persone fisiche sia per gli enti pubblici e privati, comprese le società (principio dell'effettività

Non sono sufficienti né l'intenzione di dare inizio all'attività, né l'iscrizione nel registro delle imprese (in caso di mancata iscrizione verranno inflitte le sanzioni previste dalla legge; anche i casi di inabilitazione e di incompatibilità non sono sufficienti).


Ma quando si verifica l'effettivo inizio dell'esercizio dell'attività d'impresa?

Per rispondere a tale domanda è necessario distinguere a seconda che il compimento di atti tipici di impresa (come la produzione e lo scambio di beni e/o servizi) sia o meno preceduta da una fase organizzativa oggettivamente percepibile (come l'affitto del locale o l'acquisto di predisposte attrezzature).

In mancanza di tale fase organizzativa, solo la ripetizione di atti omogenei e funzionalmente coordinati renderà certo che non si tratti di atti occasionali, bensì di atti professionalmente esercitati. Quando invece venga preventivamente fatta l'organizzazione aziendale basterà un solo atto di esercizio per dire che l'attivita' sia iniziata.

Talvolta, particolarmente per le società, anche atti di sola organizzazione (valutati secondo il loro numero e il livello di significatività) possono essere equiparati ad atti di impresa, determinando dunque l'acquisto della qualità di imprenditore ed anche l'esposizione al fallimento.

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Anche nel caso della fine dell'impresa, domina il principio dell'effettività

La qualità di imprenditore si perde solo con l'effettiva cessazione dell'attività, ovvero con la chiusura della liquidazione, che potrà considerarsi chiusa solo con la definitiva disgregazione del complesso aziendale (non si devono cioè più verificare operazioni intrinsecamente uguali a quelle "normali") che rende definitiva ed irrevocabile la cessazione.

Non è necessario che siano stati riscossi tutti i crediti e pagati tutti i debiti relativi.


E'molto importante determinare l'esatto giorno di cessazione di attività d'impresa commerciale, poiché l'art. 10 legge fall. prevede che l'imprenditore può essere dichiarato fallito entro un anno dalla cessazione dell'attività.

Per quanto riguarda le società, si verifica talvolta che dei creditori avanzino pretese dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese. Il legislatore dispone che di tali passività sopravvenute risponderanno gli ex soci o i liquidatori. La giurisprudenza tuttavia è ormai consolidata nell'affermare che la società, benché cancellata dal registro delle imprese, deve ritenersi ancora esistente ed esposta al fallimento, fin quando non sia stato pagato l'ultimo debito. Una società può essere perciò dichiarata fallita anche a distanza di anni dalla definitiva cessazione di ogni attività d'impresa e dalla cancellazione del registro delle imprese.








LA CAPACITA' ALL'ESERCIZIO DELL'IMPRESA





È importante sapere che l'impresa è un fatto giuridico in senso stretto, invece i singoli atti che la compongono possono essere anche atti giuridici in senso stretto e sia negozi come in particolare i contratti.

Ciò è molto importante in quanto proprio perché l'impresa nel suo complesso và considerata come mero fatto giuridico si potrà parlare di impresa consentita o vietata, mai di impresa valida o invalida, si potrà parlare di impresa reale o meramente apparente, mai di simulazione in quanto la simulazione è una disciplina che si applica ai negozi giuridici che sono degli atti e non fatti.


Questo piccolo specchietto è rilevante in tema di capacità all'esercizio dell'impresa

Inoltre è utile ricordarci che la capacità giuridica, intesa come idoneità di un soggetto ad essere titolare di diritti e obblighi, si acquista dalla nascita; invece la capacità di agire, intesa come attitudine di un soggetto a compiere atti giuridici, si acquista al compimento del diciottesimo anno di età ma in certi casi non tutti i soggetti hanno questa capacità di curare i propri interessi, in questi casi si parla di incapacità di agire.


Ora, mentre la capacità giuridica è concetto riferibile anche a diritti e obblighi determinatesi c 454j91e ome effetti di fatti giuridici in senso stretto( quindi è concetto che può riferirsi all'attività d'impresa) invece la capacità di agire è concetto che non può riferirsi all'attività d'impresa ma solo ai singoli atti che concorrono a realizzarla.

Ecco perché il minore può essere titolare di un'impresa se la riceve per donazione o per successione ereditaria, ma non potrà compiere gli atti che la compongono in quanto non ha ancora la capacità di agire.


Vediamo ora i particolari:



Capacità e incompatibilità

La capacità all'esercizio di attività d'impresa si acquista con la piena capacità d'agire e quindi al compimento del diciottesimo anno di età. Si perde in seguito ad interdizione o inabilitazione. Costituiscono invece incompatibilità divieti di esercizio di impresa commerciale posti a carico di coloro che esercitano determinati uffici o professioni. Essi non precludono all'acquisto della qualità di imprenditore, ma espongono a gravi sanzioni.


L'impresa commerciale dell'incapace

Per quanto riguarda l'attività agricola, il codice non detta disposizioni, e trovano perciò applicazione in materia le norme di diritto comune che regolano il compimento di atti giuridici da parte degli incapaci.

Per l'attività commerciale, viene invece ampiamente regolata l'amministrazione del patrimonio degli incapaci, in modo da garantirne la conservazione e l'integrità impedendo che lo stesso venga impiegato in operazioni aleatorie o di pura sorte. Viene inoltre posto un divieto assoluto di inizio di impresa commerciale per il minore, l'interdetto e l'inabilitato. Tranne il minore emancipato, a questi 3 soggetti è pertanto consentita solo la continuazione dell'esercizio di un'impresa commerciale preesistente, quando ciò sia utile per l'incapace e purché la continuazione sia autorizzata dal tribunale. L'esercizio autorizzato dell'impresa determina l'acquisto della qualità di imprenditore commerciale da parte dell'incapace.

In particolare:

Minore e interdetto: in nessun caso è consentito l'inizio di una nuova impresa commerciale in nome e nell'interesse dell'incapace. Quando questi acquista (per successione ereditaria o donazione) una preesistente azienda commerciale, il rappresentante legale può essere autorizzato dal tribunale a continuare l'esercizio dell'impresa. Intervenuta l'autorizzazione definitiva (che nel caso dell'interdetto, può anche riguardare l'impresa iniziata dallo stesso prima dell'interdizione), il genitore o il tutore è legittimato a compiere solo gli atti di ordinaria amministrazione, mentre quelli di straordinaria amministrazione possono essere compiuti solo in caso di necessità o utilità evidente, accertata dall'autorità giudiziaria con autorizzazione di regola concessa atto per atto.

Inabilitato: l'inabilitato è un soggetto la cui capacità di agire è limitata agli atti di ordinaria amministrazione. Come l'interdetto e il minore, può solo continuare un'impresa preesistente, non iniziarla ex novo. Intervenuta l'autorizzazione alla continuazione, l'inabilitato esercita personalmente l'impresa, sia pure con l'assistenza del curatore e con il consenso di questi per gli atti d'impresa che esulano dall'esercizio dell'impresa. Il tribunale può subordinare l'autorizzazione alla nomina di un institore.

Minore emancipato: il minore emancipato può essere autorizzato dal tribunale anche ad iniziare una nuova attività. Con l'autorizzazione egli acquista la piena capacità d'agire.


Fallimento del minore. Dato che l'autorizzazione alla continuazione dell'attività fa sorgere in capo all'incapace la qualità dell'imprenditore, questi resta esposto a tutte le conseguenze che ne derivano, compreso il fallimento in caso di insolvenza.

Nel caso del minore, si ritiene giusto far ricadere le sanzioni penali non sul minore fallito esente da responsabilità oggettive, ma sul rappresentante legale, sebbene non possa essere qualificato imprenditore. Più difficile appare invece sottrarre il minore fallito alle incapacità personali (esclusione da varie professioni), in quanto nell'albo dei falliti va iscritto il minore.









CATEGORIE DI IMPRENDITORI





Il cod.civ. distingue vari tipi di imprese e imprenditori a base di tre criteri certi:

l'OGGETTO DELL'IMPRESA che determina la distinzione tra imprenditore agricolo e imprenditore commerciale (risp. art.2135 e art.2195)

DIMENSIONE DELL'IMPRESA:che serve ad enucleare la figura del piccolo imprenditore e, di riflesso, il medio-grande (art. 2083)

LA NATURA DEL SOGGETTO che esercita l'impresa, che determina la tripartizione legislativa fra impresa individuale, impresa costituita in forma di societa' ed impresa considerata pubblica.

Quindi classificando le imprese si capisce che alcune regole valgono per alcune e non per altre ma l'eccezione c'e' infatti esistono norme applicabili a tutti gli imprenditori e si parla quindi di STATUTO GENERALE DELL'IMPRENDITORE che comprende parte della disciplina dell'azienda e dei segni distintivi, disciplina della concorrenza e dei consorzi e alcune norme sui contratti sparse nel codice. E' poi identificabile uno statuto dell'imprenditore commerciale che vi rientrano la regolamentazione dell'iscrizione nel registro delle imprese,la pubblicita' legale, la rappresentanza commerciale,le scritture contabili, il fallimento e altre meno importanti procedure concorsuali. Poche sono invece le disposizioni che riguardano gli imprenditori agricoli e i piccoli imprenditori che hanno solo l'obbligo dell'iscrizione al registro delle imprese ma con un diverso rilievo al confronto con gli altri imprenditori. Importante e' la differenza tra impresa privata e pubblica dove la prima ha gli oneri suddetti e la seconda e' quasi del tutto esonerata da tale regolamentazione e non e' soggetta a fallimento


La ragione della mancanza di una disciplina uguale per tutte le attività di impresa è duplice:    in particolare il legislatore del 42 non ha applicato agli imprenditori agricoli buona parte delle norme che disciplinano gli imprenditori commerciali perchè queste norme sono nate per rispondere ad esigenze, come la tutela del credito, fortemente sentite solo dalla classe mercantile; non ha applicato hai piccoli imprenditori commerciali buona parte delle norme che disciplinano il grande imprenditore commerciale perché molte di queste norme presuppongono un soggetto che, nello svolgimento della sua attività economica, crea una fitta rete di rapporti giuridici soprattutto di natura debitoria.


L'IMPRENDITORE AGRICOLO E COMMERCIALE

Il legislatore nell'art2135c.c. ha distinto le attività agricole in 2 grandi categorie: le attività agricole principali dette essenziali e le attività agricole per connessione

Inoltre ha specificato che le attività agricole essenziali sono le attività rivolte alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura all'allevamento di animali, e ha precisato che queste attività devono essere dirette alla cura e allo sviluppo di piante o di animali, attività che utilizzano o possono utilizzare il fondo il bosco o le acque dolci, salmastre o marine.

Il legislatore non ha definito le attività agricole connesse, limitandosi a precisare che si intendono comunque connesse le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione dei prodotti ottenuti dalle attività agricole principali, nonché sono considerate connesse anche le attività dirette alla fornitura di beni e servizi mediante l'utilizzazione di attrezzature o risorse dell'azienda agricola, sempre che tutte queste attività sono esercitate da un imprenditore agricolo il quale esercita un attività agricola compresa tra quelle essenziali.


È chiaro che le attività agricole per connessione, a differenza delle attività agricole principali, sono delle attività di per se commerciali, esse diventano agricole solo se sono connesse ad un attività agricola principale esercitata dal medesimo imprenditore


È importante sapere che le attività agricole per connessione non sono solo quelle elencate dal legislatore, esso utilizzando l'espressione "si intendono comunque connesse" ha lasciato la porta aperta a tutta una serie di attività connesse atipiche, l'importante è che esse siano strumentali rispetto ad una delle attività agricole principali e che siano esercitate dal medesimo imprenditore agricolo.


Ultimamente il legislatore con un decreto legislativo ha previsto che"si considerano imprenditori agricoli le cooperative di imprenditori agricoli ed i loro consorzi quando utilizzano per le attività di cui all'art2135 prevalentemente prodotti dei soci, o quando forniscono prevalentemente ai soci i beni e servizi diretti alla cura ed allo sviluppo del ciclo biologico".


Tutto ciò che abbiamo appena esposto risulta dal nuovo art2135, infatti il vecchio art2135 fu modificato nel 2001.

L' originario testo dell' art2135 considerava come attività principali le attività dirette alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all'allevamento del bestiame di bestiame e non di qualsiasi animale come recita il nuovo testo), e attività connesse; al secondo comma qualificava le attività connesse quelle attività dirette alla trasformazione o all'alienazione dei prodotti agricoli quando rientrano nell'esercizio normale dell'agricoltura.


Quindi notiamo che con tutte queste innovazioni si è dilatata la fattispecie dell'impresa agricola per comprendervi imprese che prima della riforma non erano considerate agricole.




La nozione di imprenditore agricolo resta molto importante soprattutto perché è da essa che si desume, attraverso un criterio negativo, il concetto di imprenditore commerciale

Infatti si ritiene che è imprenditore commerciale ogni imprenditore che svolga un'attività economica organizzata diversa dall'attività agricola;

inoltre si ritiene che le nozioni di impresa agricola e di impresa commerciale siano complementari in quanto non esiste una categoria di imprese civili da contrapporre, sul piano della natura, alle imprese agricole e a quelle commerciali (secondo parte della dottrina e parte della giurisprudenza imprese civili sarebbero le imprese artigiane, però sappiamo che l'art'2083 colloca le imprese artigiane tra le piccole imprese in ragione della loro dimensione e non per la natura della loro attività).


L'art però non dice espressamente che le imprese commerciali sono le imprese non agricole, per arrivare a dire che è imprenditore commerciale l'imprenditore non agricolo occorre combinare l'art2082 e l'art2195;

l'art2195 elenca una serie di attività e di imprese da considerarsi commerciali, esse sono:


attività industriali dirette alla produzione di beni e servizi (tutte quelle imprese che posso essere qualificate tali in quanto fanno una produzione a livello industriale).


attività intermediaria nella circolazione di beni e servizi (praticamente le imprese di puro commercio come il venditore all'ingrosso o al minuto).



attività di trasporti di beni o persone per acqua, terra e aria


attività bancaria e assicurativa ( l'attività bancaria è sempre un'attività di intermediazione di quel bene particolare chiamato denaro invece l'attivita' assicurativa produce particolari servizi quindi e' un'attività di produzione).



altre attività ausiliarie delle precedenti (dove vi rientrano le agenzie di mediazione,di deposito, di commissione, di spedizione, di pubblicità commerciale, di marketing ecc. Che possono tutte essere considerate produttrici di servizi quindi una ulteriore sottocategoria delle imprese del numero 1).


È facile notare che le attività elencate nei numeri 3, 4 e 5 sono delle specificazioni delle attività menzionate nei numeri 1 e 2 dello stesso articolo, quindi unicamente in questi due numeri risiede il criterio per il riconoscimento o per il disconoscimento della commercialità


Inoltre si può notare che fra la nozione di impresa in generale(che l'art 2082 definisce come attività economica diretta al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi) e la nozione di impresa commerciale, che si desume dall'art2195 n°1 e 2, non esiste alcuna differenza per quanto riguarda le attività di scambio(infatti si ritiene che l'attività intermediaria nella circolazione dei beni di cui al n°2 dell'art2195 è la stessa identica attività di scambio di beni di cui parla l'art2082

l'unica differenza riguarda l'attività di produzione di beni o di servizi: la differenza sta nell'inserzione, nella nozione di impresa commerciale e non in quella di impresa in generale, dell'aggettivo [industriale

Da ciò possiamo trarre la conclusione che mentre l'attività di scambio di beni e servizi è da considerarsi sempre e soltanto commerciale perché nessuna delle attività agricole menzionate nell'art2135 è un'attività di scambio, invece l'attività di produzione è commerciale solo se industriale

Quindi occorre dare un interpretazione a questo aggettivo: secondo l'opinione prevalente l'industrialità deve essere riferita all'attività ed in particolare alla natura dell'attività, cioè è industriale ogni attività non agricola.



In conclusione:

l'art 2195 va letto come se dicesse: e' attività commerciale quella diretta alla produzione di beni o servizi non agricoli e quella rivolta alla circolazione di beni non qualificabile come agricola per connessione. Più sinteticamente e' imprenditore commerciale ogni imprenditore non agricolo. Per le imprese civili non resta quindi alcun spazio.





PICCOLO IMPRENDITORE



La dimensione dell'impresa e' il secondo criterio di differenziazione della disciplina degli imprenditori.

Il cod. civile distingue il piccolo imprenditore e quello medio-grande. Il piccolo imprenditore e' sottoposto allo statuto generale dell'imprenditore ed e' esonerato dal tenere le scritture contabili, dal fallimento e da altre procedure concorsuali e ha di regola ora l'iscrizione ai pubblici registri con funzione di pubblicita' notizia.


Chi è il piccolo imprenditore

L'art c.c. dice che: " e' piccolo imprenditore il coltivatore del fondo, gli artigiani, piccoli commercianti, e coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia".


Notiamo che l'art 2083 può essere scomposto in due parti: nella prima parte vengono nominate le tre figure tipiche di piccoli imprenditori, invece la seconda parte contiene le caratteristiche generali che un imprenditore deve avere per essere qualificato piccolo. Quindi questa seconda parte svolge la funzione di individuare altre figure di piccoli imprenditori che non siano né coltivatori diretti del fondo né artigiani e né piccoli commercianti, (es. i barbieri che sono piccoli produttori di servizi).


Il requisito generale più importante, che caratterizza la piccola impresa, contenuto nella seconda parte dell'art 2083 è il requisito della "prevalenza ,nell'esercizio dell'impresa, del lavoro proprio e dei componenti della famiglia; prevalenza che va intesa sia in relazione all'elemento lavoro e sia in relazione all'elemento capitale.

Quindi per aversi una piccola impresa e' necessario che l'imprenditore presti il proprio lavoro nell'impresa; inoltre il suo lavoro e quello degli eventuali parenti che collaborano nell'impresa deve prevalere rispetto al lavoro altrui e ai capitali altrui investiti nell'impresa; non e' perciò mai piccolo imprenditore chi investe ingenti capitali nell'impresa anche se non si avvale di alcun collaboratore.


Fin qui l'art 2083. Ma questa norma non è la sola a disciplinare la materia del piccolo imprenditore, ci sono altre norme c.d. di settore come l'art1 della legge fallimentare ed, in particolare per l'artigiano, la legge quadro n°443 del 1985


A norma dell'art 1 comma1 della legge fallimentare, il piccolo imprenditore non è soggetto a fallimento; il secondo comma afferma che :"non sono piccoli imprenditori gli esercenti un'attività commerciale in forma individuale o collettiva che:


a) hanno effettuato investimenti nell'azienda per un capitale di valore superiore a euro trecentomila;

b) hanno realizzato ricavi lordi calcolati sulla media degli ultimi tre anni per un ammontare complessivo annuo superiore ad euro duecentomila.


(invece secondo il vecchio art1 della legge fallimentare non erano considerati piccoli imprenditori le società commerciali, cioè questo articolo stabiliva una sorta di presunzione assoluta di non piccolezza per le società commerciali).




In relazione al piccolo imprenditore artigiano si parla della cosiddetta IMPRESA ARTIGIANA che sono imprese che godono di una copiosa legislazione speciale di ausilio e sostegno e tali leggi espongono criteri di identificazione dei propri destinatari naturalmente diversi dai criteri dell'art. 2083 del cod. civile.


In materia vige la c.d. "legge quadro dell'artigianato 443/1985 che definisce impresa artigiana, l'impresa che, esercitata dall'imprenditore artigiano, abbia per scopo prevalente lo svolgimento di un'attività di produzione di beni, anche semilavorati, o di prestazioni di servizi, prevedendo alcune limitazioni ed esclusioni;

Inoltre questa legge descrive anche quale deve essere il ruolo dell'artigiano nell'impresa, richiedendo in particolare che esso svolga in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo, ma non richiede che il suo lavoro prevalga sugli altri fattori produttivi (e, se ci sono dei collaboratori, questa legge non richiede che essi siano gestiti direttamente dall'artigiano stesso).


La legge del 1985 riafferma altresi' la qualifica artigiana delle imprese costituite in in forma di societa' cooperativa o in nome collettivo a condizione che la maggioranza dei soci svolga in prevalenza il lavoro personale nel processo produttivo e che nell'impresa il lavoro abbia funzione preminente sul capitale.


In definitiva, per la legge quadro si ha impresa artigiana anche quando al lavoro dell'imprenditore si contrapponga il lavoro di 60 dipendenti tutti estranei alla sua famiglia; inoltre in questa legge è scomparso ogni riferimento alla natura artistica o usuale dei beni e servizi prodotti e questo ha allontanato la possibilità di conciliare la nozione di artigianato, data da questa legge, con la nozione che si ricava dall'art2083.

(approfondimento:per la legge quadro anche le attività di produzione di beni e servizi, che non richiedono particolari capacità professionali, possono essere considerate attività artigiane; ed in questo tipo di attività è difficile ravvisare una prevalenza in termini sia pure funzionali del lavoro del titolare e dei suoi familiari sul lavoro altrui)


Concludiamo dicendo che le nozioni di impresa e di imprenditore artigiano fornite dalla legge quadro per l'artigianato possono essere valide solo per quella legislazione "di sostegno" alla quale la stessa legge si riferisce, non puo' essere valida agli effetti civilistici.



Oggi, percio', il riconoscimento della qualifica artigiana in base alla legge quadro non basta per sottrarre l'artigiano allo statuto dell'imprenditore commerciale. E' necessario altresi' che sia rispettato il criterio della prevalenza fissato dall'art.2083: in mancanza, l'imprenditore sara' artigiano ma qualificato commerciale non piccolo ai fini civilististi e quindi potra' fallire. Non costituisce ostacolo alla dichiarazione di fallimento lo stato di iscrizione nell'albo delle imprese artigiane, dato che l'iscrizione non preclude all'autorita' giudiziaria di accertare se effettivamente sussistano i presupposti per il riconoscimento della qualifica del piccolo imprenditore.







LO STATUTO DELL'IMPRENDITORE COMMERCIALE


Statuto generale dell'imprenditore


segni distintivi

concorrenza sleale

antitrust

invenzioni


Statuto speciale dell'imprenditore commerciale (non piccolo)

pubblicità legale

rappresentazione

scritture contabili

fallimento


Funzione delle norme. Le norme riguardanti tutti gli imprenditori tutelano la figura dell'imprenditore verso i terzi, le norme riguardanti l'imprenditore commerciale tendono invece a tutelare i terzi che entrano in contatto con tali imprese.



Notiamo che l'imprenditore commerciale e' destinatario di una particolare disciplina e, certe tipi di imprese commerciali che svolgono attività di particolare rilievo economico e/o sociale, sono destinatarie di un'ulteriore normativa speciale e settoriale, prevalentemente contenuta in leggi separate dal codice.




1) PUBBLICITA' LEGALE


Primo elemento dello statuto e' sicuramente la PUBBLICITA' LEGALE:

tutti quelli che operano sul mercato, e quindi anche gli stessi imprenditori, da sempre sentono la necessità di poter disporre con facilità di informazioni veritiere su fatti e situazioni delle imprese con cui entrano in contatto.

Per le imprese commerciali, e oggi anche quelle agricole e, più in generale, per le imprese con struttura societaria, la suddetta esigenza viene espletata dallo stesso legislatore con l'introduzione della pubblicità legale: cioè e' previsto l'obbligo di rendere pubblico dominio dati fatti e atti della vita dell'impresa, secondo forme e norme predeterminate dalla legge.

In tal modo le informazioni legislativamente rilevanti non solo sono rese accessibili a terzi (la cosiddetta PUBBLICITA' NOTIZIA), ma producono anche l'effetto tipico proprio di ogni forma di pubblicità legale cioè l'opponibilità a terzi di questi atti e fatti (la cosiddetta CONOSCIBILITA' LEGALE


Il REGISTRO DELLE IMPRESE e' lo strumento di pubblicità legale delle imprese commerciali non piccole e delle società commerciali previsto dal cod. civ. del 1942, in sostituzione delle forme frammentarie e disorganiche di pubblicità contemplate dal codice di commercio del 1882.

Dopo anni di inattività di alcune norme, la situazione si sblocca con la legge 580/1993 contenente norme di istituzione del registro delle imprese pienamente operante agli inizi del 1997 facendo cessare il registro delle ditte e rendendo valido il registro delle imprese anche per le cooperative e le società di capitali.


La nuova disciplina ha introdotto rispetto a quella del 1942:


l'attuale registro delle imprese non e' più solo strumento di pubblicità legale delle imprese commerciali ma anche strumento di informazioni sui dati organizzativi di tutte le altre imprese estendendo l' obbligo di iscrizione anche agli imprenditori agricoli, ai piccoli imprenditori e alle società semplici e alle società tra avvocati.


la tenuta del registro dell'imprese e' affidata alle camere di commercio, con conseguente cessazione dei compiti di pubblicità legale delle imprese in passato svolti dalle cancellerie dei tribunali.



il registro delle imprese e' tenuto con tecniche informatiche e quindi non più in forma cartacea, in modo di assicurare completezza ed organicità della pubblicità e da garantire la tempestività dell'informazione su tutto il territorio nazionale.



Passiamo ora ad una più analitica esposizione dell'attuale disciplina e del REGISTRO DELLE IMPRESE che e' istituito in ciascuna provincia presso le camere di commercio ed e' retto da un conservatore nominato dalla giunta.

L'attività' dell'ufficio e' svolta sotto la vigilanza di un giudice delegato dal presidente del tribunale del capoluogo di provincia.

Nello specifico il registro si articola in una parte ORDINARIA e in sezioni SPECIALI. Nella sezione ordinaria sono iscritti gli imprenditori per i quali l'iscrizione al registro era originariamente prevista dal codice civile (vi sono inseriti nella sezione ordinaria: imprenditori commerciali singoli non piccoli, tutte le società non semplici a prescindere dal tipo di attività, i consorzi tra imprenditori con attività esterna, gli enti pubblici con prima ed esclusiva attività commerciale, le società estere che hanno la sede dell'amministrazione in Italia).

Invece le sezioni speciali sono due, dove in una sono iscritti gli imprenditori che avevano l'iscrizione solo come pubblicità notizia prima della riforma del 1993 (imprenditori agricoli individuali, i piccoli imprenditori e le società semplici e gli artigiani gia iscritti nel relativo albo) e nell'altra sezione vi si iscrivono le società tra professionisti( società tra avvocati).


Gli atti e i fatti da registrare , specificati da una serie di norme, sono diversi a seconda della struttura delle imprese ma essenzialmente riguardano: gli elementi di individuazione dell'imprenditore e dell'impresa (dati anagrafici imprenditore, oggetto, ditta, sede principale,inizio e se prevista la fine della società) e nonché la struttura e l'organizzazione delle società (come atto costitutivo e amministratori).

Le iscrizioni devono essere fatte nel registro della provincia in cui ha sede l'impresa e si ha a seguito della richiesta dell'interessato ma può aversi anche d'ufficio se l'iscrizione risulta obbligatoria e l'interessato non vi provvede.


In ogni caso, prima dell'iscrizione l'ufficio del registro deve controllare che il fatto o l'atto e' soggetto a iscrizione e che la documentazione e' formalmente regolare, nonché deve controllare l'esistenza e la veridicità dell'atto o del fatto (cd. Legalità formale), invece è da escludersi che il controllo possa investire anche la validità dell'atto/fatto (cd. Legalità sostanziale

L'iscrizione, se vengono eseguiti giustamente i passi suddetti, avviene dopo dieci giorni dalla data di protocollazione della domanda mediante inserimento dei dati nella memoria dell'elaborazione elettronica e messa degli stessi a disposizione del pubblico sui terminali per la visione diretta.

L'inosservanza dell'obbligo di registrazione e' punita con sanzioni amministrative pecuniarie


Se un'iscrizione obbligatoria non è stata richiesta, l'ufficio del registro invita mediante raccomandata l'imprenditore a richiederla entro un congruo periodo di tempo, decorso inutilmente il termine il giudice del registro può ordinare con decreto l'iscrizione (iscrizione d'ufficio art 2190

Se un'iscrizione è avvenuta senza che esistono le condizioni necessarie richieste dalla legge(quindi in mancanza dei requisiti formali richiesti) , il giudice del registro, sentito l'interessato, ne ordina con decreto la cancellazione (cancellazione d'ufficio art 2191



QUAL'E' L'EFFICACIA DELL'ISCRIZIONE?


Anzitutto l'iscrizione nel registro delle imprese ha efficacia immediata nel tempo: cioè essa produce effetti dal momento in cui si è avuta, non è previsto alcun termine di vacazione e non è concesso ai terzi di provare l'eventuale impossibilità materiale di avere conoscenza dell'iscrizione (salvo qualche eccezione prevista in tema di spa).


L'iscrizione ha un 'efficacia positiva: cioè gli atti o i fatti iscritti sono opponibili ai terzi indipendentemente dalla conoscenza che essi ne abbiano (art 2193 comma1).


L'iscrizione, oltre ad un efficacia positiva, produce anche un'efficacia negativa: cioè tutti gli atti o i fatti, dei quali la legge prescrive l'iscrizione, se non sono stati iscritti non possono essere opposti a terzi, a meno che il soggetto obbligato non provi che i terzi ne abbiano avuto comunque conoscenza (art 2193 comma2).


L'efficacia dell'iscrizione, sia in senso positivo che in senso negativo, si esaurisce normalmente nel campo della opponibilità, quindi si tratta di un'efficacia dichiarativa cioè l'iscrizione non aggiunge niente all'atto o al fatto iscritto, l'atto o il fatto è gia idoneo a produrre i suoi effetti gia prima dell'iscrizione.

Però il 3comma dell'art 2193 fa "salve le disposizioni particolari della legge": cioè esistono casi in cui il legislatore attribuisce all'iscrizione una diversa efficacia.

Tra questi particolari casi ci sono quelli in cui all'iscrizione viene attribuita efficacia costitutiva: cioè quando l'iscrizione è un elemento necessario affinché gli effetti del fatto o dell'atto si producano ( è il caso delle società per azioni: infatti solo con l'iscrizione la spa acquista la personalità giuridica).

Esistono altri casi in cui il legislatore attribuisce all'iscrizione un'altra efficacia ossia un'efficacia di pubblicità notizia: cioè l'iscrizione ha funzione di mera segnalazione ai terzi, ed il giudice, a seconda delle circostanze, può trarre il convincimento della conoscenza da parte di terzi degli atti o fatti pubblicati.

In particolare, prima del decreto legislativo n°228 del 2001, avevano l'efficacia della pubblicità notizia tutti gli atti e i fatti relativi ad imprenditori da iscrivere nella sezione speciale del registro delle imprese; poi dopo l'entrata in vigore di questo decreto legislativo (il quale ha attribuito l'efficacia della pubblicità dichiarativa all'iscrizione nella sezione speciale degli imprenditori agricoli, grandi e piccoli, e delle società esercenti attività agricole) è stata prevista l'efficacia della pubblicità notizia solo per l'iscrizione dei piccoli imprenditori commerciali.




RICORDA CHE

Il registro delle imprese e' pubblico. Chiunque puo' consultarne i dati sui terminali degli elaboratori elettronici installati presso l'ufficio o anche su terminali degli utenti collegati tramite il sistema informativo delle camere di commercio. Ciascun ufficio rilascia, certificati e copie di atti tratti dai propri archivi informatici.

Anche per le società di capitali e per le società cooperative lo strumento di pubblicità legale è il registro delle imprese e trova oggi integrale applicazione la disciplina appena esposta.

Restano tuttavia due differenze

mentre in base alla disciplina generale del registro delle imprese gli atti scritti sono immediatamente opponibili ai terzi senza possibilita' per quest'ultimi di eccepire l'ignoranza degli stessi, per le sole societa' di capitali l'opponibilita' diventa invece piena solo decorsi quindici giorni dall'iscrizione nel registro delle imprese. Per le operazioni compiute in questo periodo i terzi sono infatti ammessi a provare di essere stati nell'impossibilita' di avere conoscenza dell'atto.

restano ferme le disposizioni che per alcuni atti delle societa' di capitali e/o delle societa' cooperative prevedono la pubblicazione nella gazzetta ufficiale anziche' nel registro delle imprese.


MERO DEPOSITO

Abbiamo visto che l'iscrizione nel registro delle imprese è la forma più ricorrente di pubblicità legale. Però per certi atti (es. il bilancio di esercizio delle spa) la legge non prevede l'iscrizione nel registro delle imprese bensì prevede il mero deposito che si realizza mediante l'archiviazione dell'atto.

La distinzione tra iscrizione (che può comportare anche il deposito degli atti da iscrivere) e il mero deposito (che però NON comporta anche l'iscrizione degli atti che si intendono depositare) è molto importante perché possono essere diversi gli effetti dell'iscrizione e del mero deposito; inoltre, solo per gli atti per i quali la legge prevede obbligatoriamente l'iscrizione, può aversi, in mancanza di iniziativa dei soggetti legittimati, l'iscrizione o la cancellazione d'ufficio.

Al mero deposito va attribuita l'efficacia della pubblicità notizia sin dal momento dell'avvenuto deposito



2) LE SCRITTURE CONTABILI


Le scritture contabili sono i documenti che contengono la rappresentazione della situazione monetaria dell'impresa, con riferimento a singoli atti o a determinati periodi di esercizio dell'attività. Esse contribuiscono a rendere efficiente l'organizzazione e la gestione d'impresa.

La tenuta delle scritture contabili è obbligatoria ed è disciplinata dalla legge per gli imprenditori che esercitano attività commerciale. Tale obbligo ha la finalità di consentire in ogni momento la ricostruzione dei movimenti economici dell'imprenditore a garanzia degli interessi dei creditori


La disciplina suddetta non si applica ai piccoli imprenditori anche quelli commerciali. Inoltre le società commerciali (tutte tranne le società semplici) devono ritenersi obbligate alle scritture contabili anche se non esercitano attività puramente commerciali.


L'art. 2214 pone il principio generale che l'imprenditore deve tenere tutte le scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa (c.d. scritture contabili obbligatorie in via speciale)

Stabilisce inoltre che in ogni caso devono essere tenuti determinati libri contabili:

il LIBRO GIORNALE e il LIBRO DEGLI INVENTARI (c.d. scritture contabili obbligatorie in via generale)

Infine, devono essere ordinatamente conservati, per ciascun affare, gli originali della CORRISPONDENZA COMMERCIALE (lettere, fatture, telegrammi) ricevuta e le copie di quella spedita.


(l'inadempimento dell'obbligo, previsto dall'art 2214, da parte dell'imprenditore fallito integra il reato di bancarotta semplice, invece la manomissione fraudolenta delle scritture contabili integra il reato di bancarotta fraudolenta


Il libro giornale e' un registro cronologico-analitico. In esso devono essere indicate giorno per giorno le operazioni relative all'esercizio dell'impresa. Le annotazioni vanno effettuate nell'ordine ma non necessariamente nel giorno di effettuazione.

Quindi le caratteristiche del libro giornale sono: la cronologicità e l'immediatezza.

Il libro giornale può essere articolato in libri parziali in relazione alle articolazioni dell'impresa.


Il libro degli inventari e' invece, un registro periodico-sistematico, deve essere redatto all'inizio dell'esercizio dell'impresa e poi per ogni anno.

L'inventario ha la funzione di fornire il quadro della situazione patrimoniale dell'imprenditore. Deve perciò contenere l'indicazione e la valutazione delle attività e delle passività dell'imprenditore, anche estranee all'impresa.

Quindi l'inventario è uno strumento giuridico dichiarativo con il quale si delimita e si individua in modo preciso l'effettiva consistenza di un patrimonio elencando e descrivendo i singoli beni che ne fanno parte.


L'inventario si chiude col bilancio il quale è un prospetto comprensivo dello stato patrimoniale e del conto economico.

Il bilancio e' un prospetto contabile riassuntivo dal quale si evidenzia alla fine di ciascun anno la situazione patrimoniale dell'impresa (nello stato patrimoniale) e i profitti e le perdite (nel conto economico).

La redazione del bilancio e' analiticamente disciplinata in tema di società per azioni con norme che fissano sia il contenuto del bilancio e sia i criteri che devono essere seguiti nella valutazione delle singole voci.




Per garantire la veridicità delle scritture contabili ed in particolare per impedire che le stesse siano successivamente alterate, e' imposta l'osservanza di determinate regole formali e sostanziali nella loro tenuta.

Le regole formali sono state tuttavia progressivamente ridotte, in base all'attuale disciplina il libro giornale e il libro dell'inventario devono essere solo numerati progressivamente in ogni pagina prima di essere messi in uso.

Tutte le scritture contabili devono poi essere tenute secondo le norme di ordinaria contabilità e per l'art. 2219 , senza spazi in bianco, senza interlinee, senza abrasioni, e in un modo che le parole cancellate restino leggibili (cd. Formalità intrinseche).

L'inosservanza di tali regole rende le scritture irregolari e quindi irrilevanti.

Le scritture contabili e la corrispondenza commerciale devono essere conservate per dieci anni e la conservazione può essere tenuta con mezzi informatici.

Le scritture contabili, di norma, non sono soggette a controlli esterni ma si tratta di una regola che subisce eccezioni a tutela degli interessi esterni all'impresa coinvolti dalla regolare tenuta della contabilità.

L'obbligo di tenuta della scritture contabili non e' assistito da alcuna sanzione generale e diretta, salvo quelle previste dalla legislazione tributaria.



EFFICACIA PROBATORIA DELLE SRITTURE CONTABILI


Sul piano processuale, le scritture contabili possono essere utilizzate come mezzo di prova sia a favore e sia contro l'imprenditore.

Le scritture contabili, siano o meno regolarmente tenute, possono sempre essere utilizzate dai terzi come mezzo processuale di prova contro l'imprenditore che le tiene.

Il terzo che vuol trarre vantaggio dalle scritture contabili di un imprenditore non può però scinderne il contenuto, non può cioè avvalersi solo della parte a lui favorevole(art.2709), inoltre l'imprenditore potrà dimostrare con qualsiasi mezzo che le proprie scritture non rispondono a verità.

Più rigorose sono invece le condizioni previste affinché l'imprenditore possa utilizzare le proprie scritture contabili come mezzo processuale di prova contro i terzi.


A tal fine e' necessario che ricorrano tre condizioni:

trattare scritture regolarmente tenute.

e' necessario che la controparte sia a sua volta un imprenditore

la controversia sia relativa a rapporti inerenti all'esercizio dell'impresa.


E' comunque rimesso all'apprezzamento del giudice riconoscere valore probatorio alle scritture contabili


Quanto ai modi di acquisizione nel processo delle scritture contabili, il giudice può ordinare solo l'esibizione di singole scritture contabili, ovvero di tutti i libri ma solo per estrarne le registrazioni concernenti la controversia in esame.

Solo in tre casi tassativi il giudice può ordinare la comunicazione alla controparte di tutte le scritture contabili:

a)    controversie relative allo scioglimento della società;

b)    controversie relative alla comunione dei beni;

c) controversie relative alla successione per causa di morte.





3) RAPPRESENTANZA COMMERCIALE


Nello svolgimento della propria attività l'imprenditore si avvale sia della collaborazione di soggetti stabilmente inseriti nella propria organizzazione aziendale per effetto di un rapporto di lavoro subordinato che li lega all'imprenditore (cd. Ausiliari interni o subordinati) e sia di soggetti esterni all'organizzazione imprenditoriale che collaborano con l'imprenditore, in modo occasionale o stabile, sulla base di rapporti contrattuali di varia natura: mandato, commissione, spedizione, agenzia, mediazione (cd. Ausiliari esterni o autonomi

In entrambi casi la collaborazione può riguardare anche la conclusione di affari con terzi in nome e per conto dell'imprenditore: l'agire in rappresentanza dell'imprenditore.


Il fenomeno della rappresentanza e' regolata in generale nell'art. 1387 e ss del cod. Civ e in modo specifico in leggi speciali quando si tratti di atti inerenti l'esercizio di impresa commerciale posti in essere da alcune figure atipiche di ausiliari interni come INSITORI PROCURATORI e COMMESSI


E' regola generale che il conferimento ad altro soggetto dell'incarico di compiere uno o più atti giuridici relativi alla propria sfera patrimoniale non abilita di per se l'incaricato ad agire in nome dell'interessato, con conseguente imputazione diretta degli effetti degli atti posti in essere. A tale fine e' necessario l'espresso conferimento del potere di rappresentanza, con ulteriore e specifica dichiarazione di volontà tramite la procura (art. 1387, art. 1704).

Inoltre il potere di rappresentanza sussiste nei limiti fissati dalla procura stessa e presuppone che questa sia conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere.

Il terzo che contratta con chi dichiara di agire in veste di rappresentante e' tenuto perciò ad accertare l'esistenza, contenuto e regolarità formale della procura, esigendo che il rappresentante giustifichi i suoi poteri. Ciò perché e' sul terzo contraente che ricade il rischio della mancanza o del difetto di potere rappresentativo della controparte.

Il contratto concluso dal falso procurato e' infatti improduttivo di effetti e il terzo non potrà vantare alcun diritto nei confronti del preteso rappresentato


Sono queste le regole che tutelano poco e male il terzo contraente e che ostacolano le contrattazioni tramite rappresentante e lo sviluppo degli affari, e sono regole che trovano applicazione anche quando si tratta di atti compiuti per un imprenditore commerciale da parte di collaboratori stabili ed esterni alla sua organizzazione.


Queste regole cedono il passo ad altre quando si e' in presenza di determinate figure tipiche di ausiliari interni (institori procuratori e commessi) che sono destinati ad entrare stabilmente in contatto con i terzi ed a concludere affari per conto dell'imprenditore.

Vige in questo caso una disciplina racchiusa in sistemi speciali sulla rappresentanza fissati negli art. 2203-2213 c.c. (la c.d. RAPPRESENTANZA COMMERCIALE

A differenza della rappresentanza in generale, quella commerciale attribuisce al rappresentante una rappresentanza ex lege commisurata alle mansioni svolte.

Quindi si tratta di una rappresentanza speciale il cui contenuto non scaturisce da una procura bensì è conseguenza naturale dell'attribuzione del ruolo all'interno dell'impresa

Sono questi i principi comuni a tutte e tre le figure di ausiliari, che si differenziano fra loro per la diversa funzione nell'impresa e quindi per la diversa ampiezza del rispettivo potere rappresentativo. Infatti chi conclude affari con uno di tali ausiliari dell'imprenditore commerciale dovrà solo verificare se l'imprenditore ha modificato, con atto espresso e reso pubblico, i lori naturali poteri rappresentativi.



L 'INSITORE è colui che e' preposto dal titolare all'esercizio dell'impresa commerciale o di una sede secondaria o di un ramo particolare della stessa; e', nel linguaggio comune, il direttore generale dell'impresa o di una filiale o di un settore produttivo, praticamente un lavoratore subordinato con la qualifica di dirigente al vertice della gerarchia del personale, in virtù di un atto di preposizione dell'imprenditore.


E' possibile che più institori siano preposti contemporaneamente all'esercizio dell'impresa e in tal caso essi agiranno disgiuntamente, a meno che nella procura non e' previsto diversamente.


La delineata posizione comporta innanzitutto che l'institore e' tenuto, congiuntamente con l'imprenditore, all'adempimento degli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e di tenuta delle scritture contabili dell'impresa o della sede cui e' preposto(art. 2205) ed in caso di fallimento dell'imprenditore troveranno applicazione anche nei confronti dell'institore le sanzioni penali a carico del fallito: fermo restando che solo l'imprenditore potrà essere dichiarato fallito e solo l'imprenditore sarà esposto agli effetti personali e patrimoniali del fallimento.


La legge, indipendentemente da un'espressa dichiarazione di volontà dell'imprenditore (procura), riconosce all'institore ampi poteri rappresentativi.

Quindi l'institore può compiere in nome dell'imprenditore tutti gli atti pertinenti all'esercizio dell'impresa o della sede o del ramo cui e' preposto, salve le limitazioni contenute nella procura. E' comunque certo che l'institore non e' legittimato a compiere atti che esorbitano dalle sue mansioni come potrebbe essere la vendita o l'affitto dell'impresa.

Una procura sarà necessaria solo se l'imprenditore vuole ampliare o limitare i poteri rappresentativi dell'institore. Però, per quanto riguarda le limitazioni, esse saranno opponibili ai terzi solo se la procura originaria o il successivo atto di limitazione siano stati pubblicati nel registro delle imprese; se manca tale pubblicità legale la rappresentanza si reputa generale salvo la prova da parte dell'imprenditore che i terzi effettivamente conoscevano l'esistenza di limitazioni al momento della conclusione dell'affare.


Inoltre l'institore, sempre a prescindere da un espresso conferimento della procura, può stare in giudizio in nome dell'imprenditore per le obbligazioni dipendenti da atti compiuti nell'esercizio dell'impresa a cui è preposto (c.d. rappresentanza processuale

Per quanto riguarda la rappresentanza processuale, l'institore può stare in giudizio, sia come attore (rappresentanza processuale attiva), e sia come convenuto (rappresentanza processuale passiva). Inoltre la rappresentanza processuale si estende anche agli atti compiuti personalmente dall'imprenditore o da altro institore, e riguarda sia le obbligazioni contrattuali e sia quelle extracontrattuali.

L'imprenditore, attraverso la procura, può limitare anche la rappresentanza processuale dell'institore ma solo la rappresentanza processuale attiva e non anche quella passiva (tutto ciò a tutela dei terzi).


Inoltre l'institore quando tratta con i terzi deve spendere il nome dell'impresa altrimenti contratterebbe in nome proprio e si assume diritti e obblighi derivanti dall'atto; però a tutela del terzo, quest'ultimo può agire anche nei confronti dell'imprenditore se gli atti compiuti dall'institore sono pertinenti all'esercizio dell'impresa a cui è preposto.

È importante sapere però che la semplice omissione della spendita del nome non è sufficiente a far considerare l'institore responsabile nei confronti dei terzi, ai fini della sussistenza di tale responsabilità sarà necessario che l'institore abbia avuto un comportamento tale da ingenerare nel terzo il convincimento che egli fosse l'effettivo titolare del rapporto giuridico tutela dell'affidamento




Il PROCURATORE è colui che in base ad un rapporto continuativo, ha il potere di compiere per l'imprenditore gli atti preminenti all'esercizio dell'impresa, pur non essendo preposti ad esso (art. 2209).

Sono degli ausiliari subordinati di grado inferiore rispetto all'institore infatti, sono procuratori il direttore del settore acquisti, il dirigente del personale, il direttore del settore pubblicità.


In mancanza di specifiche limitazioni scritte nel registro delle imprese, i procuratori sono ex lege investiti di un potere di rappresentanza generale dell'imprenditore: generale rispetto alla specie di operazioni per le quali essi sono stati investiti di autonomo potere decisionale;


Comunque il procuratore:

non ha la rappresentanza processuale dell'imprenditore

non e' soggetto agli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e di tenuta delle scritture contabili, l'imprenditore non risponderà per gli atti compiuti da un procuratore senza spendita del nome dell'imprenditore stesso.





Ultimo ausiliario interno dell'imprenditore nella gestione dell'esercizio di impresa e' la figura del cosiddetto COMMESSO: il quale è un ausiliare subordinato a cui sono affidate le mansioni esecutive e materiali che lo pongono in contatto con i terzi.


Ai commessi e' riconosciuto potere di rappresentanza dell'imprenditore anche in mancanza di specifico atto di conferimento, ma ha un potere molto più limitato in confronto a institori e procuratori.

Il principio base e' che essi possono compiere gli atti che ordinariamente comporta la specie di operazione di cui sono incaricati.

Salvo espressa autorizzazione i commessi non possono esigere il prezzo delle merci delle quali non facciano la consegna, ne' concedere dilazioni o sconti che non siano d'uso non hanno il potere di derogare alle condizioni generali di contratto predisposte dall'imprenditore o alle clausole stampate nei moduli dell'impresa.


Inoltre i commessi, se predisposti alla vendita nei locali dell'impresa, non possono esigere il prezzo fuori dai locali stessi e ne' possono esigerlo all'interno dell'impresa se alla riscossione e' destinata apposita cassa.

Potranno esigere il prezzo fuori ai locali d'impresa solo se autorizzati o solo se consegnano quietanza firmata dall'imprenditore.


Non e' previsto un sistema di pubblicità legale, perciò le limitazioni saranno opponibili ai terzi solo se portate a conoscenza degli stessi con mezzi idonei o se si prova l'effettiva conoscenza.








IL FALLIMENTO E LE ALTRE PROCEDURE CONCORSUALI



L'imprenditore può trovarsi, per mille motivi, in una situazione che non gli consente di far fronte in maniera regolare alle proprie obbligazioni, tale situazione è chiamata stato di insolvenza

La crisi dell'impresa coinvolge molti creditori e, di riflesso, può determinare squilibri all'interno del sistema economico in generale.

Proprio per questo motivo il legislatore ha preferito togliere ai creditori la possibilità di agire singolarmente per il soddisfacimento dei propri crediti e invece prevedere una procedura giudiziale collettiva di regolamento dei rapporti relativi all'impresa e di liquidazione dei beni ossia la procedura fallimentare, fondata sul criterio del trattamento paritario di tutti i creditori.


Fino a qualche tempo fa, il fallimento era l'unico strumento a disposizione dell'ordinamento per affrontare la crisi dell'impresa,con prevalenza degli interessi dei creditori su ogni altro interesse.


Da qualche tempo sono state introdotte altre procedure concorsuali diverse dal fallimento, e sono:

concordato preventivo

amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi

liquidazione coatta amministrativa

ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza.


Queste sono le altre procedure concorsuali diverse dal fallimento, esse mirano a contemperare l'esigenza di protezione dei creditori con l'esigenza di evitare la dissoluzione dell'impresa: quindi se ricorrono determinati presupposti, queste procedure consentono di evitare la dichiarazione di fallimento


La c.d. legge fallimentare, di recente riformata (la riforma ha incrementato le possibilità per il debitore di raggiungere un accordo con i suoi creditori) disciplina i presupposti e le procedure di fallimento e le altre procedure concorsuali che abbiamo appena elencato.
















Fino ad ora abbiamo utilizzato in maniera promiscua due espressioni ossia lo stato di crisi e stato d'insolvenza, in realtà sono 2 cose diverse


lo stato d'insolvenza è una sottospecie dello stato di crisi, abbiamo una nozione positiva dello stato d'insolvenza: "è una condizione del patrimonio del debitore che non gli consente di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, questo è il presupposto oggettivo del fallimento";


non abbiamo invece una nozione positiva dello stato di crisi, e quindi dobbiamo rifarci alla dottrina aziendalista: lo stato di crisi può derivare da fattori diversi come fattori organizzativi, oppure lo stato di crisi si può avere anche a causa della mancanza per un pò di tempo di liquidità da parte dell'impresa, oppure può derivare a causa di uno squilibrio finanziario cioè il patrimonio dell'imprenditore non è in grado di far fronte alle obbligazioni man man mano che si presentano (questo è lo stato di insolvenza ossia una sottospecie dello stato di crisi).

Quindi, in definitiva, lo stato di crisi comprende una vasta gamma di situazioni che vanno da mere condizioni di difficoltà dell'imprenditore fino allo stato di insolvenza.


Prima di analizzare dettagliatamente le procedure concorsuali cerchiamo di schematizzarle in relazione a delle caratteristiche:



in relazione alla loro finalità:

le procedure del fallimento e del concordato preventivo si prefiggono prevalentemente finalità satisfattoria cioè l'interesse principale tutelato è quello del creditore ma ciò non significa che non vengono tutelati anche interessi diversi.

Una procedura riservata alle imprese commerciali di grandi dimensioni cioè l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi ha invece finalità di carattere prevalentemente di risanamento-recupero dell'impresa. Analoghe finalità ha la procedura di ristrutturazione industriale che è stata introdotta nel 2003 in considerazione del caso parmalat.

Ci sono poi nuove creature, nate col decreto parmalat e poi diventate di diritto comune col decreto della competitività del 2005, queste sono gli accordi di ristrutturazione.

La procedura di liquidazione coatta amministrativa è prevista per l'ipotesi di gravi violazioni di legge o in previsione di uno stato d'insolvenza.


In relazione alla loro natura:

si distinguono in procedure giudiziarie e procedure amministrative a seconda che vengono disposte attraverso un procedimento reso dall'autorità giudiziaria (precisamente il tribunale civile il quale nomina gli organi della procedura e ne ha il superiore controllo) o a seconda che vengono disposte e gestite dall'autorità amministrativa.


Sono procedure giudiziarie: il fallimento e il concordato preventivo

sono procedure amministrative: la liquidazione coatta amministrativa, l'amministrazione straordinaria e la ristrutturazione industriale


Invece per la nuova disciplina dell'amministrazione straordinaria è prevista una fase preliminare di competenza dell'autorità giudiziaria e poi, se ricorrono delle condizioni, viene aperta la procedura amministrativa; in mancanza, il tribunale dichiarerà il fallimento


A seconda di chi può prendere l'iniziativa:


le procedure inoltre si distinguono in coatte e volontarie


sono procedure coatte, cioè possono essere disposte su richieste di terzi anche contro la volontà dell'imprenditore, il fallimento la liquidazione coatta amministrativa e l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi


sono procedure volontarie, cioè possono essere proposte solo dall'imprenditore, il concordato preventivo e la ristrutturazione industriale delle grandi imprese in stato d'insolvenza


Tranne la liquidazione coatta amministrativa, tutte le altre procedure coattive possono anche essere richieste da parte dello stesso imprenditore; comunque sarà sempre l'autorità competente a valutare la richiesta, cioè a verificare se sussistono i presupposti previsti dalla legge









QUANDO POSSONO ESSERE APPLICATE LE PROCEDURE CONCORSUALI? PRESUPPOSTI SOGGETTIVI E PRESUPPOSTI OGGETTIVI



Non sempre è identico il presupposto soggettivo e il presupposto oggettivo per l'applicabilità delle procedure.


Per quanto riguarda il presupposto soggettivo c'è da dire innanzitutto che sono esclusi dall'assoggettamento alle procedure concorsuali i piccoli imprenditori commerciali e gli imprenditori non commerciali che sono gli imprenditori agricoli;

invece gli enti pubblici economici possono essere sottoposti alla liquidazione coatta amministrativa


Vi sono poi requisiti soggettivi legati alle dimensioni dell'impresa affinché l'impresa possa essere sottoposta ad amministrazione straordinaria o a ristrutturazione industriale.


A meno che la legge non disponga diversamente, il semplice fatto che l'impresa privata possa essere sottoposta a liquidazione coatta amministrativa ciò non preclude la possibilità che essa possa essere sottoposta a concordato preventivo o a fallimento


PRINCIPIO DELLA PREVENZIONE: viene applicata la procedura che per prima è stata disposta.




Dunque per sapere se un impresa può essere sottoposta a fallimento noi dobbiamo accertare


che si tratta di un imprenditore commerciale;


che non sia un piccolo imprenditore e ne un ente pubblico;


che non sia un impresa sottoposta ad un'altra procedura con l'esclusione del fallimento (quindi che non sia un impresa che sia sottoposta a liquidazione coatta amministrativa);


che non abbia i requisiti dimensionali previste per l'applicazione delle procedure dell'amministrazione straordinaria.



Inoltre può essere dichiarato fallito anche l'imprenditore individuale defunto, però la sentenza di fallimento deve essere stata emessa entro un anno dalla morte se l'insolvenza si è manifestata anteriormente ad essa, oppure entro l'anno successivo.


Possono essere dichiarati falliti sia l'imprenditore individuale e sia l'imprenditore collettivo anche se c'è stata cancellazione dal registro delle imprese, ma è necessario che la sentenza di fallimento sia stata emessa entro un anno dalla cancellazione se l'insolvenza si è manifestata anteriormente ad essa, oppure entro l'anno successivo.


Però è importante sapere che tale riferimento alla cancellazione dell'impresa dal registro non ha valore assoluto ed esclusivo

che significa?

significa che la legge consente che, anche se l'impresa individuale è stata cancellata dal registro da più di un anno, i terzi che ne hanno interesse possono sempre dimostrare il momento dell'effettiva cessazione dell'attività da cui far decorrere il termine annuale; invece per l'imprenditore collettivo sembra che i terzi avrebbero tale facoltà solo in caso di cancellazione d'ufficio.

Da ciò discenderebbe che, in caso di mancata cancellazione o in caso di società non iscritta nel registro delle imprese, il termine di riferimento dovrà essere solo l'effettiva cessazione dell'impresa.



Un impresa (individuale o collettiva) per essere sottoposta a qualsiasi procedura concorsuale è necessario che ricorrono, non solo presupposti soggettivi, ma anche presupposti oggettivi


Presupposto oggettivo comune ed indefettibile del fallimento, dell'amministrazione straordinaria e della ristrutturazione industriale è lo stato di insolvenza del debitore.

Secondo l'art 5 della legge fallimentare lo stato d'insolvenza si manifesta "con inadempimenti o altri fatti esteriori, i quali dimostrano che l'imprenditore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni"

Ricorda però che non è il semplice mancato adempimento di una obbligazione che configura di per se lo stato di insolvenza, come d'altronde l'adempimento non esclude lo stato di insolvenza se esso viene effettuato con mezzi rovinosi

Lo stato di insolvenza si configura quando è in atto un vero e proprio squilibrio finanziario dell'impresa di cui è irrilevante la causa e prescinde da un eventuale squilibrio patrimoniale (si potrebbe avere uno stato di insolvenza anche se nella situazione patrimoniale dell'impresa le attività prevalgono sulle passività).


Presupposto oggettivo per l'applicazione della procedura di liquidazione coatta amministrativa è il riscontro, da parte dell'autorità di vigilanza a cui l'impresa è sottoposta, di "gravi irregolarità di gestione


Presupposto oggettivo per l'applicabilità della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese è lo stato di insolvenza; ma non solo, è altresì necessario che l'impresa in stato di insolvenza presenti concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle attività imprenditoriali.


Analoghi presupposti oggettivi sono previsti per la procedura di ristrutturazione industriale la quale presuppone la realizzabilità di un programma di ristrutturazione, non escludendo anche la possibilità di attuare un programma di cessione di beni.


Per quanto riguarda la procedura di concordato preventivo, la nuova legge fallimentare ha previsto come presupposto oggettivo per la sua applicabilità lo stato di crisi


Per il fallimento il presupposto oggettivo è lo stato di insolvenza





























Tutte le procedure, ad esclusione del concordato preventivo, hanno come effetto l'espropriazione collettiva dei beni dell'imprenditore


il concordato preventivo invece non ha come effetto l'espropriazione dei beni dell'imprenditore, anzi l'imprenditore conserva il potere di gestire la sua impresa sia pure sotto il controllo di un organo della procedura che viene nominato dal commissario giudiziario.



Vediamo quindi che ci sono molte differenze tra le procedure concorsuali, comunque esistono delle caratteristiche comuni,

esse sono:

globalità (cioè tutte le procedure investono tutto il patrimonio dell'imprenditore)

concorso (cioè la possibilità che viene concessa a tutti quanti i creditori di partecipare ai risultati utili della procedura purché il credito sia sorto prima dell'apertura della procedura anche in mancanza di un titolo esecutiva e anche in mancanza del carattere liquido ed esigibile del credito); e come vedremo, affinché questo concorso possa realizzarsi vi sono delle norme che cristallizzano la posizione debitoria alla data di dichiarazione di fallimento; i crediti sorti successivamente a questa data potranno partecipare anch essi al concorso soltanto se sono sorti in relazione alle esigenze della procedura e quindi sono crediti che addirittura verranno soddisfatti in via prioritaria (es. il credito al curatore per il proprio compenso nel fallimento, come anche il compenso per quei lavoratoti che hanno continuato a prestare la propria attività nonostante la cessazione, ed altre spese varie);

ufficiosità (cioè ogni procedura viene disposta con provvedimento di un organo pubblico -giudiziale o amministrativo- e che poi viene condotta e gestita dall'organo stesso).




I RAPPORTI TRA LE PROCEDURE


Se un imprenditore viene sottoposto alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, in linea di massima egli non può essere sottoposto, alternativamente, anche a fallimento.

Però a tale regola vi sono delle eccezioni come ad esempio per le società cooperative, in questo caso opera il principio della prevenzione cioè prevale la procedura per prima disposta.


Invece la procedura di amministrazione straordinaria, quando risulta che non può essere utilmente proseguita, si converte in fallimento. Ugualmente avviene per la procedura di ristrutturazione industriale.


Per la procedura di concordato preventivo vi è sia una possibilità di alternativa e sia una possibilità di successione: cioè può accadere che un imprenditore, ammesso alla procedura di concordato preventivo, venga dichiarato fallito o assoggettato a liquidazione coatta amministrativa.






VEDIAMO ORA COME SI COMPORTA UN IMPRENDITORE CHE SI TROVA IN STATO DI CRISI QUANDO QUESTA CRISI E' GIA SFOCIATA NELLO STATO DI INSOLVENZA O RISCHIA DI SFOCIARE


Un imprenditore razionale, in queste condizioni cercherà di trovare un accordo con i creditori, questo accordo può assumere molti contenuti diversi:


può essere un semplice impegno per i creditori a rinviare nel tempo il momento della riscossione (questo da un pò di respiro all' impresa ma non fa diminuire i debiti, anzi può essere un vero e proprio campanello di allarme cioè l'imprenditore sta confessando il suo stato d insolvenza).


Esistono altri accordi che veramente possono alleviare la posizione debitoria, accordi attraverso i quali i creditori rinunciano ad una parte del loro credito oppure concordano una nuova scadenza delle obbligazioni (il quale quest' ultimo è un accordo diverso dall'impegno a rinviare nel tempo il momento della riscossione).

Questi accordi possono veramente riparare lo stato d insolvenza ma non è facile convincere i creditori a rinunciare ad una parte dei loro diritti, anzi maggiore è il numero dei creditori e minore sarà la possibilità di raggiungere tali accordi


Ci sono poi delle logiche che guidano l' azione dei diversi creditori a seconda della loro natura, del tipo di credito ma anche a seconda dell'entità del credito

Ad esempio i grandi creditori saranno più propensi a stipulare questi accordi perchè se la crisi dovrebbe precipitare avranno molto da perdere e quindi saranno disposti ad accettare dilazioni o riduzioni dei crediti se questo migliora le loro prospettive di essere finalmente pagati.

Invece coloro che vantano un piccolo credito sono meno propensi ad accettare questi accordi.

Ecco che si delinea una prima contrapposizione tra grandi e piccoli creditori.


Un'altra distinzione tra creditori riguarda il carattere garantito o non garantito del loro credito

i creditori che hanno pegno o ipoteca o che possono vantare privilegi generali o speciali naturalmente le loro prospettive di riscuotere il credito sono più favorevoli rispetto alle prospettive che ha un comune creditore chirografario cioè quel creditore che non può contare su nessuna particolare causa di prelazione; quindi da ciò si capisce che i creditori privilegiati sono meno disposti a concludere certi accordi con il debitore.


Un altro elemento che può complicare le trattative può essere naturalmente legato al conflitto di interessi in cui possono trovarsi alcuni creditori: cosi se il creditore è anche la controparte di un rapporto di durata dell'impresa, e vuole salvaguardare questo rapporto perchè è la fonte del suo reddito, ecco che egli sarà favorevole a concludere accordi per consentire al debitore di rimettersi in sesto (questi sono i fornitori in esclusiva, i dipendenti dell'impresa).






Ci sono poi, nell'ambito de terzi che hanno rapporti con l'impresa, alcuni che hanno una posizione davvero particolare, cioè le banche le quali hanno di solito gia finanziato l impresa, e siccome sono creditori forti sono anche in grado di ottenere delle garanzie e quindi per questa ragione non hanno un particolare interesse a partecipare ad un accordo col debitore; eppure proprio questi creditori hanno un ruolo cruciale nel momento della crisi dell' imprenditore perchè sono gli unici in grado di fornire mezzi freschi cioè nuova finanza nuovo credito, e può essere questo l'elemento che fa la differenza tra un impresa in crisi che riesce a tornare sul mercato ed un impresa in crisi che invece finisce in stato di insolvenza e poi fallisce.


Ora cosa può convincere un creditore, non solo ad aspettare , ma anche a prestare altro denaro?

Evidentemente soltanto la prestazione di nuove garanzie. Le quali si aggiungono a quelle preesistenti


Notiamo quindi che risulta molto difficile trovare accordi, a questa difficoltà si aggiunge poi il rischio del fallimento che si verifica nonostante la stipulazione di questi accordi,

Il rischio che i passi fatti per cercare di risanare siano fonte di responsabilità o diano luogo ad atti revocabili, e cosi esiste una fattispecie sanzionata che è il ricorso abusivo al credito che si ha quando l imprenditore abbia continuato a fare ricorso ai finanziamenti nonostante fosse gia consapevole del suo stato d'insolvenza (cosi anche la costituzione di nuove garanzie potrebbe essere sottoposta ad azione revocatoria ordinaria o fallimentare, azione che serve a privare di efficacia l atto rendendolo inopponibile ai creditori che partecipano al concorso, e quindi la revoca di queste garanzie rende i creditori interessati semplici creditori chirografari).

Inoltre i pagamenti fatti a certi creditori senza rispettare le cause di prelazione, sono anch'essi fonte di responsabilità penale cioè del reato di bancarotta preferenziale.


La riforma ha introdotto una nuova figura cioè gli accordi di ristrutturazione, si affiancano vicino alla procedura di concordato preventivo e consentono di dare stabilita agli atti compiuti nell' ambito di un piano di risanamento in accordo con i creditori anche se questo tentativo di risanamento dovesse poi fallire.



















QUADRO RIASSUNTIVO


La cosa che vuole il debitore è quella di evitare l espropriazione forzata del suo patrimonio

prima della riforma egli aveva a disposizione due procedure per evitare il fallimento: queste erano il concordato preventivo e l'amministrazione controllata

l'amministrazione controllata ha avuto scarso successo, era vista come un mezzo per dare tempo all'impresa per ripristinare i propri equilibri e veniva concessa quando l'imprenditore era in uno stato di insolvenza ma reversibile alla condizione che potesse dimostrare che nell' arco di un biennio l'impresa potesse ritornare in sesto; il vantaggio principale dell'amministrazione controllata in realtà era la moratoria cioè dal momento del ricorso il patrimonio del debitore era messo a riparo da quelle aggressioni individuali dei creditori pericolose per la sopravvivenza dell'impresa

La riforma ha abrogato la procedura di amministrazione controllata


Concordato preventivo: ha subito una grossa mutazione, era nato come un premio per l imprenditore onesto e sfortunato, (presupposto oggettivo era sempre lo stato d'insolvenza),


Il concordato preventivo e'rimasto; il suo presupposto oggettivo e' stato ampliato allo stato di crisi il quale e' comprensivo dello stato di insolvenza, per cui in teoria potrebbe ricorrere a questa procedura anche l imprenditore che non rischia la dichiarazione di fallimento.

Per quanto riguarda il presupposto oggettivo sono spariti tutti i richiami ai requisiti di meritevolezza, e dunque vi potranno accedere anche gli imprenditori commerciali non in regola con gli obblighi dello statuto dell'imprenditore commerciale.

Ma accanto a questa figura, che e' rimasta l unica procedura diretta ad evitare il fallimento, il legislatore ha previsto gli accordi di ristrutturazione art 182 bis e poi ha menzionato nell'art67 della legge fallimentare.




























IL FALLIMENTO



ASPETTI GENERALI


Abbiamo visto che la riforma della legge fallimentare ha incrementato per il debitore la possibilità di raggiungere un accordo con i creditori; naturalmente questo accordo prende la forma dell'accordo stragiudiziale, ha una portata limitata,non si tratta di una vera e propria procedura concorsuale ma è comunque in grado di raggiungere risultati favorevoli.


Il fallimento è una procedura comune di espropriazione forzata dei beni dell'imprenditore;

è un procedimento che si svolge sotto la direzione e il controllo dell'autorità giudiziaria, ha carattere coattivo


La sua   finalità è conservare il patrimonio, amministrarlo, e destinarlo -mediante un'attività di liquidazione- al soddisfacimento dei creditori; a tale scopo vengono istituiti degli appositi organi, ossia gli organi della procedura, i quali hanno delle funzioni e delle competenze fissate direttamente nella legge.


La conservazione del patrimonio che si ha nell'ambito del fallimento non è statica (cioè non è soltanto la custodia materiale del patrimonio) bensì comprende anche un'attività di tipo giuridico diretta ad esercitare i diritti vantati dal fallito affinché il patrimonio non subisca una diminuzione.


Le fasi in cui si snoda il processo del fallimento sono quelle:


apertura del fallimento attraverso la c.d. sentenza di fallimento;


accertamento del passivo


l'attività di amministrazione del patrimonio (ivi comprese le azioni che tendono ad reintegrare la massa in relazione a quei beni che fossero usciti dalla disponibilità del fallito nel periodo in cui si può presumere che gia vi fosse lo stato di insolvenza);


attività di liquidazione cioè convertire in denaro il patrimonio nella misura necessaria e sufficiente a soddisfare i creditori ammessi al passivo;


dopo di che si potrà procedere alla ripartizione dell'attivo e cioè al soddisfacimento dei creditori ammessi nell'ordine previsto dall'art 111 della legge fallimentare;


chiusura del fallimento (la chiusura potrà anche avvenire prima e indipendentemente dalla ripartizione dell'attivo nell'ipotesi in cui non vi è in realtà alcun attivo da ripartire, o nell'ipotesi in cui non ci siano creditori che hanno fatto valere i propri diritti insinuandosi al passivo, o nell'ipotesi in cui viene proposto il concordato fallimentare)






Questa è in via generale l'articolazione delle fasi della procedura fallimentare, fasi che però NON sono temporalmente sempre distinte (è chiaro che l'attività di amministrazione si svolge entro tutto l'arco della procedura; cosi come l'attività di liquidazione, che prima della riforma si apriva soltanto una volta completato l'accertamento del passivo, oggi in realtà può iniziare gia prima che siano stati accertati in maniera definitiva i diritti dei creditori e prevede come condizioni preferenziali l'affitto dell'azienda o la continuazione dell'attività di impresa da parte del curatore fallimentare).




ASPETTI OPERATIVI


Il fallimento può essere dichiarato nei confronti degli imprenditori commerciali esclusi gli enti pubblici e i piccoli imprenditori


Al fine di individuare i piccoli imprenditori vengono oggi fissati 2 criteri alternativi che sembrerebbero dare, non una semplice presunzione di piccolezza, ma addirittura una vera e propria nozione che si sostituisce pertanto a quella che emerge dall'art 2083;

tali criteri sono

non sono da considerare piccoli imprenditori coloro che abbiano investito nell'azienda un capitale superiore a 300 mila euro e a tale scopo si tiene conto anche degli investimenti pregressi cioè quelli che sono stati realizzati in precedenza;

non sono da considerarsi piccoli imprenditori coloro che hanno realizzato ricavi lordi, in qualsiasi modo essi vengano accertati, in misura superiore a 200 mila euro annui, a tale scopo si fa una media dei ricavi dell'ultimo triennio


Questi 2 criteri valgono sia per gli imprenditori persone fisiche e sia per gli imprenditori diversi dalle persone fisiche come le società , ma anche le associazioni e le fondazioni che, come sappiamo, possono anche essere titolari di attività d'impresa.

Quindi è stata superata quella presunzione di non piccolezza per le società commerciali

Ma ciò non basta per dichiarare fallimento


Per dichiarare fallimento è altresì necessario accertare che l'imprenditore non sia soggetto ad altra procedura concorsuale con esclusione del fallimento, quindi non devono esserci i presupposti previsti per la liquidazione coatta amministrativa con esclusione del fallimento, o i presupposti per la soggezione all'amministrazione straordinaria delle grandi imprese.


Il presupposto oggettivo del fallimento è lo stato di insolvenza fissato nell'art 5 della legge fallimentare;

lo stato di insolvenza è una condizione del patrimonio del debitore che non gli consente di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, lo stato di insolvenza è una situazione di grave squilibrio finanziario.





Vediamo ora che rapporto c'e tra questa condizione del patrimonio del debitore e la sua manifestazione esterna:

i terzi, ovviamente, non sono a conoscenza della contabilità aziendale, non sanno qual è effettivamente la situazione dell'impresa e devono quindi rifarsi a degli indici obiettivi esterni.

Da questo punto di vista gli inadempimenti sono soltanto uno dei possibili sintomi dello stato di insolvenza, uno dei modi in cui lo stato di insolvenza si manifesta all'esterno;

ma sono equiparati agli inadempimenti altri fatti esteriori ed in particolare quelli che giustificano l'inizio di un procedimento penale a carico dell'imprenditore, così la distrazione dell'attivo, così la fuga dell'imprenditore, la chiusura immotivata dei locali, la cessazione improvvisa dell'attività d'impresa, questi sono fatti sintomatici di una situazione che non consente più di soddisfare le obbligazioni.




Di quali obbligazioni teniamo conto nel valutare l'insolvenza?

Dobbiamo tener conto delle obbligazioni in scadenza e della capacità dell'imprenditore di farvi fronte con le proprie fonti di reddito e di patrimonio; ma di farvi fronte "regolarmente" e questo avverbio è cruciale per intendere lo stato di insolvenza;

"regolarmente" significa intanto "a scadenza", e soprattutto significa "con mezzi normali", ci può essere perciò insolvenza anche se l'adempimento delle obbligazioni avviene con mezzi anormali, per giudicare della normalità dobbiamo ricorrere a ciò che rientra nella prassi corrente del ceto commerciale dunque è anormale il pagamento fatto tramite dazio insolutum (si da un bene in luogo di denaro) a meno che naturalmente sin dall'origine l'obbligazione fosse da estinguere mediante la dazione di una cosa; la giurisprudenza considera normale il pagamento effettuato attraverso titoli di credito; è anormale invece il pagamento che viene effettuato con mezzi rovinosi cioè con mezzi tali da aggravare il dissesto ( se si ricorre al credito usuraio per pagare i propri debiti).


Ci sono naturalmente debiti che scottano più di altri e quindi che hanno un particolare valore, come i debiti portati da cambiali (perché la cambiale è un titolo esecutivo dove si suppone che il debitore che non paga le cambiali sia gia in pessime acque, tant'è che prima della riforma era prevista la trasmissione al tribunale dell'elenco dei protesti, norma che poi è stata cancellata); altri debiti che scottano sono quelli di lavoro e quelli verso enti previdenziali,debiti verso il fisco, dunque questi inadempimenti possono essere considerati particolarmente sintomatici di una situazione di difficoltà dell'impresa tale da costituire stato di insolvenza.

Non è invece in stato di insolvenza il cattivo pagatore cioè colui che non adempie un credito per semplice negligenza o per trascuratezza, come pure non è inadempimento quello relativo a un debito contestato (questo spesso è una difesa nell'ambito delle procedure contro il fallimento, questo serve sia per contestare la legittimazione dell'istanza: cioè si dice che il credito non c'è e quindi non c'è la legittimazione dell'istanza, e sia per contestare lo stato di insolvenza: cioè si dice che inadempimento non c'è e quindi non c'è anche il sintomo dello stato di insolvenza).




Molto difficile è provare che la situazione in cui versa il suo patrimonio è una semplice crisi di liquidità (e ciò deve farlo il debitore), o lo stato di insolvenza, a questo scopo la giurisprudenza ha riconosciuto in passato il criterio dello sbilancio patrimoniale cioè: se ci sono degli inadempimenti perché l'imprenditore al momento è a corto di denaro liquido ma nel suo attivo vi sono beni il cui realizzo rende certa la possibilità di adempiere, ciò no è stato di insolvenza ma semplicemente crisi di liquidità.

Però questo criterio deve fare i conti col fatto che l'attività d'impresa è l'attività che prosegue, non è destinata a cessare, quindi come posso tener conto del valore di realizzo dei beni nel momento in cui devo continuare ad utilizzarli nell'attività d'impresa!!!? Ecco allora che questo criterio dello sbilancio patrimoniale può essere adoperato in maniera più razionale quando l'impresa è gia cessata e si trova in stato di liquidazione.



Un indice sicuro per escludere lo stato di insolvenza è la permanente capacità di ricorso al credito: se l'imprenditore continua a godere della fiducia dei suoi creditori egli non è in stato di insolvenza, in particolare se continua ad attingere a credito bancario perche grazie al credito ha la possibilita di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.

Qui però si inserisce una complicazione perché ci sono casi (i quali si sono verificati anche in questa provincia, ricordiamo il caso dl gruppo casillo) in cui vi è concussione tra finanziatore e debitore, concussione che può avere anche risvolti di carattere penale, e dunque apparentemente l'impresa è in salute perche il finanziatore continua ad erogare credito mentre in realtà è gia in stato di insolvenza, da qui un problema molto delicato: puo essere attaccata con un azione di risarcimento danni la banca che abbia continuato ad erogare credito al debitore poi fallito nonostante fosse(la banca) consapevole dello stato di insolvenza, e quindi che abbia tradito l'affidamento dei terzi (i terzi percepiscono il segnale dato dalla banca).

La responsabilità della banca che concede credito è una cosa diversa dal ricorso abusivo al credito che invece è attività del debitore il quale occulta il suo stato di insolvenza pur di continuare ad ottenere credito (quindi si tratta di 2 fattispecie distinte: rispetto al ricorso abusivo al credito esiste una fattispecie prevista e sanzionata; invece rispetto alla responsabilità della banca la concessione abusiva di credito si tratta di una responsabilità di illecito aquiliano).



E'importante ricordare che l'insolvenza è fenomeno che riguarda il patrimonio del debitore e non l'impresa, può nascere quindi anche per fatti estranei all'attività d'impresa (es. l'imprenditore ha un'azienda che va benissimo, però egli si rovina per debiti da gioco, questi debiti che egli contrae a titolo personale possono essere la causa di uno stato di insolvenza.

Una volta aperto il fallimento, il fallimento investe non l'impresa ma tutto il patrimonio del debitore e quindi anche i suoi beni personali estranei all'azienda perche in base all'art 2740 il debitore risponde delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri (tant è che nell'inventario dell'azienda bisogna esporre anche i beni personali dell'imprenditore, proprio perché pure questi beni, nel caso vi fosse fallimento dovranno essere destinati al soddisfacimento dei creditori).




SOGGETTI LEGITTIMATI A CHIEDERE IL FALLIMENTO


Anzitutto sono legittimati a chiedere il fallimento:


i creditori, sia quelli non muniti di un titolo esecutivo e sia quelli che vantano un credito non scaduto o sottoposto a condizione; ai fini del riconoscimento della loro legittimazione, essi devono soddisfare l'onere di fornire la prova del dell'esistenza del credito anche se il loro credito non è scaduto o è sottoposto a condizione;


lo stesso debitore (in un certo senso egli avrebbe il dovere giuridico di richiedere il fallimento tutte le volte in cui il ritardo della dichiarazione di fallimento possa aggravare il dissesto);


il pubblico ministero ma soltanto in una serie di ipotesi tipizzate e cioè quando:    (prima ipotesi): quando l'insolvenza risulti, nel corso di un procedimento penale, da eventi   significativi come la fuga o la latitanza dell'imprenditore o la chiusura dei locali dell'impresa, o il trafugamento o la diminuzione fraudolenta dell'attivo da parte dello stesso imprenditore. (seconda ipotesi): quando l'insolvenza risulti dalla segnalazione del giudice che abbia l'abbia rilevata nel corso di un procedimento civile.



Notiamo che la riforma ha circoscritto l'ambito di iniziativa pubblica per la dichiarazione di fallimento.

Quindi oggi, a seguito della riforma, il tribunale


a)    non può avviare un procedimento istruttorio in mancanza dell'iniziativa dei creditori o dello stesso debitore o del pubblico ministero;


b)   può segnalare al pubblico ministero che nel corso di un procedimento civile si sia evidenziato lo stato di insolvenza del debitore;


c)    può dichiarare fallimento in collegamento ad una procedura di concordato preventivo che non può essere più continuata.






Abbiamo visto che la domanda di fallimento può essere pronunciata su ricorso di uno o più creditori, su ricorso dello stesso debitore o su richiesta del pubblico ministero.


Dopo di ciò si apre l'istruttoria prefallimentare


Questo è un procedimento particolare, si svolge in camera di consiglio, ha natura di procedimento sommario e deve chiudersi in termini molto brevi per esigenze di giustizia (il rischio che decorre il termine per l'esercizio dell'azione revocatoria, il rischio che nel frattempo il dissesto si aggravi di più, il rischio che si prescrivano i reati fallimentari).



Queste esigenze però vanno contemperate con la tutela dei diritti soggettivi coinvolti, in primo luogo i diritti del debitore;

Bisogna contemperare nell'istruttoria prefallimentare le esigenze di giustizia con i diritti di difesa dell'imprenditore il quale deve potersi difendere, deve essere convocato, deve avere la possibilità di chiedere l'assunzione di mezzi di prova.

Questo processo però ha carattere inquisitorio cioè le prove che possono essere acquisite vengono decise dal giudice e decise d'ufficio (non c'è necessita di una richiesta della parte).

Competente è il giudice nella sua composizione collegiale, ma le attività istruttorie possono essere delegate ad un singolo componente del collegio


Una volta che sia stata chiusa l'istruttoria, gli esiti possono essere diversi:


il tribunale può riconoscersi incompetente, in questo caso si prenderà la strada disciplinata dagli art 9bis e 9ter;


il tribunale riconosce la sua competenza ma esclude che vi siano i presupposti soggettivi o il presupposti oggettivo per la dichiarazione di fallimento, e quindi rigetta l'istanza attraverso decreto;


il tribunale accoglie l'istanza e dichiara fallimento attraverso sentenza































TRIBUNALE COMPETENTE


Il tribunale competente a dichiarare fallimento è il tribunale del luogo in cui l'impresa ha la sede principale

per sede principale si intende la sede in cui viene svolta l'attività di tipo organizzativo e direttivo, cioè dove l'impresa in primo luogo entra in contatto con i terzi mediante la sua attività negoziale

nel caso di società: la sede principale è il luogo tipicamente in cui risiedono gli organi di amministrazione, di solito questo luogo coincide con la sede dichiarata, per le società questa è la sede legale cioè quella che risulta dall'atto costitutivo e che è stata resa pubblica mediante l'iscrizione nel registro delle imprese;

nel caso di imprenditore persona fisica: la sede principale è la sede presso la quale si è iscritto nel registro delle imprese).


Naturalmente ci possono essere divergenze tra la sede che risulta formalmente dagli atti (in particolare dalla pubblicità legale) e la sede effettiva dell'impresa, la giurisprudenza ritiene che prevalga sempre la sede effettiva;


C'è però il problema di una sede che venga spostata proprio per evitare il fallimento, questa è un ipotesi di competenza funzionale:

prima della riforma si riteneva che il fallimento dichiarato da un tribunale non competente per territorio, perché la sede dell'impresa era altrove, fosse un vizio di nullità della sentenza di fallimento;

invece con la riforma è stato sancito il principio per cui i trasferimenti della sede operati nell'anno anteriore non hanno effetto, quindi la competenza del territorio è quella del tribunale della sede quale risulta un anno prima della dichiarazione di fallimento



Tutto ciò dovrebbe servire a mettere fine ad uno degli espedienti preferiti dei debitori insolventi e dei loro avvocati, cioè far leva sull'incompetenza territoriale del giudice al fine di evitare il fallimento.



Se l'imprenditore è titolare di più imprese vige il principio della prevenzione: cioè una volta dichiarato fallimento dal tribunale competente per una delle imprese, viene assorbita l'eventuale competenza di un altro tribunale



Per quanto riguarda la problematica degli effetti del fallimento dichiarato in un altro stato, occorre distinguere a seconda che vi sia o no una convenzione tra gli Stati interessati che consente di estendere oltre il territorio dello stato, ove è stata pronunciata, gli effetti della sentenza di fallimento:

se non c'è questa convenzione tra gli stati allora l'imprenditore che ha all'estero la sede principale dell'impresa può essere dichiarato fallito in Italia anche se è stata pronunciata dichiarazione di fallimento all'estero

Inoltre la nuova legge fallimentare stabilisce, al fine di evitare scappatoie, che: il trasferimento della sede dell'impresa all'estero non esclude la giurisdizione italiana per la dichiarazione di fallimento se tale trasferimento sia avvenuto dopo l'avvio dell'iniziativa fallimentare.





APPELLO CONTRO LA SENTENZA DI FALLIMENTO


Prima della riforma era previsto un mezzo d'impugnazione atipico, cioè contro la sentenza di fallimento veniva fatta prima opposizione dinanzi al tribunale che l'aveva pronunciata, e solo in sede di gravame si andava davanti alla corte di appello.

Oggi invece con la riforma è stato abolito questo passaggio nell'opposizione e quindi ci si può appellare solo alla corte di appello.

Anche il decreto che respinge l'istanza è pure reclamabile dinanzi alla corte di appello

Tra i 2 provvedimenti però c'è una grande differenza in quanto se c'è dichiarazione di fallimento c'è una pronuncia che incide su diritti soggettivi contro la quale deve pertanto essere sempre possibile il ricorso in cassazione, mentre il decreto di rigetto non sarà ovviamente ulteriormente impugnabile se sarà confermato anche dalla corte di appello.



PROVVEDIMENTI PRESI CON LA SENTENZA DI FALLIMENTO


Con la sentenza che dichiara il fallimento vengono presi anche i provvedimenti relativi all'insediamento degli altri organi della procedura:

anzitutto organo della procedura è il tribunale fallimentare che è lo stesso tribunale che ha dichiarato il fallimento.


La sentenza nomina poi il giudice delegato

Il giudice delegato ha funzioni di vigilanza sul complessivo andamento della procedura e sull'esercizio delle competenze del curatore ma non interviene più direttamente nella gestione (quindi dopo la riforma il giudice delegato è diventato l'arbitro anziché l'allenatore: è scomparso in particolare il potere di direzione del giudice delegato nei confronti del curatore, cioè potere di impartirgli direttive su come svolgere le proprie competenze in quanto ciò dava luogo ad una sorta di scarico di responsabilità da parte del curatore).

Il giudice delegato ha anche compiti che riguardano l'accertamento del passivo, questo è il suo ruolo fondamentale.

In un secondo momento il giudice delegato nomina il comitato dei creditori, ma nella sentenza devono essere presi ulteriori provvedimenti che riguardano il corso della procedura: anzitutto si deciderà se è il caso di continuare l'attività d'impresa oppure no (secondo la vecchia legge fallimentare la continuazione veniva disposta solo in casi straordinari)


Il secondo organo che viene nominato nella sentenza è il curatore fallimentare

Il tribunale potrà anche revocarlo o sostituirlo attraverso decreto motivato.

Dopo la riforma il curatore è investito non solo della custodia e dell'amministrazione del patrimonio fallimentare ma anche dell'attività di liquidazione (anche se poi queste operazioni vengono svolte sotto il controllo del giudice delegato e sotto il controllo di un ulteriore organo, che non vIene però nominato nella sentenza perchè viene nominato entra i 30 giorni successivi allo stesso giudice delegato, ossia il comitato dei creditori).

Inoltre il curatore no può stare in giudizio senza l'autorizzazione del giudice delegato e né compiere atti di straordinaria amministrazione senza l'autorizzazione del comitato dei creditori.


Abbiamo visto che il comitato dei creditori viene nominato dal giudice delegato, questo comitato era un po' un ombra della vecchia legge fallimentare, non aveva praticamente poteri oltre a quelli consuntivi, in un solo caso il suo parere era obbligatorio e vincolante e cioè quando si doveva autorizzare la continuazione dell'esercizio dell'impresa perchè da tale continuazione poteva derivare danno a quei creditori pregressi.

E quindi in realtà la gestione dell'insolvenza, prima della riforma, era affidata ad una procedura che si svolgeva sotto la partecipazione attiva dell'autorità giudiziaria e di un pubblico ufficiale ossia il curatore.

La riforma fallimentare invece ha voluto accentuare il carattere privatistico di questa forma di gestione della crisi, rafforzando il comitato dei creditori attribuendogli sia il potere di autorizzare il compimento degli atti di straordinaria amministrazione da parte del curatore, e sia il potere di esprimersi in modo vincolante sul programma di liquidazione.

Anche se è poco regolata dalla legge, la fase della liquidazione è davvero quella cruciale perche si tratta di alienare i beni (e da tale attivita dipende quando può essere attribuito ai creditori concorrenti) ma si tratta anche di ricollocare le risorse produttive sul mercato





EFFETTI DELLA SENTENZA DI FALLIMENTO PER IL DEBITORE FALLITO


Vi sono effetti per il debitore fallito, effetti per i suoi creditori, ed effetti sui rapporti giuridici pendenti (cioè sui contratti che non siano stati ancora eseguiti dalle parti, e perciò si deve stabilire quale sia la loro sorte una volta dichiarato il fallimento).


Per quanto riguarda gli effetti a carico del debitore, il fallimento determina il c.d. spossessamento del debitore cioè, egli perde il diritto di amministrare e il diritto di disporre dei beni che compongono il suo patrimonio, ma questo limitatamente ai beni e rapporti giuridici compresi nel fallimento.

Vi sono infatti beni non compresi nel fallimento il cui elenco è contenuto nell'art 46, la finalità della norma è quella di non privare il fallito sia della possibilità di disporre dei mezzi di sussistenza (pensioni, assegni di natura alimentare), sia delle cose che sono impignorabili per legge (la fede nuziale, il letto matrimoniale) e sia della sfera dei diritti personalissimi del fallito (la salute, l'integrità fisica, il nome, il decoro) anche quando questi diritti fossero stati monetizzati (es, se il fallito ha subito una lesione personale per la quale ha ottenuto un risarcimento danni, la somma di denaro che gli è stata liquidata non verrà acquisita al fallimento).


Invece tutti gli altri beni vengono appresi dal fallimento e vanno a costituire pertanto un patrimonio separato destinato ad uno scopo che è il soddisfacimento dei creditori concorsuali, questo riguarda sia i beni preesistenti (cioè quelli che il fallito gia aveva alla data della sentenza) sia i beni successivi che per qualsiasi causa gli pervengono, sia le utilità che il fallito dovesse realizzare successivamente al fallimento.


Risolvendo un problema che in passato era stato causa di contrasti, oggi è prevista una disciplina diversa per i beni e per le utilità


rispetto hai beni l'art 42 stabilisce che "sono compresi nel fallimento anche i beni che pervengono al fallito durante il fallimento dedotte le passività incontrate per l'acquisto e la conservazione dei beni medesimi", questo significa che le spese incontrate dal fallito per l'acquisto e per la conservazione dovranno essergli versati al fallimento per poter acquisire questi beni.

Nella prassi, poiché queste spese potevano superare il presumibile valore di realizzo dei beni, si era sviluppata la tendenza a valutare preventivamente la convenienza dell'acquisizione del bene alla massa fallimentare, e nell'ipotesi in cui il curatore avesse ritenuto la convenienza dell'acquisizione avrebbe chiesto al giudice delegato di emanare un decreto di apprensione cioè un provvedimento che ordinava al fallito di mettere nella disponibilità del curatore questo bene sopravvenuto pagando ovviamente le spese sostenute dal fallito; se questa convenienza invece non c'era si lasciava che il fallito continuasse di fatto a disporre del bene ma in teoria questo bene era entrato nella massa fallimentare indipendentemente da qualsiasi provvedimento, quindi c'era il rischio che un domani venduto il bene ad un terzo il curatore si facesse vivo e dire che questo bene non poteva essere oggetto di un atto di disposizione in quanto dal giorno del fallimento il fallito non può disporre dei suoi beni compresi nella massa fallimentare o eseguire pagamenti e né compiere le formalità necessarie per rendere opponibili atti come la vendita, ecc.; la sorte di questi atti però non è la nullità perchè il fallito non perde la capacità di agire, si verifica semplicemente l'inefficacia cioè l'inopponibilità dei pagamenti e degli atti di disposizione nei confronti dei creditori concorrenti.

Ecco perchè gli atti di disposizione del fallito per i beni dei quali il curatore si era disinteressato erano comunque precari.

E' intervenuto il legislatore con la riforma e ha previsto che il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori (e non più del giudice delegato), può rinunciare ad acquisire i beni che pervengono al fallito durante il fallimento qualora i costi da sostenere per loro acquisto e per la loro conservazione risultino superiori al presumibile valore di realizzo dei beni stessi (vedete, è stata legalizzata la prassi).


Un altro problema che si era posto negli anni precedenti era quale fosse la sorte non dei beni, ma dei redditi che il fallito avesse potuto ricavare in costanza di fallimento iniziando ad esempio una nuova attività di impresa (cosa non rara):

questa attività naturalmente ha dei costi e dei ricavi, come regolarsi? Ed in quali limiti recuperare il risultato di questa attività?

In passato la giurisprudenza avrebbe applicato analogicamente la disciplina propria dei beni, cioè veniva acquisito al fallimento soltanto l'utile realizzato equiparando i costi sostenuti nella nuova attività di impresa alle spese di acquisto e conservazione;

ora invece la riforma ha distinto tra beni acquistati successivamente e redditi pervenuti successivamente (sempre che non siano di natura personale) stabilendo all' art 44: "fermo quanto previsto all'art 42 comma2(cioè la sorte dei beni), sono acquisiti al fallimento tutte le utilità che il fallito consegue nel corso della procedura per effetto degli atti di cui al primo e al secondo comma (cioè precisamente gli atti compiuti dal fallito, gli atti di disposizione, i pagamenti effettuati dopo il fallimento).



Questi sono gli effetti di carattere patrimoniale del fallimento nei confronti del debitore, poi ci sono gli effetti relativi ai rapporti processuali nei confronti del debitore fallito: egli cioè perde la legittimazione a stare in giudizio nelle controversie relative a beni e rapporti compresi nel fallimento, al suo posto in giudizio starà il curatore;

se ci fossero dei processi in corso, la dichiarazione di fallimento interrompe automaticamente questi processi, e dunque dovranno essere proseguiti nei confronti del curatore

ciò non vale per i beni e per i rapporti giuridici estranei al fallimento (rispetto ai quali il fallito mantiene la legittimazione processuale);

inoltre nei giudizi in cui è parte il curatore, il fallito ha comunque diritto di intervenire e difendersi quando dall'esito del giudizio possa dipendere un'imputazione per bancarotta a suo carico



Vi sono poi anche degli effetti di carattere personale, che sono stati grandemente ridimensionati con la riforma








EFFETTI DEL FALLIMENTO PER I CREDITORI


La norma fondamentale è contenuta nell'art. 52 : "il fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito", dopo tale data i creditori possono chiedere l'accertamento del loro credito solo attraverso lo speciale procedimento dell'ammissione al passivo.

inoltre l'art precedente stabilisce che: "salvo diversa disposizione di legge, dal giorno della dichiarazione di fallimento i creditori non potranno avviare o proseguire nessuna azione individuale, esecutiva o cautelare, anche per crediti di massa, sui beni compresi nel fallimento



È prevista una esenzione:cioè potranno essere eseguite le procedure di carattere cautelare/esecutivo rispetto ai beni gravati da privilegio pegno o ipoteca.

Infatti una volta che sono stati ammessi al passivo, i creditori garantiti da pegno o assistiti da privilegio possono essere autorizzati dal giudice delegato a procedere alla vendita di questi beni.




Se i beni sono estranei al fallimento questo divieto di azione esecutiva o cautelare non opera quindi, ad esempio il fatto che di un bene pervenuto successivamente non vi sia stata fatta acquisizione, ciò consente che poi su quel bene vengano espedite le azioni dei creditori, tanto è che della mancata acquisizione bisogna poi effettuare una pubblicità






Cosa diversa è la situazione dei beni che sono compresi nel fallimento ma dei quali il curatore, nel programma di liquidazione, non ravvisi l'utilità di una vendita perché ritiene che le spese non valgano il prezzo che potrebbe essere ottenuto, questi sono sempre dei beni compresi nel fallimento ma di cui il curatore non ha in programma di compiere atti di liquidazione. Su questi beni non potranno essere esperite azioni esecutive o cautelari perché il curatore potrebbe cambiare in qualsiasi momento il programma di liquidazione e quindi includere il bene.



Partecipano al concorso anche i creditori titolari di crediti sottoposti a condizione e i titolari dei crediti non ancora scaduti alla data di dichiarazione di fallimento.


Se il credito è munito di diritto di prelazione (pegno, ipoteca o privilegio) esso viene incrementato degli interessi che continuano a maturare anche dopo la dichiarazione di fallimento fino alla vendita del bene su cui spetta la prelazione; e questi interessi hanno natura di crediti privilegiati.

Invece se il credito non è munito di diritto di prelazione (cioè è un semplice credito chirografario) allora la dichiarazione di fallimento sospende il decorso degli interessi.



Quanto ai debiti non ancora scaduti, prosegue il secondo comma dell'art 55: "I debiti pecuniari del fallito si considerano scaduti agli effetti del concorso alla data di dichiarazione del fallimento,ivi compresi i crediti condizionali che partecipano anch'essi al concorso (e quindi verranno accertati in sede di ammissione al passivo), compresi quelli che possono essere fatti valere contro il fallito soltanto dopo aver espulso un altro obbligato (ad esempio se c'è una fideiussione, il fideiussore fallito ha a suo vantaggio il beneficio di preventiva escursione cioè può chiedere al creditore garantito di escutere prima il debitore principale e soltanto in caso di inadempimento del debitore principale potrà rivolgersi al fideiussore, quindi questo è un credito che può essere fatto valere nei confronti del fideiussore fallito solo una volta espedite le azioni contro il debitore principale).



Il fallimento, invece, non produce nessun effetto sui crediti che il fallito vanta verso terzi; quindi non se ne anticipa la scadenza

quindi i debiti del fallito, perché possano partecipare alla ripartizione, devono essere tutti considerati scaduti alla data di fallimento mentre i crediti che il fallito ha verso terzi, manterranno la loro scadenza originaria.



C'è una disciplina particolare che consente a certi debitori, pur non essendo privilegiati, di sfuggire al concorso degli altri e sono le regole in materia di compensazione

Stabilisce l'art 56: "I creditori hanno il diritto di compensare, con i loro debiti verso il fallito, i crediti che essi vantano verso lo stesso purchè non scaduti prima della dichiarazione di fallimento".


Inoltre per i crediti non scaduti, la compensazione non ha luogo se il creditore ha acquistato il credito per atto tra vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell'anno anteriore.







































EFFETTI DEL FALLIMENTO SUGLI ATTI PREGIUDIZIEVOLI AI CREDITORI

(AZIONE REVOCATORIA)


Sappiamo che il debitore risponde della proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri; però il debitore, pur in presenza di questo vincolo, può disporre dei suoi beni, e se quest'atto di disposizione risulta pregiudizievole ai creditori quest'ultimi possono esercitare l'azione revocatoria ordinaria la quale si differenzia dall'azione revocatoria fallimentare.


L'azione revocatoria ordinaria può anche essere esercitata dal singolo creditore il quale, a seguito di atti di disposizione compiuti dal debitore, teme di perdere la garanzia del proprio credito.

Il creditore però deve provare che


a)    il suo credito è sorto prima che il debitore abbia compiuto l'atto di disposizione;


b)   il debitore era consapevole che l'atto avrebbe pregiudicato le ragioni del creditore (questo è un elemento molto difficile da provare perché si tratta di provare uno stato psicologico; la prova di questo elemento rende molto difficile il buon esito dell'azione revocatoria ordinaria);


c)    che anche il terzo era a conoscenza della pregiudizialità dell'atto qualora quest'ultimo sia a titolo oneroso.


Questa azione si prescrive in 5 anni dal compimento dell'atto pregiudizievole.



Detto ciò bisogna sapere che nell'attivo del fallimento rientrano non solo i beni posseduti dal debitore al momento della dichiarazione di fallimento, ma anche i beni posseduti anteriormente che la legge ritiene debbano essere compresi

Il mezzo necessario a ripristinare il patrimonio del debitore in funzione del soddisfacimento dei creditori è la c.d. azione revocatoria fallimentare attraverso la quale il curatore ottiene una sentenza che dichiara inefficaci nei confronti dei creditori tutti gli atti di disposizione compiuti dal debitore prima della dichiarazione di fallimento (ma solo quegli atti che la legge considera compiuti in danno ai creditori).
















Gli atti che la legge considera compiuti in danno ai creditori sono:


a)    gli atti c.d. anormali (anormali cioè rispetto all'ordinario andamento dei rapporti d'impresa) tali da far sospettare l'intenzione del debitore di sottrarre i suoi beni al soddisfacimento dei creditori: se questi atti sono stati compiuti nei 2 anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento vi è allora una presunzione di intenzione fraudolenta sia nel debitore e sia nel terzo acquirente, ma quest'ultimo è ammesso a provare di avere ignorato lo stato di insolvenza al momento in cui l'atto è stato compiuto;


b)   gli atti c.d. normali ( normali cioè rispetto all'ordinario andamento dei rapporti d'impresa): questi atti sono revocabili solo se compiuti entro l'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento e solo se il curatore prova che l'altra parte conosceva lo stato di insolvenza (ricorda che sono revocabili sia i pagamenti spontanei e sia quelli coattivi cioè conseguiti a mezzo di esecuzione forzata).


Quindi notiamo che l'azione revocatoria fallimentare differisce dall'azione revocatoria ordinaria, la revocatoria fallimentare può essere esercitata solo dal curatore il quale è dispensato dal dare prova di tutti quei elementi previsti per la revocatoria ordinaria.


Con l'azione revocatoria fallimentare viene colpito l'atto di disposizione che pregiudica la massa dei creditori, essa però non colpisce la validità dell'atto (il quale non è né nullo e né annullabile) bensì colpisce la sua efficacia cioè impedisce che gli effetti dell'atto si producono danneggiando i creditori.


L'azione revocatoria fallimentare può colpire gli atti posti in essere in un determinato arco di tempo anteriore alla dichiarazione di fallimento




















RAPPORTI GIURIDICI PENDENTI


Per quanto riguarda i rapporti giuridici pendenti, in passato esisteva già una disciplina negli art. 62 e seguenti della legge fallimentare e ci sono alcune previsioni contenute in altre norme di legge, così ad esempio in materia di rapporto di lavoro l'art 2119 stabilisce che le sorti nel rapporto di lavoro nell'ipotesi di fallimento, prosegue il rapporto di lavoro.


Così pure per quanto riguarda l'appalto di opere pubbliche,non c'è più la norma generale che regola la sorte dell'appalto in caso di fallimento di uno dei soggetti appaltatori ma nel caso di associazione temporanea di impresa si prevede che i lavori affidati all'impresa capo gruppo o all'altra impresa partecipante all'associazione temporanea, in caso di fallimento, vengano ad essere assegnati agli altri partecipanti all'associazione evitando che venga travolto l'intero appalto.


Norme di settore destinate a favorire la stabilità del sistema finanziario, hanno poi introdotto regole speciali,così in materie di garanzie di natura finanziaria, in materia di ordini immersi in sistemi di pagamento, in materia di operazioni tramite sistemi di regolamento titoli, così in materia ancora di factoring cioè cessioni in blocco di crediti di impresa.

Quindi notiamo che prima della riforma c'era un po' una babele delle lingue perché tra norme della legge fallimentare e norme speciali risultava ormai difficile individuare quale fosse la regola base sulla sorte dei rapporti giuridici non ancora inseriti alla data di fallimento.


A questo scopo la riforma ha anzitutto operato una distinzione tra l'ipotesi in cui l'attività d'impresa prosegue e l'ipotesi in cui invece l'attività d'impresa cessa con dichiarazione di fallimento

se l'impresa deve andare avanti, ovviamente il curatore deve poter disporre di tutti i rapporti giuridici preesistenti e dei beni o servizi che questi rapporti giuridici gli garantivano.

Quindi la regola è che i rapporti pendenti proseguono con il fallimento nel caso venga autorizzato la continuazione dell'impresa salvo la facoltà del curatore di sciogliersi da quei contratti o richiedere la sospensione dell'efficacia

Questo ci fa capire come la tutela del terzo contraente non sia un vero problema, la sua posizione sta criticata perché l'interesse preminente che viene tutelato è l'interesse della massa. Allora in funzione della prosecuzione dell'attività si impone al terzo contraente di avere a che fare non con il suo contraente originale ma con il curatore fallimentare;


Nell'ipotesi in cui invece l'attività dell'impresa cessi si applicheranno le regole degli art .72 e seguenti della legge fallimentare che sono diventate ancora più articolate e complesse:


Regola n°1

Il contratto in corso di esecuzione rimane sospeso per effetto del fallimento, sempre nell'ipotesi in cui non prosegue l'attività d'impresa

Sarà il curatore a scegliere se proseguire oppure no il rapporto, la prosecuzione dovrà essere autorizzata dal comitato dei creditori a meno che non rientri nel programma di liquidazione (infatti l'approvazione del programma assorbe tutte le singole ipotesi di autorizzazione relative agli atti contemplati nel programma, quindi un autorizzazione necessaria in luogo di tutte le altre autorizzazioni).

A questo punto vediamo che il terzo contraente rimane appeso, egli può dunque chiedere al curatore che si pronunci entro un certo termine in modo tale da sapere se, esempio, del bene può disporre liberamente oppure No.

Questa è la regola base, ha delle applicazioni in materia di vendita e di contratti assimilati, ed ha offerto più tutela alle persone più sventurate (ad esempio quelle persone che comperano un immobile da un costruttore che poi fallisce prima che la proprietà sia passata all'acquirente; in questa situazione, prima della riforma l'acquirente perdeva il bene il quale restava nel patrimonio del fallito e per le somme gia versate al costruttore non venivano soddisfatte per intero perche l'acquirente veniva considerato creditore chirografario il quale doveva fare richiesta di domanda al passivo e veniva pagato in percentuali; oggi si prevede che con la trascrizione del contratto preliminare si possa partecipare al concorso ma nella posizione di creditore privilegiato).


Ci sono poi dei contratti considerati incompatibili con la procedura di fallimento e quindi se l'impresa è cessata si sciolgono di pieno diritto, questi contratti sono:


il contratto di conto corrente, sia ordinario che bancario;


il contratto di mandato


questi sono destinati a sciogliersi, però il contratto di mandato limitatamente alla morte del mandatario.


i contratti di borsa a termine, per i quali verrà acquisita al fallimento soltanto la differenza fra i due prezzi;



ci sono poi anche dei contratti che si sciolgono per effetto del fallimento a meno che entro un certo termine il curatore non dichiari di volerli proseguire























AVVIO DELLA PROCEDURA


Subito dopo la dichiarazione di fallimento, il curatore provvede all'apposizione dei sigilli sui beni che si trovano nella sede principale dell'impresa e sugli altri beni del debitore (prima della riforma tale compito spettava al giudice delegato).


Successivamente il curatore, dopo aver avvisato il fallito e il comitato dei creditori, con l'assistenza del cancelliere procede all'erezione dell'inventario attraverso il quale il curatore entra nel possesso dei beni del fallito (per gli immobili e per gli altri beni registrati il curatore provvede a trascrivere la sentenza di fallimento nei pubblici registri).


Il curatore dovrà anche formare e depositare in cancelleria il c.d. elenco dei creditori nel quale vengono indicati l'ammontare dei crediti e degli eventuali diritti di prelazione;

inoltre egli dovrà redigere l'elenco dei soggetti titolari di diritti sui beni in possesso del fallito.






ACCERTAMENTO DEL PASSIVO


Tutti coloro i quali vantino una pretesa nei confronti dell'imprenditore fallito devono essere fatte valere attraverso la domanda di ammissione al passivo la quale si propone con ricorso da depositare alla cancelleria del tribunale nel termine perentorio di 30 giorni prima dell'adunanza per l'esame dello stato passivo.


Le domande di ammissione al passivo sono considerate tardive se presentate oltre il termine di 30 giorni, le domande tardive sono inammissibili salvo che il ricorrente non dimostri che il ritardo non è a lui imputabile. Il creditore tardivo partecipa alla ripartizione di ciò che residua dopo il soddisfacimento dei creditori tempestivi, salve le cause di prelazione.


Se nel termine perentorio fissato nella sentenza di fallimento nessuna domanda viene presentata si verifica un caso di chiusura del fallimento.


La domanda di ammissione produce gli effetti della domanda giudiziale per tutta la durata della procedura fallimentare, il più importante di tali effetti è l'interruzione della prescrizione dei diritti vantati nei confronti del fallito.


Dopo aver depositato tutte le domande, il curatore le esamina e forma due elenchi separati: uno per i creditori e il secondo per i titolari dei diritti sui beni in proprietà o in possesso del fallito.

In questo modo viene formato il progetto di stato passivo che il curatore deposita in cancelleria almeno 15 giorni prima dell'udienza per l'esame dello stato passivo.


All'udienza il giudice delegato decide, con decreto, su ogni domanda accogliendola o rigettandola anche parzialmente.


Terminato l'esame di tutte le domande, il giudice delegato forma lo stato passivo e, con decreto, lo dichiara esecutivo (lo stato passivo quindi è l'elenco di tutti i creditori o titolari di altri diritti che hanno presentato domanda di ammissione al passivo, con indicazione per ciascuna domanda del provvedimento assunto dal giudice delegato).



È molto importante saper che i provvedimenti assunti dal giudice delegato in sede di formazione dello stato passivo producono effetti solo all'interno della procedura fallimentare: ciò significa che:


a)    in pendenza del fallimento, tutti i crediti e i diritti possono essere fatti valere solo mediante la domanda di ammissione al passivo


b)   una volta chiuso il fallimento, tutte le questioni relative ai crediti e ai diritti, riconosciuti o meno nella procedura concorsuale, possono nuovamente essere fatti valere da ciascuna delle parti interessate




Contro il decreto, attraverso il quale il giudice delegato ha reso esecutivo lo stato passivo, sono ammessi 3 rimedi processuali:


opposizione: attraverso la quale il titolare del credito o di un altro diritto nei confronti del fallito contesta che la propria domanda sia stata rigettata o sia stata accolta solo parzialmente, l'opposizione può essere rivolta solo al curatore;


impugnazione: attraverso la quale il curatore o i creditori o i titolari di altri diritti contestano il provvedimento con il quale il giudice delegato ha ammesso la domanda di un concorrente;


revocazione:attraverso la quale gli stessi soggetti che possono promuovere l'impugnazione intendono revocare dei provvedimenti di ammissione o rigetto resi dal giudice delegato, però esclusivamente quando questi provvedimenti siano viziati da falsità, da dolo, da errori essenziali,ecc.    La revocazione è proponibile solo se sono gia scaduti i termini per proporre opposizione e impugnazione.













PROGRAMMA DI LIQUIDAZIONE


Il programma di liquidazione è la proposta del curatore circa le modalità e gli strumenti della liquidazione


Questo programma viene redatto dal curatore dopo l'erezione dell'inventario, poi deve essere sottoposto a parere da parte del comitato creditori e deve essere infine approvato dal giudice delegato.



Il programma di liquidazione:


a)    può prevedere la possibilità della continuazione dell'esercizio dell'impresa e dell'affitto dell'azienda;


b)   può segnalare la presenza di una proposta di concordato fallimentare;


c)    dovrebbe indicare le azioni risarcitorie e revocatorie, nonché la possibilità di cessione unitaria dell'azienda o di singoli beni, nonché indicare anche le condizioni di vendita di beni.



Una volta approvato il programma di liquidazione possono essere avviate le operazioni di liquidazione.


























LA LIQUIDAZIONE DELL'ATTIVO



L'art 105 l.fall. afferma il principio secondo il quale il criterio primario di liquidazione è costituito dalla vendita dell'azienda, o dei beni, in blocco

Quindi la liquidazione atomistica (cioè la liquidazione dei beni fatta singolarmente) avrà luogo solo nell'ipotesi in cui risulti prevedibile che l'altro tipo di vendita non consenta una maggiore soddisfazione.


Inoltre il curatore può procedere alla liquidazione attraverso il compimento di attività di operazioni straordinarie di impresa (come ad esempio la costituzione di una società a cui conferire i beni aziendali, e poi alienare o assegnare tali partecipazioni ai creditori).


L'art 107 l.fall. disciplina le modalità di vendita, ed in particolare il primo comma detta la regola di applicazione generale a tutti i tipi di vendita e di atti di liquidazione: "il curatore, per quanto riguarda la vendita e gli atti di liquidazione, può scegliere il procedimento e gli strumenti che ritiene più utili, però vi dovrà esserci una procedura competitiva (cioè una procedura ove potenzialmente possono partecipare più soggetti da porre in competizione tra loro), nonché la stima dei beni da liquidare, nonché un'idonea pubblicità e informazione".

Dopodichè il curatore deve informare il giudice delegato e il comitato dei creditori circa l'esito della procedura di liquidazione depositando in cancelleria la relativa documentazione.

Se entro 10 giorni dal deposito di questa documentazione viene presentata istanza (perché il prezzo risulti inferiore a quello giusto) dal fallito o dal comitato dei creditori o da parte di un terzo interessato allora il giudice delegato può sospendere le operazioni di vendita.

Ciò significa che il curatore non può procedere al trasferimento dei beni oggetto di vendita se non sono trascorsi 10 giorni dal deposito della documentazione in cancelleria.




LA RIPARTIZIONE DELL'ATTIVO


La ripartizione dell'attivo è la fase della procedura fallimentare nella quale i creditori vengono soddisfatti dei loro diritti, però nei limiti di quanto realizzato e nel rispetto delle legittime cause di prelazione

L'aspetto più importante di questa fase riguarda l'ordine con il quale devono essere soddisfatti i crediti concorrenti,

il riparto deve seguire un ordine preciso il quale viene imposto dall'art 111 l.fall.:


devono essere soddisfatti prima i c.d. crediti prededucibili (cioè quei crediti che sorgono in occasione o in funzione delle procedure concorsuali);

vanno poi soddisfatti i creditori privilegiati, secondo l'ordine previsto dalla legge;

infine vanno soddisfatti i creditori chirografari in proporzione del loro rispettivo ammontare.




LA CHIUSURA DEL FALLIMENTO



Il fallimento si chiude:


a)    in caso di mancata proposizione di domande di ammissione al passivo;


b)   quando, anche prima che venga compiuta la ripartizione finale, le ripartizioni parziali raggiungono i crediti ammessi;


c)    quando sia stata compiuta la ripartizione finale di tutto l'attivo realizzato;


d)   quando viene accertato che l'attivo realizzabile non riuscirebbe a soddisfare minimamente i crediti;


e)    quando viene proposto concordato fallimentare.



La chiusura del fallimento è disposta dal tribunale.


Con la chiusura del fallimento -escluso il caso di concordato fallimentare- i crediti che non siano stati completamente soddisfatti possono essere fatti valere nei confronti del debitore tornato in bonis, a meno che il debitore ha ottenuto il beneficio dell'esdebitazione.

Ciò significa che quando la chiusura del fallimento sia avvenuta per i casi previsti nelle lettere "c" e "d" il fallimento potrà essere riaperto entro i 5 anni dal decreto di chiusura























CHIUSURA DEL FALLIMENTO PER CONCORDATO FALLIMENTARE


Il concordato fallimentare consiste in un accordo raggiunto tra colui che ha proposto il concordato e i creditori; in base a quest' accordo il proponente paga, in percentuale o per intero, i debiti del fallito acquistando però i beni costituenti l'attivo fallimentare


I soggetti legittimati a presentare la proposta di concordato sono: uno o più creditori, il fallito, un terzo tra cui anche il curatore


Colui che propone il concordato deve presentare idonee garanzie per la soddisfazione dei crediti nei limiti offerti, nonché per il pagamento delle spese della procedura e del compenso al curatore.

La proposta di concordato deve essere approvata dalla maggioranza dei creditori e deve poi essere omologata dal tribunale


Dopo l'omologazione se le garanzie promesse non vengono date allora il concordato può essere risolto, invece se si scopre che è stato dolosamente esagerato il passivo allora il concordato può essere annullato e si riaprila procedura fallimentare


Una volta che passa in giudicato la sentenza di omologazione del concordato il fallimento si chiude


Il concordato ha efficacia sia nei confronti dei creditori che siano stati ammessi al passivo e sia nei confronti degli altri creditori anteriori alla dichiarazione di fallimento, quest'ultimi dopo l'omologazione del concordato potranno pretendere dal proponente solo il pagamento nei limiti previsti nella proposta di concordato.
























LA ESDEBITAZIONE


L'istituto dell'esdebitazione è stato introdotto dalla recente riforma.


Abbiamo detto che dopo la chiusura del fallimento i creditori che non sono stati integralmente soddisfatti possono agire nei confronti del fallito tornato in bonis per tentare di recuperare il credito residuo (ad eccezione in caso di chiusura per concordato fallimentare);

però se il fallito riesce ad ottenere il beneficio dell'esdebitazione, egli sarà liberato sia dai creditori concorsuali concorrenti non soddisfatti (cioè da tutti quei creditori ammessi al passivo) i quali però potranno sempre agire nei confronti eventuali coobbligati e fideiussori del fallito, e sia dai creditori concorsuali non concorrenti (ossia da tutti quei creditori anteriori al fallimento i quali non hanno fatto domanda di ammissione al passivo),quest'ultimi potranno pretendere solo il pagamento nei limiti della percentuale pagata ai creditori concorsuali.



Tale beneficio può essere concesso solo al fallito persona fisica e non alle società, e può essere concesso solo quando ricorrono alcuni requisiti oggettivi e soggettivi:


a)    requisito oggettivo: nel corso della procedura di fallimento devono essere stati soddisfatti, almeno in parte, i creditori ammessi al passivo;




b)   requisiti soggettivi


il fallito abbia cooperato con gli organi della procedura;

il fallito non abbia ritardato lo svolgimento della procedura;

il fallito abbia sempre consegnato al curatore la propria corrispondenza;

non abbia beneficiato dell'esdebitazione nei 10 anni precedenti alla richiesta;

non sia stato condannato per certi reati connessi all'attivita d'impresa.


Il beneficio dell'esdebitazione viene concesso dal tribunale attraverso decreto che chiude il fallimento, esso è reclamabile.





IL CONCORDATO PREVENTIVO



Il concordato preventivo è una procedura prevista al fine di evitare che ad un soggetto venga applicata la procedura fallimentare.


La riforma ha innovato sostanzialmente l'istituto del concordato preventivo mutandone i presupposti, la funzione e il procedimento:

da una parte è venuta meno l'esigenza che l'imprenditore, il quale intenda accedere a tale procedura, presenti caratteri formali e sostanziali di meritevolezza;

dall'altra, il presupposto oggettivo della procedura non è più lo stato di insolvenza bensì è lo stato di crisi

È rimasta invece immutata l'esclusiva legittimazione dell'imprenditore per richiedere la procedura, cioè il carattere volontario della procedura stessa.


Il presupposto soggettivo è la sola qualità di imprenditore commerciale con esclusione degli enti pubblici e del piccolo imprenditore.


La procedura non ha più funzione premiale per l'imprenditore meritevole, bensì ha la funzione di risolvere lo stato di crisi di qualsiasi imprenditore commerciale;

gia sappiamo che lo stato di crisi comprende una vasta gamma di situazioni che vanno da mere condizioni di difficoltà economiche dell'imprenditore sino allo stato di insolvenza


Un altro importantissimo cambiamento introdotto dalla riforma è costituito dal fatto che non viene più richiesto, come condizione di proponibilità della proposta, alcun limite nella percentuale di soddisfacimento dei creditori chirografari, cioè oggi gli può essere offerta qualsiasi percentuale del credito.

Invece forti dubbi sussistono sulla sopravvivenza del principio secondo il quale ai creditori privilegiati debba essere assicurato il pagamento integrale del loro credito (a dire il vero, da un interpretazione sistematica delle nuove norme emerge che anche per i creditori privilegiati possa essere previsto un soddisfacimento non completo rispetto al valore della garanzia di cui godono).


















FASE PRELIMINARE


Il debitore, che è l'unico che può richiedere il concordato preventivo, deve depositare presso il tribunale la proposta di concordato preventivo, questa proposta deve contenere un piano nel quale devono essere indicati i mezzi, le modalità e gli strumenti per una ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti.


Destinatari della proposta sono i creditori chirografari e i creditori privilegiati

I creditori privilegiati , cui sia stato promesso il pagamento integrale del debito, dopo l'omologazione del concordato dovranno essere soddisfatti spontaneamente altrimenti potranno agire esecutivamente sui beni sui quali vantano un diritto di prelazione.


La proposta, che si sostanzia in un piano, è lasciata all'autonomia dell'imprenditore, la legge indica solo quale deve essere il suo possibile contenuto; queste sono le previsioni normative:


ristrutturazione dei debiti e soddisfazione dei crediti, operazioni che possono essere conseguite in qualsiasi modo;

l'attribuzione dell'attivo ad un assuntore il quale si obblighi ad estinguere i debiti nei limiti quantitativi indicati nella proposta stessa.


Inoltre la proposta può prevedere sia la suddivisione dei creditori in classi, e sia anche trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse.





IL PROVVEDIMENTO DI AMMISSIONE E I SUOI EFFETTI



Il tribunale dovrà verificare il ricorso fatto dal debitore controllando l'esistenza dell'attestazione del professionista in ordine alla veridicità dei dati aziendali e alla fattibilità del piano.


Ora nel caso in cui mancano le richieste attestazioni del professionista, occorre distinguere a seconda che il tribunale riscontri o nolo stato di insolvenza


a)    se il tribunale riscontra lo stato di insolvenza: allora prima di pronunciarsi sulla domanda deve ordinare la comparizione del debitore in camera di consiglio; e qualora ritenga che non sussistono le condizioni indicate dalla legge, d'ufficio dichiara fallimento.


b)   Se il tribunale invece riscontri uno stato di crisi che non si risolve in uno stato di insolvenza allora il tribunale si limiterà a dichiarare inammissibile la domanda.



Se il tribunale riconosce ammissibile la proposta, apre la procedura con un decreto attraverso il quale nomina un giudice delegato e un commissario giudiziale, poi ordina la convocazione dei creditori e stabilisce un termine entro il quale il debitore dovrà depositare una somma presumibilmente necessaria per l'intera procedura.

Il decreto di ammissione alla procedura non è impugnabile in quanto si ritiene che la sede del suo riesame sia il giudizio di omologazione.



Una cosa molto importante è che il debitore, anche dopo l'ammissione della procedura, conserva l'amministrazione dei propri beni e prosegue l'esercizio della sua impresa

però ci sono una serie di atti di straordinaria amministrazione che restano inefficaci nei confronti ai creditori anteriori alla proposta di concordato se questi atti sono stati compiuti senza autorizzazione scritta del giudice delegato.


Qualora il commissario giudiziale scopre che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell'attivo o che comunque scopre che la procedura non può più essere utilmente continuata, dovrà riferire al tribunale il quale dichiarerà fallimento, questo accade solo se viene accertato lo stato di insolvenza.


L'ammissione alla procedura di concordato preventivo non incide sui rapporti contrattuali in corso di esecuzione; invece essa opera, come fatto preclusivo, per l'inizio o la prosecuzione di azioni esecutiva da parte dei creditori sui beni del debitore.




Dopo che il tribunale ha riconosciuto ammissibile la proposta di concordato preventivo, il commissario giudiziale deve convocare tutti i creditori, deve redigere l'inventario del patrimonio del debitore e deve predisporre una relazione che illustri le cause della crisi e la proposta di concordato


Dopodichè la proposta deve essere sottoposta ad approvazione da parte dei creditori; dovranno esprimere il proprio voto sulla proposta di concordato:


a)    creditori chirografari;

b)   i creditori privilegiati che rinunciano, anche parzialmente, al privilegio (gli effetti della rinuncia cessano se il concordato non ha luogo o se viene risolto o annullato);

c)    creditori privilegiati non pienamente soddisfatti;



il concordato viene approvato se riporta il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi

Il mancato raggiungimento delle maggioranze non legittima la dichiarazione di fallimento se manca il presupposto dello stato di insolvenza.















OMOLOGAZIONE DEL CONCORDATO PREVENTIVO



Una volta raggiunte le maggioranze previste, l'accordo deve essere

omologato o approvato dal Tribunale con decreto motivato


Che cosa deve verificare in concreto il Tribunale ?


Secondo la lettera dell' art. 180 il tribunale dovrebbe limitarsi a verificare il

raggiungimento delle maggioranze, salvo che non debba valutare l' opposizione di

qualche controinteressato ovvero superare il dissenso di qualche classe di

creditori.


Intervenuto il decreto di omologazione, per i debiti anteriori al decreto di ammissione alla procedura il debitore risponderà nei limiti del concordato, invece per i debiti sorti successivamente al decreto di ammissione alla procedura il debitore risponderà secondo le regole comuni


Una volta omologato, il concordato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla domanda di ammissione e, una volta soddisfatti nei limiti del concordato, ogni obbligazione del debitore nei loro confronti è estinta.

Invece i creditori, nei confronti dei coobbligati e dei fideiussori, conservano impregiudicati i loro diritti.


Il commissario giudiziale controlla l'esecuzione del concordato e ne riferisce al giudice delegato; la risoluzione o l'annullamento del concordato comportano la dichiarazione di fallimento, sempre che sussista lo stato di insolvenza.


È molto importante ricordare che in caso di fallimento successivo alla omologazione del concordato, gli atti e i pagamenti fatti in esecuzione del concordato non sono soggetti all'azione revocatoria





































LA CONCORRENZA



L'art 41 della costituzione garantisce la libertà d'iniziativa economica e privata, ma prevede accanto ad essa un intervento pubblico nell'economia; quindi l'iniziativa economica e privata deve esplicarsi nell'ambito delle regole dettate dallo stato.


Il nostro ordinamento adotta il principio della libera concorrenza, in quanto si ritiene che la concorrenza induca gli imprenditori a migliorare la qualità dei propri prodotti e a diminuire i prezzi.


La libertà di iniziativa economica sancita dalla costituzione trova il limite nel principio della libera concorrenza, nel senso che l'ordinamento non vede di buon occhio la costituzione di monopoli o oligopoli.

La repressione dei fenomeni di monopolio e di oligopolio, nell'ambito dell'unione europea e all'interno del mercato nazionale, è affidata, rispettivamente, al Trattato istitutivo della CEE e alla c.d. legge antitrust 287/1990




LIMITAZIONI LEGALI ALLA LIBERTA' DI CONCORRENZA


Ai sensi dell'art 2595 c.c. "la concorrenza deve svolgersi in modo da non ledere gli interessi dell'economia nazionale e nei limiti stabiliti dalla legge".


Quindi la legge pone dei limiti alla libertà di concorrenza in tutti quei casi in cui alla collettività potrebbe derivare un danno anziché un beneficio.

Anzitutto ci sono delle attività il cui svolgimento è precluso ai privati e che sono riservate allo stato o ad enti pubblici, come per esempio il monopolio dei tabacchi.

Inoltre lo stato e gli enti pubblici possono concedere ai privati l'esercizio delle attività a loro riservate.

Vi sono poi delle attività il cui esercizio è subordinato alla concessione di un'autorizzazione amministrativa, come l'attività bancaria e assicurativa.



LIMITAZIONI CONTRATTUALI ALLA LIBERTA' DI CONCORRENZA


L'art 2596 c.c. prevede che due o più imprenditori possano pattuire reciprocamente limitazioni alla concorrenza, ma tale patto:


a)    deve essere provato per iscritto;

b)    è valido e circoscritto a una zona o a una attività determinate;

c) non può eccedere la durata di 5 anni.


Rientrano nell'ambito di applicazione dell'art 2596 i c.d. cartelli cioè gli accordi con i quali 1 o più imprenditori si obbligano a seguire determinate regole, e le c.d. intese.

Tali accordi, di per se leciti, diventano illeciti quando producono effetti negativi sul meccanismo della concorrenza.





CONCORRENZA SLEALE


Il codice civile detta una disciplina in merito alla repressione della concorrenza sleale agli art2598-2601 c.c.

Le norme sulla concorrenza sleale servono a tutelare NON il consumatore bensì servono a tutelare gli imprenditori da atti scorretti utilizzati da altri imprenditori per affermarsi sul mercato. Queste norme costituiscono un ulteriore limite alla libertà di concorrenza.


L'art di apertura della disciplina cioè l'art 2598 precisa subito "sono fatte salve le disposizioni che riguardano la tutela dei segni distintivi e dei diritti di brevetto".

Ciò perché la disciplina della concorrenza sleale e le discipline dei segni distintivi sono intimamente collegate dal punto di vista pratico (esempio: la violazione di un brevetto non viene mai in considerazione solo dal punto di vista della contraffazione di brevetto ma anche dal punto di vista della scorrettezza concorrenziale.


CONCORRENZA PER CONFUSIONE

L'art 2598 n°1 considera atti scorretti dal punto di vista concorrenziale, anzitutto tutti quegli atti che possono determinare una confusione tra le attività di due o più imprese (concorrenza per confusione); come:


a)    usare nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi e i segni distintivi legittimamente usati da altri;

b)    imitare servilmente i prodotti di un concorrente;

c) compiere con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e le attività di un concorrente.


Quello della idoneità a creare confusione è l'elemento base relativo a tutte e tre le ipotesi menzionate: per esempio l'imitazione di prodotti altrui non è vietata in se per se, ma è vietata solo se è idonea a creare confusione.



CONCORRENZA PER DENIGRAZIONE E APPROPRIAZIONE PREGI

L'art 2598 n°2 considera atti scorretti dal punto di vista concorrenziale tutti gli atti con cui un imprenditore mira a determinare un discredito ovvero ad appropriarsi dei pregi dell'attività o dei prodotti di un concorrente.


Quindi è illecita la diffusione di qualsiasi notizia o apprezzamento idoneo a screditare il concorrente, anche se si tratta di notizie vere o sorrette dall'opinione di esperti.


In passato era considerata illecita anche la pubblicità comparativa la quale consiste nel raffronto del proprio prodotto con quello di un concorrente, con una valutazione positiva del primo ed una valutazione negativa del secondo.

Questa forma di pubblicità era inclusa nelle ipotesi di denigrazione di prodotti altrui e quindi veniva sanzionata come forma di concorrenza sleale ai sensi dell'art 2598 n°2.

Attualmente però la pubblicità comparativa è ammessa entro i limiti imposti dal codice del consumo








CONCORRENZA PER SCORRETTEZZA PROFESSIONALE


L'art 2598 n°3 ritiene responsabile di concorrenza sleale "l'imprenditore che si vale, direttamente o indirettamente, di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda".


Questa norma può essere applicata in svariate ipotesi, tra cui le più frequenti sono quelle di c.d. storno di dipendenti (cioè convincere i dipendenti chiave di un'altra azienda a passare alle proprie dipendenze con l'unico scopo di indebolire il concorrente).


Ricordiamo che la disciplina si fonda sulla protezione degli imprenditori da altri imprenditori, quindi il giudice deve essere rigoroso nell'applicare questa norma: ciò che può apparire scorretto in un determinato settore potrebbe non esserlo in un altro settore, inoltre la qualificazione dell'atto come scorretto dipende dalla sua idoneità a danneggiare l'altrui azienda.


Il giudice ha detto che: costituisce atto di concorrenza sleale a norma dell'art 2598 n°3 lo sfruttamento a proprio profitto dell'organizzazione di un'impresa concorrente. Ciò si verifica quando il risultato viene conseguito attraverso l'attività infedele di un dipendente di un'impresa concorrente il quale fornisce informazioni riservate sull'organizzazione dell'impresa in cui lavora.



ACCERTAMENTO DELLA CONCORRENZA SLEALE E PROVVEDIMENTI DEL GIUDICE


La repressione della concorrenza sleale si articola in una serie di azioni giudiziarie che il concorrente o i concorrenti in pericolo di essere danneggiati dall'atto di concorrenza possono esercitare nei confronti del concorrente agente (e, secondo la giurisprudenza, anche nei confronti dell'eventuale terzo complice).


In particolare: l'imprenditore che si ritiene minacciato da atti scorretti di un concorrente può, indipendentemente dal fatto di aver subito un danno, ottenere che il giudice -dopo aver accertato l'illiceità dell'atto- vieti la prosecuzione degli atti stessi (c.d. azione inibitoria) e, in certi casi, anche la distruzione delle cose servite per compiere questi atti (c.d. azione di rimozione tutto ciò indipendentemente dalla colpa o dal dolo di colui che ha posto in essere tali atti


Poi, se il giudice accerta che tali atti di concorrenza sleale sono stati posti in essere con dolo o con colpa condanna il responsabile al risarcimento del danno; in queste ipotesi il giudice può, in aggiunta, disporre la pubblicazione della sentenza su uno o più giornali al fine di cercare di riparare il danno.


È importante tenere in considerazione che, ai sensi dell'art 2600 c.c. (là dove dice che "accertati gli atti di concorrenza sleale, la colpa si presume), l'imprenditore che ha subito atti di concorrenza sleale per ottenere il risarcimento del danno deve solo provare che il concorrente ha posto in essere gli atti di concorrenza sleale e che da tali atti egli ha subito o potrebbe subire un danno. Sarà il concorrente convenuto in giudizio a dover provare (oltre al fatto che gli atti non sono stati posti in essere da lui o che non sono atti scorretti) che egli non ha agito con dolo o con colpa, al fine di evitare di essere condannato al risarcimento del danno.


Le azioni necessarie per reprimere atti di concorrenza sleale possono essere esercitate anche dalle associazioni professionali e dagli enti che rappresentano la categoria quando tali atti pregiudicano gli interessi di una categoria professionale art 2601 c.c

LA  DISCIPLINA DELLA CONCORRENZA NELL'UNIONE EUROPEA


Abbiamo detto prima che la repressione dei fenomeni di monopolio e di oligopolio, nell'ambito dell'unione europea è affidata al Trattato istitutivo della CE.


Il cardine della disciplina comunitaria sulla concorrenza è costituito dagli artt. 85 e 86 del Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea.


In particolare ai sensi dell'art 85 del Trattato sono vietate le intese, cioè "tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazione di imprese e tutte le pratiche concordate" che possano pregiudicare il commercio tra gli stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato comune.

Sono nulle in particolare le intese che hanno come oggetto:

a)    fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita;

b)    limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico e gli investimenti;

c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;

d)    applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza;


Invece l'art 86 del Trattato dichiara incompatibile con il mercato comune e vietato lo sfruttamento in modo abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato comune o su una parte sostanziale di esso.


Manca, dunque, nel trattato CE una specifica disciplina delle concentrazioni, non sempre riconducibili alla fattispecie delle intese; però dopo un lungo periodo la lacuna è stata colmata con l'emanazione del regolamento CEE dell'89 il quale prevede che: "le imprese interessate devono preventivamente notificare alla Commissione le operazioni di concentrazione che per le loro caratteristiche quantitative siano di dimensione comunitaria".

Dopodichè la Commissione valuta se le operazioni di concentrazione creano o rafforzano una posizione dominante, da cui risulta che una concorrenza effettiva sia di fatto ostacolata in modo significativo nel mercato comune o in una parte sostanziale di esso;  

le operazioni valutate negativamente vengono vietate, e se si tratta di operazioni gia realizzate la Commissione adotta misure idonee a ripristinare la concorrenza.


Destinatarie di tutte queste norme sono tutte le imprese che operano all'interno del mercato comune













DISCIPLINA DELLA CONCCORRENZA IN ITALIA LEGGE ANTITRUST




La legge 10 ottobre 1990 n°287 legge antitrust), che disciplina la concorrenza in Italia, è espressamente modellata sulla disciplina della comunità europea.


La legge antitrust si applica alle intese, agli abusi di posizione dominante e alle concentrazioni di imprese che non ricadono nell'ambito di applicazione degli artt. 65 e/o 66 del Trattato istitutivo della Comunità Europea del carbone e dell'acciaio e degli artt. 85 e/o 86 del Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea.


Al fine di controllare il funzionamento del mercato nazionale è stata istituita l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (autorità antitrust). Questa, qualora ritenga che una fattispecie al suo esame non rientri nell'ambito di applicazione della legge antitrust italiana, ne informa la commissione delle Comunità europee cui trasmette tutte le informazioni in suo possesso.


Le disposizioni della legge antitrust si applicano alle imprese sia private che pubbliche o a prevalente partecipazione statale. Non si applicano alle imprese che per disposizione di legge esercitano gestendo servizi di interesse economico generale o che operano in regime di monopolio sul mercato



INTESE


L'art 2 della legge antitrust si apre con la definizione di intese, tali sono:

a)    gli accordi tra imprese;

b)    le pratiche concordate tra imprese;

c) le deliberazioni tra consorzi, associazioni di imprese e simili.


Trattando l'art 2596 c.c. abbiamo prima visto che tali intese sono lecite in se per se; diventano illecite e quindi vengono vietate quando hanno per oggetto o come effetto quello di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale.

Sono nulle in particolare le intese che hanno come oggetto (si noti qui la corrispondenza col Trattato CE):

a)    fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita;

b)    limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico e gli investimenti;

c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;

d)    applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza;


L'Autorità antitrust può autorizzare intese o categorie di intese altrimenti vietate, ma che soddisfano requisiti indicati nell'art. 4 della legge antitrust c.d. autorizzazione in deroga



L'art 2 della legge antitrust si chiude con la precisazione che le intese vietate sono nulle ad ogni effetto.



ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE


L'abuso di posizione dominante è disciplinato dall'art 3 della legge antitrust che prevede il divieto dell'abuso da parte di una o più imprese di una posizione dominante all'interno del mercato nazionale.


Come per le intese, anche la posizione dominante può considerarsi lecita; è illecito l'abuso di essa.




CONTROLLO SULLE INTESE E SULLE POSIZIONI DOMINANTI


La legge antitrust prevede un'apposita procedura istruttoria per verificare l'esistenza di infrazioni ai divieti relativi alle intese e agli abusi di posizione dominante; l'Autorità antitrust può avviare questa procedura dopo aver valutato gli elementi in suo possesso o quelli portati a conoscenza da chiunque vi abbia interesse.


Le imprese stesse possono preventivamente comunicare all'Autorità le intese intercorse; l'Autorità, se non avvia l'istruttoria entro 120 giorni dalla comunicazione, non può più procedere a detta istruttoria salvo nel caso di comunicazioni incomplete o no veritiere.


Inoltre l'Autorità può anche procedere, d'ufficio o su richiesta del Ministro dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato, a indagini conoscitive nei settori economici quando si verificano circostanze che facciano presumere che la concorrenza sia impedita, ristretta o falsata.


Se a seguito dell'istruttoria l'Autorità scopre intese vietate o abusi di posizione dominante, fissa alle imprese o agli enti interessati il termine per l'eliminazione delle infrazioni stesse.

Nei casi di infrazioni gravi, l'Autorità inoltre dispone l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10% del fatturato.

Nei casi di reiterata infrazione l'Autorità può disporre la sospensione dell'attività d'impresa fino a 30 giorni.




OPERAZIONI DI CONCENTRAZIONE


Anzitutto precisiamo quando si ha concentrazione, si ha concentrazione quando:


a)    quando due o più imprese procedono a fusione;

b)    quando uno o più soggetti in posizione di controllo di almeno un'impresa o quando una o più imprese acquisiscono il controllo dell'insieme o di parti di una o più imprese, direttamente o indirettamente, sia mediante l'acquisto di azioni e sia mediante qualsiasi altro mezzo;

c) quando due o più imprese procedono alla costituzione di un'impresa comune attraverso la costituzione di una nuova società.


L'art. 5 della legge antitrust precisa che l'assunzione del controllo di un'impresa non si verifica nel caso in cui una banca o un istituto finanziario acquisti, all'atto di costituzione di una impresa o dell'aumento del suo capitale, partecipazioni in tale impresa al fine di rivenderle sul mercato, a condizione che durante il periodo di possesso di queste partecipazioni (comunque non superiore ai 24 mesi) non eserciti i diritti di voto inerenti alle partecipazioni stesse.



CONTROLLO SULLE OPERAZIONI DI CONCENTRAZIONE


Le operazioni di concentrazione devono essere preventivamente comunicate all'Autorità antitrust quando


a)    il fatturato totale realizzato a livello nazionale dall'insieme delle imprese interessate sia superiore a 313 milioni di euro circa

b)    il fatturato totale realizzato a livello nazionale dall'impresa di cui è prevista l'acquisizione sia superiore a 31 milioni di euro circa.



L'Autorità valuta se le operazioni di concentrazione comportino la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante sul mercato nazionale in modo da eliminare o ridurre in modo sostanziale la concorrenza;

al termine dell'istruttoria l'Autorità, se accerta che l'operazione di concentrazione comporta conseguenze negative, può


a)    vietare la concentrazione;

b)    autorizzarla prescrivendo però le misure necessarie a impedire tali conseguenze.



Se invece nel corso dell'istruttoria non emergono pericoli relativi all'operazione di concentrazione allora l'Autorità chiude l'istruttoria e comunica alle imprese interessate e al Ministro dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato le proprie conclusioni in merito all'istruttoria.


Se l'operazione di concentrazione è gia stata realizzata , l'Autorità può prescrivere le misure necessarie a ripristinare le condizioni di concorrenza effettiva eliminando tutti gli effetti distorsivi.


Qualora le imprese realizzano un operazione di concentrazione nonostante il divieto dell'Autorità antitrust, le verranno applicate sanzioni amministrative pecuniarie non inferiori all'1% e non superiori al 10% del fatturato delle attività d'impresa oggetto della concentrazione.


































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