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Riassunti di Diritto commerciale Cap. I "I soggetti e le attività" (37-85, 177-180)

economia



Riassunti di Diritto commerciale Cap. I "I soggetti e le attività" (37-85, 177-180)

L'imprenditore. L'esercizio professionale di attività economica organizzata.


L'art. 2082 definisce imprenditore "chi esercita professionalmente l'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi".

I requisiti per un imprenditore sono:

a) L'esercizio di un'attività economica. Per attività si intende una serie di atti coordinati tra di loro rivolti a perseguire un medesimo fine. Questa attività deve essere economica, cioè rivolta alla produzione o allo scambio di beni e servizi.

b) L' attività economica deve essere organizzata (art. 2082). E' necessaria un' organizzazione tra capitale e lavoro dedicati al fine produttivo, e questo implica per l' imprenditore la correlativa responsabilità (artt. 2055 - 1655). Ne consegue l' organizzazione gerarchica dell' impresa al cui vertice viene posto proprio l' imprenditore (art. 2086). Occorre un etero-organizzazione e laddove questa è assente non c'è impresa (p.e. i portabagagli o le guida non sono imprenditori, non perché non praticano un attività economica ma perché non hanno un organizzazione esterna; gli intellettuali possono considerarsi imprenditori nel momento in cui esercitano all' interno di un' organizzazione produttiva).



c)  L'attività economica deve essere esercitata professionalmente. Nel concetto di professionista è insito quello di continuità e di abitualità. Non hanno carattere professionale e quindi imprenditoriale tutte quelle attività economiche organizzate praticate occasionalmente, ma lo saranno quelle praticate stagionalmente (oleifici, cantine, etc.).

d) Perché si abbia un imprenditore occore che l'esercizio professionale dell'attività economica sia organizzata ai fini dello scambio di almeno un parte dei prodotti e dei servizi dell'attività.

e) L' attività economica deve essere svolta con lo scopo di ricavarne un utile patrimoniale, ma l'intento speculativo non è essenziale all' imprenditore. L' imprenditore, per essere tale, deve perseguire uno scopo egoistico ovvero un qualsiasi interesse patrimoniale a lui riconducibile.


La spendita del nome. L'imprenditore occulto.


E' imprenditore chi esercita, nei modi sopra descritti, un attività particolarmente qualificata; e, poiché l' attività si compone di atti, ciò significa che è l'imprenditore colui che compie gli atti dell'impresa, assumendo su di se gli effetti, attivi e passivi, che a tali atti si ricollegano. La legge prevede (delle volte impone) che un soggetto agisca in nome dell'imprenditore, e questo può avvenire in due modi: spendendo il nome del rappresentato facendogli pervenire direttamente gli effetti degli atti (art. 1704), oppure in nome proprio acquisendo in proprio gli effetti degli atti per poi trasferirli in un secondo momento al rappresentato(art. 1705).

Unitariamente, nel primo caso, il rappresentato viene riconosciuto nella figura dell' imprenditore e quindi si applica la disciplina inerente.

Nel secondo caso (prestanome) la cosa si complica. Chi assume gli effetti degli atti è senza dubbio imprenditore. Ma come si considera il rappresentato o meglio "l'imprenditore occulto"?

Ci sono molte teorie su come questo debba essere disciplinato ma restano tuttavia dubbie. Per questo è imprenditore colui che presta il nome (ovvero colui nel cui nome l'attività viene esercitata), mentre l'imprenditore occulto è un imprenditore limitatamente alla sua responsabilità e quindi non a tutti gli effetti.


L'impresa come attività e come fatto giuridico in senso stretto.


L'impresa come attività è caratterizzata rispetto alle altre attività per essere economica, organizzata, esercitata professionalmente per il mercato.  L'impresa e gli atti che la compongono sono disciplinate separatamente quindi il termine impresa non è soltanto un nome. Quindi impresa, imprenditore, azienda sono figure giuridiche in senso stretto.


Le diverse specie di imprenditore ed i loro statuti.


Esistono varie specie di imprenditori e si distinguono per la natura della loro attività (imprenditori commerciali e imprenditori agricoli) e per la dimensione della dimensione d'organizzazione d'impresa(piccoli imprenditori e grandi imprenditori). Ognuno d questi viene disciplinato di volta in volta da un proprio insieme di norme (statuto speciale), e contemporaneamente esiste uno statuto generale, (da cui si diramano quelli speciali), che disciplina tutte le specie.

Naturalmente su come applicare queste discipline ci sono opinioni molto contrastanti ed è quindi per questo molto difficile (giuridicamente) individuare se un impresa sia commerciale o agricola.

Un'altra distinzione va fatta tra imprenditore individuale e imprenditore collettivo, imprenditore privato e imprenditore pubblico poiché a seconda del caso si applicano discipline differenti.


L'imprenditore agricolo e l'imprenditore commerciale.


Le due figure, imprenditore agricolo e imprenditore commerciale, sono complementari. Il legislatore, per segnare i confini d'impresa agricola,  ha distinto le attività agricole in due grandi categorie: attività agricole principali (attività rivolte alla coltivazione di un fondo, alla silvicoltura, all'allevamento di animali precisando che tali devono intendersi alla cura ed allo sviluppo.art.21351,2) e attività agricole per connessione (si intendono attività agricole connesse le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti ottenuti dalle attività agricole principali art. 21353 ). Quindi le attività connesse a quella agricola principale sono di tipo commerciale.

Per questo motivo dobbiamo fare un ulteriore distinzione per le attività connesse che possono essere tipiche (definite dalla legge) e atipiche(non definite dalla legge ,che possono essere la raccolta di fonghi o qualsiasi altra attività di semplice raccolta).

Quindi possiamo dire che le attività connesse esercitate dallo stesso imprenditore agricolo dell'attività agricola principale devono avere, rispetto a quest' ultima, carattere accessorietà e di strumentalità.

Devono considerarsi attività commerciali: attività industriali diretti alla produzione di beni e servizi, attività intermediarie nella circolazione dei beni, attività di trasporto per terra, per acqua o per aria, attività bancarie e assicurative, altre attività ausiliari alle precedenti (art. 2195). Si può notare una piccola differenza con la nozione di impresa in generale, cioè che in questo caso si parla di attività industriale. Questo ci porta a dire che un'attività è commerciale solo se la produzione è industriale.


Il piccolo imprenditore.


Poiché mentre l'imprenditore commerciale è soggetto ad un suo statuto speciale il piccolo imprenditore, ne è in larga parte esente. L'art. 2083 definisce piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un' attività prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia. Gli ultimi due tipi individuati sono molto generali ma allo stesso tempo molto chiari: non è piccolo imprenditore agricolo colui che coltiva un fondo la cui estensione supera la capacità lavorativa dei componenti familiare, oppure non è considerabile piccola impresa commerciale una società di commercianti.

Possiamo concludere che la soglia dell'applicazione dello statuto del grande imprenditore, e in particolare del grande imprenditore commerciale, venga affidata alla valutazione del giudice sulla base della prevalenza del lavoro proprio e familiare.


Il coltivatore diretto del fondo e l'artigiano nella legislazione speciale.


Riguardo al coltivatore diretto di un fondo viene abbandonato parzialmente il contenuto dell'articolo 2083: infatti è sufficiente che la capacità lavorativa della famiglia dell'imprenditore sia un terzo della forza lavoro necessaria alla coltivazione.

Parlando dell'artigianato sorgono alcuni problemi: dal punto di vista delle modalità di svolgimento dell'impresa, si precisa che l'impresa per essere artigiana deve essere esercitata personalmente e professionalmente dall'imprenditore, che deve dirigerla gestire e svolgere in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo; Dal punto di vista delle dimensioni d'impresa si determina il numero massimo dei dipendenti che devono essere diretti personalmente dall'imprenditore artigiano (da 8 per le imprese di trasporto a 60 per le imprese artistiche etc.);

Dal punto di vista della forma si afferma, infine, che è artigiana l'impresa che è costituita ed esercitata in forma di società, anche cooperativa, escluse le società per azioni ed in accomandita per azioni, a condizione che la maggioranza dei soci, ovvero uno nel caso di due soci, svolga in prevalenza lavoro personale, anche manuale, nel processo produttivo e che nell'impresa il lavoro abbia funzione preminente sul capitale.

Da questa definizione si notano molte differenze con l'art. 2083 e non è molto chiaro perciò quale disciplina applicare a questo tipo d'impresa ma si tende a non ritenere l'artigianato come piccola impresa.


La capacità dell'esercizio d'impresa.


L'impresa, come detto precedentemente, va riconosciuta nel suo complesso come fatto giuridico e per questo motivo non si parlerà mai d'impresa valida o invalida (disciplina predisposta a rimuovere gli effetti degli atti giuridici viziati), ma piuttosto di impresa consentita oppure vietata. Possiamo anche dire che l'attività potrà essere reale o solamente apparente, ma non potrà ad essa mai applicarsi la disciplina della simulazione nei negozi giuridici.

Si può parlare di capacità giuridica nell' ambito dell' impresa, come idoneità di un soggetto ad essere titolare a diritti ed obblighi derivanti anche da fatti giuridici in senso stretto.

Non ha invece senso parlare di capacità di agire, poiché non può riferirsi all'attività d'impresa ma soltanto ai singoli atti che concorrono a produrla.

Il nostro ordinamento non ha una disciplina specifica riguardo alla capacità (giuridica) di esercitare un'impresa agricola: considerando quello che abbiamo detto prima, un soggetto acquisterà questo tipo di capacità dal momento della nascita. Nel caso in cui il soggetto sia completamente incapace di agire, il compimento dei singoli atti d'impresa avverrà a mezzo del legale rappresentante:ma sarà comunque l'incapace ad acquistare il titolo d'imprenditore.

Per l'impresa commerciale cambiano alcune cose. Vediamo quali.

Il minore, come l'interdetto e l'inabilitato (quest'ultimo con la differenza che non puo gestire situazioni eccedenti l'ordinaria amministrazione), può esercitare il commercio, e può perciò acquistare la relativa capacità giuridica, solo quando succede, per eredità o donazione, in una impresa commerciale e sempre che la continuazione dell'esercizio sia stata autorizzata dal tribunale su parere del giudice tutelare;ma non è mai consentito che si inizi in suo nome un esercizio commerciale.

Il minore emancipato a differenza dei casi precedenti, ha tutte le facoltà di un imprenditore ma che comunque devono prima essere autorizzate dal giudice (altrimenti il soggetto sarebbe considerato incapace).


Acquisto e perdita della qualità di imprenditore.


Per acquistare il titolo di imprenditore è condizione necessaria e sufficiente l'esecizio di un'attività professionale organizzata. In coerenza il titolo si perde con l'estinzione dell'attività e di tutti i rapporti attivi e passivi preesistenti. In caso di atti precostitutivi non siamo ancora in presenza d'impresa, mentre con la dichiarazione di fallimento non si perde la qualità d'imprenditore fino a che non si sono estinti tutti i rapporti attivi e passivi dell'impresa. Tutoo questo è valido anche per le società.


Il diritto commerciale come disciplina dei soggetti, delle attività e degli atti d'impresa.


Oltre alle norme che disciplinano l'impresa come fatto giuridico, sono oggetto di studio del diritto commerciale anche tutte le discipline che regolano gli atti collegabili all'esercizio d'impresa (contratti di società, di locazione, etc.).

Si tratta di norme che possono dirsi regolatrici dagli atti giuridici, per lo più contratti, che l'imprenditore compie nell'esercizio dell'impresa, da quelli con i quali si procura la materia prima destinata alla produzione a quelli con cui colloca sul mercato i beni e i servizi che produce.

Le norme, insieme ai mercati e ai bisogni delgi imprenditori di soddisfare i bisogni dei clienti, sono cresciute e si sono differenziate molto.








PARTE PRIMA

Riassunti di Diritto commerciale Cap. II "I beni organizzati per l'esercizio dell'impresa"


L'azienda come complesso di beni organizzati per l'esercizio dell'impresa.


Il codice civile, all'art. 2555, definisce l'azienda come "il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa".

Un' altro articolo che si riferisce all'azienda, ma sotto un diverso approccio, è l'art. 2082 dove definisce l'imprenditore come il soggetto che esercita un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi. Si ha dunque una differenziazione tra azienda e impresa: l'una complesso di beni organizzati, l'altra attività economica esercitata a mezzo del complesso di beni organizzati.

Un bene ai fini dell'art. 2555 è qualsiasi oggetto di tutela giuridica. Allora l'azienda è un complesso di entità di natura assai varia, le quali vengono organizzate per l'esercizio di una data impresa. Al fine di raggiungere l'unità economica deve sussistere, tra i beni, un legame funzionale.

L'avviamento rappresenta il valore dei beni presi nel loro insieme: ciò significa che il legame funzionale ne aumenta il loro valore e che senza quest'ultimo (beni considerati separatamente) il loro valore sarebbe molto inferiore o, in alcuni casi, nullo.

E' giusto dire che l'avviamento è strettamente collegato alla clientela dell'azienda (direttamente proporzionale.) facendo però attenzione a tenere distintamente separate le due cose.

Sulla natura giuridica dell'azienda ci sono due principali teorie: una dice che l'organizzazione dei beni ha rilevanza puramente economica e quindi i beni devono essere trattati univocamente in senso giuridico, mentre l'altra considera i beni nel loro complesso e quindi dà rilevanza giuridica all'intera azienda. Le varie discipline danno sostegno a entrambi, poiché in alcuni casi prevale una teoria piuttosto che l'altra, e viceversa.


Negozi giuridici aventi ad oggetto l'azienda.


La disciplina dell'azienda è, nella sua gran parte, disciplina dedicata alla circolazione dell'azienda: più precisamente ai contratti che hanno per oggetto il trasferimento della sua proprietà e la costituzione di un diritto, reale o personale, di godimento.

La disciplina riguarda: a) la forma e la pubblicità dei contratti che realizzano la circolazione; b) la concorrenza, particolarmente pericolosa per la conoscenza dei segreti aziendali, che chi cede l'azienda, in proprietà o in godimento, è in grado di fare al concessionario, e c) la sorte dei crediti, dei debiti e dei contratti relativi all'azienda ceduta, in proprietà e in godimento.

a) Il codice civile non detta alcuna norma che imponga l'osservanza di forme particolari per la validità dei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il diritto di godimento limitandosi a far salva l'osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l'azienda o per particolari forme di contratto. Una particolare forma può perciò discendere dalla natura dei beni o del contratto, mai dal fatto che l'azienda è oggetto del contratto. Nel caso che l'alienante o l'acquirente o entrambi siano imprenditori, allora il rapporto deve essere provato, per iscritto e depositato per l'iscrizione nel registro delle imprese, entro trenta giorni dalla conclusione del contratto (a cura del notaio autenticante). In conclusione, la forma scritta, non richiesta per la validità del contratto, è richiesta tuttavia per i più limitati fini della prova e dell'iscrizione nel registro delle imprese.

b) L'art. 2557 configura ora l'obbligo di non concorrenza come effetto naturale del contratto: chi aliena o costituisce un usufrutto o concede in affitto un'azienda deve, salvo patto contrario, astenersi dall'iniziare una nuova impresa che per l'oggetto, l'ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dall'azienda ceduta (non prima di 5 anni o, in caso di usufrutto o affitto, la stessa durata dell'usufrutto o dell'affitto).

c)  Il legislatore ha disciplinato la sorte dei crediti, dei debiti e dei contratti inerenti all'azienda, ceduta in proprietà o in godimento, con norme che prendano in considerazione, più che i rapporti interni tra cedente e cessionario, i rapporti esterni del cedente e del cessionario con i terzi. I crediti relativi all'azienda ceduta, anche in mancanza di notifica al suo debitore o di sua accettazione, ha effetto nei confronti dei terzi, dal momento del trasferimento nel registro delle imprese. Il credito si trasferisce a titolo particolare e non universale. Questo vale anche quando l'iscrizione, come avviene per i piccoli imprenditori, non ha quella particolare efficacia, che impedisce ai terzi di opporre l'ignoranza del fatto scritto, prevista dall'art. 2193, ma solo la funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia, prevista dall'art. 85 della l. 29 dicembre 1993, n. 580.

Per quanto riguarda i debiti relativi all'azienda ceduta l'art. 25601 (con disposizione la cui applicabilità appare limitata ai contratti di trasferimento della proprietà) dichiara che l'alienante non è liberato dai debiti inerenti all'azienda ceduta se i creditori non vi hanno consentito. E' prevalente la dottrina che nel caso del silenzio delle parti si nega l'accollo dei debiti, ma nonostante questo giuridicamente vale l'opposto.

Per quanto concerne i contratti stipulati per l'esercizio della azienda, l'art. 25581 e 3 stabilisce (con disposizione questa volta dichiarata espressamente applicabile anche nei confronti dell'usufruttuario e dell'affittuario per la durata dell'usufrutto e dell'affitto) che l'acquirente subentra in essi in quanto non abbiano carattere personale. Il terzo contraente può tuttavia recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia di trasferimento dell'azienda, se sussiste giusta causa. La norma ha duplice significato: nei rapporti tra alienante e acquirente la norma pone, come effetto naturale del contratto di trasferimento dell'azienda, l'acquisto, anche qui per successione a titolo particolare, dei contratti che non avevano per l'alienante carattere personale. La volontà delle parti può pero escludere il trasferimento dei contratti; nei rapporti col contraente ceduto la norma pone una disciplina della cessione del contratto in parte divergente: nell' art. 1406 è necessario il consenso del contraente ceduto, mentre nell' art. 2558 non lo è ed è "sostituito" dal diritto di recesso entro tre mesi dell'avvenuta alienazione sotto giusta causa.

Ancora diverso è il trattamento dei contratti di lavoro: In caso di trasferimento, di usufrutto e di affitto di azienda, è regola che il rapporto di lavoro continui con l'acquirente e che l'acquirente e l'alienante siano obbligati in solido per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento o della costituzione dell'usufrutto o della concessione in affitto, anche se non risultanti dai libri contabili obbligatori. Questo vale anche per il trasferimento parziale dell'azienda(art. 2112).


PARTE PRIMA

Riassunti di Diritto commerciale Cap. III "La documentazione"


Le scritture contabili dell'imprenditore commerciale.


Le scritture contabili per l'imprenditore commerciale non piccolo si dividono in obbligatorie in via generale e in via speciale (vanno in base alle dimensioni e alla natura dell'impresa). Sono obbligatorie poiché in caso di dissesto possono essere usate per ricostruire le cause dell'avvenuto.

Le scritture obbligatorie in via generale sono:

a) il libro giornale, costituito di tutte le operazioni effettuate ordinate in senso cronologico (cronologicità e immediatezza);

b) Il libro degli inventari, che deve essere redatto all'inizio dell'esercizio e poi regolarmente ogni anno, e deve contenere l'indicazione e la valutazione di tutte le attività e di tutte le passività relative all'impresa, ed anche di quelle personali dell'imprenditore, cioè estranee all'impresa. L'inventario si conclude poi con il bilancio d'esercizio (art. 2217), ovvero lo stato patrimoniale ed il conto economico.

Per garantire l'integrità di questi documenti e per impedirne l'alterazione, tutti i documenti prima di essere messi in uso devono essere numerati progressivamente (art. 22152). Tutte le scritture devono essere tenute secondo le norme di una ordinata contabilità, e inoltre senza spazi in bianco, senza interlinee e senza trasporti in margine. Non si possono fare abrasioni, e se è necessaria qualche cancellazione, questa deve eseguirsi in modo che le parole cancellate siano leggibili (art. 2219).

Le scritture contabili devono essere conservate per dieci anni dalla data dell'ultima registrazione; e per lo stesso periodo deve essere conservata la corrispondenza (art. 2220).


Efficacia probatoria delle scritture contabili.

Le scritture contabili possono essere utilizzate per provare i fatti costitutivi delle domande e delle eccezioni avanzate nel corso di un giudizio, di cui sia parte l'imprenditore che le ha tenute. Bisogna distinguere tra efficacia probatoria a favore dell'imprenditore da quella a suo sfavore.

Solitamente le scritture contabili sono a sfavore dell'imprenditore, tuttavia chi volesse trarne vantaggio non potrebbe scinderne il contenuto.

L'efficacia probatoria delle scritture a favore dell'imprenditore è invece rimessa all'apprezzamento discrezionale del giudice ed è comunque condizionata alla regolarità della tenuta dei libri, che garantisce contro le alterazioni successive, e alla possibilità di riscontro fra i libri delle parti contrapposte. Deve quindi trattarsi di libri correttamente tenuti e di rapporti tra imprenditori inerenti all'esercizio dell'impresa (art. 2710).

I mezzi processuali per far valere l'efficacia probatoria delle scritture contabili contro l'imprenditore sono due: l'esibizione (più limitata poiché viene fatta al giudice e solo su determinate registrazioni) e la comunicazione (più ampia poiché viene fatta alla parte e su tutte le scritture contabili). Quest' ultima è ammessa solo nei casi particolarmente consentiti dalla legge: e cioè nelle controversie relative allo scioglimento delle società, alla comunione dei beni, e alla successione per causa di morte.

PARTE TERZA

Riassunti di Diritto commerciale Cap. I "Gli imprenditori collettivi"


Nozioni generali.


Le attività possono essere esercitate anche da soggetti collettivi, e dar luogo a imprese e a imprese collettive. Ma si possono entrambi avere pubblici o privati. Le distinzioni tra le varie combinazioni delle quattro alternative sopraccitate si giustificano solo per la natura dei soggetti che esercitano l'attività d'impresa.

La disciplina dell'attività di impresa individuale non coincide del tutto con quella dell'imprenditore collettivo, e quella dell'imprenditore pubblico non coincide del tutto con quella dell'imprenditore privato. Di conseguenza la distinzione tra imprenditore individuale e imprenditore collettivo e quella tra imprenditore pubblico e privato assumono rilevanza non solo ai fini della classificazione ma anche a fini di disciplina.

L'impresa privata in senso stretto è l'impresa esercitata da un soggetto del diritto privato, mentre la pubblica da un soggetto di diritto pubblico.


Gli enti pubblici esercenti l'attività di impresa.


Dato che nemmeno il codice civile ci sa dire quale siano gli enti pubblici che possono esercitare l'attività d'impresa dovremo vedere quali attività questi, secondo la legge, sono abilitati a compiere. Possono così esercitare attività d'impresa: lo Stato, le Regioni, le Province e i Comuni ai quali è riconosciuto anche l'esercizio di attività economiche di diritto privato.

A tutte le categorie di enti pubblici si applica lo statuto generale dell'imprenditore ma non si applicano gli istituti del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e straordinaria, che costituiscono parte importante della disciplina del grande imprenditore commerciale. Nel caso in cui l'attività d'impresa sia in via secondaria allora non si applica, oltre agli istituti precedenti, l'istituto del registro delle imprese.


Gli enti privati esercenti l'attività d'impresa.


Anche ai privati è concesso di dar vita a imprese collettive. Questo viene garantito dalla costituzione (art. 18 e 41) e, riguardo alle modalità di associazione, dal codice civile (art 1322). I privati sono liberi di utilizzare tipi di contratti previsti dalla legge (contratti tipici), ma possono anche utilizzare contratti non previsti dalla legge rispettando comunque i principi generali (contratti atipici).

Tuttavia la possibilità di dar vita a contratti associativi atipici deve ritenersi limitata a quei contratti associativi che abbiano una rilevanza solamente interna e che quindi non producono effetti nei confronti di terzi. Però, essendo un contratto che produce i suoi effetti all'interno dell'azienda, non possiamo parlare di impresa collettiva e per farlo bisogna che questi effetti abbiano rilevanza esterna.

Il contratto con rilevanza esterna deve essere idoneo a produrre effetti verso terzi e, in quanto tale, tipico, dato che il contratto può produrre effetti nei confronti di terzi solo nei casi previsti dalla legge e solo nei casi previsti dalla legge può incidere sul regime della responsabilità patrimoniale (artt. 13722, 27402 ).

Agli enti privati, esercenti l'attività d'impresa, deve ritenersi applicabile lo statuto generale, e se esercenti attività commerciale lo statuto generale dell'imprenditore commerciale.

Gli enti privati che possono esercitare in via secondaria l'attività d'impresa sono le società, le società cooperative, le mutue assicuratrici, i consorzi, il gruppo europeo d'interesse economico. Le società si distinguono dalle società cooperative poiché producono gli effetti dell'attività esercitata prima su di sé, e poi in un secondo momento sul patrimonio dei soci, mentre le cooperative producono i loro effetti direttamente sul patrimonio dei soci. Per quest'ultimo tipo di società si pone lo scopo mutualistico mentre per le non cooperative si pone quello lucrativo.




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