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L'espansione dell'economia mondiale agli inizi del XX secolo

economia



L'espansione dell'economia mondiale agli inizi del XX secolo


La seconda rivoluzione industriale

Il 1896 segnò l'inizio di una nuova fase A di Kondratieff, con l'ascesa dei prezzi dell'oro, lo sviluppo del

terziario e il trionfo della classe media. Le cause dell'inversione di tendenza furono 636j96g molteplici.

La prima fu l'aumento della produzione mondiale di oro, grazie allo sfruttamento di nuovi giacimenti, allo

sviluppo di migliori metodi di estrazione e raffinazione e alla maggiore adesione degli Stati al

monometallismo aureo.

La seconda consistette nella nuova rivoluzione industriale, che stimolò la domanda e orientò gli investimenti



verso settori produttivi nuovi. Lo sforzo innovativo fu diretto soprattutto all'utilizzazione di fonti di energia

alternative rispetto al vapore come l'elettricità (dinamo, telegrafo, lampadina, ferrovie) e il motore a scoppio

(trasporti marittimi, su strada e aerei) con la conseguente ascesa dell'importanza del petrolio. In questo

modo si svilupparono la rete ferroviaria e trasporti marittimi con l'introduzione del motore a nafta. Anche il

settore chimico conobbe un notevole sviluppo, così come quello farmaceutico e quello alimentare.

La terza fu l'aumento della popolazione, particolarmente in Russia e negli Stati Uniti, favorita anche dalla

crescita dell'emigrazione oltremare. L'aumento della popolazione portò a progressi notevoli nell'istruzione e

alla riduzione o scomparsa dell'analfabetismo.

Lo sviluppo dell'economia portò alla produzione di massa e ad un incremento del commercio internazionale,

sotto la spinta dell'Europa i cui Paesi erano costretti ad importare materie prime dagli altri continenti. Questi

commercio internazionali e l'equilibrio garantito dal gold standard produssero un automatico equilibrio tra

produzione e consumo, per cui sembrarono superate le preoccupazioni del verificarsi di cause di profonda

recessione.

Nonostante lo sviluppo che conobbero Stati Uniti e Giappone, il ruolo dominante restava quello dell'Europa,

in particolare di Francia, Germania e Gran Bretagna.

Un altro aspetto importante di questo periodo storico è la nascita dei trusts e dei cartelli, cioè il verificarsi del

fenomeno della concentrazione industriale anche in chiave internazionale. Le posizioni monopolistiche che

assumevano i cartelli si ripercuotevano negativamente sui prezzi, creando scontento sociale e accentuando

la combattività del proletariato con frequenti scioperi.

La teoria economica si spostò dal liberalismo ad un sistema che comportasse una maggiore partecipazione

dello Stato nell'economia, fino all'esplosione del marxismo che individuava nella struttura capitalistica

dell'economia la causa della crescente competitività degli Stati.


L'espansione dell'economia negli Stati Uniti

A iniziare dal 1896 gli Stati Uniti conobbero una espansione economica straordinaria. Una causa di questo

fenomeno è senza dubbio la forte crescita demografica, che dipese soprattutto da una notevole

immigrazione. Gli immigrati (inizialmente inglesi, irlandesi e tedeschi, poi italiani, ebrei, polacchi, austroungarici

e russi) furono attratti dalle possibilità di occupazione offerte dagli Stati Uniti e contribuirono

attivamente all'edificazione della nuova società americana.

L'aumento della popolazione, l'ampliamento delle costruzioni ferroviarie e i progressi compiuti nei trasporti

consentirono di valorizzare nuove terre. Furono colonizzate le terre all'ovest e si passò ad una coltivazione

intensiva che tuttavia riusciva a stento a soddisfare la crescente domanda interna.

Anche la produzione industriale crebbe intensamente, addirittura raddoppiando tra il 1898 e il 1910 in alcuni

settori. La nuova industria sfruttava intensamente le innovazioni tecnologiche e in questo modo la

disoccupazione era pressoché inesistente, mentre i lavoratori erano tutelati dai movimenti sindacali che

divennero sempre più numerosi.

Infine nel 1900 fu introdotto il gold standard con il monometallismo aureo.

Ma dietro al benessere spuntavano problemi nuovi. L'accresciuta produttività industriale e agricola faceva

temere i rischi di una crisi di sovrapproduzione, per cui gli Stati Uniti si rivolsero ai mercati esteri. Dal 1896 le

esportazioni superarono costantemente le importazioni, mentre i profitti derivanti dal commercio estero

divennero esuberanti rispetto alle occasioni offerte dal mercato interno. Gli Stati Uniti quindi adottarono

dapprima misure protezionistiche a difesa del mercato interno e in seguito un ampio programma di



espansione. A provocare questa svolta nella politica estera fu in primo luogo la guerra ispano-americana per

l'isola di Cuba. Gli Stati Uniti avevano grandi interessi a Cuba, che era invece oppressa dal governo spagnolo

corrotto e tirannico. Dopo l'esplosione della corazzata americana Maine nel porto dell'Avana gli Stati Uniti

decisero di entrare in guerra contro la Spagna, che vinsero rapidamente in 10 settimane. In questo modo gli

Stati Uniti si resero conto della propria potenza e decisero di realizzare comunicazioni più rapide con il

Pacifico (in cui avevano acquisito nuovi possedimenti) tramite il taglio dell'istmo di Panama. In seguito

l'attenzione degli Stati Uniti si rivolse alla Cina e al suo ampio mercato. In ogni caso, l'espansione nel mondo

fu attuata evitando annessioni territoriali, ma piuttosto creando zone di influenza politica ed economica,

attraverso la cosiddetta "diplomazia del dollaro": con interventi massicci nell'economia di altri Stati gli Stati

Uniti acquisirono il controllo sulla loro legislazione, sul loro bilancio e sulla loro politica finanziaria. Tra questi

Stati c'erano soprattutto quelli dell'America centrale.

Fino alla vigilia della guerra i trusts avevano raggiunto una dimensione e una pervasività eccessive, facendo

crescere il costo della vita a causa delle loro posizioni monopolistiche. Allora il presidente Woodrow Wilson

approvò nel 1914 il Clayton Antitrust Act con la quale intendeva diminuire le fusioni industriali. In campo

internazionale con la Tariffa Underwood furono ridotte le tariffe doganali per favorire gli scambi e infine nel

1913 con il Federal Reserve Act fu ristruttorato il sistema bancario. Le banche di emissione furono ridotte a

12 (Federal Reserve Banks) sotto il controllo del Federal Reserve Board.

Nonostante lo sviluppo economico, i conti con l'estero rimasero passivi, a causa della dipendenza dalle

società commerciali e assicurative europee, delle rimesse di denaro ai Paesi di origine degli immigrati, delle

spese di turismo sostenute dagli americani all'estero e degli interessi e dividendi pagati al capitale straniero

investito sul mercato americano. Solo con la Prima Guerra Mondiale questa situazione si capovolse.

L'economia inglese verso il declino

Fino alla fine del 1800 l'Inghilterra aveva un ruolo dominante nel mercato internazionale, dal punto di vista

industriale, commerciale e finanziario. La forza della sterlina e la stabilità politica garantivano a Londra la

fiducia del mondo intero, mentre ogni tipo di comunicazione (interna ed esterna) progrediva notevolmente.

Tuttavia il quadro non era completamente favorevole. L'incremento demografico fu più lento rispetto al

passato a causa della riduzione della natalità; continuò il declino dell'agricoltura; le industrie restarono legate

a settori tradizionali, in cui Stati Uniti e Germania l'avevano superata; la bilancia commerciale era in deficit e

infine si ridusse la partecipazione al commercio mondiale. La guerra sudafricana inoltre mise a nudo

l'insufficienza dei mezzi militari inglesi.

La politica economica inglese rimase infine troppo a lungo legata al libero scambio, penalizzando i trusts.


Il boom dell'economia e l'imperialismo finanziario in Germania

L'impero tedesco dopo il 1896 era in pieno sviluppo. L'agricoltura aumentò la propria produttività grazie alle

innovazioni tecnologiche; l'industria mineraria conobbe una forte espansione grazie allo sfruttamento

intensivo dei giacimenti della Ruhr, provocando di conseguenza una altrettanto grande espansione nelle

industrie metallurgiche, chimiche ed elettriche.

Proseguì anche la concentrazione industriale, specie dopo il 1897, quando i cartelli ebbero riconoscimento

giuridico. Essi miravano a mantenere i pressi interni più elevati di quelli destinati all'esportazione. La

concentrazione si estese a tutti i settori, generando una nuova forma di competitività tra "giganti".

L'industrializzazione di quegli anni e la concentrazione furono agevolate dall'azione delle banche di credito,



che in questo modo si legarono strettamente alle industrie finendo per controllare la politica industriale del

Paese. Anche in campo bancario assistiamo al fenomeno della concentrazione: le principali banche tedesche

erano la Deutsche Bank, la Dresdner Bank, la Darmstadter Bank e la Disconto-Gesellschaft.

Dopo l'adozione nel 1873 del gold standard, le banche iniziarono a stabilire relazioni con l'estero, necessarie

per le nuove esigenze dell'industrializzazione: aumentarono infatti notevolmente le importazioni di materie

prime e le esportazioni di semilavorati e manufatti. La Germania, prima potenza militare del mondo, si

adoperò dopo il 1898 anche per diventare una grande potenza navale, in modo da poter attuare una politica

espansionistica (in America Meridionale, Africa Meridionale e Asia Minore) resa necessaria dalla ricerca di

nuovi mercati per i propri prodotti. La flotta fu ampliata in modo da potersi opporre a quella inglese; ben

presto le forze navali tedesche raggiunsero i 2/3 di quelle inglesi. Anche i trasporti interni migliorarono

notevolmente e lo Stato rilevò gradualmente le ferrovie private.

La Germania era dunque diventata una grande potenza che minacciava gli equilibri politici ed economici

mondiali.

L'industrializzazione in Italia

Durante il ventennio che precedette la Prima Guerra Mondiale l'Italia conobbe una vera e propria rivoluzione

industriale. La popolazione aumentò, si importavano materie prime e macchinari industriali e si esportavano

prodotti finiti, mentre il reddito nazionale, i risparmi, la produzione industriale, il commercio estero e i redditi

pro-capite crebbero notevolmente e diminuì il ruolo dell'agricoltura.

Le ragioni di questa crescita furono molteplici. Innanzitutto l'Italia beneficiava della generale espansione

dell'economia mondiale.

In secondo luogo il sistema bancario aveva assunto un ruolo fondamentale e si era strettamente legato

all'industria. In Italia si costituì un sistema bancario misto sul modello tedesco, con banche di deposito e

d'investimento operanti insieme nel settore del credito ordinario e del credito mobiliare a medio e lungo

termine. Queste banche riuscirono a mobilitare il risparmio nazionale in misura adeguata alle esigenze dello

sviluppo, anche intervenendo attivamente nella gestione delle industrie stesse.

Non bisogna poi sottovalutare l'impiego industriale dell'energia elettrica, che compensò in parte la carenza

italiana di carbon fossile. In questo modo le industrie poterono svilupparsi, soprattutto quella siderurgica, in

particolare con il trust nato dalla fusione di Terni ed Elba, che grazie alla protezione statale pose le basi della

moderna siderurgia italiana. Tuttavia il fabbisogno superava l'offerta e fu necessario ricorrere

all'importazione, in quanto le industrie italiane non erano sufficientemente efficienti.

L'industria meccanica si sviluppò più lentamente, tanto che non si riuscì a far fronte completamente al

fabbisogno di materiale rotabile.

Il settore chimico si sviluppò grazie all'impulso delle nuove applicazioni dell'elettricità e soprattutto per la

domanda di fertilizzanti in agricoltura.

Tra i tessili fu l'industria cotoniera ad avvalersi maggiormente dell'impiego dell'elettricità in luogo della forza

idraulica, mentre nel 1899 a Torino fu fondata la FIAT.

Infine l'ultimo fattore di sviluppo fu l'intervento deciso dello Stato nell'economia, che si esplicò con la

protezione doganale, facilitazioni e commesse alle varie industrie italiane.

L'industrializzazione interessò principalmente il Nord, accentuando il divario tra il Nord stesso e il Sud del

Paese. Lo Stato allora intervenne con azioni straordinarie a favore delle regioni sottosviluppate, tra le quali

particolare importanza ebbe la legge speciale per Napoli.







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