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I distretti industriali negli anni 2000 - Le prospettive di sviluppo del Mezzogiorno

economia



I distretti industriali negli anni 2000


Le prospettive di sviluppo del Mezzogiorno

Una recente indagine, effettuata dal CENSIS chiedendo direttamente alle rappresentanze industriali sul territorio di segnalare i casi più evidenti di concentrazioni produttive, ha cercato di fare il punto della situazione su possibili nuove aggregazioni che possano trasformarsi in distretti industriali veri e propri. Il risultato più interessante è dato dal fatto che regioni come Sicilia e Sardegna, da sempre in deficit di nuove iniziative provenienti dal basso, hanno dimostrato un'inattesa vitalità e, non meno importante, hanno cercato di colmare in divario mediante nuove esperienze in settori non ancorati al classico "Made in Italy". Hanno pertanto conosciuto gli onori della cronaca realtà produttive nel comune di Modugno, in provincia di Bari, in cui si producono componenti meccanici, o il comprensorio a sud di Caserta, con centro Marcianise, in cui il grande stabilimento Siemens ha contribuito alla crescita locale richiedendo la fornitura di taluni servizi specializzati, oppure il distretto dell'oro, nella stessa zona, concentrato nella struttura denominata "Il Tarì" . Qui sono localizzate circa 60 aziende produttrici (provenienti dalla zona di Piazza Orefici, a Napoli), 50 laboratori orafi che le affiancano in varie fasi della produzione (incastonatura, riparazioni, montaggio) e 90 aziende commerciali; il punto di forza di questo centro è la sicurezza: stare lontani da zone con grossa presenza criminale, al chiuso e con un buon servizio di guardia interna aiuta i piccoli artigiani a concentrarsi sulla qualità del prodotto e sulla lavorazione. In questo clima, gli artigiani cominciano a condividere alcuni servizi necessari per la loro sopravvivenza sul mercato sia nazionale sia estero. I servizi comuni comprendono la progettazione del prodotto, attraverso un centro servizi che provvede alla ideazione (dal disegno dei modelli alla creazione delle sagome su calco) e innovazione del gioiello con tecnologie molto avanzate; la gestione informatizzata della produzione, del magazzino, della contabilità, dei clienti e dei fornitori; la formazione di nuove professionalità da inserire nel circuito produttivo, dagli orafi (progettisti, tecnici di orologeria) ai quadri aziendali; il servizio marketing . Questa iniziativa ha già prodotto alcuni effetti: primo tra tutti quello di creare nuova occupazione (il 70% dei giovani che hanno frequentato i corsi di formazione hanno trovato uno sbocco professionale nel Centro); e inoltre il ritorno alla produzione di qualche azienda che da anni svolgeva esclusivamente attività commerciale.



In merito a questo centro, però, va detto che si illudono quanti intravedono nel suo decollo la nascita di un distretto industriale. La lavorazione dell'oro, infatti, non è la più adatta ad essere divisa in fasi, e l'abilità dell'artigiano - dalla selezione della materia prima all'uso degli attrezzi - è la chiave fondamentale per avere prodotti di prestigio, per cui è difficile che si instaurino tra di essi rapporti realmente cooperativi.

Il centro può essere considerato più correttamente come uno show-case delle abilità orafe campane, una cittadella degli artigiani che è servita loro per abbandonare l'affollato centro storico di Napoli, e un punto nodale del sistema distributivo della gioielleria regionale: una situazione simile a quella dei maestri artigiani del corallo di Torre del Greco (alcuni dei quali, peraltro, sono presenti nel "Tarì"), che possono vantare una lunga tradizione, risalente agli inizi del 1500, appresa dalla "Scuola d'incisione del corallo e di arti decorative affini", e che difficilmente si può dire che incarnino un distretto industriale tout court.

La stessa indagine CENSIS si è preoccupata di vedere in dettaglio quali siano i principali ostacoli allo sviluppo di queste aree, e quali le richieste direttamente avanzate dagli industriali; ne è risultato che, oltre alla richiesta di infrastrutture, molto forte è la domanda di snellimenti burocratici, di riduzione della fiscalità e di un potenziamento del sistema formativo pubblico. Sono problemi annosi, a cui gli enti locali hanno cercato di rispondere ognuno con i propri mezzi e con le proprie competenze, ma senza incidere più di tanto nella realtà. E tuttavia un dato sembra ormai acquisito: i distretti sono un dato di fatto e molto spesso hanno garantito al nostro paese primati e prestazioni invidiabili.

Secondo Becattini, una spiegazione a questo rinnovato vigore della piccola impresa, che ha costituito l'antecedente logico allo sviluppo dei distretti, dovrebbe essere rintracciato nel fallimento, sempre più manifesto nel trentennio passato, "dell'alternativa pianificatoria al capitalismo di mercato. Quando ci si è resi conto che l'alternativa più accreditata non funzionava, molte energie psichiche destinate in precedenza al rinnovamento-rovesciamento della società capitalistica, si sono volte, in larga misura, verso la realizzazione di sé nel campo economico. In questo gli studi condotti in Toscana, una delle regioni più ideologizzate d'Italia, offrono numerose conferme" . Eppure si continua a privilegiare il ruolo della grande impresa per sviluppare le zone più depresse del meridione, con la convinzione che, se si vogliono ridurre significativamente i tassi di disoccupazione, non vi siano altre scelte. I 3500 miliardi che lo stato italiano ha speso come finanziamento agevolato alla costruzione dello stabilimento Fiat di Melfi si spiegano solo in questo modo. Ma lo stesso vale anche per la FMA di Pratola Serra, che produce motori automobilistici per conto del gruppo FIAT, e per le molte grandi imprese che si sono insediate nelle aree ASI meridionali solo dopo che erano stati concessi cospicui finanziamenti. È tuttavia vero che alcune grosse imprese hanno portato positive ricadute nel loro ambiente esterno, e che altre volte hanno fatto da "incubatori" per la nascita di piccole imprese, a cui poi decentravano fasi singole della produzione; in pratica, hanno innescato processi di spin-off e quindi sviluppato lo spirito imprenditoriale del luogo, anziché mortificarlo; ma ciò è avvenuto solo quando si ponevano condizioni di perfetta complementarità tra contesto socioeconomico del luogo, abilità e competenze preesistenti e tipo di produzione a cui il grande impianto era adibito.

Un segnale positivo nella direzione di un ammodernamento del sistema dei trasporti sembra venire dalle iniziative volte ad ampliare la Salerno-Reggio Calabria , e a dare un ruolo di primo piano al porto di Gioia Tauro. A questo proposito, lo stesso Natuzzi ha ammesso come, in mancanza di collegamenti viari diretti con Napoli, per la sua azienda sia più conveniente far arrivare le materie prime nel porto di Bari o di Gioia Tauro . L'indotto che si è creato in Calabria grazie a questa scelta strategica è tanto rilevante che due giornaliste, Giusy Franzese e Nicoletta Picchio , nel loro "viaggio" giornalistico sul "fenomeno dei distretti e dei poli nel Mezzogiorno", hanno incluso tra i casi di distretti emergenti proprio Gioia Tauro, con il settore del transhipment per indicare la presenza di un rilevante indotto sia nel settore dei servizi che in quello manifatturiero; molte imprese, infatti, per ridurre i costi di trasporto hanno costruito delle imprese che procedessero ad una prima trasformazione delle materie arrivate. In prospettiva potrebbe avere un effetto moltiplicatore anche la costruzione del ponte sullo stretto di Messina, ma, dati i tempi estremamente lunghi, si tratta solo di ipotesi.


4.2 le misure di sostegno regionali, statali e comunitarie

Gli enti locali più attivi e sensibili al problema di come aiutare la nascita di nuovi distretti hanno cercato di sfruttare al meglio tutti gli strumenti che l'attuale legislazione mette a disposizione. Si tratta però di una normativa articolata e talvolta anche difficile da interpretare, che vede sovrapporsi tre distinti piani istituzionali e che quindi, come conseguenza immediata, ha richiesto l'ausilio di consulenti esterni, siano essi liberi professionisti o banche nel ruolo di soggetto istruttore delle pratiche. La finalità ultima di tutti gli interventi è comunque sempre quella di rafforzare l'apparato produttivo esistente ed incentivare l'aggregazione fra imprese prima di ottenere i finanziamenti. Gli strumenti nazionali esistenti oggi sono di due tipologie a seconda del soggetto a cui si rivolgono, ossia la singola impresa del distretto o al complesso delle imprese. A disposizione della singola impresa vi sono la legge n. 488/1992 , per gli incentivi agli investimenti produttivi, la n. 388/2000, per il credito di imposta come incentivo all'occupazione e agli investimenti in aree svantaggiate, ed il decreto legislativo 297/1999, in tema di incentivi all'innovazione tecn 141g68b ologica. Con la legge n. 488/1992, in particolare, alcune regioni hanno previsto di assegnare un punteggio maggiore, nel loro indicatore regionale, per le richieste di imprese localizzate nelle aree riconosciute distretto dalle apposite leggi regionali, e quindi di favorirle nella graduatoria. La regione Campania ha stanziato 150 miliardi per le imprese che, pur non essendo state agevolate dalla legge n. 488, siano comunque residenti in aree distrettuali. Con il decreto legislativo n. 297/1997, invece, si è cercato di imprimere una svolta alla capacità di ricerca ed innovazione delle piccole e medie imprese, e di riqualificare l'attività dei distretti in modo da intraprendere produzioni più rivolte al futuro e alla competizione coi paesi avanzati, sulla cui opportunità si tornerà in seguito. Più articolata si presenta la finanza agevolata comunitaria, che ultimamente sta erogando i fondi di sostegno alle imprese più cospicui. Alla base vi è il Quadro di Sostegno Comunitario (QCS) che poi viene implementato con specifici programmi: il Programma di sviluppo del Mezzogiorno (che recepisce le indicazioni di Agenda 2000 -documento che traccia le strategie economiche fondamentali dell'Unione per i prossimi 7 anni-), i Programmi Operativi Regionali (POR) e i Programmi Operativi Nazionali (PON). Questa molteplicità di programmi sta ad indicare anche quale ente ha, di volta in volta, la responsabilità della gestione ed erogazione dei fondi: Stato o Regione.

Alle regioni spetta dunque definire i POR, ossia definire quali sono i settori produttivi da finanziare o quali attività di supporto rafforzare (ad esempio una misura specifica previsto dal POR della Campania è riservata allo sviluppo della internazionalizzazione e della cooperazione internazionale delle imprese). Nell'ambito di questi strumenti, una parte dei fondi destinati ai POR deve essere riservata ai Progetti Integrati Territoriali (PIT), che costituiscono "azioni strettamente coerenti e collegate tra di loro che convergano verso un comune obiettivo di sviluppo in contesti territoriali definiti". Per ogni PIT si deve individuare un program manager, che ha la responsabilità di portare a compimento il progetto insieme ad una Rete di assistenza professionale (che è una struttura del Dipartimento della Funzione Pubblica) che coadiuva gli attori dello sviluppo locale. Si tratta di programmi di intervento ambiziosi e che convogliano migliaia di miliardi di Euro : solo in Campania per i prossimi 7 anni (2000-2006) Agenda 2000 ha previsto di investire più di 10 miliardi di Euro (circa 20.000 miliardi di lire). Per una valutazione della efficacia di questi interventi, l'Unione Europea ha imposto di monitorare l'attuazione dei Programmi Operativi Regionali, di valutare in itinere, sulla base di dati appositamente raccolti, l'andamento del programma e di valutare soprattutto ex post i risultati raggiunti e verificare se realmente le somme erogate siano state in grado di incidere nello sviluppo economico locale. Per quanto concerne, invece, le leggi statali che hanno di mira non tutte le imprese, ma solo quelle che riescono ad aggregarsi in distretto, di fondamentale importanza è la n. 662/1996, istitutrice del Contratto di Programma, già citato all'inizio di questo lavoro. La programmazione negoziata, in cui il contratto di programma rientra, ha permesso nel biennio 2000-2001 di impiegare 5.000 miliardi di lire di denaro pubblico in iniziative di notevole entità (si parla di investimenti minimi di 70-80 miliardi) senza intervento di altri soggetti che non siano gli stessi privati imprenditori o le rappresentanze distrettuali (anche se poi, come detto, lo strumento specifico per dare voce a queste rappresentanze -il contratto di distretto- non è mai stato applicato per mancanza del regolamento attuativo).

Accanto a questi strumenti, e sempre nell'ambito della programmazione negoziata, vi sono i Patti Territoriali per l'Occupazione (PTO) ed i Contratti d'Area . Nonostante le alterne fortune che li hanno caratterizzati, con tratti di maggior successo per i PTO, essi si distinguono dal contratto di programma perché prevedono la partecipazione di altri soggetti (oltre all'imprenditore e all'ente pubblico) alla definizione dei progetti di sviluppo locale: le parti sociali, ossia sindacati dei lavoratori e rappresentanze degli industriali. Nei contratti d'area, specialmente, il ruolo delle parti sociali è di primo piano, dovendo promuovere il consorzio che gestisce le aree industriali attrezzate; ma si tratta di uno strumento di sostegno che si è bloccato per mancanza di stanziamenti nelle Leggi Finanziarie successive, e per una mutata volontà politica, che ha cercato di privilegiare interventi tramite i PTO, dove gli enti locali sono maggiormente rappresentati

Il fine ultimo di ogni intervento di sostegno, sia esso statale o comunitario, non è mai di attuare una politica di riequilibrio territoriale; si tratta anzi di aumentare lo squilibrio nel senso di accrescere il dinamismo di aree che già abbiano dato prova di una certa vitalità e quindi di ampliare la distanza con le zone in ritardo di sviluppo. Si vuole cioè dare una mano a quelle zone per farle maturare definitivamente. "Non importa dunque se si tratta di sistemi locali turistici, piuttosto che di sistemi del Made in Italy..Il punto è di non aiutare [semplicemente] le singole imprese o gruppi generici di imprese, come le "piccole" o le "grandi", quanto di favorire e incentivare la formazione di sistemi territoriali di imprese, di distretti industriali" . Molto spesso il sostegno concesso alle piccole e medie imprese, è bene precisare, non si riduce alla semplice erogazione di danaro, ma prevede il trasferimento di conoscenze o di processi innovativi oppure è di tipo indiretto poiché si tratta di finanziamenti rivolti alla costituzione di "agenzie di sviluppo locale" che supportano di capacità tecniche le amministrazioni locali e che promuovono progetti, sia nel campo della riqualificazione professionale che nel campo della diffusione di servizi alle imprese. Esempi di avanguardia dell'uno e dell'altro tipo sono molto frequenti in Spagna e Portogallo: molto famoso è l'IMPIVA (Instituto de la Pequeña y Mediana Empresa Valenciana), nella regione valenciana, con una rete di centri tecnologici distribuiti sul territorio a supporto dei sistemi locali, o l'UNAVE ad Aveiro, operativo sin dal 1986 nel campo della cooperazione tra mondo accademico e mondo delle imprese.


4.3 Una politica alternativa per i distretti: le scelte di fondo

Un contributo al dibattito sulle politiche da seguire per migliorare la competitività dei distretti e aiutarne la crescita di nuovi può seguire due distinti tracciati a seconda che si voglia ottenere un effetto di mantenimento dello "status quo" innestando solo dei correttivi o si desideri giungere ad una revisione radicale dell'attuale modo di concepire e fare politica economica. È chiaro che seguire il primo tracciato significa ammettere implicitamente che l'impostazione di fondo delle politiche di sviluppo di questi decenni sia condivisibile e che, viceversa, seguire il secondo implichi uno sforzo sicuramente maggiore, poiché rimette in discussione l'impianto complessivo di politica economica finora adottato. In questa parte del mio lavoro, cercherò di immaginare non solo nuove politiche di sostegno ai distretti, ma anche il tipo di scelte politiche ed economiche di fondo essenziali per la buona riuscita di quegli interventi.

Una prima scelta da compiere è tra una forma di capitalismo di tipo renano o anglosassone: ossia tra un tipo di economia in cui la cooptazione e la concertazione sono la regola a tutti i livelli amministrativi o un alternativa in cui la regola principale è quella di lasciare tutte le libertà possibili all'individuo, a patto che non ledano quelle dell'altro. Il modello renano è stato concepito ed adottato in Germania a partire dal secondo dopoguerra, per consentire la ricostruzione rapida e senza scontri sociali di una nazione in ginocchio. Esso prevede la presenza stabile di rappresentanze operaie nei consigli di amministrazione delle grandi aziende, la compartecipazione sistematica agli utili, la cogestione sindacale di alcuni enti previdenziali ed addirittura una consultazione degli stessi sindacati al momento della nomina del governatore della Bundesbank, la banca centrale tedesca . È un modello che ha contribuito a fare della Germania una potenza industriale di prim'ordine negli ultimi cinquant'anni, in settori strategici come il siderurgico, il meccanico, il chimico ed in genere in tutti quei settori che richiedano impianti ad elevata intensità di capitale. Il modello di tipo anglosassone invece ha conosciuto il suo momento di difficoltà in corrispondenza delle due crisi petrolifere, negli anni '70, ed ha potuto risorgere grazie a massicce dosi di deregulation iniettate nel sistema economico rispettivamente da R. Reagan, per gli Stati Uniti, e da M. Tatcher, in Gran Bretagna; al cospicuo numero di licenziamenti dei primi anni '80 è seguito un periodo di intensa crescita, che ha fatto da traino per gran parte del mondo occidentale, in settori molto diversi tra loro. Inoltre, essendo molto più marcata la funzione redistributiva dello stato in Germania, è normale che qui vi sia anche un peso fiscale ed impositivo molto maggiore che nei paesi anglosassoni.

Se il modello anglosassone ha saputo tenere sempre ai margini la presenza dello stato con un welfare leggero, non si può dire altrettanto dello stato sociale tedesco, in cui sussidi e sovvenzioni (per disoccupazione, per maternità o altro) sono molto presenti a tutela delle fasce deboli. Se questo modello si è dimostrato efficace nella gestione di un apparato produttivo costruito intorno all'industria pesante, il modello anglosassone ha saputo privilegiare l'imprenditorialità diffusa e soprattutto ha saputo stimolare le innovazioni tecnologiche a tutti i livelli. Il nostro paese, nello stesso periodo, è stato sempre in bilico: ha mantenuto una pressione fiscale paragonabile a quella tedesca, ma, quando ha potuto, ha cercato di privatizzare, oppure non ha fatto nulla per migliorare le prestazioni dello stato sociale. La scelta da compiere è, dunque, tra uno stato più presente, che faccia da continuo tutore della pace sociale, e che poggi su un sistema produttivo prevalentemente caratterizzato da grandi imprese con serie di produzione lunghe, o uno stato leggero, con un welfare efficace solo per le classi più povere, con molti servizi delegati ai privati, e con un apparato produttivo senza una particolare connotazione, e forte di una flessibilità del lavoro diffusa. In ogni caso, una volta ristabilito il corretto e libero funzionamento del mercato del lavoro, sembra improrogabile l'introduzione di una indennità di disoccupazione o forse anche del cosiddetto reddito di cittadinanza, per garantire condizioni dignitose di sussistenza durante il periodo di transizione da un lavoro all'altro

Per la verità, si è cercato anche di classificare la situazione italiana in modo tale da rappresentare una "terza via" tra i due modelli , ma le contraddizioni ed i punti deboli sono talmente tanti che è più giusto parlare, per l'Italia, di un "fenomeno distretti" che si è verificato nonostante le politiche economiche seguite tradizionalmente, e nonostante certe inefficienze del settore pubblico. Questo tipo di sviluppo italiano, tra mille difficoltà, ha portato anche alla creazione di fermenti politici nuovi ed oggetto di studio : dai vari tipi di regionalismo (Lega Nord o Liga Veneta), ai casi più inquietanti di rivolta (i Serenissimi di Venezia) o alle proteste fiscali organizzate (LIFE, Liberi imprenditori Federalisti Europei).

In tal senso, sarebbe opportuna una ridefinizione dell'ambito di azione e competenza degli enti locali: dare più poteri alle regioni ed ai comuni, evitando il livello intermedio delle provincie . Il ruolo degli enti comunali dovrebbe avere peso maggiore e, se del caso, più comuni potrebbero consorziarsi per scegliere aree di sviluppo industriale, dotarle di servizi ed infrastrutture, senza altro filtro o vincolo amministrativo che non sia quello regionale. Le competenze provinciali in tema di strade e viabilità, o di manutenzione di plessi scolastici potrebbero essere delegate agli stessi comuni, o al loro consorzio. Il conferimento di poteri rilevanti alle comunità locali potrebbe essere sancito mediante il ricorso a forme di democrazia diretta più marcate: dall'elezione diretta del sindaco o del presidente del consorzio di comuni, alla consultazione periodica della popolazione residente su questioni di comune interesse (usando lo strumento referendario in senso non solo abrogativo ma anche propositivo) fino all'elezione di giurati popolari che aiutino il funzionamento della Giustizia. In questo modo, il ceto politico locale sarebbe spogliato di qualsiasi potere di interdizione a favore di un più genuino compito di governo e sarebbe meglio controllato ed indirizzato nella gestione concreta dei problemi . Tale questione non è di secondaria importanza e non riguarda aspetti meramente istituzionali, ma coinvolge anche le competenze in materia di incentivi agli investimenti diretti esteri (IDE). Sulla scorta dell'esperienza maturata da alcune agenzie di sviluppo straniere (come la Welsh Development Agency), tale consorzio di comuni avrebbe anche la prerogativa di prendere decisioni in materia di incentivi agli investimenti: suo sarebbe il compito di bonificare eventuali aree depresse, di intraprendere opere di ammodernamento infrastrutturale, e assistere l'insediamento delle imprese straniere; ad essa, peraltro, sarebbe delegata la competenza di stabilire una quota dell'imposizione fiscale.

Il successo dell'agenzia gallese, istituita nel 1976, è palese: ha attirato investimenti per 40.000 miliardi di lire in 16 anni (dal 1983 al 1999), pari al 35% degli investimenti industriali complessivi effettuati in quella regione . Parallelamente, in Italia si è assistito ad un declino della presenza di investitori stranieri (solo il 6% degli investimenti del nostro paese è finanziato da capitale straniero) , a cui si è accompagnata anche una minore partecipazione al flusso di investimenti nei paesi esteri, non solo dell'area Euro, ma anche di quelli in via di sviluppo . Soprattutto al Sud la situazione si presenta asfittica: dal 1986 al 1998, questa parte del paese ha ricevuto IDE pari al 13,4% del totale italiano, ospitando 127 sedi di imprese partecipate estere, mentre nel Nord Est sono giunti capitali pari al 28,1% del totale, con 827 sedi di imprese partecipate estere . Per aiutare lo sviluppo di aree periferiche è essenziale riuscire a far convogliare verso il nostro paese consistenti flussi finanziari, così come è importante partecipare allo scambio internazionale di risorse, magari investendo in paesi meno ricchi del nostro

Una politica forte, o messa in condizione di divenire tale, sarebbe anche il miglior antidoto per contrastare le diverse forme di criminalità o di illegalità diffusa (come il lavoro nero), premessa indispensabile per attirare nuovi investimenti o consentire agli imprenditori nostrani di vincere le naturali ritrosie nella effettuazione di quelli ritenuti necessari. L'errore che bisogna in ogni caso scongiurare, sia da parte della classe politica che da parte dei responsabili della politica economica, è quello di cristallizzare la situazione attuale in tema di distretti: come un qualsiasi organismo (ed abbiamo visto che le analogie tra l'insieme di attori operanti nel distretto e il cervello umano non sono poche) anche il distretto conosce diverse fasi nella sua vita, dalla nascita, allo sviluppo, fino alla morte. L'unica accortezza che bisogna usare è nello scegliere il meccanismo di sostegno alla crescita, i suoi obiettivi ed i suoi destinatari. Un salto di qualità nell'erogazione di qualsiasi aiuto potrebbe essere rappresentato dalla valutazione effettiva dell'uso dei fondi erogati e della capacità di incidere e mutare la situazione iniziale.

Evitare di cristallizzare la vita del distretto contribuirebbe anche a non commettere un errore più grande: persistere nella specializzazione produttiva attuale senza partecipare alla rivoluzione tecnologica in corso. Occorre, infatti, pensare ai possibili scenari che si possono presentare in futuro sulla scena internazionale, e alle misure che potremo essere costretti a prendere. Per quanto concerne la situazione odierna, è evidente la presenza di zone molto diverse tra loro. Se il Nord ed il Centro rappresentano i veri motori propulsivi della crescita tumultuosa del nostro export , il Sud comincia ad incamminarsi verso lo sviluppo a "macchia di leopardo". La dorsale adriatica, per la contiguità geografica con i distretti marchigiani, sembra essere la principale candidata ad uno sviluppo duraturo sul modello settentrionale, mentre per il Mezzogiorno continentale lo scenario è desolante. Solo le zone limitrofe al centro urbano di Napoli, forti di un'antica tradizione artigianale o commerciale, reggono il passo con il resto del paese.

Se questo è lo stato dell'arte, è opportuno chiedersi se non convenga incidere sulla specializzazione produttiva delle zone che solo adesso comincino a svilupparsi. Si deve continuare a finanziare distretti nel settore tessile, dell'abbigliamento o, in genere, del Made in Italy o è meglio favorire la nascita di imprese in settori Hi-Tech, come l'informatica, l'elettronica, la meccanica di precisione?

Uno studio recente di Matteo Bugamelli per la Banca d'Italia dimostra che i diversi paesi dell'Unione stanno convergendo verso specializzazioni omogenee, con la sola eccezione dell'Italia, molto forte nei settori tradizionali e della meccanica, quindi in settori ad alta intensità di manodopera poco qualificata, e carente in quelli High Skill. Negli ultimi trent'anni il modello di sviluppo italiano ed il ruolo delle nostre esportazioni nello scambio mondiale sono stati più stabili sia rispetto agli altri paesi maggiormente industrializzati (G7) che rispetto alle "tigri asiatiche" (vedi figura 7 ); inoltre, dati pubblicati recentemente confermano la predilezione del nostro paese verso le attività unskilled a danno soprattutto di quelle tecnologicamente avanzate.

Figura 7


Fonte: elaborazione di R. Helg su base dati WTDB e NBER, 1999.

Questa condizione porta notevoli svantaggi in caso di crisi internazionali (con relativa svalutazione della moneta unica europea) o shock esogeni all'area Euro, giacché i prodotti del Made in Italy risultano essere quelli con la maggiore elasticità della domanda. Se politica significa prevedere o "concepire il nuovo possibile" , allora siamo costretti a darci una risposta.

Agevolare la costruzione di centri di ricerca potrebbe essere una buona soluzione, così come migliorare lo scambio di risorse umane, oltre che di informazioni, tra mondo universitario e mondo delle imprese potrebbe essere un'altra via da percorrere. La letteratura sui "Local Knowledge Spillovers" è abbondante e spesso ha messo in luce aspetti della agglomerazione delle imprese ad alta tecnologia poco indagati: ad esempio, tale aggregazione intorno alle Università può essere motivata dal fatto che lì vi è maggiore presenza di personale qualificato o addetto alla ricerca, che può formare gli imprenditori o addirittura trasferire loro parte dei brevetti di cui sono proprietari . È chiaro che non basta costruire parchi tecnologici come Tecnopolis a Bari, o come quello, ancora più ambizioso, di Chateau Gambert a Marsiglia, che si propone di divenire il centro di ricerca universitario più grande d'Europa, Ma bisogna cominciare dalle iniziative imprenditoriali . Ad esempio, si dovrebbe cominciare a valutare i ricercatori universitari non tanto sulla base di quanti articoli scientifici hanno scritto, ma su quanti brevetti hanno depositato. Un'altra conseguenza di questo mutamento nella politica dei distretti è nel tipo di infrastrutture da costruire. Se si pone la ricerca al primo posto, e con essa le iniziative imprenditoriali high skill, la logica conseguenza è quella di favorire non solo infrastrutture classiche come strade, depuratori o illuminazione (che sono sempre necessari), ma soprattutto la costruzione di linee in fibra ottica per la trasmissione dati ad alta velocità, essenziali per un rapido scambio di dati e immagini tra Università e mondo imprenditoriale.

Accanto a questo, vanno rivedute altre due politiche: quella della formazione (universitaria ma non solo) e quelle per l'immigrazione. Quanto alla prima, come accennato, sarebbe auspicabile, negli ultimi anni di corso, destinare un certo quantitativo di ore alla formazione sul campo, presso aziende operanti nella ricerca o in campi ad alta tecnologia, e seguire corsi che aiutino a valutare e mettere in pratica iniziative imprenditoriali autonome (utile, in questo senso, si è rivelata l'esperienza del prestito d'onore nell'incoraggiare l'intrapresa tra i giovani). Per quanto riguarda le politiche sull'immigrazione, d'altro canto, è opportuno aprire gli occhi alla realtà: esiste un "mercato" dell'immigrato altamente scolarizzato e specializzato, cioè dell'immigrato che, pur provenendo da paesi poveri o in guerra, viene a svolgere mansioni e lavori per i quali in Italia non c'è competenza o istruzione diffusa. Il caso del cancelliere tedesco Schröeder, che nel giugno del 2000 ha destinato 30.000 Green Card per attirare nel suo paese esperti di informatica, ha fatto scalpore. Anche questa, dunque, è una scelta da fare: se è bene accogliere immigrati di qualsiasi tipo, poiché scappano da paesi non democratici o da carestie in cerca di sorte migliore, è altrettanto doveroso per un paese come il nostro, che vuole crescere e migliorare specializzazione produttiva, cercare di attrarre coloro che hanno più istruzione e competenza da dare, in competizione con gli altri paesi industrializzati.

I questo modo si potrebbe assicurare un futuro produttivo al riparo da shock esogeni o da una domanda eccessivamente elastica, perché legata a beni voluttuari o di lusso, ed in linea con lo standard dei principali paesi occidentali.


4.4 Una politica alternativa per i distretti: le iniziative concrete

Nell'immaginare le azioni concrete a sostegno dei distretti, bisogna distinguere due casi particolari:

quali misure approntare per stimolare l'aggregazione tra imprenditori, o permettere il salto di qualità "imprenditoriale" in un contesto di artigianalità diffusa;

quali misure riservare ai distretti già esistenti per risolvere problemi endemici nella realtà meridionale, come l'emersione dal sommerso, o la creazione di servizi utili per l'accrescimento della competitività.


Per raggiungere il primo obiettivo bisogna utilizzare incentivi di tipo indiretto: si deve favorire l'associazione spontanea tra tre o quattro imprese che abbiano ruoli diversi e complementari nella filiera di una determinata produzione (ad esempio, scelgono di associarsi un fornitore di materie prime, un produttore di beni intermedi, un addetto all'assistenza dei macchinari ed uno esperto in logistica). A fronte di questo patto tra imprenditori (o dichiarazione d'intenti), l'ente locale si obbliga a costruire le infrastrutture necessarie per attrezzare un suolo industriale, a costruire strade, reti idriche, depuratori e linee telefoniche nella misura esatta da loro richiesta, evitando di trasferire fondi nelle loro mani o avviare iter burocratici presso altre amministrazioni sovraordinate. Si tratterebbe solo di una forma di finanziamento, che potrebbe essere restituito sotto forma di maggiori imposte pagate una volta che l'attività vada a regime. Tuttavia è chiaro che per arrivare a parlare di distretto c'è bisogno di raggiungere una massa critica. In questo primo stadio si tratta solo di innescare un processo di coagulazione di capacità artigianali e imprenditoriali, in modo da dare una "direzione di marcia" allo sviluppo di un territorio . L'eventuale affollamento della zona adibita ad area industriale potrebbe essere gestita con un sistema di sovrattasse: se, oltre alle tre imprese che si sono insediate per prime, se ne volessero unire altre, favorendo anche la concorrenza ai diversi livelli della filiera produttiva e permettendo uno scambio di informazioni e conoscenze che è alla base del distretto, si dovrebbe fare in modo che la rete fognaria, idrica e di depurazione non venissero a trovarsi sottodimensionate. Alle nuove imprese, pertanto, spetterebbe il pagamento di una sovrattassa sul canone del servizio erogato, grazie alla quale l'ente locale può provvedere alla fornitura di reti idriche più grandi o di depuratori più attrezzati. In pratica alle imprese late comers viene trasferito l'onere dell'ampliamento delle infrastrutture di supporto (anche se diluito nel tempo, poiché l'ente pubblico deve provvedere alla costruzione immediata a fronte di un pagamento scaglionato nel tempo sotto forma di tassa), mentre in cambio si trovano a lavorare in una zona in cui già vi sono imprenditori, commesse e il know-how circola facilmente.

Tuttavia, c'è un passaggio ancora precedente: da dove nasce l'idea imprenditoriale? C'è un modo per stimolare la nascita di intuizioni in questo campo? È chiaro che molto lavoro deve essere fatto in questa direzione, soprattutto al Sud, dove la burocratizzazione dei ceti medio-alti, la terziarizzazione delle fasce centrali della popolazione attiva ed una categoria di liberi professionisti ancora organizzata in modo corporativo non favoriscono né le abilità manuali, né le attività imprenditoriali o in genere quelle che implicano un rischio. Se nel Nord Est il problema che comincia ad essere avvertito riguarda "l'abulia" dei giovani, che sono nati in un periodo di ricchezza e non hanno più lo stimolo dei padri a cominciare lavori rischiosi o pesanti , nel Sud la terziarizzazione ed il miraggio del posto fisso (magari come dipendente statale) ha portato una assenza di propensione al rischio ben più accentuata e da molto prima che nel Nord . Un modo forse "eterodosso" per invertire la marcia potrebbe essere quello di indagare sulle tendenze "nascoste" dei vari territori e delle popolazioni che ivi vivono: studi storici e psico-sociologici possono riportare alla luce le competenze accumulate anni addietro ed ora andate disperse, e sulla base di questo procedere per organizzare il sistema formativo in modo adeguato.

Il periodo della istruzione dell'obbligo andrebbe integrato con dei seminari estivi di formazione: in pratica, si prolunga il normale anno scolastico di altri 15 giorni (si può pensare, ad esempio, al periodo 1-15 giugno) per i ragazzi compresi tra i 12 e i 16 anni di età, e si organizzano incontri con maestri artigiani, o con tutor che insegnino loro questioni reali del mondo del lavoro (come si apre una partita IVA, cos'è una camera di commercio e così via). Gli ultimi giorni di questo periodo potrebbero essere dedicati alla realizzazione di un progetto pratico che valorizzi la manualità dello studente (un po' come quello che si faceva nelle ore di "applicazione tecnica" di trenta o quaranta anni fa); ovviamente questa spinta al lavoro manuale dovrebbe essere favorita in tutte le scuole, non soltanto negli istituti professionali, ma anche nei primi anni del liceo. Quanto agli studenti universitari, seminari specifici dovrebbero essere pensati per gli iscritti a facoltà scientifiche o tecniche (ingegneria, agraria, economia), in modo da tenerli aggiornati sulle ultime frontiere dei rispettivi campi.

Si tratta solo di spunti generici ma forse sottolineano aspetti poco valutati della questione, che meriterebbero di essere presi in considerazione.

Per quanto riguarda il problema della emersione dal sommerso, ritengo che tale problema sia strettamente connesso con le rigidità attuali del mercato del lavoro.

Un recente studio di Fabiano Schivardi chiarisce come le rigidità in materia di licenziamenti e l'obbligo di un unico contratto di lavoro collettivo nazionale (senza tenere conto della diversa produttività del lavoro nelle diverse aree del paese) non incidono tanto sul tasso di disoccupazione reale del paese quanto sulla durata del periodo di inattività e, soprattutto, danneggiano le fasce marginali della popolazione attiva, cioè i giovani alla ricerca di prima occupazione e le donne. In questo contesto, la parte dei lavoratori maggiormente tutelata gode anche di un tasso di incremento salariale crescente, poiché i disoccupati sono posti in condizione di non potere incidere sulle dinamiche contrattuali ; cioè non entrano mai in competizione con chi è già occupato. Di fronte a questa situazione il lavoro nero diventa quasi una scelta obbligata in quelle zone del paese in cui le fasce marginali sono più abbondanti e la produzione prevalente non richiede elevata specializzazione: nella fattispecie ampie zone dell'Italia meridionale sono incentivate a fare ricorso al lavoro nero . Per fronteggiare questa "piaga" è stata recentemente istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Comitato per l'emersione del lavoro non regolare , presieduto dal professore Meldolesi, che ha posto le basi per la futura legge sulla "emersione". Tra le altre misure in cantiere, è previsto, per l'imprenditore che adopera lavoro irregolare, l'obbligo di mettersi in regola in tre anni, e la possibilità di usufruire di alcuni sgravi fiscali. Ma ci sembra di poter dire che l'iniziativa non guarda alla sostanza del problema. La riforma del mercato del lavoro da un lato, e il funzionamento efficiente della Giustizia sono le due gambe su cui si regge la sfida al sommerso e che possono garantire il mantenimento di buoni livelli di competitività delle imprese italiane.

Per quanto riguarda la riforma del mercato del lavoro, non è più ammissibile che una parte (ormai minoritaria, visto che oltre il 50% degli iscritti alle tre confederazioni sindacali sono pensionati) dei lavoratori viva con la certezza di ogni tutela del posto di lavoro a discapito di una consistente fetta di lavoratori marginali non tutelati e difficilmente coalizzabili. Quella parte "privilegiata" del mondo operaio deve rappresentare per la restante parte quello che la borghesia illuminata di "Socialismo Liberale" di Carlo Rosselli costituiva per la classe lavoratrice in senso lato: non deve arroccarsi sulle posizioni acquisite ma svolgere una funzione progressista.

Uno studio accurato sul lavoro sommerso, sulle sue cause, sulle politiche più opportune da prendere per contrastarlo è stato svolto recentemente da Tito Boeri e Pietro Garibaldi, professori della Bocconi, per conto della IGIER . Partendo dalla definizione di economia sommersa come quella rappresentata da tutte le attività che contribuiscono al PIL calcolato ufficialmente, ma che non sono effettivamente registrate, i due studiosi analizzano l'ammontare del fenomeno in Italia rispetto agli altri paesi europei (vedi tabella 11), e la situazione del Mezzogiorno rispetto al resto del paese.

Tabella 11


Fonte: elaborazione di Tito Boeri (2001) su dati di Schneider ed Enste[47].

In generale, rilevano che nel ventennio 1978-1998 il fenomeno ha raddoppiato le sue dimensioni in tutta l'area UE, e in particolare in Italia la quota di economia sommersa riguarda il 23% del PIL e quasi il 30% degli occupati, mentre la media europea si assesta intorno al 15% di economia sommersa (sul PIL) e il 18-20% di occupati irregolari. Nel Mezzogiorno la situazione è anche peggiore: si stima che il 45% dei disoccupati meridionali sia coinvolto nel sommerso , contro il 30% dell'Italia centrale ed il 25% dell'Italia settentrionale, essendo l'Italia di Nord Est a conoscere meno tale fenomeno. Tuttavia le implicazioni più interessanti di questo studio sono nelle conseguenze di politica economica: sulla base di evidenze empiriche i due autori osservano che i tassi di lavoro sommerso sono più consistenti in quelle regioni in cui anche l'occupazione regolare è più bassa, e che la durata del periodo di irregolarità del lavoro è direttamente proporzionale alla durata del periodo di disoccupazione ufficiale. In altre parole, i mercati del lavoro con disoccupazione stagnante conoscono anche fenomeni di occupazione irregolare stagnante. La repressione pura e semplice di questo fenomeno, tra l'altro, produce un aumento della disoccupazione, perché porta alla scomparsa delle imprese a più bassa redditività; anche per questo i paesi UE hanno tollerato il lavoro nero, nonostante gli effetti negativi patiti dal lato delle entrate fiscali. Un approccio rigido a tale problema perderebbe di vista il nocciolo della questione: le misure di politica economica dirette a ridurre la disoccupazione servono anche a ridurre il fenomeno del lavoro nero ; i provvedimenti che rendono più efficiente il mercato del lavoro portano alla emersione delle imprese, e ad un incremento delle entrate fiscali nelle casse dello stato.

Per quanto riguarda il problema della Giustizia, sembra ormai improrogabile una riforma nel senso della abolizione della obbligatorietà dell'azione penale . Il numero enorme di cause civili e penali, che di quella regola sono conseguenza, ha fatto dilatare i tempi del giudizio (la media è di 9 anni, prima della sentenza definitiva) e blocca di fatto qualsiasi controversia in campo economico e di lavoro, tanto che sempre più frequente (quando ammesso dalla legge) è il ricorso all'arbitraggio (giustizia privata). L'unica funzione veramente imprescindibile di uno stato deve essere quella di assicurare Giustizia in tempi certi e rapidi, altrimenti è lo stato di diritto, fondamento di qualsiasi democrazia liberale, che viene meno

Un altro tipo di misure dovrebbe essere preso, soprattutto al Sud, per migliorare la situazione economica e finanziaria delle piccole imprese, non solo dei distretti. Migliorare il sistema bancario è la richiesta più urgente che proviene dalle realtà già esistenti, ed in effetti le ristrutturazioni che si stanno succedendo in questo settore hanno portato una notevole concentrazione e l'assorbimento di tanti piccoli istituti di credito meridionale , che, se in un primo momento hanno peggiorato la situazione finanziaria degli imprenditori finanziari, nel medio periodo hanno permesso la concessione di crediti a tassi vicini a quelli nazionali . Un sistema bancario efficiente dovrebbe essere la garanzia migliore per fare crescere sia di dimensione che nella gestione (da familiare in senso stretto a manageriale) le piccole imprese distrettuali; il fenomeno dell'ingrandimento della piccola impresa rappresenta il primo segnale del consolidamento di un'area produttiva, e delle nuove prospettive che essa si è data, e pertanto va assecondato e incoraggiato.


4.5 Conclusioni

L'importanza del concetto di distretto industriale è stata compresa negli ultimi trenta anni grazie al lavoro di studiosi come G. Becattini, S. Brusco, G. Garofoli, G. Viesti ed E. Rullani, i quali, di fronte al declino della grande impresa, hanno cercato di analizzare quella parte del tessuto produttivo italiano che sembrava reggere meglio alla congiuntura e alle nuove sfide competitive dei NIC (new industrialized countries).

Il loro contributo va ad approfondire la lezione di Alfred Marshall che, nei "Principles of Economics" prima ed in "Industry and Trade" poi, parla esplicitamente di distretti industriali per spiegare il successo di città quali Sheffield nella siderurgia e di Preston e Liverpool (Lancashire del Sud) nella tessitura. Egli ha il merito di avere intravisto più di un percorso di studio sui distretti: dalla distinzione tra il vero e proprio distretto e la "città manifatturiera" alla debolezza del concetto di settore, dalla capacità di innovazione della piccola impresa concentrata territorialmente, alle economie esterne, dall'atmosfera industriale al concetto di "nazione economica".

L'opera di A. Marshall è emblematica anche di un particolare modo di affrontare i problemi economici: anticipando di cinquant'anni la critica di Leontiev alla eccessiva razionalizzazione e modellizzazione della economia, e pur essendo egli stesso laureato in matematica, ha intuito il potenziale notevole che un approccio interdisciplinare avrebbe avuto in questo campo. Questa esigenza è sentita fortemente dallo stesso G. Becattini, decano dei "distrettualisti" italiani, quando raccomanda ai sociologi, agli storici, ai geografi, agli psicologi e addirittura ai filosofi di dare il loro apporto nello studio dei distretti. Più di un aspetto, difatti, della vita e della dinamica del distretto industriale si situa a cavallo tra discipline affini ma diverse. L'approccio di Becattini, che rispolvera la complessità del comportamento e della mente umana (come sembra fare anche la Bàculo quando cita Hirschman e le sue considerazioni sul piacere e sul benessere) sembra andare in posizione diametralmente opposta all'insegnamento di Karl Marx: il materialismo storico ed il determinismo della sua dottrina riducevano l'uomo a poco più che un ganglio della catena di produzione. Oggi, anche perché più ricco ed istruito, egli può agire anche secondo obiettivi non meramente materiali, ma per brama di potere o di stima, o per volontà di affermazione. Ne consegue che il prezzo, in un dato mercato, si formerà attraverso i complessi rapporti di forze sociali, ciascuna delle quali è modellata da privilegi, speranze, illusioni, pregiudizi e abitudini particolari. A questo punto, i soggetti che esprimono la domanda e soprattutto l'offerta sono entità ben più complesse di quelle previste dalla teoria economica. I meccanismi economici che essi generano sono dunque altrettanto complessi, e richiedono un approccio interdisciplinare.

Oggi il dibattito sulle tematiche distrettuali viene seguito con interesse dai politici - non solo italiani- perché, dopo avere constatato il fallimento di tutte le politiche di sostegno alla grande impresa, la crisi del modello di produzione fordista, e l'inasprimento della competizione globale, essi vorrebbero replicare le esperienze di successo della Terza Italia (in cui opera, grosso modo, il ceto produttivo dei piccoli imprenditori e dei liberi professionisti, stimato in 7 milioni di partite IVA) nelle zone più depresse del Mezzogiorno, che si sono rivelate impermeabili alle cure della Cassa del Mezzogiorno e ai finanziamenti della CEE (ora UE). Proprio mentre Il modello renano si è dimostrato fragile nei periodi di recessione e troppo ingessato in quelli di prosperità, il modello anglosassone sembrava culturalmente distante dalla nostra società, i politici nostrani si sono ritrovati a fare (piacevolmente) i conti con un arcipelago variopinto di distretti industriali che hanno trainato potentemente l'export del nostro paese in anni di crisi, ed hanno accantonato repentinamente i discorsi (che trent'anni fa andavano di moda) sulla inadeguatezza della piccola impresa nella concorrenza planetaria. Il distretto industriale italiano, come un novello Fregoli, si è trasformato da palla di piombo dello sviluppo a caso di studio a livello internazionale.

Per concludere, sembra opportuno cominciare a chiedersi se lo sviluppo del Mezzogiorno possa essere incoraggiato in modo diverso rispetto al passato, e, soprattutto, se, per esso, si possa pensare ad una specializzazione produttiva diversa da quella dei distretti dell'Italia settentrionale e centrale. Negli anni '60 si era voluto trasformare il Sud nella sede dei poli chimici ed energetici (oltre che siderurgici) del nostro paese, ma ora, fallita quella prospettiva, si può cercare di organizzare una struttura capillare di poli scientifici e di ricerca (non solo attorno alle Università, ma anche intorno ai laboratori di ricerca delle multinazionali che vengano invogliate ad investire al Sud, con una consistente attrazione di IDE) in grado di interrompere la pluriennale dipendenza del nostro paese dai brevetti e dalle innovazioni degli altri paesi. Se è vero che la localizzazione dei poli di ricerca segue spesso il capitale umano formato ed istruito , è anche vero che vi sono larghe sacche nella popolazione giovanile in cerca di prima occupazione caratterizzate da una elevata istruzione; la SGS Thomson ha provveduto ad aprire uno stabilimento ad alta tecnologia nei pressi di Catania proprio perché poteva contare sulla buona formazione degli ingegneri di quell'Ateneo. Una via da percorrere, dunque, potrebbe essere proprio quella di innescare il processo di crescita dell'economia meridionale a partire da Local Knowldge Spillover, in modo tale da permettere la nascita di distretti non più specializzati nei settori tradizionali (ad alto impiego di capitale umano poco specializzato), ma in quelli che ci consentano di competere con i paesi più avanzati per la creazione di nuove tecnologie.




"I nuovi fermenti produttivi", IX forum delle economie locali, a cura di CENSIS- note e commenti, n. 9, Settembre 1999.

Accanto al colosso tedesco, vi sono localizzati anche gli stabilimenti della Italtel, della Marconi Sud e della Olivetti, tutti operanti nel settore delle telecomunicazioni.

A tal proposito, interessante è l'intervista curata da Giusy Franzese (Il Mattino) e Nicoletta Picchio (IlSole24ore) a Gianni Carità, orafo discendente da una famiglia con antiche tradizioni nel settore, ideatore del Tarì, contenuta nel libro "Noi siamo del Sud" di G. Franzese e N. Picchio, prefazione di G. Fossa, Sperling&Kupfer,Milano,1999.

Il Tarì ha beneficiato grandemente, insieme al distretto calzaturiero di Barletta e quello della pelletteria di Teramo, dei fondi e dei servizi del Progetto Mezzogiorno dell'ICE, Istituto per il Commercio Estero.A tal riguardo si veda: Bruno,C. e Mazzeo E.,"Trasformazioni della struttura produttiva ed esportativa del Mezzogiorno", Quaderni di Ricerca ICE, Roma, 1998.

G. Becattini, "Il distretto industriale- un nuovo modo di interpretare il cambiamento economico", Rosenberg & Sellier, Torino, 2000.

Un recente studio di Bonaglia,F. e La Ferrara, E.,"Public Capital and Economic Performance: Evidence from Italy", IGIER working paper, Milano, 2000, sulla base di dati quantitativi relativi al periodo 1970-1994 disaggregati per regione, evidenzia come la spesa pubblica a favore del Mezzogiorno abbia prodotto degli effetti non proporzionati all'aggravio di bilancio che ne è conseguito. Da questa indagine risulta che la spesa più efficace al Sud ha riguardato la costruzione di strade ed autostrade, mentre al Nord la costruzione di ferrovie ha contribuito più di ogni altra opera alla crescita del PIL regionale.

Vedi "Il caso Natuzzi (Parte B)", libero adattamento di un articolo de IlSole24ore del 24 novembre 1997, riportato in Lucio Sicca, "La gestione strategica dell'impresa", Cedam, Padova,1998.

G. Franzese e N. Picchio,"Noi siamo del Sud", già citato. Nel libro vi sono servizi ed interviste ai protagonisti di 18 imprese di successo, dai confetti di Sulmona offerti da Carolina di Monaco al battesimo della sua terzogenita alla Datel di Crotone, operante nell'editoria elettronica, e che in un paio di anni riesce ad impiegare 200 giovani.

Medcenter è la società che gestisce il porto di Gioia Tauro, e negli ultimi anni ha fatto registrare incrementi del traffico portuale considerevoli.

Per uno studio dei criteri di assegnazione dei fondi usato da questa legge, delle inefficienze e delle rendite generate a favore delle imprese beneficiarie dei fondi, come pure delle innovazioni di non poco conto introdotte, si veda: D. Scalera e A. Zazzaro, "Incentivi agli investimenti o rendite alle imprese? Una riflessione sulla procedura di allocazione dei sussidi previsti dalla legge n.488 del 1992", in Rivista di Politica Economica, marzo 2000.

Il 24 e 25 marzo 1999 il Consiglio Europeo, riunitosi a Berlino, ha approvato l'accordo politico sul pacchetto Agenda 2000, che illustra le prospettive finanziarie per il periodo 2000-2006. In base a questo accordo, gli obiettivi prioritari vengono ridotti a tre: obiettivo 1 (promuovere l'adeguamento e lo sviluppo infrastrutturale delle regioni in ritardo), Obiettivo 2(favorire la riconversione economica delle zone in declino industriale), obiettivo 3 (favorire l'ammodernamento delle politiche per l'istruzione e la formazione).

I PTO, istituiti con la legge n.104 del 1995, sono espressione del partenariato sociale. Possono essere promossi dagli enti locali, dagli altri enti pubblici operanti a livello locale, dalle rappresentanze locali degli imprenditori o dei lavoratori, o dai soggetti privati. Il patto è sottoscritto dai promotori congiuntamente alla Regione o alla Provincia autonoma nel cui territorio esso ricade, e prevede la nomina di un responsabile del coordinamento. I PTO non possono impiegare fondi CIPE superiori ai 100 miliardi.

I contratti d'area sono frutto di un "Accordo per il lavoro" siglato il 24 settembre 1996, e possono riguardare tanto le zone del Mezzogiorno già sovvenzionate dalla legge n.219/1981, quanto i nuclei di industrializzazione del Nord che si trovino in difficoltà. Sindacato ed Organizzazioni dei datori di lavoro prendono congiuntamente l'iniziativa per la realizzazione del contratto e ne danno comunicazione alla Regione, curando l'istruzione dei progetti di investimento, l'allestimento delle aree attrezzate e il coinvolgimento di un intermediario finanziario (banca) in grado di attivare le sovvenzioni globali. I fondi iniziali vengono anticipati dalla Cassa Depositi e Prestiti. È previsto, inoltre, anche un ruolo attivo della Presidenza del Consiglio e del Ministero del Bilancio.

In generale, sia i PTO che i contratti d'area sono espressione della mentalità "concertativa" di tanta parte del nostro ceto politico: mediare su ogni aspetto della vita istituzionale, e quindi anche sulle scelte di politica economica, serve soltanto a non assumersi le proprie responsbilità. Sarebbe auspicabile, invece, la riaffermazione di un principio diverso: chi è stato democraticamente eletto e rappresenta la maggioranza ha l'obbligo di governare e quindi prendere delle decisioni, anche costose o dolorose.

D. Cersosimo,"Mezzogiorno dei distretti", in "Città, paesi, distretti",1999, già citato.

Per una descrizione esaustiva del modello renano, si veda: Bangemann M., "Meeting the Global Challenge. Establishing a successful European Industrial Policy", Kogan Page, London, 1992.

Per quanto concerne il reddito di cittadinanza si veda Silva,F.,"Vi sono rimedi per l'alta disoccupazione?", LIUC papers n.18, LIUC di Castellanza, Varese, 1995. Il reddito di cittadinanza , secondo l'autore, dovrebbe aggirarsi sui 10 milioni all'anno, e dovrebbe essere riconosciuto a qualsiasi cittadino italiano maggiorenne(quindi anche in cerca di prima occupazione), in modo tale da non avere assilli economici e potere cercare il lavoro più rispondente alle proprie aspettative. L'indennità di disoccupazione, invece, è uno strumento che garantisce una somma di denaro solo a chi ha perso un lavoro regolare; essa esiste in Germania ma non in Italia.

M. Albert, già vice-direttore Prestiti presso la Banca Europea d'Investimento, nel saggio "Il Made in Italy: una nuova via tra capitalismo anglosassone e capitalismo renano?", in A. Quadrio Curzio e M. Fortis (a cura di), "Il Made in Italy oltre il 2000", Il Mulino, Bologna, 2000.

Ilvo Diamanti, "La Lega. Geografia, storia e sociologia di un nuovo soggetto politico", Donzelli , Roma,1993; I. Diamanti, "Il Male del Nord: Lega, Localismo e Secessione", Donzelli Editore, Roma, 1996.L'opera di Diamanti si concentra sulle trasformazioni sociali ed economiche della zona Pedemontana del Nord Est, e mette in relazione i nuovi fenomeni di rappresentanza politica (sua è l'espressione "il vuoto della politica") con il particolare tessuto produttivo di quella zona.

Lo stesso Becattini ha auspicato un ridimensionamento della funzione delle provincie. Si veda: G. Becattini, "Per una nuova comunità locale", Sviluppo Locale, n.1,Passigli Editore, Firenze, 1994.

Manlio Rossi Doria definisce, con ardita immagine, pidocchi "l'innumerevole schiera dei piccoli mediatori politici, appartenenti a ogni partito, interessati ad imprimere carattere clientelare a tutti i rapporti, compresi quelli che nascono sul terreno del collocamento, della previdenza sociale, dell'azione sindacale". Sarebbero proprio costoro il principale ostacolo per una seria politica di sviluppo del Mezzogiorno. Si veda: Rossi Doria M., "Scritti sul Mezzogiorno", Einaudi, Torino, 1982.

Oggi la Welsh Development Agency attira investimenti capaci di creare 15.000 posti l'anno, mentre l'Irish Development Agency (altro caso di successo) riesce a produrre 10.000 nuovi posti di lavoro l'anno. In Francia molto positiva è l'azione dell'agenzia DATAR.

Nel settembre 1997 è stata creata l'Agenzia ITAINVEST, sulla base di una direttiva della Presidenza del Consiglio, intesa a trasformare la GEPI (Società di Gestione e Partecipazioni Industriali) in una società per il rilancio dell'occupazione e tesa a promuovere gli investimenti esteri. L'aumento del flusso di IDE nel nostro Mezzogiorno si spiega, in parte, proprio con la dismissione del patrimonio GEPI, acquisito da imprese estere.

Si veda il "X rapporto sull'Industria e la politica industriale", CER-IRS, Roma, 1999. Per dati particolareggiati e distinti per settore e provenienza geografica, si consulti "L'internazionalizzazione dell'economia italiana", elaborazione Eurispes su dati della Banca d'Italia, Roma,1999.

Per dati ulteriori si veda: Mariotti,S. e Mutinelli,M.,"Gli investimenti diretti esteri nel Mezzogiorno: il passato e le tendenze attuali", L'Industria, aprile-giugno 1999.

La Cina di Deng Xiao Ping è riuscita ad innescare un poderoso processo di sviluppo nelle zone costiere (con aree industriali molto simili ai nostri distretti) grazie ad una aggressiva politica totalmente orientata ad assicurare la massima profittabilità agli investimenti stranieri.Per un'interessante analisi, si veda: Pant R. Dipack,"Two decades of international investiment in People's Republic of China", LIUC Papers n.62, LIUC di Castellanza, Varese, aprile 1999.

Un buon metodo per valutare l'efficacia di qualsiasi erogazione di fondi pubblici potrebbe essere quello di delegare l'analisi quantitativa costi-benefici ad un pool di economisiti esterni ed indipendenti dalla pubblica amministrazione, per evitare che il controllore sia un dipendente del controllato. Una indicazione diversa è stata invece data da F. Barca nel convegno "Nuova programmazione e sviluppo territoriale", tenutosi il 7 febbraio 2001 presso la Facoltà di Economia dell'Università "Federico II" di Napoli, in cui si prefigurava l'istituzione di appositi nuclei di verifica territoriali per monitorare l'efficacia della spesa pubblica.

M. Bugamelli, "Il modello di specializzazione internazionale dell'area Euro e dei principali paesi europei: omogeneità e convergenza", in Temi di discussione del Servizio studi ,n.402, Banca d'Italia,Roma, marzo 2001.

L'indice RCA (Revealed Comparative Advantage), detto indice di Balassa (dal nome dell'economista ungherese che lo ha ideato, Bela Balassa) o indice del vantaggio comparato relativo, indica se un paese ha, in un certo settore, una quota relativa di esportazioni maggiore della sua quota media del totale delle esportazioni mondiali: RCA= (XIJ/SIXIJ)/(SJXIJ/SISJXIJ) dove XIJ è il valore delle esportazioni del paese I nel settore J. Se 0<RCAIJ <1 c'è svantaggio comparato rivelato in J. Se 1 RCAIj c'è vantaggio comparato. Un valore RCA pari a 2 indica forte specializzazione: in Italia è il caso dei settori ad ampio uso di forza lavoro unskilled.

Per dati, grafici e tabelle si veda: Helg, R.,"Italian districts in the international economy", LIUC Papers n.68, LIUC di Castellanza, Varese, novembre 1999.

Weber,M.,"Politica come professione",Edizioni Anabasi, Milano, 1994.

Traduzione letterale:" traboccamenti di sapere locale". Per una panoramica su questo argomento si veda: Breschi,S. e Lissoni, F.,"Knowledge Spillovers and Local Innovation Systems: a critical survey", LIUC papers n.84, LIUC di Castellanza, Varese, marzo 2001. Si ricorda che LIUC è l'acronimo di "Libero Istituto Universitario Carlo Cattaneo" di Castellanza (Varese).

Audretsch sostiene che la conoscenza tacita sia il fattore aggregante più potente per le imprese innovative:"The theory of knowledge spillovers..suggests that the propensity for innovative activity to cluster spatially will be the greatest in industies where tacit knowledge plays an important role..it is tacit knowledge, as opposed to information[codified],which can only be transmitted informally, and typically demands direct and repeated contacts". Si veda:Audretsch D.B.,"Agglomeration and the location of innovative activity", Oxford Review of Economic Policy,14, 1998. Pag.23.

Il caso del dott. Veronesi, il già citato farmacista di Mirandola che ha dato vita ad una serie di iniziative imprenditoriali (Mirastet, Dideco) nel campo delle macchine sterilizzatrici per l'emodialisi, è significativo. Attorno a lui hanno preso vita tante altre piccole imprese (Biomedical valley) che hanno attirato l'attenzione (e gli investimenti) delle multinazionali (Gambro, Pfizer e Rhone-Poulenc): il distretto di Mirandola (MO) oggi può essere un esempio da replicare anche al Sud per quanto riguarda la diffusione dell'imprenditorialità in settori Hi-Tech. Per avere un'idea più precisa dei meccanismi che hanno consentito la crescita rapida di questo distretto ad alta tecnologia, si veda: Biggiero,L. e Sammarra,A., "The biomedical valley", 2001, già citato.

Le Green Card sono i permessi speciali di lavoro concessi dal Governo di un paese agli immigrati che avanzano una richiesta di soggiorno e che non siano rifugiati di guerra o perseguitati politici.

I diversi modi di gestire un distretto industriale e di governarne la crescita e la direzione sono analizzati da Fernanado Alberti in "The Governance of Industrial Districts: a Theoretical Footing Proposal", LIUC Papers n.82, LIUC di Castellanza, Varese, gennaio 2001. In particolare, l'autore suggerisce sempre di individuare una entità leader all'interno del distretto (non necessariamente un'impresa, ma anche un'entità di tipo amministrativo come il "comitato di distretto") per dirigere il processo di crescita.

Interessante a tal riguardo è il saggio di G. Corò ed E. Rullani, "Neo-imprenditorialità e politiche regionali per l'innovazione: l'applicazione della legge 44/86 in contesti a sviluppo diffuso", Piccola Impresa/Small Business, n,1, 1998.

La situazione è preoccupante anche nel distretto di Forlì-Cesena,specializzato nel mobile imbottito, dove una recente ricerca sul ricambio generazionale ha evidenziato come quasi 4 imprenditori su 10 non hanno nessuno disposto a rilevare la loro attività.Si veda: ANTARES, Centro di Ricerca di Politica Industriale,"Gli elementi di riproducibilità di un sistema produttivo locale: il cambio generazionale nella provincia di Forlì-Cesena", Forlì, 1999.

Secondo il Rapporto Annuale dell'ISTAT per il 1999, la struttura demografica dei diversi sistemi locali del lavoro (SLL) può spiegare la immodificabilità del nostro sistema industriale, basato sulla manifattura tradizionale e sui settori labour-intensive.In particolare, i sistemi locali manifatturieri presentano un indice di vecchiaia (dato dal rapporto percentuale tra la popolazione con 65 e più anni e quella con meno di 15 anni) pari a 132,5, a fronte di valori del 100,5 per i sistemi senza specializzazione e a 109 per quelli non manifatturieri, con divari ancora più pronunciati se si prende in considerazione la sola popolazione maschile.

F. Schivardi, "Rigidità nel mercato del lavoro, disoccupazione e crescita", in Temi di discussione del Servizio Studi, Banca d'Italia, n.364, Roma, dicembre 1999.

Il fenomeno secondo cui i disoccupati di lungo periodo tendono a non esercitare pressioni salariali che contribuirebbero al loro riassorbimento è noto col termine di isteresi,ed è una delle principali barriere all'entrata per i giovani nel mercato del lavoro.

Negli ultimi anni sono stati studiati diversi indicatori statistici per svelare le sacche di lavoro nero; per una panoramica interessante si veda, "L'economia sommersa, problemi di misura e possibili effetti sulla finanza pubblica", audizione del presidente dell'Istituto Nazionale di Statistica tenuta presso la V Commissione Bilancio della Camera dei Deputati, il 16 luglio 1998.

Il Comitato per l'emersione del lavoro non regolare è stato istituito con l'art. 78 della legge 448 del 1998, ed ha compito di monitorare la situazione del sommerso in Italia tramite apposite commissioni locali. Fornisce pareri ed indicazioni alla Presidenza del Consiglio sulle misure più idonee da adottare nelle Leggi Finanziarie per agevolare l'emersione.

Carlo Rosselli, "Socialismo Liberale", Einaudi, Torino,1973. Vi si legge, tra l'altro,:"Solo alcune frazioni della borghesia esercitano ancora una utile, diciamo anzi, pressochè indispensabile funzione progresista. E quali? Quelle che, indipendentemente dal privilegio della nascita, realizzano nella vita nuovi valori nella sfera della intelligenza pura.riprova di questa funzione liberale che ancora esercitano alcune frazioni borghesi è l'esistenza presso tutte le democrazie moderne, di partiti di democrazia borghese che non restano sordi alle esigenze del progresso e danno la mano .al movimento di ascensione della classe lavoratrice".

Tito Boeri attualmente insegna Istituzioni del Mercato del Lavoro presso la Bocconi.

Boeri,T . e Garibaldi,P.,"Shadow Activity and Unemployment in a Depressed Labour Market", IGIER Working Papers, Milano, giugno 2001. L'IGIER (Innocenzo Gasparini Institute of Economic Research) è un istituto di ricerca finanziato principalmente con i fondi della CIR (Compagnie Industriali Riunite), società finanziaria della famiglia De Benedetti.

Schneider e Enste, "Shadow economies: size, causes and consequences", Journal of Economic Literature, n.58, 2000, pp. 77-114.

L'ISTAT stima i tassi di lavoro irregolare in parte sulla base delle discrepanze tra il reddito dichiarato dalle imprese e quello delle famiglie degli imprenditori, ed in parte sulla base di indagini ad-hoc fatte sulla popolazione straniera e nei settori in cui si ritiene che il lavoro nero sia più diffuso.

Una misura diretta a scoraggiare i casi in cui il datore ed il lavoratore si mettono d'accordo per evadere i contributi può essere quella di subordinare l'accesso alle assicurazioni sociali (ad esempio l'assicurazione sulla perdita del posto di lavoro) alla stipula di un contratto di lavoro formale e regolare.

L'articolo 112 della nostra Costituzione afferma:"Il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale". Il P.M., cioè, è titolare di un potere-dovere, di una funzione dalla quale non può esimersi senza violare (in teoria) il principio di eguaglianza: una volta venuto a conoscenza della notitia criminis , egli è obbligato ad avviare l'azione penale.

Il concetto di "Stato amico" evocato spesso da alcuni studiosi (principalmente la Bàculo e Meldolesi) è poco più di una scatola vuota se non si riafferma il principio fondamentale della Regola (the Rule of Law) e del suo rispetto. Oggi lo stato è sin troppo "amico" con chi ha le amicizie giuste, ed oltremodo oppressivo verso i più onesti. Una volontà politica di fare rispettare le leggi a tutti i livelli sarebbe la migliore polizza di assicurazione contro ogni furto di Verità o di Giustizia , e la premessa fondamentale per un corretto funzionamento dell'economia e del mercato, condizione essenziale per attirare anche investimenti dall'estero.

A tal proposito si veda: E. Bonaccorsi e G. Gobbi, "The effects of bank consolidation and market entry on small business entry", Temi di discussione del Servizio Studi, Banca d'Italia,n. 404,Roma, giugno 2001.

Per un'analisi del trend del differenziale dei tassi di interesse tra Nord e Sud, si veda il rapporto Eurispes "Il ruolo del mercato del credito", elaborazione su dati Banca d'Italia, Roma, 1999.

Si veda: Breschi,S. e Lissoni, F.,"Knowledge Spillovers and Local Innovation Systems: a critical survey", LIUC papers n.84, LIUC di Castellanza, Varese, marzo 2001, già citato.

La SGS è una multinazionale franco-britannica, specializzata nella produzione di televisori ed elettrodomestici.




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