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ELEMENTI PER L'ANALISI STRATEGICA DELL'IMPRESA - CATENA DEL VALORE E CREAZIONE DEL VALORE

economia



ELEMENTI PER L'ANALISI STRATEGICA DELL'IMPRESA


1. CATENA DEL VALORE E CREAZIONE DEL VALORE

Il modello della catena del valore disaggrega l'impresa nelle sue attività principali, allo scopo di comprendere se e in quale misura esse concorrono a 333h73d determinare dei vantaggi competitivi.

Perché catena? Perché si tratta di una serie di attività tra loro legate da interdipendenze sequenziali (cioè da rapporti di input-output, come gli anelli di una catena), ma tecnologicamente distinte.

Perché del valore? Perché è il valore creato a favore dei clienti, non il costo, a determinare la posizione competitiva dell'impresa.

La catena del valore visualizza il valore totale creato dall'impresa distinguendone due elementi:



le attività generatrici del valore;

il margine di profitto.

Il margine di profitto è dato dalla differenza tra il valore totale e il costo complessivo per svolgere le attività generatrici di valore.

Il valore creato deriva dalla capacità del prodotto (bene o servizio) di attivare un ulteriore processo di creazione del valore al livello della catena del valore dell'acquirente,

sgravandolo da compiti che questi non intende svolgere direttamente, per potersi invece concentrare sulle attività dove possiede un vantaggio comparato;

"mobilitando" il cliente, cioè aiutandolo a fare cose che prima non avrebbe potuto fare o a farle meglio.

La creazione di valore implica dunque uno spostamento di attenzione dal prodotto al cliente: l'impresa considera se stessa un sistema di supporto, cioè un'entità che opera in quanto capace di aiutare i clienti a creare valore e successo per se stessi e per i propri clienti.

Dal punto di vista del cliente, quanto appena detto significa che sono le offerte e non le imprese a competere sul mercato, perché sono le offerte e non le imprese ad entrare nel suo processo di creazione del valore.


Le attività generatrici di valore. Le attività generatrici del valore si possono suddividere in attività primarie ed attività di supporto. Sono attività primarie in un'impresa manifatturiera (produzione di beni):

  1. approvvigionamento e gestione magazzini di input (logistica in entrata); comprende - oltre alle attività di rifornimento di input (materie, parti, componenti) - la gestione e il controllo dei magazzini e la programmazione dei trasporti;
  2. produzione; comprende le lavorazioni in officina, i processi di assemblaggio, la manutenzione dei macchinari, la gestione degli impianti e le attività di logistica interna (gestione delle scorte e dei trasporti);
  3. distribuzione fisica (logistica in uscita); comprende il magazzinaggio dei prodotti finiti, la gestione dei vettori di consegna, l'elaborazione degli ordini, la programmazione delle spedizioni;
  4. marketing e vendite; comprende la gestione della forza di vendita, il controllo dei canali distributivi, la gestione del marketing mix;
  5. servizi accessori alla clientela; si tratta di attività di fornitura di servizi atte a migliorare o a mantenere il valore del prodotto: installazioni, riparazioni, addestramento, fornitura di ricambi e accessori.

Sono attività di supporto quelle attività che non contribuiscono direttamente alla creazione del valore, ma che sono comunque necessarie al funzionamento complessivo dell'impresa e all'efficace svolgimento delle attività primarie:

  • attività infrastrutturali; comprendono molteplici attività quali la direzione generale, la pianificazione e controllo, l'amministrazione, la finanza, le pubbliche relazioni, e tutti i servizi generali.
  • R&S - ricerca e sviluppo; comprende tutte le attività di sviluppo del patrimonio tecnologico aziendale.
  • gestione delle risorse umane; comprende attività come il reclutamento e la selezione del personale, l'addestramento e la formazione, la definizione delle politiche retributive e dei programmi di carriera e sviluppo, le relazioni industriali.

La catena del valore può essere costruita anche con riferimento ad imprese non manifatturiere (come le imprese di servizi), con qualche opportuno aggiustamento nelle categorie sopra presentate. Vale il seguente principio fondamentale: dovrebbero essere isolate e separate le attività che hanno logiche economiche diverse, che possiedono un alto impatto, anche potenziale, sulla differenziazione, oppure che rappresentano una porzione di costo crescente e significativa.














I legami tra attività e la supply chain. Pur costituita da numerose, diverse attività, la catena del valore è una collezione di attività interdipendenti, delle quali vanno attentamente gestiti i collegamenti reciproci. L'interdipendenza può essere misurata dall'impatto che i diversi modi di eseguire un'attività hanno sul valore e il costo di un'altra attività.

La gestione dei collegamenti tra attività può avvenire a diversi livelli:

a)  all'interno di una data catena del valore;

b)  al livello dei legami verticali nella supply chain, che connettono la catena del valore dell'impresa con quelle a monte (dei fornitori) e a valle (dei distributori);

c)  al livello dei legami orizzontali tra diverse catene del valore all'interno della stessa impresa (in tal caso l'enfasi è posta sul conseguimento di economie di scopo e di sinergie all'interno di imprese diversificate);

d) al livello dei legami orizzontali tra catene del valore di imprese concorrenti.

L'analisi dei collegamenti tra attività proietta l'analisi sull'intero sistema del valore, costituito dalle catene del valore dei concorrenti, dei fornitori, dei canali di distribuzione e dei clienti finali.

Acquisire e mantenere il vantaggio competitivo dipende dal modo in cui l'impresa si colloca in questa più ampia supply chain:








La gestione dei collegamenti è un compito organizzativo più complesso della gestione delle singole attività, ma può produrre vantaggi competitivi sostenibili.

Il vantaggio competitivo attraverso questi collegamenti può realizzarsi in due distinti modi:

attraverso l'ottimizzazione congiunta;

attraverso il coordinamento.

L'enfasi sui collegamenti consente di superare alcuni limiti del modello della catena del valore. E' stato infatti osservato che gli attori economici non si rapportano più tra loro secondo il modello semplice, unidirezionale, sequenziale descritto dalla catena del valore, ma attraverso modalità ben più complesse e bi-direzionali. Anziché aggiungere valore uno dopo l'altro, i partner nella produzione (fornitori, produttori, distributori, utenti finali) creano insieme il valore attraverso svariate relazioni di co-produzione.



2. L'ANALISI DELLA CONCORRENZA

Nozione di settore. Da sempre gli studiosi di management sono impegnati a identificare i fattori determinanti il successo competitivo e i livelli di performance economica delle imprese. Secondo il paradigma Strutture-Condotte-Performance, la performance dell'impresa sarebbe determinata essenzialmente dalla struttura del settore (industry) di appartenenza, definita in funzione delle modalità e dei valori assunti da una serie di parametri 'strutturali', tra cui possono annoverarsi:

il grado di concentrazione,

il grado di differenziazione dell'offerta,

il grado di integrazione verticale,


il numero di operatori presenti sul mercato,

l'entità delle barriere all'entrata,

le economie di scala.

I settori più profittevoli (o per meglio dire, i più attrattivi) risulterebbero essere quelli che presentano un grado di concentrazione più elevato e maggiori barriere competitive; i settori meno profittevoli sarebbero invece quelli con un più intenso grado di concorrenza tra imprese.

La nozione di settore è dunque di importanza fondamentale per lo studio dell'impresa. Esso rappresenta il tipico contesto di riferimento per l'analisi della concorrenza.

Il settore può essere definito come un gruppo di imprese che producono beni o servizi tra loro sostituibili, e che sono, quindi, in concorrenza tra loro per la conquista della domanda.


Il grado di sostituibilità tra prodotti può essere misurato dall'elasticità incrociata della domanda (E.I.):


Il rapporto esprime la variazione relativa delle vendite del prodotto A in seguito alla variazione del prezzo del prodotto B. Valori positivi del rapporto indicano l'esistenza di un rapporto di (maggiore o minore) sostituibilità e quindi di concorrenza tra i produttori; valori negativi indicano invece un rapporto di complementarità tra i due prodotti.

Oltre alla presenza di relazioni di sostituibilità, due imprese si considereranno appartenenti allo stesso settore se impiegano anche tecnologie similari. Il criterio di omogeneità dei bisogni (applicabile attraverso la misurazione dell'elasticità incrociata) deve essere dunque integrato dal criterio di omogeneità delle tecnologie impiegate. Ad esempio, il trasporto aereo e i sistemi di video-conferenza, pur soddisfacendo uno stesso bisogno (di mobilità, di comunicazione, in una parola: di connettività), non appartengono allo stesso settore. Ciò non significa che tra le imprese produttrici di questi beni e/o servizi non ci siano relazioni di concorrenza, seppur indiretta. In una nozione di 'concorrenza allargata', come vedremo, anche queste relazioni assumono rilevanza.


La quota di mercato. La concorrenza tra imprese si manifesta secondo diverse modalità:

manovre sui prezzi;

battaglie pubblicitarie;

lancio di nuovi prodotti;

miglioramento del livello di servizio ai clienti;

ecc.

Tali manovre sono volte alla conquista di una più ampia quota di mercato o a difendere quella posseduta dagli attacchi dei concorrenti.

La quota di mercato (Q.M.) è il parametro più diffuso per valutare il posizionamento competitivo di un'impresa. Essa può essere misurata (a livello di segmento, di business o dell'intero settore) con riferimento alle quantità vendute o al fatturato:


Quota di mercato (a quantità) =


Quota di mercato (a valore)[1] =


Il rapporto tra le due quote di mercato esprime il prezzo relativo praticato dall'impresa:


prezzo relativo = =


Di particolare interesse ai fini dell'analisi competitiva è la quota di mercato relativa (anch'essa misurabile a valore o in quantità):


quota di mercato relativa (a valore)[2] =


Esempio. Un'impresa ha una quota di mercato in quantità (cioè misurata tenendo conto delle quantità vendute) del 13% e una quota di mercato in valore (cioè misurata tenendo conto anche dei prezzi di vendita) del 10%. Il prezzo medio di mercato è pari a Lit. 100.000. Qual è il prezzo praticato dall'impresa?

Soluzione.

Confrontando le due quote di mercato possiamo determinare il prezzo relativo praticato dall'impresa:

prezzo relativo = = = 0,77

Il prezzo praticato dall'impresa è dunque pari al 77% del prezzo medio di mercato, cioè Lit. 77.000.


Le determinanti della concorrenza. Una concorrenza intensa è il risultato dell'interazione reciproca di molti fattori strutturali:

Numero di imprese del settore e grado di concentrazione.

Basso tasso di sviluppo delle vendite del settore e lotta per le quote di mercato.

Alto livello dei costi fissi.

Scarsa differenziazione.

Prodotti deperibili o a forte obsolescenza.

Alte barriere all'uscita.


numero di imprese del settore e grado di concentrazione

Un elevato numero di imprese è caratteristico dei mercati in regime di massima concorrenza (concorrenza perfetta); anche quando ci sono relativamente poche imprese, ma queste sono equilibrate per dimensioni e forza, il grado di rivalità può essere molto elevato (come accade in alcune forme di oligopolio), poiché è difficile che possa emergere un vincitore e che un equilibrio stabile venga raggiunto. Quando invece il settore è molto concentrato o dominato da una impresa (monopolio) o poche imprese (oligopolio), le imprese leader possono imporre un livello di prezzi tale da massimizzare i profitti.

Di particolare importanza per queste valutazioni è l'indice di concentrazione del settore (I.C.)[3]:

L'indice di concentrazione è la sommatoria delle quote di mercato delle prime n imprese del settore (dove n è di solito inferiore a 10) ovvero la sommatoria dei fatturati delle prime n imprese del settore in rapporto al fatturato totale.

Esempio. Il fatturato del settore Y è così suddiviso:

impresa X

10 miliardi

impresa W

80 miliardi

impresa Z

60 miliardi

impresa P

30 miliardi

impresa Q

20 miliardi

impresa R

70 miliardi

altre imprese

130 miliardi


Calcolare l'indice di concentrazione, per le prime 4 imprese.

Soluzione. Il fatturato totale del settore è di 400 miliardi. Il fatturato delle prime 4 imprese è 240 miliardi (80 + 70 + 60 + 30), dunque il grado di concentrazione è del 60%.


Basso tasso di sviluppo delle vendite del settore e lotta per le quote di mercato.

La maturità o il declino di un settore spingono le imprese che vogliono espandersi a confrontarsi sulle quote di mercato. Il gioco competitivo diventa in questo caso un gioco a 'somma zero', e viene condotto attraverso comportamenti anche molto aggressivi. Nel caso di mercati in crescita, gli obiettivi di sviluppo dimensionale e reddituale possono invece essere ottenuti semplicemente mantenendo le quote e seguendo la crescita del settore. Per mantenere invariate le quote di mercato, il tasso di sviluppo delle vendite dell'impresa non deve essere inferiore a quello dell'intero mercato:


tasso annuale di sviluppo delle vendite (sul fatturato) =


tasso annuale di sviluppo delle vendite (sulle quantità) =

Calcolato su periodi di tempo più ampi di un anno, il tasso di sviluppo risulta maggiormente significativo. Si parla in tal caso di compounded average growht rate (CAGR):


Alto livello dei costi fissi.

Nei settori caratterizzati da ingenti investimenti in capitale fisso e da eccesso di capacità produttiva, l'andamento delle curve di costo unitario gioca un ruolo importante nella definizione delle manovre competitive. Prezzi particolarmente bassi possono infatti consentire - una volta che la maggior quota di domanda così conquistata abbia consentito di saturare la capacità produttiva in esubero - di meglio ripartire i costi fissi e conseguentemente di ridurre i costi unitari di produzione. Queste riduzioni nei costi aprono la strada ad ulteriori riduzioni dei prezzi.

La presenza di costi fissi anticipati (sunk cost) può inoltre spingere le imprese a praticare - sebbene per periodi di tempo non eccessivamente lunghi - prezzi molto vicini ai costi marginali. Laddove il rapporto tra costi variabili e costi fissi non sia identico per tutte le imprese (diversa elasticità dei costi; diverso grado di integrazione verticale) alcune di esse non potranno seguire i concorrenti in questi ribassi.


Scarsa differenziazione.

Quando un bene/servizio può essere considerato una commodity (cioè un prodotto banale, standard, non distinguibile dai prodotti offerti dai concorrenti), la competizione tra imprese non può giocarsi sulla base di leve competitive 'soft' come la fedeltà alla marca, i differenziali di qualità, la personalizzazione del prodotto, la segmentazione della domanda, l'offerta di prodotti di 'nicchia' o qualsiasi altra forma di no-price competition. Tutte le manovre competitive si dovranno invece basare su un'unica leva: il prezzo. La competizione sul prezzo provoca, di regola, effetti fortemente negativi sulla redditività media delle imprese.


Prodotti deperibili o a forte obsolescenza.

Nei settori che realizzano prodotti deperibili (come alcuni prodotti alimentari) o a forte obsolescenza (caratterizzati da un forte tasso di innovazione incrementale e/o fortemente soggetti al fattore 'moda'), gli obiettivi di redditività e di volumi di vendita devono essere raggiunti nel più breve tempo possibile, pena l'insuccesso. Ecco perché, molto rapidamente, i comportamenti delle imprese che non hanno ancora raggiunto i risultati sperati diventano più aggressivi.

Alte barriere all'uscita.

Si tratta di fattori che trattengono l'impresa nel settore anche quando il tasso di redditività è basso o addirittura negativo.

Investimenti specifici; quando il valore di realizzo degli investimenti - in caso di uscita dal settore - è nullo o molto basso, sarà ridotto anche il costo opportunità della decisione di proseguire le attività nel settore.  

Costi fissi di uscita; comprendono il costo della rottura dei contratti di lavoro, dei contratti di distribuzione e di rifornimento, il costo del mantenimento di capacità produttiva per la produzione di parti di ricambio, ecc.

Interdipendenze strategiche; l'impresa può trovarsi costretta a restare nel settore perché la presenza non si giustifica semplicemente sulla base della redditività attesa, ma anche in relazione allo sfruttamento di interdipendenze e complementarità con settori correlati (sinergie, economie di scopo) sul piano dell'immagine, del marketing, dell'accesso ai mercati finanziari, dei costi delle produzioni congiunte, ecc.

Barriere emotive; si tratta dei costi psicologici (lealtà verso i dipendenti, orgoglio, prestigio personale) che i manager devono sostenere in caso di chiusura dell'attività.

Ostacoli politici e sociali; sono tanto maggiori quanto più importante è l'attività produttiva per l'economia dell'area geografica o della nazione in cui viene svolta. Con l'obiettivo primario di mantenere i livelli occupazionali, attività prive di giustificazione economica possono dunque essere mantenute in vita grazie a massicci trasferimenti pubblici.


I gruppi strategici. Un gruppo strategico è costituito da quelle imprese concorrenti che seguono approcci e occupano posizioni simili sul mercato. L'identificazione dei gruppi strategici aumenta la comprensione del grado e della natura della competizione all'interno di un settore. La concorrenza tende infatti a realizzarsi all'interno dei gruppi strategici o tra gruppi strategici ravvicinati, piuttosto che al livello dell'intero settore.

Un grosso concorrente, con un'ampia quota di mercato, può trovarsi ad operare in un gruppo ad intensa rivalità, ottenendo così dei limitati profitti. Viceversa, una piccola impresa che occupa una nicchia protetta del mercato può conseguire tassi di redditività estremamente elevati.

Gli ostacoli alla mobilità delle imprese da un gruppo strategico all'altro si definiscono barriere alla mobilità. Si tratta degli stessi fattori che determinano le barriere all'entrata. Esse forniscono una prima fondamentale spiegazione del perché alcune imprese realizzano sistematicamente redditi superiori alle altre.

Per costruire una mappa dei gruppi strategici è necessario seguire la seguente procedura:

identificare le caratteristiche strategiche chiave che distinguono i diversi concorrenti, come:

dimensione,

nazionalità

grado di diversificazione

mercati serviti,

segmenti,

raggio geografico di azione,

ampiezza della gamma produttiva,

canali distributivi,

grado di integrazione verticale,

livelli di prezzi,

livelli qualitativi,

ecc.

posizionare le imprese su un sistema di assi bidimensionale, usando coppie selezionate di queste variabili,

raggruppare le imprese che si posizionano in una stessa o simile area del grafico nei gruppi strategici,

rappresentare i gruppi con cerchi di area pari alla loro importanza relativa in termini di vendite totali,

se più di due variabili significative possono essere usate il posizionamento delle imprese concorrenti, si dovranno costruire diverse mappature al fine di identificare tutte le possibili relazioni di concorrenza.

La posizione competitiva. La forza relativa di un'impresa nei confronti dei suoi concorrenti è un indicatore importante per le decisioni strategiche. La posizione competitiva può essere valutata sulla base dei seguenti fattori:

quota di mercato assoluta;

quota di mercato relativa;

trend della quota di mercato;

redditività relativa (cioè rapportata a quella dei concorrenti);

qualità di prodotto relativa (qualità percepita dal cliente);

prezzo relativo;

indice di concentrazione dei clienti;

tasso di innovazione di prodotto (come % del fatturato realizzato con prodotti lanciati negli ultimi anni);

intensità di capitale relativa (rapportata a quella dei concorrenti).

La posizione competitiva e la misura dei suddetti parametri sono di solito riferite ai tre più grandi concorrenti dell'impresa.


3. ATTRATTIVITA' DEL BUSINESS E CONCORRENZA ALLARGATA

Uno dei modelli più efficaci di analisi dell'attrattività di un business e del posizionamento competitivo è il modello della concorrenza allargata, che si basa sull'interazione di  cinque forze competitive:

il grado di rivalità tra i concorrenti attuali;

la minaccia esercitata dai potenziali nuovi entranti nel settore;

la forza di attrazione della domanda esercitata dai produttori di beni sostitutivi (concorrenti indiretti);

la forza negoziale dei fornitori;

la forza negoziale dei clienti.















Questo modello, per l'enfasi assegnata ai potenziali nuovi entranti, ai produttori di prodotti sostitutivi, alle relazioni al livello della supply chain, costituisce un notevole passo in avanti rispetto alla tradizionale analisi della concorrenza diretta.

Peraltro, il modello non consente di sviluppare l'analisi di tutti i livelli in cui la concorrenza agisce, e cioè:

tra singoli prodotti (di una stessa impresa o di imprese diverse)

tra imprese al livello dei segmenti di business

tra imprese al livello dei mercati geografici

tra imprese al livello delle ASA

tra imprese al livello di industry

tra imprese al livello della supply chain

tra imprese a livello corporate (cd. multipoint competition)


Le barriere all'entrata in un settore. Le barriere all'entrata sono comportamenti strategici o circostanze che proteggono le imprese già presenti dalla competizione esterna, rendendo l'ingresso in un settore difficile o mettendo i potenziali entranti in una situazione di svantaggio. Qualsiasi vantaggio che le imprese presenti hanno sui potenziali concorrenti può essere interpretato come barriera all'entrata, anche se - secondo un'accezione più restrittiva - vi vanno ricompresi soltanto i costi 'incrementali' che i nuovi entranti dovranno sostenere.

Esistono due tipi di barriere all'entrata:

A. Gli ostacoli strutturali all'entrata.

B. I rischi di entrata e i fattori che riducono l'incentivo all'entrata.


Gli ostacoli strutturali all'entrata. 

1. Economie di scala. Esse scoraggiano le entrate poiché impongono alle imprese esterne al settore di operare con scale produttive elevate (pari alla DOM - dimensione ottima minima) anche se non possono ancora contare su una ampia quota di mercato; in tal caso, i forti investimenti da affrontare comportano il rischio delle ritorsioni delle imprese già presenti (riduzioni di prezzo o campagne pubblicitarie). L'alternativa è quella di entrare con una capacità produttiva più bassa della DOM accettando i conseguenti svantaggi di costo.

Le economie di scala hanno qualche limite come barriere all'entrata se esaminate in una prospettiva dinamica:

grandi scale di produzione possono limitare la possibilità di differenziare i prodotto (una produzione di 'massa' mal si concilia con un elevato servizio al cliente o con una politica di elevata qualità);

il progresso tecnologico può penalizzare l'impresa che produce su larga scala, a causa della rigidità e scarsa flessibilità dei sistemi produttivi;

tenuto conto degli elevati costi 'affondati' nelle strutture produttive - recuperabili soltanto attraverso i cospicui margini di contribuzione garantiti dalle economie di scala - l'impresa non avrà sufficienti incentivi ad adattarsi a nuove e superiori tecnologie.


2. Differenziazione di prodotto. Deriva dalla identificazione della marca da parte dei consumatori o dalla fedeltà agli acquisti. Si ottiene attraverso la pubblicità, il servizio alla clientela, le caratteristiche estetiche e funzionali del prodotto, o semplicemente grazie al fatto di essere entrati per primi nel settore. Un prodotto differenziato è un prodotto che viene percepito come 'unico' da parte degli acquirenti. La differenziazione è quindi un importante meccanismo di isolamento dalla concorrenza, poiché riduce le relazioni di sostituibilità tra prodotti concorrenti. Essa rappresenta anche una barriera all'entrata poiché obbliga i nuovi entranti ad investire tempo e risorse per acquisire la fedeltà del consumatore.


3. Fabbisogno di capitali. Spesso l'ingresso in alcuni settori richiede ingenti investimenti in capitale fisso, in capitale circolante, in R&S e in pubblicità. Mantenere elevati gli investimenti in capitale circolante (ad esempio concedendo ampio credito alla clientela o detenendo elevate scorte per assicurare la disponibilità immediata dei prodotti finiti), effettuare cospicui e continui investimenti in comunicazione, promuovere una continua innovazione di prodotto, sono comportamenti che non sono giustificati soltanto dalla necessità di fronteggiare i concorrenti attuali ma anche dalla volontà di scoraggiare l'ingresso nel settore alle imprese che non dispongono di sufficienti risorse finanziarie. 


4. Costi di cambiamento per i compratori. Sono i costi che il compratore deve sostenere quando decide di rivolgersi ad un altro fornitore per l'approvvigionamento di un dato prodotto. Possono comprendere l'addestramento del personale, nuove attrezzature ausiliarie, la prova e la messa a punto del nuovo prodotto come anche i costi psicologici derivanti dalla rottura di una relazione di scambio consolidata. Se i costi di cambiamento (cd. switching costs) sono alti, i nuovi entranti devono offrire un significativo vantaggio di costo o di rendimento per convincere il compratore a cambiare la fonte di rifornimento.


5. Accesso ai canali di distribuzione. Nella misura in cui i canali di distribuzione sono già utilizzati dalle imprese presenti nel settore, e le relazioni con le imprese commerciali sono consolidate, i nuovi entranti incontreranno serie difficoltà nel far accettare dal trade i propri prodotti e saranno costretti a praticare prezzi inferiori e a sostenere le vendite con investimenti pubblicitari e con costose promozioni sui punti di vendita. 


6. Vantaggi assoluti di costo. Si tratta di vantaggi indipendenti dalla scala produttiva, di cui godono cioè anche le imprese di dimensioni minori, purché già presenti sul mercato. Si tratta essenzialmente dei vantaggi dei 'primi arrivati' (first mover advantages):

vantaggi di immagine e reputazione presso i compratori;

fedeltà alla marca rafforzata dal classico 'passaparola' (che in gergo tecnico viene definito information contagion);

tecnologie di prodotto esclusive; si tratta di vantaggi che derivano dallo sfruttamento esclusivo di brevetti (si pensi al settore farmaceutico) o di conoscenze protette da 'segreto' industriale;

accesso privilegiato alle materie prime; in una fase iniziale del ciclo di vita di un settore, quando l'offerta di materie e/o componenti strategici non è soggetta a limitazioni, i first comers possono stipulare coi fornitori accordi di lungo termine spuntando prezzi inferiori a quelli correnti;

ubicazioni favorevoli; analogamente al punto precedente, i primi ad entrare in un settore possono beneficiare di minori costi di insediamento;

occupazione preventiva dei canali di distribuzione;

sovvenzioni pubbliche; vengono concesse alle imprese che hanno avviato l'industrializzazione di un certo territorio o che hanno svolto un ruolo 'pioneristico' in un determinato settore;

curve di esperienza o di apprendimento. Quando i costi di produzione non si riducono semplicemente a causa delle economie di scala (livello assoluto di produzione) ma anche con il trascorrere del tempo, al crescere della produzione cumulata, il vantaggio dei primi entrati può non essere più recuperato da parte dei late entrants. Politiche di prezzo estremamente aggressive da parte dei first comers nelle fasi iniziali del ciclo di vita possono dunque essere interpretate come tentativi di elevare barriere all'entrata attraverso i vantaggi di costo delle curve di esperienza.[4]


7. Politica pubblica. Le amministrazioni pubbliche possono limitare o precludere l'ingresso in determinati settori imponendo, ad esempio, l'obbligo di ottenere specifiche autorizzazioni, oppure mediante controlli estremamente severi in materia di inquinamento e sicurezza. E' quanto accade nei settori delle telecomunicazioni, dei trasporti, del commercio, ecc. I recenti processi di deregulation stanno riducendo progressivamente queste barriere competitive.


I rischi dell'entrata e i fattori che riducono l'incentivo ad entrare

In linea di principio, ci sono tre caratteristiche del settore che influenzano i rischi di ingresso:

un elevato indice di concentrazione (rende le imprese già presenti più forti in caso di reazioni all'ingresso);

l'elevata intensità degli investimenti necessari ad operare nel settore (che rende più elevato il costo di possibili fallimenti);

l'elevata intensità degli investimenti pubblicitari richiesti (la cui efficacia può essere fortemente ridotta dalla fedeltà alle marche già presenti e dagli elevati costi di cambiamento).

Per contro, questi stessi fattori contribuiscono anche ad aumentare gli incentivi all'ingresso: infatti, un settore molto concentrato è di solito un settore più profittevole; inoltre, gli elevati investimenti richiesti possono rappresentare una 'palla al piede' per le imprese già presenti (gli incumbent) in caso di innovazioni tecnologiche radicali; infine, ben mirati investimenti pubblicitari possono in alcuni casi contribuire in modo decisivo al rapido successo di un nuovo entrante.

L'efficacia delle barriere all'entrata come meccanismo di isolamento dalla concorrenza potenziale dipende anche dalle prevedibili reazioni degli incumbent in caso di ingresso.

Reazioni molto energiche (che si potranno tradurre in una 'guerra' di prezzo o in campagne pubblicitarie estremamente aggressive) saranno probabili se:

queste reazioni ci sono state anche in passato;

gli incumbent hanno notevoli risorse per reagire (riserve di liquidità, capacità produttiva in eccesso, influenza sui canali di distribuzione e sui clienti);

essi hanno investito pesantemente nel settore (alto commitment, elevati sunk costs), quindi le barriere all'uscita sono elevate;

il settore ha un tasso di crescita limitato e quindi un comportamento 'accomodante' delle imprese già presenti è improbabile, dovendo queste difendere le proprie quote di mercato.

L'incentivo ad entrare nel settore può venire ridotto dai comportamenti degli stessi incumbent che possono, ad esempio, sfruttare un effetto annuncio. Ne costituiscono esempi:

l'annuncio dell'imminente lancio di nuovi prodotti (che riduce gli incentivi economici all'ingresso);

l'annuncio di prossimi investimenti in capacità produttiva (che aumentando le barriere all'uscita per le imprese presenti rende meno probabili comportamenti 'accomodanti');

l'annuncio di un prossimo ingresso nel settore da cui provengono i potenziali entranti (è una minaccia di ritorsione);

l'annuncio di un'imminente riduzione di prezzo (che può segnalare una struttura di costi difficilmente replicabile dal nuovo entrante).

Queste forme di signaling sono tanto più credibili quanto più sono accompagnate dai comportamenti conseguenti. Per questo motivo, possono rivelarsi un'arma a doppio taglio per chi le utilizza.

Un'impresa già presente sul mercato può disincentivare le nuove entrate fissando un prezzo basso (cd. prezzo limite). Un prezzo basso è veicolo di cattive notizie per le imprese entranti relativamente alla profittabilità del settore. Per le imprese già presenti si tratta di una forma di comportamento 'predatorio' che implica una riduzione di prezzo nel breve periodo (anche sotto i costi marginali) - e quindi un sacrificio del profitto corrente - per scalzare i concorrenti dal mercato o scoraggiare nuove entrate nello sforzo di conseguire una posizione monopolistica nel lungo periodo. Sotto tale profilo, questa pratica di pricing può essere oggetto di interventi antitrust.


I rapporti di potere nella supply chain. Sebbene l'analisi della concorrenza diretta e di quella potenziale (nuovi entranti) stia al cuore del modello della concorrenza allargata, le prospettive di redditività dell'impresa sono fortemente condizionate anche dalla natura delle relazioni che la legano ai mercati di approvvigionamento e di sbocco.

In effetti, prima che al livello competitivo, il valore economico creato da ogni impresa si concretizza attraverso gli atti di scambio posti in essere con i fornitori ed i clienti al livello della supply chain. E' infatti dalla massimizzazione della differenza tra il prezzo di vendita e il prezzo-costo dei fattori produttivi che scaturisce il profitto.

La misura di questa differenza dipende dai rapporti di forza tra l'impresa, i fornitori, i clienti. Ognuno di questi soggetti cercherà di appropriarsi - al momento dello scambio - di una quota del valore creato. Assume quindi estrema rilevanza identificare le fonti del potere di questi soggetti.


Il potere dei fornitori è elevato quando:

il settore di rifornimento è più concentrato del settore a cui vende;

il prodotto fornito non è una commodity ma è unico o differenziato;

il prodotto fornito influenza in misura significativa la qualità del prodotto finale;

il prodotto fornito è cruciale per il processo produttivo dell'impresa acquirente;

non ci sono sostituti o i costi di cambiamento sono così elevati da prevenire l'uso di prodotti sostitutivi;

il fornitore può realizzare la fornitura più economicamente di quanto potrebbe fare l'impresa acquirente;

esiste una credibile minaccia di integrazione a valle;

il settore acquirente non è un cliente importante per il settore dei fornitori.


Il potere dei clienti è elevato quando:

il settore di sbocco è concentrato;

il prodotto venduto è standard e indifferenziato;

la qualità del prodotto non è molto importante per il cliente;

ci sono prodotti sostitutivi prontamente disponibili;

costi di cambiamento per i clienti sono bassi;

il compratore ha informazioni dettagliate sull'offerta;

clienti comprano in grossi volumi e/o acquistano una cospicua quota dell'intero output del settore;

clienti esercitano una credibile minaccia di integrazione verticale a monte.

I rapporti di forza reciproca possono essere sinteticamente rappresentati da un indice numerico di dipendenza. La dipendenza dell'acquirente all'impresa fornitrice X - per ogni classe di acquisto - si misura attraverso il rapporto tra gli acquisti da quella fonte e gli acquisti totali:


La dipendenza di un fornitore da un acquirente Y si misura invece rapportando il fatturato realizzato con quell'acquirente al fatturato totale:


L'attrattività di un settore. L'attrattività è, con il posizionamento competitivo, una delle principali determinanti della redditività delle imprese e dei loro vantaggi competitivi. Ogni impresa cercherà di entrare o permanere in settori ad alta attrattività.

Sinteticamente, le principali variabili che determinano l'attrattività sono le seguenti:

dimensione del mercato;

dimensione dei segmenti target;

tasso di sviluppo storico del mercato (e dei segmenti target);

tasso di sviluppo previsto;

numero di concorrenti (a livello di mercato e di segmento);

indice di concentrazione dei concorrenti;

tasso di redditività medio del settore;

barriere all'entrata;

barriere all'uscita;

grado di differenziazione dei prodotti;

grado di sinergia con altri business;

potere dei clienti;

potere dei fornitori.



5. LA DEFINIZIONE DEL BUSINESS

Ogni impresa può avere una propria concezione del settore industriale di appartenenza, in relazione a come ha definito il proprio business.

Si ritiene generalmente che i business di imprese concorrenti siano definiti in modo simile, ma non è sempre così: un'impresa può avere un ambito competitivo diverso da quello dei suoi concorrenti e questo rappresenta una fonte potenziale di vantaggio competitivo.

Un business può essere definito in base a tre dimensioni: chi, cosa, come:

i gruppi di clienti (segmenti di clientela), cioè chi deve essere servito;

le funzioni svolte per i clienti, cioè che cosa essi desiderano (esigenze dei clienti); a tale proposito, occorre tenere distinte le funzioni dalle modalità con cui queste vengono svolte (la tecnologia) e dagli attributi o benefici percepiti dal cliente come importanti per la scelta di acquisto;

le tecnologie, cioè come le esigenze dei clienti vengono soddisfatte.

Con riferimento a ciascuna delle tre dimensioni, il business è ulteriormente definito dall'ampiezza (scope) - cioè dalla numerosità di gruppi di clienti serviti, dalla numerosità delle funzioni svolte, dalla numerosità delle tecnologie adottate - e dalla differenziazione.

La differenziazione può a sua volta realizzarsi:

rispetto ai segmenti, indicando la misura in cui una determinata impresa tratta in modo diverso i vari segmenti (gruppi di clienti, funzioni svolte, tecnologie).

rispetto ai concorrenti, indicando la differenza che esiste tra ciò che due o più concorrenti offrono ad uno stesso segmento.[5]

Le complesse interrelazioni tra lo scope e la differenziazione possono essere sintetizzate nelle tre seguenti strategie alternative:

a)  strategia concentrata; quando l'impresa focalizza la propria attività su un particolare gruppo di clienti, su una particolare funzione svolta per i clienti o su una particolare tecnologia;

b)  strategia differenziata; quando l'impresa svolge un'attività ampia e differenziata rispetto a una o più delle tre dimensioni. La differenziazione rispetto ai vari segmenti può comportare anche la differenziazione rispetto ai concorrenti;

c)  strategia indifferenziata; quando l'impresa svolge un'attività estesa per scope ma contemporaneamente adotta un approccio non differenziato nei riguardi dei singoli segmenti.

La definizione del business ribalta il tradizionale paradigma Strutture-Comportamenti-Risultati: infatti, è soltanto nel momento in cui l'impresa definisce l'ampiezza e la differenziazione delle proprie attività che viene ad individuarsi la struttura del mercato di appartenenza.  

Alla tradizionale distinzione delle forme di mercato in monopolio, oligopolio, concorrenza monopolistica, concorrenza perfetta, possiamo così sostituire una classificazione che rispecchia le modalità di definizione del business seguite dalle imprese.


Mercati di tipo 1.

Tutti i concorrenti principali perseguono strategie concentrate sia in termini di clienti che di funzioni svolte:



Gruppi di clienti

 








Bisogni soddisfatti

 
















La forza di ogni concorrente (quota di mercato) va misurata al livello di ogni casella.


Mercati di tipo 2.

Tutti i concorrenti principali perseguono una strategia concentrata rispetto alla funzione svolta, ma hanno strategie differenziate od indifferenziate riguardo ai gruppi di clienti:

Gruppi di clienti

 








Bisogni soddisfatti

 
















In questo caso la quota di mercato va misurata per linee orizzontali, poiché i concorrenti saranno probabilmente gli stessi per tutti i gruppi di clienti. Le imprese di successo saranno quelle che detengono un'elevata quota del 'segmento funzionale', ma non necessariamente dovranno avere quote elevate nei singoli segmenti di clientela.


Mercati di tipo 3.

Tutti i concorrenti principali perseguono strategie concentrate rispetto ai gruppi di clienti, ma indifferenziate o differenziate rispetto alle funzioni svolte:


Gruppi di clienti

 








Bisogni soddisfatti

 
















In tal caso le quote di mercato e la concentrazione vanno misurate secondo le colonne verticali. Le imprese di successo saranno quelle che detengono una quota elevata del segmento di clientela ma che non necessariamente hanno una quota elevata in relazione ai singoli prodotti.


Mercati di tipo 4.

Tutti i concorrenti principali perseguono strategie differenziate o indifferenziate, sia rispetto ai gruppi di clienti che rispetto alle funzioni svolte:

Gruppi di clienti

 








Bisogni soddisfatti

 
















In questi mercati, un'unica misura della quota di mercato e della concentrazione sarà adatta. Le imprese di successo saranno quelle che detengono un'elevata quota di tutto il mercato.


Mercati di tipo 5.

Questi mercati sono di tipo ibrido, in quanto i diversi concorrenti definiscono le proprie attività (i propri business) in modi diversi:



Gruppi di clienti

 








Bisogni soddisfatti

 
















Alcuni concorrenti offriranno prodotti per svolgere un'ampia gamma di funzioni per pochi gruppi di clienti o per uno solo (imprese B e C); altre imprese restringeranno la gamma delle funzioni svolte, ma serviranno un numero maggiore di gruppi di clienti (imprese D e E); altre imprese, infine, adotteranno un approccio 'multi-mercato, multi-prodotto' (impresa A):

Gruppi di clienti

 



ABD

AD

ACD

AD

AD

Bisogni soddisfatti

 
B

A

AC

A

A

ABC

AE

ACE

AE

AE

AB

A

AC

A

A


In questi mercati, la quota di mercato e il grado di concentrazione non hanno un significato univoco, potendo essere simultaneamente misurate:

su tutta la matrice;

in ciascuna casella;

relativamente a ciascun gruppo di clienti;

relativamente a ciascuna funzione.


Le ASA. Il livello più appropriato per l'analisi dell'attrattività e del posizionamento competitivo è quello del business o - per meglio dire - dell'area strategica di affari (ASA).

Un'ASA può essere definita come un sottosistema dell'impresa, che coincide con un business specifico; essa rappresenta un'attività che potrebbe essere scorporata dall'impresa e sopravvivere in autonomia.

Con riferimento ad ogni ASA, l'impresa deve poter chiaramente identificare i clienti e i concorrenti attuali e potenziali e formulare obiettivi e strategie con autonomia rispetto alle altre aree di presenza, con risorse ben definite e con un'appropriata struttura di management. La necessaria integrazione tra le diverse ASA di un'impresa è assicurata da un'appropriata strategia a livello corporate, in grado di ottimizzare il fit tra i business, al fine di sfruttare le possibili sinergie, e di ridurre la complessità della pianificazione strategica.

6. IL VANTAGGIO COMPETITIVO E LE STRATEGIE DI BASE

L'obiettivo di ogni impresa è quello di conseguire una posizione competitiva ottimale con riferimento ai business in cui è presente. Una posizione ottimale è quella che garantisce un vantaggio competitivo, cioè un tasso di redditività superiore a quello medio dei concorrenti.

Si possono identificare due strategie di base per conseguire il vantaggio competitivo, ed in generale per fronteggiare la concorrenza allargata:

la leadership dei costi;

la differenziazione.

A loro volta, le strategie di base possono avere come target l'intero mercato o focalizzarsi su:

specifici gruppi di clienti (segmenti);

specifici prodotti;

specifiche aree geografiche.

Ne risulta la seguente matrice delle strategie di base:

TIPOLOGIA DI VANTAGGIO COMPETITIVO


ESTENSIONE DELLE ATTIVITA'

 
AMPIA

Leadership di costo

Differenziazione


RISTRETTA

Focalizzazione con

cost leadership

Focalizzazione con vantaggi da differenziazione

Realizzare una strategia di cost leadership significa gestire con particolare attenzione i cd. cost drivers. Tra i principali vettori di costo si ricordano:

le economie di scala;

le economie di apprendimento;

il grado di integrazione verticale (scelte make or buy);

la localizzazione geografica (per sfruttare i differenziali dei costi dei fattori produttivi o le economie di prossimità ai mercati di approvvigionamento e/o di sbocco);

il rapporto costi variabili su costi fissi (elasticità dei costi);

il controllo dei legami e delle interrelazioni tra attività diverse.

Ogni vettore di costo può essere in qualche misura influenzato dall'impresa; tuttavia, solo alcuni di questi possono essere governati più efficacemente dei concorrenti, potendo così dare origine a vantaggi competitivi.

I vantaggi di differenziazione emergono quando il consumatore (o l'utilizzatore) è in grado di percepire in un prodotto (inteso in senso lato) una o più dimensioni esclusive, rispetto a prodotti analoghi, alle quali egli attribuisce un valore accettando di pagare per esse un premium price.

Ogni opzione strategica comporta una particolare struttura dei costi e dei margini per l'impresa:






La differenziazione può realizzarsi a livello orizzontale o a livello verticale. Nel primo caso, implica una sostituzione di un attributo del prodotto con un altro; nel secondo, implica una continua maggiorazione degli attributi di un prodotto:


Ovviamente la differenziazione (specialmente quella verticale) darà luogo ad un vantaggio competitivo solo se i costi che l'impresa deve sostenere a tal fine sono inferiori al valore che il mercato assegna agli attributi esclusivi del prodotto. In altri termini, un determinato vettore di differenziazione (driver of uniqueness) sarà tanto più efficace quanto maggiore è il controllo che l'impresa esercita sui vettori di costo che vi stanno alla base.

Non sempre l'acquirente è in grado di cogliere e valutare tutti gli effetti diretti ed indiretti che il prodotto esercita sulla propria catena del valore. L'analisi della catena del valore dell'acquirente consente di cogliere quelle dimensioni che portano all'individuazione di possibilità efficaci di differenziazione.

Peraltro, l'impresa venditrice corre il rischio di non vedersi riconosciuto, a causa dello stato di informazione imperfetta ed incompleta in cui versa l'acquirente, il premium-price necessario a coprire i costi della differenziazione e a garantire una congrua redditività.

Vi può essere cioè un gap tra valore reale (misurabile dagli effetti oggettivi del prodotto sull'attività e sui processi gestiti dall'acquirente) e valore percepito. Quest'ultimo, più che da attributi oggettivi del prodotto, dipende dai segnali di valore che l'impresa, anche involontariamente, indirizza all'acquirente, come l'immagine, la reputazione, la pubblicità, i comportamenti della forza di vendita. La gestione di questi segnali di valore può costituire una fonte ulteriore di vantaggi competitivi.

Un posizionamento competitivo ottimale per l'impresa implica una coerenza tra la percezione del valore o della qualità relativa del prodotto da parte dei clienti - comparativamente alle offerte rivali - e il suo prezzo relativo (anch'esso comparato al prezzo praticato dai concorrenti). Le situazioni possibili sono le seguenti:






alta


4. Strategie di basso prezzo


possono essere efficaci per attrarre nuovi clienti o per abbassarne i costi di cambiamento, ma i prezzi bassi sono facilmente imitabili e creano sospetto negli stessi clienti se sono 'troppo bassi'


5. Strategie di differenziazione


3. Posizionamento di alto prezzo/alta qualità



Percezione di valore e della qualità relativa




media



1. Posizionamento medio



6. Posizionamenti

non competitivi


i prezzi non sono giustificati dalle percezioni di qualità, a causa del fallimento delle politiche di innovazione dei prodotti o di una struttura di costi pesante





bassa



2. Posizionamento di basso prezzo/bassa qualità





basso


medio


alto





Percezione del prezzo relativo



I posizionamenti lungo la diagonale della matrice (1, 2, 3) sono coerenti in termini di rapporto qualità/prezzo. Il posizionamento 5 è quello tipicamente conseguente ad una strategia di differenziazione realizzata con successo. Il posizionamento 4 è quello occupato dalle imprese impegnate prevalentemente in forme di competizione sui prezzi. I posizionamenti nell'area 6 non sono sostenibili.

Ogni impresa è sistematicamente impegnata nel miglioramento del proprio posizionamento competitivo. Per ottenere questo obiettivo essa cercherà di occupare posizioni situate in alto e/o a destra rispetto alle posizioni precedenti.

I fattori critici di successo e il vantaggio competitivo. Il controllo dei vettori di costo e/o di differenziazione non assicura automaticamente un vantaggio competitivo: l'impresa realizza un vantaggio competitivo quando è in grado di rispondere meglio dei concorrenti alle esigenze del mercato espresse dai fattori critici di successo (FCS).

I FCS sono quelle capacità aziendali che hanno determinato, nel passato, una stabile leadership.

Parlando di FCS intendiamo le capacità più che i comportamenti dell'impresa: un prezzo basso non è infatti un FCS se non trova il suo presupposto nella capacità dell'impresa di produrre a costi bassi; solo in tal caso, infatti, esso porterà ad un sostenibile successo competitivo e reddituale. Analogamente, la tempestività di consegna non è un FCS se l'impresa non fonda questa prestazione logistica sulla capacità di evadere in tempi brevi le commesse ricevute; se il fondamento della tempestività è invece l'onerosa disponibilità di scorte, tale comportamento non garantirà un successo stabile.

Deve inoltre trattarsi di fattori 'critici' per il successo: essere in grado di operare a costi bassi in un mercato non sensibile al prezzo non garantisce alcun successo; lo stesso si può dire dell'offerta di qualità elevata o del lancio frequente di nuovi prodotti facendo leva su superiori capacità di controllo qualitativo e di innovazione tecnologica: se in alcuni settori si tratta effettivamente di FCS, in altri la loro importanza è marginale.

L'individuazione dei FCS consente all'impresa di focalizzare i propri sforzi sulle aree gestionali critiche per il presidio di queste capacità: può trattarsi dell'area produttiva, della R&S, del marketing, della logistica, della finanza, ecc.

I FCS sono determinati dall'impresa leader, ma una volta affermatisi nel settore diventano le regole del gioco. Ciò non significa, ovviamente, che in un settore sia possibile una sola strategia: vi sono tante strutture di FCS quanti sono i gruppi strategici. Anche i FCS sono inoltre soggetti ad innovazione nel corso del tempo. Rimane qualche dubbio, infine, sulla loro concreta utilità ai fini di pianificazione strategica: essi possono infatti essere individuati con certezza soltanto a posteriori, cioè con riferimento al passato. A causa della dinamica dei mercati, nulla garantisce che il loro presidio rappresenti la 'ricetta' strategica giusta anche per il futuro.

L'identificazione dei FCS presuppone infine l'individuazione delle imprese di "successo". Questa operazione è soltanto apparentemente banale, potendo essere condotta sulla base della valutazione di almeno tre elementi spesso non direttamente correlati:

la redditività,

la quota di mercato,

il tasso di sviluppo della redditività e della quota di mercato.

FCS e posizionamento competitivo. L'impresa può valutare la propria posizione competitiva rispetto ai concorrenti sulla base del grado di presidio dei FCS, utilizzando schemi di questo tipo:



 

alta

 

bassa

 


affidabilità logistica

 

tempo di consegna

 

assistenza tecnica

 

immagine di marca

 

tempi di pagamento

 
















7. ESERCIZI DI AUTOVALUTAZIONE


1. Il mercato dei salumi in Italia è così strutturato (fonte Nielsen, 1998):



Imprese

Quote di mercato (%)

Fiorucci


Galbani


Kraft


Unibon


Vismara


Beretta/Wuber


Ferrarini


Citterio


Rovagnati


Altri



Quali indicazioni si possono trarre per l'analisi competitiva?


2. Si analizzi l'area di business occupata dalle seguenti 4 imprese:



Impresa A

Impresa B

Impresa C

Impresa D

Fatturato (miliardi di lire)





Dipendenti





Ampiezza della gamma

Bassa

Bassa

Alta

Bassa

Presenza sui mercati esteri





Posizionamento di qualità

Alta

Media

Alta

Alta

Profondità della gamma

Alta

Bassa

Media

Alta

Valore aggiunto

Medio

Basso

Medio

Medio

Posizionamento di prezzo

Alto

Basso

Medio

Alto

Vantaggi competitivi

Qualità

Profondità gamma

Costo

Servizio

Costo

Qualità

Profondità gamma


Le strutture dei costi di un'impresa manifatturiera (produzione di beni) e di un'impresa di servizi professionali (auditing) sono le seguenti:



Impresa manifatturiera

(% del totale)

Impresa di servizi professionali

(% del totale)

Attività primarie



Logistica in entrata



Operations



Logistica in uscita



Marketing e vendite



Servizi






Attività di supporto



Attività infrastrutturali



Sviluppo tecnologico



Gestione delle risorse umane






Totale







Quali indicazioni si possono trarre per l'analisi strategica?




APPENDICE 1.  - L'analisi della concorrenza

Al fine di valutare le forze e le debolezze dei concorrenti è necessario disporre di una serie di dati, inclusi i seguenti:

nominativi dei concorrenti

numero e localizzazione dei siti operativi

dati dimensionali (fatturato, capacità produttiva, addetti, ecc.)

struttura organizzativa

grado di diversificazione; aree strategiche di business (ASA)

tassi di sviluppo a livello corporate e a livello di ASA; tassi di redditività

strategie a livello corporate e a livello ASA; accordi di partnership; importanti acquisizioni e fusioni

gamma di prodotti e servizi offerti nelle diverse ASA; posizionamento di prezzo e qualità

quote a livello di settore, quote sui segmenti serviti, quote per mercati geografici;

mercati serviti: stime sulla fedeltà della clientela e sulla immagine di marca

organizzazione delle vendite e dei servizi ai clienti

rapporti con la distribuzione

mercati di nicchia serviti e key accounts

strategie di comunicazione: livelli di spesa, media, promozione e advertising

grado di internazionalizzazione della catena del valore (acquisti, produzione, vendite, ecc.)

livelli di R&S, direzioni di ricerca, professionalità impiegate

processi produttivi, capacità produttiva, economie di scala, livelli di efficienza, grado di intensità del capitale

tipologie di acquisto e classificazione dei fornitori; grado di dipendenza e rapporti di forza; accordi di collaborazione

dati sul personale, relazioni industriali, produttività della forza lavoro, sistemi di sanzione e ricompensa, tasso di sindacalizzazione, assenteismo

professionalità del management, figure chiave

sistemi informativi, sistemi di pianificazione e controllo

analisi di bilancio (anche il consolidato), dati di mercato finanziario (quotazioni, ecc.)

assessment delle risorse

APPENDICE 2. - Check list per l'analisi di settore

Delimitazione del settore e dell'area di interesse specifico (nazionale, regionale, locale, ecc.)

Analisi strutturale generale del settore:

occupazione del settore (numero di addetti);

numero di imprese (o unità locali) e loro distribuzione in classi di dimensione (per addetti, fatturato, investimenti, ecc.)

analisi della concentrazione orizzontale del settore

grado di diversificazione produttiva: analisi dei principali comparti del settore

analisi dell'integrazione verticale

Analisi dei processi di sviluppo del settore

origine del settore e formazione dell'imprenditorialità

motivi dell'insediamento territoriale

analisi storica dello sviluppo delle aziende del settore

collegamento tra punti di svolta storici e prospettive sul futuro; ostacoli allo sviluppo

Analisi delle tipologie di produzione:

descrizione dei processi produttivi, delle fasi di lavorazione, delle tecnologie adottate e dell'organizzazione della produzione

investimenti per addetto per classi dimensionali

struttura dei costi e economie di scala

valore aggiunto e integrazione verticale

specializzazione verticale: distribuzione delle unità locali per fasi di lavorazione

analisi del decentramento produttivo

confronto tra i dati sulle unità locali e quelli sulle imprese

presenza di catene di decentramento produttivo

presenza di industrie terziste e subfornitrici: intensità del fenomeno e loro ruolo

Analisi della variabile tecnologica

progresso tecnico generale del settore: tipi e fonti dell'innovazione

il ruolo del settore macchine utensili nel progresso tecnico del settore

grado di diffusione delle innovazioni

politiche di ricerca e sviluppo e indicatori di innovazione

Analisi territoriale del settore

grado di concentrazione territoriale delle unità locali (indici di localizzazione)

contributo del settore all'occupazione del territorio

individuazione di eventuali distretti

analisi specifica del territorio:

caratteristiche demografiche e socio-economiche

fattori localizzativi (economie esterne, infrastrutture, servizi)

Analisi dei processi di commercializzazione e distribuzione dei prodotti

dimensione del mercato e quote di mercato; indici di concentrazione

evoluzione e dinamica dei consumi del settore

andamento della domanda: stagionale, ciclico; tassi di sviluppo; fasi del ciclo di vita

compratori e loro comportamento

segmentazione del mercato

prodotti complementari

prodotti sostitutivi

grado di diversificazione della produzione

grado di differenziazione dei prodotti

politiche distributive e canali distributivi

logistica

innovazione dei prodotti e politiche di marketing

ruolo del prezzo nel settore

politica di vendita sui mercati internazionali

Analisi finanziaria e delle fonti di finanziamento del settore

struttura finanziaria tipica per classi dimensionali

ruolo del sistema bancario nella crescita del settore

tassi di crescita e fabbisogni finanziari

indicatori finanziari

APPENDICE 3. - La SWOT analysis

Un acronimo per Strenghts, Weaknesses, Opportunities, e Threats, la SWOT analysis fornisce un semplice ma potente strumento per valutare il posizionamento strategico di un'impresa. Nella formulazione della strategia, infatti, l'impresa cerca di far leva sui suoi punti di forza e di superare/eliminare le proprie debolezze. Se l'impresa non è in grado di sfruttare le opportunità che le si presentano o di evitare le minacce, le risorse necessarie possono essere identificate attraverso la SWOT analysis.


Punti di forza potenziali

Professionalità chiave

Risorse finanziarie adeguate

Alto tasso di fedeltà della clientela

Elevate quota di mercato

Alta produttività

Alta qualità dei prodotti/servizi

Bassi costi di produzione

Superiore R&S

Intensa innovazione

Livello elevato del top management

Possesso di tecnologie esclusive

Accesso ai canali distributivi

Supporto governativo

Strategie consolidate

Potenziali debolezze

Mancanza di chiarezza strategica

Impianti obsoleti

Deboli sistemi informativi

Deboli sistemi di pianificazione e controllo

Fabbisogni finanziari

Mancanza di skill manageriali

Conflitti interni di potere

Deboli competenze di marketing

Difficoltà di accesso alle materie prime

Difficoltà di accesso alla distribuzione

Alti costi di produzione

Scarsa qualità di prodotto

Scarso tasso di innovazione


Potenziali opportunità

Entrata in nuovi mercati/segmenti

Diversificazione in business correlati

Integrazione verticale a monte/valle

Prospettive di sviluppo del mercato

Entrata in mercati esteri

Concorrenza debole

Appalti pubblici

Impatto della deregulation

Potenziali minacce

Ingresso di concorrenti a basso costo

Presenza di sostituti tecnologici

Basso sviluppo del mercato

Regolamentazione pubblica

Tassi di cambio

Potere contrattuale di clienti e fornitori

Sviluppi demografici

Vulnerabilità alle fasi di recessione

Cambiamento dei bisogni dei clienti









Dove Q sta per quantità vendute e F sta per fatturato.

Dove con  Fleader si indica il fatturato realizzato dall'impresa leader di mercato, cioè dall'impresa che ha la più elevata quota di mercato. In alcuni casi, la quota di mercato relativa viene calcolata ponendo al denominatore la quota di mercato cumulata dei tre principali concorrenti.

Dove Q.M.i è la quota di mercato dell'impresa i-esima e Fi è il fatturato della stessa impresa.

Come le economie di scala, anche le economie di esperienza presentano dei limiti come barriere all'entrata; un valido sostituto dell'esperienza per i nuovi entranti è infatti l'imitazione. Questi inoltre sono meno vincolati dalle scelte passate nella scelta delle tecnologie di cui dotarsi, che potranno quindi essere quelle più moderne ed efficienti. Il vantaggio dell'esperienza può inoltre essere rapidamente eliminato dall'introduzione di un'innovazione radicale di prodotto e/o di processo. A causa degli elevati investimenti effettuati in passato nella precedente tecnologia, le imprese già presenti sono meno propense dei nuovi entranti a dotarsi delle tecnologie più aggiornate, contribuendo così ad annullare ancor più velocemente il loro vantaggio competitivo.


Può succedere che vi sia una differenziazione del prodotto rispetto ai vari segmenti, ma che vi sia una scarsa differenziazione tra i concorrenti. Ciò si verifica, generalmente, negli stadi di maturità del mercato, quando una segmentazione sempre più fine delle esigenze dei clienti è accompagnata da un'imitazione della segmentazione da parte di tutti i concorrenti. Il caso opposto si verifica, invece, negli stadi iniziali dell'evoluzione del mercato, in relazione alla posizione di vantaggio acquisita dai first comer.




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