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Diritto commerciale - "Il regolamento dell'assemblea"

economia



Diritto commerciale

"Il regolamento dell'assemblea".

La legge non disciplina compiutamente il funzionamento dell'assemblea ma si limita a porre alcune regole concernenti il procedimento assembleare.

Il presidente dell'assemblea è l'organo chiamato a sovrintendere a tutte le operazioni del procedimento assembleare. L'esercizio dei poteri-doveri che la legge gli riconosce può in taluni casi confliggere con l'interesse di singoli soci. Proprio allo scopo di evitare o quanto meno limitare l'insorgere di tali possibili dissidi, viene non di rado adottato un "regolamento" di assemblea o contestualmente alla costituzione della società o successivamente.



Può anche accadere che determinate regole pur non essendo state formalizzate vengano sistematicamente e continuativamente applicate nel corso del tempo sì da assurgere a veri e propri usi negoziali che potranno essere successivamente modificati o disapplicati ma solo previa deliberazione dell'assemblea e a condizione che l'argomento figuri nell'o.d.g. delle materie da trattare.

Ci si deve, infine, chiedere se un determinato regolamento d'assemblea, validamente adottato, possa essere disapplicato limitatamente ad una determinata assemblea e senza che l'argomento figuri fra le materie da trattare.

La conclusione più corretta è che ciò non sia possibile né all'unanimità, (poiché nel corso di una riunione i soci presenti possono anche variare e di certo i nuovi venuti non possono essere vincolati ad una decisione presa a loro insaputa e che non era neanche all'o.d.g. di quella determinata assemblea ed anche perché si è in presenza di una modificazione che può e che deve essere presa nel rispetto della relativa disciplina), né a "fortiori" da parte della maggioranza.

Quali conseguenze si hanno nel caso in cui una o più clausole del regolamento non vengano osservate?

Iniziamo col dire che il regolamento può sempre essere modificato o abrogato ma ciò deve avvenire da parte della stessa assemblea che lo ha approvato, e in ogni caso l'argomento deve figurare nell'elenco delle materie da trattare.

Nel caso di una deliberazione che sia stata adottata senza l'osservanza di una o più clausole del regolamento, la stessa deve senz'altro considerarsi invalida: diversa sarà di volta in volta la giustificazione della suddetta invalidità. Più precisamente se il regolamento è stato adottato dall'assemblea in sede straordinaria, la deliberazione sarà invalida perché non conforme all'atto costitutivo; se invece lo stesso (regolamento) fu adottato dall'assemblea in sede ordinaria, la deliberazione dovrà ritenersi invalida per inadempimento di obbligazioni validamente assunte (si ricordi, infatti che qualsiasi deliberazione - quella approvativa del regolamento - presa in conformità della legge e dell'atto costitutivo vincola tutti i soci ancorché assenti o dissenzienti).


"L'invalidità delle deliberazioni assembleari".

Disciplina dell'invalidità delle deliberazioni assembleari ex-art. 2377 comma 2°: novità di rilievo introdotta dal legislatore italiano consiste nella unificazione delle possibili cause di invalidità delle deliberazioni assembleari e loro degradazione a semplici cause di annullabilità delle relative deliberazioni.

Problema del coordinamento fra 2° comma dell'art. 2377 (deliberazioni non prese in conformità della legge - che cioè violino norme imperative di legge) e art. 2379 che commina la nullità delle deliberazioni con oggetto impossibile o illecito (e l'illiceità dell'oggetto deriva anch'esso dalla violazione di norme imperative di legge). Per cui di fronte alla violazione di norme imperative di legge la sanzione sarà l'annullabilità (ex-art. 2377 2° co.) o la nullità (ex-art. 2379)?



L'opinione prevalente è che si debba avere riguardo alla "natura" dell'interesse tutelato dalle norme violate: se queste sono state poste a tutela di un interesse esclusivo del socio o di un suo diritto disponibile la sanzione sarà l'annullabilità, mentre nulla dovrà considerarsi quella deliberazione con cui si pretenda di modificare o di ledere un diritto indisponibile del socio ovvero che sia contraria all'ordine pubblico o ai principi generali dell'ordinamento.

Ci si è domandati se la disciplina dell'invalidità delle deliberazioni assembleari di cui agli artt. 2377-2379 sia completa o se, viceversa, sia possibile desumere altre ipotesi di nullità dalla disciplina generale in tema di contratti. Ora poiché la nullità costituisce una sanzione prevista dall'ordinamento per l'inosservanza di determinati precetti è necessaria l'esistenza di una norma che la preveda. Può peraltro accadere che il legislatore pur non avendo espressamente la sanzione della nullità abbia tuttavia individuato il precetto in maniera tanto rigida da farne desumere, implicitamente, che l'inosservanza di quel precetto comporta l'impossibilità dell'atto di produrre un qualsiasi effetto. Si parla in tal caso di c.d. "nullità implicita o virtuale". Nella caso delle deliberazioni assembleari ciò si verifica nell'ipotesi della mancanza del verbale. Per tutte le altre fasi precedenti si deve, viceversa, concludere nel senso che la disciplina di cui agli artt. 2377-2379 è completa e autosufficiente.

La questione che ci si pone a questo punto è: cosa succede nel caso in cui non ci sia mai stata una assemblea o addirittura manchi la deliberazione? In queste ipotesi si deve parlare di vera e propria inesistenza della fattispecie "deliberazione assembleare" e conseguentemente devono essere disapplicate le relative disposizioni che disciplinano le varie fasi del procedimento assembleare. Ma per poter giungere ad una tale conclusione occorre preliminarmente verificare che cosa sia una "deliberazione" e in quali casi si sia in presenza della stessa.

Elementi caratterizzanti la "deliberazione":

- convocazione

- riunione

- approvazione da parte della maggioranza

- proclamazione dei risultati

Se tutte queste fasi sono state rispettate allora si può dire di essere in presenza di una "deliberazione" e le eventuali violazioni della legge (o dell'atto costitutivo) sono solo causa di invalidità della deliberazione stessa nella specie dell'annullabilità ex-art. 2377 co. 2°.

Quindi tutti i vizi del procedimento sono sempre e solo causa di annullabilità della deliberazione.


"L'azione individuale di responsabilità".

Azione di responsabilità nei confronti degli amministratori: per la proposizione della relativa azione non è sufficiente la sola circostanza del dissesto societario potendo questo dipendere anche da fenomeni congiunturali e in ogni caso dovendo riconoscere agli amministratori un ampio potere discrezionale nella conduzione della società. E' perciò necessario qualcosa di più: più precisamente è necessario che gli amministratori abbiano violato uno dei doveri che la legge impone loro o non abbiano agito con la diligenza del mandatario e che da ciò sia derivata come conseguenza diretta e immediata, un danno per la società o per uno o più terzi.

Azione di responsabilità dei creditori sociali verso gli amministratori: la finalità della stessa è la reintegrazione del patrimonio sociale. Circa poi la natura della responsabilità degli amministratori nei confronti dei creditori sociali si tratta di una estensione della responsabilità contrattuale che grava sugli amministratori per effetto del rapporto (di mandato) che li lega alla società poiché dall'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale può derivarne un danno anche nei confronti dei creditori stessi.

L'azione di responsabilità che può essere promossa dai creditori sociali nei confronti degli amministratori (ex-art. 2394) deve considerarsi di natura "surrogatoria" innanzitutto perché la stessa presuppone l'inerzia della società motivo per cui se è stata già proposta l'azione sociale di responsabilità i creditori non possono instaurare un giudizio nei confronti degli stessi amministratori dal momento che la finalità dell'azione ex-art. 2394 è la "reintegrazione" del patrimonio sociale e che pertanto destinataria della prestazione risarcitoria è unicamente la società. A conferma della suddetta natura surrogatoria dell'azione, la legge stabilisce che nel caso in cui venga dichiarato il fallimento della società legittimato ad esercitare l'azione è il curatore, cosa sicuramente non compatibile con l'eventuale natura "diretta" dell'azione.

Azione individuale di responsabilità ex-art. 2395: l'ipotesi più frequente è quella del falsificazione del bilancio. Ciò può verificarsi per diversi fini, ad es.:

a)    per distribuire utili inesistenti;

b)    per ritardare lo scioglimento della società aggravandone il dissesto;

c)    per indurre un terzo a sottoscrivere azioni della società;

d)    per indurre un terzo a concedere (o a continuare a concedere) credito alla società.

Nelle ipotesi a) e b) ad essere danneggiata dal comportamento illegittimo degli amministratori è innanzitutto la società mentre il socio o il terzo ne subiscono un danno solo indirettamente per effetto del depauperamento del patrimonio sociale: Per cui la sola azione di responsabilità proponibile in tali ipotesi, è quella finalizzata alla "reintegrazione" del patrimonio sociale ex-artt. 2393 e 2394.

Nelle ipotesi c) e d) invece la società non subisce alcun danno anzi può trarre vantaggio dall'ottenimento di nuovi conferimenti o dalla concessione di nuovo credito. In tali ipotesi, pertanto, i terzi direttamente danneggiati potranno invocare l'art. 2395 e a questo riguardo, si ritiene concordemente che per il valido esercizio della detta azione non sia necessario anche un comportamento "positivo" da parte degli amministratori (tale cioè da aver indotto la controparte a concludere un contratto o a continuare a concedere credito alla società).




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