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LA FAME NEL MONDO

politica



LA FAME NEL MONDO


La tragedia di sei milioni di bambini che nel mondo annualmente muoiono per la denutrizione è la più grande emergenza umanitaria del XXI secolo.

Tipologia D: tema di ordine generale


La FAO, l'Organizzazione delle Nazio­ni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, nel suo ultimo rapporto in ordine 636c28g di tempo ha lanciato un allarme: la lotta contro la fame nei Paesi poveri del Terzo Mondo è in una situazione di stallo, per cui è aumentato il numero di bambini che ogni anno muore per fame, oggi addirittura uno su sette.

Questo significa che sei milioni di pic­coli esseri umani, pari all'intera popolazio­ne infantile dell'Italia e della Francia, cade ogni anno vittima della miseria, della denu­trizione, della mancanza delle più elementa­ri condizioni igienico-sanitarie.



Sono gli effetti più catastrofici della povertà che attanaglia alcune aree partico­larmente degradate del Sud del Pianeta, come gran parte dell' Africa subsahariana e molti Paesi asiatici e dell' America Latina.

La sottoalimentazione rende ovvia­mente i bambini più vulnerabili alle malat­tie: in organismi debilitati e sotto peso, basta una diarrea, il morbillo o un banale attacco influenzale, cioè disturbi che siamo abituati a curare facilmente, per creare dei danni ir­reparabili. Inoltre la malnutrizione nell'in­fanzia ritarda la crescita e l'apprendimento e quindi incide negativamente sull'istruzio­ne e sulla capacità lavorativa, le uniche ri­sorse per uscire dal sottosviluppo. sorse per uscire dal sottosviluppo.

La denutrizione è anche una pesante eredità delle guerre civili e dei conflitti inte­retnici che si sono combattuti o ancora si combattono in alcuni Paesi del Terzo Mon­do, i cui effetti si abbattono sulle popolazio­ni civili, peggiorandone le già precarie con­dizioni di vita. E, come sempre accade, a su­bire le maggiori conseguenze sono ancora una volta i bambini, molti dei quali, quando sopravvivono, restano orfani o menomati nel fisico, nella psiche, negli affetti.

Secondo la FAO, nel 2015 il numero di persone che attualmente soffre di denutri­zione potrebbe essere dimezzato mediante un investimento di risorse pubbliche pari appena allo 0,1 % del Prodotto interno lordo complessivo dei Paesi ricchi. Un risultato che difficilmente si potrà raggiungere, se i finanziamenti allo sviluppo continueranno a decrescere come negli ultimi anni.

In realtà, la denutrizione non dipende dalla mancanza di cibo, bensì dalla disegua­le distribuzione dello stesso: una disparitàche s'inserisce nel più ampio divario esi­stente tra i Paesi ricchi e quelli poveri del mondo. È la contraddizione più stridente del nostro mondo che, ancora nel ventunesimo secolo, vede una parte della popolazione complessiva del Pianeta fruire dei vantaggi e del comfort assicurati dalla tecnologia ed un'altra, la maggioranza, affannarsi alla ri­cerca di condizioni minime di sopravviven­za. Ma poco o nulla si fa in sostanza per ri­durre questo divario; anzi, il processo di globalizzazione dell'economia sembra aver allargato la forbice tra chi corre con il pro­gresso e chi continua a precipitare nel bara­tro della povertà.

Non bisogna dimenticare che, all'origi­ ne del sottosviluppo di tanti Paesi del Terzo Mondo, c'è stata la politica colonialista del­le Potenze europee che, dalla prima metàdell'Ottocento, colonizzarono immensi ter­ritori dell' Africa e dell' Asia, privandoli del­le loro risorse umane e materiali.

Il processo di decolonizzazione, che a partire dagli anni del secondo dopoguerra permise alle colonie di conquistare l'indi­pendenza, non ha arrestato lo sfruttamento perpetrato dalle Potenze occidentali che, anzi, ha assunto una nuova forma, definita "neolocolonialismo". Quest'ultimo non agi­sce mediante l'occupazione politica ed ar­mata dei territori, come avveniva in passato, bensì attraverso un dominio economico, fi­nanziario e tecnologico a distanza e tale da imporre lo "scambio ineguale" tra i prodotti fmiti, ad alto valore aggiunto, dei Paesi ric­chi e le materie prime e i semilavorati, a li­mitato valore aggiunto, di cui dispongono i Paesi poveri del Sud del mondo.

A compromettere ogni tentativo di cre­scita economica del Sud del mondo è l'inde­bitamento accumulato dai Paesi poveri con i governi e le banche degli Stati ricchi: un fe­nomeno che risale al periodo immediata­mente successivo alla decolonizzazione, quando i neonati governi locali si rivolsero all'Occidente per fmanziare i loro program­mi di sviluppo che non si sono mai realizza­ti. Così a quei primi crediti se ne sono ag­giunti altri, con il risultato che attualmente i Paesi poveri non sono in grado neanche di pagare il tasso d'interesse di servizio sul credito ricevuto.






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