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I TIPI D'ARBITRATI NEGLI ORDINAMENTI ITALIANI

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I TIPI D'ARBITRATI NEGLI ORDINAMENTI ITALIANI



L'arbitrato è un processo privato, volto ad una giustizia alternativa rispetto a quella cognizione somministrata dal giudice statale.

Ha per oggetto controversie su posizioni e pretese giuridiche, si svolge innanzi ad un privato, l'arbitro, con la partecipazione dei litiganti, in contraddittorio;

Mette capo ad una disposizione dell'arbitro vincolante fra le parti.

Quindi il processo arbitrale è instaurato da due o più soggetti, i quali invece di sottoporre la loro controversia sui diritti ai giudici dello Stato, la deferiscono ad uno o più privati, gli arbitri, innanzi ai quali si svolge il contraddittorio fra i litiganti.



Il processo si conclude con una disposizione (il lodo) con cui l'arbitro impone alle parti un assetto sostanziale, previa (ri) cognizione, da parte del medesimo, dei presupposti della propria volizione.

Questo poter scegliere tra privati costituisce manifestazione dell'autonomia di diritto privato nella gestione del patrimonio.

Nel nostro ordinamento sono presenti diversi tipi d'arbitrato.

Un primo tipo è quello rituale, e questo significa che oltre ad essere regolata dal codice, contempla oltre all'efficacia del lodo fra le parti, l'omologazione del lodo ossia riconoscimento del medesimo, da parte dei giudici dello Stato, degli attributi propri della sentenza statale.

Un altro tipo d'arbitrato è quello internazionale, ed esso costituisce una species dello stesso arbitrato rituale, quella contraddistinta da ciò che almeno una delle due parti risieda, o abbia sede, non già in Italia, ma all'estero, o che la controversia riguardi un rapporto con prestazione da eseguirsi in gran parte all'estero.

Oltre all'arbitrato rituale e internazionale vi è anche l'arbitrato irrituale o libero e si distingue da quello rituale non per natura diversa ma perché le parti, mentre si vincolano a ciò che l'arbitro disporrà con il lodo, non contemplano l'eventuale omologazione del medesimo e cioè il riconoscimento del lodo, da parte dello Stato, alla stregua della sentenza civile.












2. FONDAMENTI DELL'ARBITRATO



L'arbitrato si conferma come processo ed è un processo di natura privatistica.

Esso concerne sia l'arbitrato rituale che quell'irrituale.

La processualità dell'arbitrato rituale è riconosciuta.

Però esso non svolge la stessa efficacia della sentenza statale e nemmeno si può parlare di giudicato.

La natura e l'efficacia privatistica del lodo esclude che, se fino a quando esso non sia omologato, lo spettro della sua efficacia possa ragguagliarsi a quello della sentenza.

E nemmeno si può affermare che il lodo consiste in un accertamento; la sentenza è da ascrivere al genere delle violazioni e altrettanto deve ripetersi quanto al lodo.

Sia giudice che arbitro devono previamente procedere alla (ri) cognizione del rapporto oggetto di controversia, all'esito entrambi dispongono, cioè impongono con la loro volontà un determinato assetto sostantivo.

Cmq ove mai l'assunto fosse fondato, esso non legittimerebbe la pretesa natura giurisdizionale del lodo, giacché sentenza e lodo resterebbero atti di fonte e d'efficacia diverse.

Sentenza = sovranità dello Stato = imperio

Lodo = investitura privati = non autoritativa

E' l'omologazione che importa il potenziamento del lodo, della sua efficacia, al quale conferisce gli attributi propri della sentenza dello Stato; l'imperatività: l'autorità del giudicato.

Ma l'omologazione non identifica il lodo con la sentenza e non può trasformare a posteriori l'originaria natura privata, di matrice pattizia.

L'esecutività è un addendo dell'imperatività.

Non si può considerare l'esecutività quale unica conseguenza dell'omologazione e che il lodo quindi varrebbe come sentenza se appena emesso svolgendo l'efficacia d'accertamento che sarebbe propria della medesima.

Quindi essa non può svolgere l'efficacia imperativa della sentenza senza il previo controllo dello Stato.

All'autorità del giudicato consegue che, per effetto dell'omologazione, il lodo diviene al pari della sentenza non più controvertibile in sede giudiziaria, ad opera non solo delle parti, ma anche dei terzi aventi causa.

Il lodo omologato può divenire definitivo fra le parti, ma rimane soggetto all'azione di quei terzi.

L'arbitrato irrituale spesso è stato confuso con l'arbitraggio.





Il primo in ogni modo ha natura privatistica e non è un arbitraggio ossia improprio e contrattuale.

L'arbitrato irrituale è un processo che s'instaura e si svolge sul piano dell'autonomia di diritto privato ma esso non ha prospettiva di potenziamento del suo risultato da parte dello Stato giudice.

La disciplina dell'arbitrato irrituale può e deve trarsi dalle norme sul processo arbitrale.

Rispetto all'arbitrato l'ordinamento italiano contempla eventuali interventi del giudice statale ed essi si attagliano anche all'arbitrato irrituale.

Si tratta di provvedimenti di giurisdizione volontaria, volti a supplire e/o integrare le attività private in cui l'arbitrato consiste.

La giurisdizione volontaria è funzione a sé e che non incide sulla natura degli atti in ordine ai quali si esplica.

Si verte in giurisdizione quando il giudice è richiesto di somministrare misure cautelari rispetto alle posizioni sostanziali devolute alla cognizione dell'arbitrato rituale, il quale non ha potere di imporle.

L'attività giudiziaria è distinta e separata da quell'arbitrale.

Alla conclusione dell'arbitrato rituale può seguire il conferimento al lodo degli attributi propri della sentenza civile, mediante l'omologazione, cioè ad opera del giudice e ancora in sede di giurisdizione volontaria e nella prospettiva dell'omologazione, è aperto l'adito a gravami contro il lodo, davanti al giudice statale.

Per quanto riguarda le impugnazioni del lodo, esse non fanno parte dell'arbitrato, bensì costituiscono processi giurisdizionali, da esso separati e volti a sindacare giudizio e pronuncia privati.

L'arbitraggio consiste nella relatio da parte di contraenti  ad un terzo per la determinazione del contenuto di un contratto; e nel conseguente dictum del terzo. Tale dictum non è una manifestazione di volontà che concorra con quella dei contraenti ma è un atto intellettivo che s'inserisce nell'altrui contratto per relationem, unica fonte dell'efficacia negoziale.

L'arbitrato irrituale consiste nel conferimento all'arbitro, mediante compromesso, del potere di incidere direttamente, con la propria volizione, nel patrimonio delle parti; e si conclude con il lodo.

L'arbitraggio non si colloca nel sistema come modo di risoluzione di controversia su preesistenti posizioni giuridiche soggettive.

Il contratto per relationem può anche essere una transazione ed è un dato accidentale che non impegna la configurazione generale dell'arbitraggio.

All'origine del riferimento dell'arbitratore può esservi il contrasto dei paciscenti circa il contenuto del contratto.





L'eventuale contrasto circa il rapporto in fieri non ha niente a che vedere con la

controversia giuridica relativa a preesistenti posizione giuridiche, alla cui (ri) cognizione l'arbitro deve procedere prima a disporre con il lodo l'assetto sostanziale cui le parti debbano attendersi.

L'arbitraggio non esibisce la struttura processuale, cioè un iter di formazione del dictum, in cui partecipino i soggetti che hanno negoziato per relationem, in contraddittorio tra loro. L'arbitrato è processo ontologico.

I paciscenti debbono fornire all'arbitratore nozione del contratto per il cui completamento gli si rivolgono, ed anche circa l'addendo che gli chiedono di determinare, ma ciò non significa processo.

E' possibile che i contraenti, nel riferirsi al terzo, dispongano che il suo dictum sia emesso previo contraddittorio, un esempio è quella della rinegoziazione.

Perizia contrattuale dove i paciscenti deferiscono la determinazione di un elemento ad un terzo, scelto per la sua competenza tecnica assegnando nome di perizia al dictum dell'arbitratore.

Qui può darsi che i paciscenti richiedano al terzo il previo contraddittorio ossi che si svolga un processo.

Per gli altri sistemi di risoluzione stragiudiziale della controversia, la conciliazione stragiudiziale non ha nulla a che vedere con l'arbitrato.

In esso il terzo che si adopera per conciliarle svolge funzione toto coelo diversa da quella dell'arbitro, non essendo investito di alcun potere d'imporre un certo assetto sostanziale.

Si svolge ai fini della conciliazione un sia pur concentrato iter a struttura dialettica.

L'ombudsam, antica figura di difensore civico è stato di recente inserito nei rapporti privatistici, ad opera d'imprese, come servizio i propri clienti.

In ogni caso si tratta di un mezzo alternativo di risoluzione della controversia , che altrove è chiamato med - arb ossia un ibrido tra mediation ed arbitration.


















3. ARBITRATO RITUALE. PATTI COMPROMISSORI



L'arbitrato è voluto da due o più soggetti, mediante convenzione privata di deferire la controversia su posizioni giuridiche sostanziali ad un terzo a loro scelta: con conferimento al medesimo del potere di disporre fra le parti un assetto sostantivo, previo contraddittorio fra di esse e (ri)cognizione della controversia; con impegno dei compromittenti di adeguarsi a tale assetto e con reciproco riconoscimento della facoltà di ciascuna delle parti di chiedere al giudice dello Stato l'omologazione della pronuncia dell'arbitro, cioè con il suo potenziamento degli attributi della sentenza statale.

Compromesso e clausola compromissoria sono le due specie di tale convenzione.

La prima riguarda una controversia già insorta. La seconda riguarda le controversie che possono insorgere in futuro da un determinato contratto.

Si chiama clausola perché il patto compromissorio viene di solito inserito nel contratto.

La collocazione in seno al contratto non toglie alla convenzione compromissoria la sua autonomia rispetto al medesimo.

La stipulazione del compromesso esige la capacità di straordinaria amministrazione , mentre la stipulazione della clausola compromissoria segue quella del contratto cui si riferisce, e dunque quella d'ordinaria amministrazione se sufficiente per il contratto.

Il compromesso è un contratto perché i paciscenti dispongono del loro patrimonio affidandosi e vincolandosi alla volizione del terzo, anch'essa privata.

Ed è un contratto tipico perché riguarda un modo specifico di risoluzione della lite, cioè che la violazione dell'arbitro sia preceduta da una sequenza d'attività preparatorie che involgono la partecipazione dei litiganti, in contraddittorio fra loro, e all'esito, la (ri)cognizione della situazione controversa da parte dell'arbitro.

Tali caratteristiche non importano riferimento alla giurisdizione civile ossia non sono largite dalla medesima, né implicano l'assimilazione dell'arbitrato al processo al processo giurisdizionale.

Fonte dell'arbitrato è la congiunta volontà dei litiganti; essa solo può scegliere di sottoporre la controversia ad un terzo che non sia il giudice statale.

Quindi l'arbitrato obbligatorio non esiste nel nostro ordinamento.

Oggetto del compromesso sono le controversie su diritti disponibili.

La legge art.806c.p.c. esclude la compromettibilità delle questioni di stato, di separazione personale dei coniugi e delle questioni che possono formare oggetto di transazione.





Quest'ultima vasta categoria importa l'incompromettibilità dei diritti che per loro natura o per espressa disposizione di legge sono sottratti alla disponibilità delle parti ( art.1960 c.c.).

Vi sono quindi alcune materie ove non si può istituire un arbitrato.

Incompromettibili sono le controversie di lavoro ( art.808c.p.c)  nel senso che la legge da una parte richiede che l'arbitrato sia previsto nei contratti ed accordi collettivi ma che dall'altro impone ai compromittenti di contemplare la possibilità di recedere dal compromesso rivolgendosi al giudice ordinario.

L'art.809c.p.c. dispone che, se l'accordo compromissorio non contiene la nomina, deve almeno stabilire il numero degli arbitri e le modalità della loro nomina.

Il numero degli arbitri deve essere dispari e tale condizione deve sussistere al momento della costituzione del collegio arbitrale.

La nullità del compromesso o della clausola compromissoria che preveda la facoltà degli arbitri, nominati in numero pari, di designare il terzo arbitro solo se essi non concordino sul contenuto del lodo.

Se nell'ipotesi i compromittenti stipulano che il collegio arbitrale abbia un numero pari di componenti, la validità del compromesso può essere recuperata, se le parti non hanno convenuto diversamente; attraverso il ricorso al presidente del tribunale e la nomina, da parte di lui, dell'ulteriore arbitro.

Ove il patto compromissorio omettano l'indicazione del numero degli arbitri, o non preveda, le modalità di nomina, può ancora supplire, se le parti non abbiano disposto altrimenti, il presidente del tribunale, su ricorso di parte.

Ove i compromittenti omettano l'indicazione del numero degli arbitri, il collegio deve intendersi, per disposizione di legge composto di tre membri.

Quanto al solo compromesso esso può contenere sial la specifica indicazione della controversia insorta, sia addirittura le domande da rivolgere all'arbitro.

E' lo scritto, a pena di nullità.

Ma la forma vincolata non rende necessario che la volontà di compromettere sia espressa. Essa può anche essere implicita in altra manifestazione di volontà.

La clausola arbitrale per relationem ricorre allorquando le parti, nel formulare un loro contratto, facciano concorde riferimento ad una clausola e ad un regolamento arbitrale esterno, senza riportarne il testo e senza direttamente sottoscriverlo.

La giurisprudenza ritiene validamente stipulata la clausola arbitrale mediante rinvio ad un documento esterno, a condizione però che non si tratti di un riferimento generico e indeterminato, ma si sia invece in presenza di una relatio cosiddetta perfecta contenente l'espressa volontà di compromettere e lo specifico riferimento allo schema arbitrale contenuto nell'atto richiamato.

Il patto compromissorio può perfezionarsi attraverso una proposta ed una successiva accettazione entrambe scritte, e che ove esso sia lasciato, dai



paciscenti, aperto ad adesioni d'altri soggetti, questi dovranno manifestarla per iscritto.

Efficacia del patto compromissorio vincola i compromittenti e i loro eredi nonché l'avente causa che aderisca al patto de quo proiettando nel loro patrimonio il proprio contenuto.

Il compromesso può essere risolto per mutuo consenso. Il quale può manifestarsi oltre che espressamente anche per implicito, purché in modo inequivoco e con rispetto dei poteri e della forma scritta.

La stipulazione del compromesso comporta il venire meno della potestas iudicandi del giudice statale.

La legge contempla delle eccezioni: da una parte fissa i casi in cui quell'esonero non si verifica, dall'altra, consente alle parti di convenire la derogabilità del compromesso mediante l'esercizio dell'azione giudiziaria.

L'esonero del giudice non dipende dai compromittenti, ma dalla stessa configurazione normativa del tipo compromesso.

L'exceptio compromissi consiste nel far valere innanzi al giudice statale l'effetto ex lege ossia la di lui privazione del compito di giudicare la controversia.

L'exceptio non è esercitata se la parte, costituendosi davanti al giudice statale, non fa cenno del compromesso e svolge altre difese, di rito e/o di merito.

Essa diventa oggetto della cognizione del giudice, quale questione pregiudiziale: la cui decisione è soggetta a gravame ma non a regolamento di competenza.

L'ipotesi in cui la stessa causa si trovi davanti ad arbitro e a giudice.

In questo caso non si può fare capo alla disciplina della litispendenza che riguarda soltanto il rapporto fra processi giurisdizionali.

Il giudice ordinario può essere spogliato mediante tempestivo esercizio dell'exceptio compromissi ; in difetto della quale, il processo statale non può che continuare fino alla pronuncia.

Però l'arbitrato continua ad essere praticabile parallelamente al processo statale; dal mancato esercizio, davanti al giudice ordinario, dell'exceptio compromissi non si può trarre sic et simpliciter la rinuncia alla via arbitrale, la quale deve essere inequivoca, e non può ritenersi manifestata dal procuratore legale privo dello specifico potere di rinunciare.

Il rapporto de quo agitur è di possibile cumulo; con la conseguenza che soltanto la pronuncia che diventi definitiva per prima può farsi valere e deve essere osservata nel processo ancora pendente.

Il che ricompone la concorrenza fra i due processi, ed evita il conflitto di pronunce sulla stessa causa.









4. NOMINA DELL'ARBITRO



Il rapporto fra le parti e il terzo, quale arbitro, è generato da una convenzione mediante la quale i compromittenti conferiscono al terzo e il terzo accetta l'investitura di potere e decidere previo contraddittorio e giudizio.

Tale convenzione può essere posta in essere in svariate giuse:

Le parti possono proporre al terzo la nomina ad arbitro nel contesto del compromesso, e il terzo può accettare la nomina sottoscrivendo il documento che contiene il compromesso o con proprio atto scritto.

Le parti possono offrire la nomina al terzo di loro scelta, con atto successivo e separato rispetto al compromesso, e il terzo può accettare la nomina sempre per iscritto.

L'iter di formazione dell'accordo in discorso può involgere l'investitura di più arbitri con nomina di ciascuno di essi confidata ad uno o all'altro dei compromittenti o affidata ad altri

La nomina di un arbitrato può essere contestuale alla c.d. domanda d'arbitrato se al compromittente che prende l'iniziativa spetti il potere di nomina.

Ove i compromittenti abbiano previsto nel patto le modalità di nomina soccorre la cooperazione del giudice ordinario in sede di giurisdizione volontaria.

Possono essere nominati arbitri persone fisiche sia cittadini italiane sia straniere, purché non siano minori, interdetti, inabilitati, falliti o sottoposti ad interdizioni dai pubblici uffici ( art.812c.p.c.).

Dall'incapacità debbono distinguersi le cause d'incompatibilità, nonché i casi di mancanza d'autorizzazione preventiva.

Quanto alle conseguenze della nomina di un arbitro incapace non pare che si possa ritenere che l'incapacità determini la nullità dell'intero patto, la volontà compromissoria ivi espressa non potendo essere inficiata dal vizio attinente ed altra manifestazione, qual è la nomina. Ove l'arbitro incapace non sia sostituito il lodo è inficiato dell'incapacità.

L'arbitro può essere ricusato.

L'art.812 legittima alla ricusazione la parte che non ha nominato l'arbitro e fissa il termine di dieci giorni dalla nomina o dalla sopravvenuta conoscenza della causa di ricusazione.

Competente a pronunciarsi sulla ricusazione è il presidente del tribunale, lo stesso cui la legge confida la nomina ufficiosa dell'arbitro.

Il magistrato va adìto con ricorso e decide, dopo aver sentito l'arbitro ricusatoe dopo aver eventualmente assunto informazioni, con ordinanza non impugnabile.





Il ricorso de quo non sospende il processo arbitrale, ma soltanto il decorso del termine per l'emanazione del lodo.

La pronuncia d'accoglimento interrompe tale termine; il quale comincia a decorrere ex novo dall'accettazione dell'arbitro nominato al posto di quelli escluso.

L'arbitro che ometta o ritardi di compiere un atto inerente alla sua funzione può essere sostituito; in via privata, dalle parti o da terzo incaricato dal patto compromissorio, oppure previa messa in mora dell'arbitro renitente, in sede di giurisdizione volontaria, dal presidente del tribunale nella cui circoscrizione è la sede dell'arbitrato.

Questi, sentite le parti e accertata l'inadempienza dell'arbitro, lo dichiara decaduto e lo sostituisce con un'altra persona: l'ordinanza presidenziale è inoppugnabile.

La nomina e l'accettazione per iscritto costituiscono una convenzione di diritto privato che lega parti ed arbitro.

Tale convenzione è stata fino a poco tempo fa profilata come mandato o come contratto di prestazione d'opera intellettuale.

La più recente analisi delle posizioni giuridiche del rapporto de quo suggerisce di individuare un tipo a sé, fondato sulla disciplina del c.p.c., a sua volta completata dalla disciplina di altri tipi affini.

E' preferibile quindi parlare di convenzione per nomina do arbitro.

La posizione che è acquisita dall'arbitro s'incentra nel dovere di dettare alle parti, entro un certo termine, un assetto sostantivo che prenda il posto di quello controverso, e che corrisponda, al giudizio cui l'arbitro sia pervenuto, previo contraddittorio fra le parti, in ordine al rapporto litigioso.

Se e fino a quando utilizzino l'arbitrato, le parti devolvono congiuntamente all'arbitro il loro potere di disposizione assoggettandosi al suo comodo.

L'arbitro per l'adempimento di tale dovere deve condurre il processo arbitrale, con discrezione se non disposta dalle parti.

L'arbitro è tenuto al rispetto del termine per l'emanazione del lodo.

In difetto, risponde per danni nell'ipotesi che il lodo sia annullato per intempestività e anche se rinuncia al suo compito senza motivo.

A fronte dell'adempimento di tali doveri, l'arbitro acquista il diritto al compenso, nonché il rimborso delle spese, che può liquidare egli stesso.

Ma ove le parti non accettino tale liquidazione, l'arbitro può ricorrere al presidente del tribunale, il quale, sentite le parti, provvede con ordinanza non impugnabile, e costituente titolo esecutivo.








5. PROCESSO ARBITRALE



Le imposizioni del contraddittorio conferma che l'iter di attività, in che l'arbitro consiste, è un processo.

E' la costanza del contraddittorio che distingue il processo dal mero procedimento.

Non si deve assolutamente confondere la processualità dell'arbitrato rituale con la sua giurisdizionalità.

L'arbitrato rituale è un processo di natura privata e non rientra nell'ambito della giustizia statale.

L'art.816 contempla il potere delle parti di dettare, in astratto, le regole per lo svolgimento del processo arbitrale, nel compromesso o nella clausola compromissoria o in separata scrittura anteriore all'inizio del processo.

Nell'esercizio di tale potere le parti non possono violare il principio del contraddittorio. Tale principio sancisce la partecipazione al procedimento dei destinatari degli effetti dell'atto finale del medesimo, per dire e contraddire sul piede di simmetrica parità.

Tale partecipazione costituisce la caratteristica essenziale della struttura processo e il suo distinguo dal mero procedimento; e non riguarda soltanto il processo giurisdizionale, esso è di ordine pubblico, si articola in alcune regole inderogabili, poste a salvaguardia di quella partecipazione e di quella parità, le regole possono essere generali o specifiche.

Quanto al processo di giustizia sono regole cogenti.

Ove si ponga il problema di prove, è regola inderogabile che i contraddittori abbiano facoltà di addurne quando si tratti di prove costituende, e che la raccolta debba avvenire a loro cospetto e con loro paritetico diritto d'interloquire.

Quanto ala posizione del soggetto al qual è affidata la risoluzione della controversia è di ordine pubblico anche la regola che gli impone di essere imparziale.

La parità fra i litiganti implica necessariamente l'imparzialità dell'arbitro investito della controversia; quella parità e l'imparzialità interagiscono tanto nello svolgimento del processo quanto in ordine alla pronuncia che lo conclude.

E' regola connessa alla sostanza medesima del contraddittorio ed alla difesa che in essa si articola che ciascuno dei contraddittori abbia facoltà di farsi rappresentare o assistere da un esperto.

I contraddittori devono scambiarsi e comunicarsi iniziative e produzioni.

Le parti possono dettare regole per lo svolgimento del processo arbitrale.






Tali regole possono riguardare tutto lo svolgimento del processo, o segmenti di esso; le parti possono comminare nullità per determinate condotte o per determinati vizi, ed anche stabilire preclusioni.

Le parti possono operare rinvio ricettizio alla disciplina del codice di rito e ribadire le comminatorie di nullità ivi previste.

Le parti possono operare rinvio ricettizio alla disciplina predisposta da organismi aventi compiti di organizzare arbitrati, di amministrarli.

Si parla di arbitri amministrati quando le parti fanno capo a quegli organismi e seguono le regole da essi dettate.

Se le parti non vi provvedono spetta all'arbitro di disciplinare lo svolgimento dell'arbitrato sempre nel rispetto dei limiti invalicabili; nonché con gli ulteriori limiti che soltanto l'accordo delle parti potrebbero superare.

Tale compito ufficioso spetta all'arbitro, compreso nel rapporto fra lui e le parti cioè derivante dal contratto di nomina: dovere a contenuto discrezionale ossia che la scelta dell'arbitro è orientata e deve corrispondere allo scopo, prefissogli, di uno svolgimento ordinato e leale del contraddittorio e d una netta utilizzazione dei suoi risultati.

Ove tale compito gli incomba l'arbitro deve fissare le regole di procedura ab initio e ad esse dovrà conformarsi nell'ulteriore svolgimento dei suoi compiti.

Nel corso del processo l'arbitro dovrà emanare specifici provvedimenti sul rito che il concreto contesto renda necessari, ma le sue determinazioni saranno discrezionali ossia coerenti con le regole dettate in principio e con lo scopo delle medesime.

Non vi sono ipotesi e di conseguenza né le parti né gli arbitri operano una previa scelta delle forme perciò le regole sono applicate secondo il codice di rito italiano, relativo al processo ordinario di cognizione.

Parti del processo arbitrale sono innanzitutto i compromittenti, nel cui patrimonio sono destinati ad incidere gli effetti della volizione dell'arbitro da essi investito, cioè del lodo. Metro della legittimazione di giudicare sono tali effetti.

In caso di pluralità di compromittenti sono legittimati a partecipare all'arbitrato tutti o parte di essi, a seconda che gli effetti del lodo richiesto nel caso concreto siano destinati a coinvolgere tutti o soltanto alcuni.

Se il lodo richiesto è destinato a coinvolgere un soggetto non legato al patto compromissorio il problema della legittimazione a partecipare all'arbitrato richiede ulteriore approfondimento.

Può darsi che il terzo non compromittente sia litisconsorte necessario rispetto alla res in iudicium deducta.

In questo caso il terzo può venire nel processo per integrare il contraddittorio, ma non si può prevedere nei suoi confronti l'ordine d'integrazione del contraddittorio, non avendo gli arbitri potere coattivo.




E' possibile contemplare l'invito rivolto al terzo litisconsorte.

E il terzo che non accetti l'invito non può essere partecipante all'arbitrato.

Egli rimane affatto libero e potrà dedurre il rapporto plurisoggettivo in giudizio ordinario in esso coinvolgendo le parti dell'arbitrato.

Dopo il diniego del litisconsorte necessario invitato a partecipare, potrà rivolgersi al giudice statuale anche ciascuna delle parti originarie, senza che le altre possano opporgli per impedirlo l'exceptio compromissi.

Gli è che, ove le parti non abbandonino l'arbitrato, l'arbitro dovrà definirlo col rifiuto della pronuncia di merito sul rapporto plurisoggettivo inscindibile.

Così risultando all'esito estinto il vincolo ad arbitrato per avvenuta spendita dei relativi poteri.

In ordine all'intervento del terzo esso si profila come strumento della preventiva tutela del terzo contro il pregiudizio che sia per derivargli dall'eventuale omologazione del lodo.

Se i litiganti che evolvono la controversia agli arbitri aspirano all'equiparazione del lodo alla sentenza, essi si assoggettano all'esito, si risolvano a non chiedere l'omologazione del lodo, a contraddittorio aperto che comprende cioè l'eventuale partecipazione del terzo.

La estraneità del terzo al compromesso che ha generato l'arbitrato non rileva.

Quando si verta in arbitrato rituale e che il processo inizi esso si svolge come se fosse un processo innanzi al giudice , nel senso che si profila, per il terzo, come omologazione, rispetto ai quali egli ha diritto di tutelarsi.

Sta a lui scegliere se partecipare all'arbitrato oppure attendere l'eventuale esito pregiudizievole ed attaccarlo o rassegnarsi ad esso.

La scelta dipenderà anche dalla considerazione delle regole che in quanto disposti dai compromittenti o dagli arbitri governino il concreto processo arbitrale, nonché dall'apprezzamento che il terzo possa fare in ordine alla imparzialità dell'arbitro.

Coloro che hanno instaurato il processo arbitrale non possono sottrarsi al contraddittorio col terzo, opponendogli che l'arbitrato è affare loro.

Mentre rispetto al negozio privato il terzo ha solo difese successive al perfezionamento del negozio, rispetto al lodo rituale egli è abilitato a difendersi anche durante l'iter formativo, in vista dell'efficacia che potrà derivare dall'eventuale omologazione.

I litiganti originari sono tenuti all'osservanza del principio che hanno accettato ed al quale sono assoggettati per aver compromesso in arbitrato rituale, il che va ripetuto per gli arbitri officiati del lodo.

Se e in quanto il terzo sia destinato ad essere inciso a lui è consentito di intervenire nel processo arbitrale, in virtù del principio del contraddittorio correlato alla portata della decisione.






Lo stesso discorso non può ripetersi quando al terzo legittimato aeque principaliter. Egli può svolgere funzione a tutela dei diritti connessi a quello controverso, sia in separato processo, sia mediante intervento litisconsortile, il quale gli è consentito al fine di utilizzare il processo simultaneo.

Proprio perché la legittimazione del terzo è volta a promuovere effetti nel proprio patrimonio e non a distogliere dal medesimo gli effetti destinati alle parti originarie, fa difetto il pregiudizio del terzo  individuato come presupposto del suo intervento nel processo arbitrale e della posizione di terzo.

Né sono concepibili nell'arbitrato interventi coatti.

L'arbitrato è scelto dai litiganti nell'area privata, per la soluzione di determinate controversie e il suo svolgimento può essere regolato dalle parti originarie con forme diverse e meno garantite rispetto a quelle del processo giurisdizionale.

Salvo che le parti originarie non abbiano disposto altrimenti, la legittimazione della parte che muoia durante il processo arbitrale o perda capacità di stare in giudizio importa la successione in quel processo del soggetto che prenda il posto del defunto o dell'incapace.

L'art.820 stabilisce che in caso di morte di una delle parti proroga il termine per l'emanazione del lodo; proroga non spiegabile se non con l'intervenuta successione.

La norma de qua si applica anche in caso di perdita della capacità di stare in giudizio e che può essere estesa all'ipotesi in cui i fatali eventi abbiano colpito il difensore con cui la parte si è costituita innanzi agli arbitri, che prevedano quindi solo la proroga, semplificando il complesso meccanismo dell'interruzione, prosecuzione e riassunzione del processo civile.




















6. INSTAURAZIONE DEL PROCESSO ARBITRALE



La novella '94 art.1 riferendosi alla necessità d'introdurre tempestivamente il giudizio di merito dopo la concessione ante causam di misure cautelari e innovandola con l'art.699 octies stabilisce che il processo arbitrale debba iniziare con notifica, da parte dell'attore al convenuto, di atto che enunci l'intenzione di adire gli arbitri, proponga la domanda, indichi l'arbitrato di sua nomina.

La immediata introduzione della domanda produce più conseguenze favorevoli e consente la trascrizione della domanda stessa.

Le domande non sono obbligatorie.

In caso di compromesso il processo può ritenersi pendente già dalla stipula di tale convenzione che contenga la nomina degli arbitri; almeno che non risulti stabilito dai compromittenti un diverso tempo o modo d'inizio del processo.

Il ragione dell'omologazione del lodo, sono oggettivamente improponibili in arbitrato rituale le domande di merito  che esorbitino dalla tipologia della sentenza civile; condanna; accertamento; costituzione.

Non è ammissibile che acquistino gli attributi propri di tale sentenza statuizioni arbitrali che il giudice dello Stato non potrebbe emettere.

Quanto al regime delle domande nuove è da ritenere che ove le parti non le abbiano vietate esse possano essere introdotte e trattate in corso di arbitrato, quando rientrino nell'ambito della controversia.

Il divieto di domanda nuova non può farsi valere dalla parte che su di essa accetti il contraddittorio.

La pendenza del processo mette in grado le parti di svolgere gli incombenti del caso e di partecipare al processo, svolgendo domande e difese.

Nel processo arbitrale non sono contemplate né la vocatio in ius, né la costituzione delle parti, né la contumacia.

L'inattività delle parti non influisce sullo svolgimento del processo, a meno che l'attore non ometta di proporre la domanda, nel quale caso il processo arbitrale si estingue.

Quanto alla ovvia possibilità che la parte divenga attiva nel corso del processo, essa importa oppure no preclusioni a suo carico e remissioni in termini a seconda delle regole processuali che governano il concreto processo arbitrale.

Il codice di rito vieta all'arbitro di disporre misure cautelari ( art.818).

Tuttavia assicura all'arbitrato prima o durante il suo svolgimento il presidio delle misure cautelari del processo giurisdizionale civile. Competente a





concederle, su richiesta di parte, è il giudice statale che avrebbe conosciuto del merito.

Nell'ipotesi di concessione ante causam la misura cautelare perde efficacia ex tunc se l'arbitrato non viene instaurato  tempestivamente mediante l'atto introduttivo oppure se l'arbitrato si estingue.

All'esito dell'arbitrato la misura perde efficacia se il lodo dichiara inesistente il diritto cui la cautela si riferisce, ciò sul presupposto che il lodo rituale è omologabile , i.e. può acquistare attraverso l'omologazione, i menzionati attributi della sentenza statale, imperatività e autorità di cosa giudicata.

La previsione dello stesso art.699 secondo la quale la cautela perde efficacia se non si è rispettato, dalla parte cui essa è stata concessa, il termine per l'omologazione non si applica.

Ove il lodo accolga la domanda del beneficiario della cautela, restano fermi i pregressi effetti della medesima ed assicurati quelli eventuali residui.
































7. TRATTAZIONE DELLA CONTROVERSIA



La trattazione della controversia consiste nello svolgimento delle attività processuali volte a mettere in grado l'arbitro di emanare il lodo richiesto o di rifiutarlo.

Le attività che impegnano parti ed arbitro non sono spese soltanto in ordine al merito, ma riguardano anche il rito, al fine di assicurarne la regolarità.

Sinonimo di trattazione è istruzione anche se il secondo termine implica una fase specifica della trattazione, quella della raccolta delle prove relative ai fatti rilevanti.

Nel corso della trattazione le attività posso svolgersi senza involgere dubbi e questioni, ma spesso sono dubbie ed oggetto di questione.

Il dubbio può essere dissolto da risposta concorde di tutti gli interlocutori, altrimenti diventa oggetto di questione e cioè di disputa e il contraddittorio concerne le questioni.

Le questioni si pongono in un certo ordine logico: così la questione sulla validità del patto compromissorio viene prima di quella sull'esistenza della situazione sostanziale controversa.

Poiché si tratta dell'ordine in cui quei temi debbono essere conosciuti e giudicati esso è detto della pregiudizialità nel senso che deve essere giudicato prima di un altro il tema che si colloca a monte e la decisione del quale pregiudica il tema seguente.

La pregiudizialità, se costituisce un ordine delle pronunce dell'arbitro, non implica che la questione pregiudiziale insorga, nello svolgimento del concreto processo, prima di quella pregiudicata.

Cercando di elencare secondo l'ordine di pregiudizialità le questioni di rito o processuali sulla validità dei presupposti, sulla ritualità di un atto del processo, sulla fissazione delle udienze e sull'ammissione di una prova.

Le questioni di merito quelle preliminari e quella finale sulla situazione sostantiva, quella sul dovere dell'arbitro di pronunciare il lodo richiesto.

L'istruzione probatoria può essere parte cospicua della trattazione.

Il regime delle prove segue la sorte della disciplina dello svolgimento dell'arbitrato:

a)    facoltà delle parti di determinarlo.

b)    Supplenze degli arbitri in difetto di tale determinazione

c) In ulteriore subordine, applicazione analogica delle regole che vigono nel processo statale di cognizione civile, in quanto compatibili con l'arbitrato.

Fermo che la tipologia delle prove fissata quanto al processo innanzi al giudice dello Stato e la disciplina di ciascun tipo non s'impongono nel processo arbitrale





in ragione di una giurisdizionalità dell'arbitrato, le parti o l'arbitro possono parimenti attingere da quella tipologia e da quella disciplina.

La disciplina dettata dal nostro codice civile in materia di prove non ha natura di disciplina sostanziale, bensì attiene al processo, alla stessa stregua della disciplina su prove contenute nel codice del rito civile e che non basta per desumere la volontà delle parti che sia applicato il regime probatorio del processo statuale, ch'esse abbiano la legge sostanziale italiana.

Parti ed arbitri possono obliterare quel regime; così disponendo altri mezzi di prova o regolando diversamente l'impiego di uno dei mezzi di estrazione codicistica.

I soli limiti alla determinazione di altri e diversi mezzi di prova sono quelli dell'ordine pubblico e del buon costume.

Non incontra limite la scelta delle parti che restringa ad alcuni mezzi di prova il novero di quelli cui l'arbitro possa rifarsi; la libertà di apprezzamento dell'arbitro in ordine ai fatti vige all'interno e non solo al di là dell'ambito di prove stabilito.

La limitazione dei mezzi di prova impiegabili non rientra nella possibilità di scelta da parte degli arbitri. Essa sarebbe in contrasto col principio del contraddittorio, cioè col diritto delle parti di dire e contraddire e così di offrire le prove che ritengano del caso; restando riservato all'arbitro solo il giudizio sull'ammissibilità e pertinenza.

E' consentito all'arbitro di prevedere ed impiegare mezzi di prova d'ufficio.

La incompatibilità con la natura dell'arbitrato e con la posizione dei suoi protagonisti ostacola l'applicazione di regole sulla prova concernenti la cognizione giurisdizionale civile, pur nella ipotesi che parti e/o arbitri l'abbiano omologata e non abbiano disposto in ordine alle prove.

Tale incompatibilità si riscontra relativamente alle prove del processo cognitivo statale per la cui costituzione è necessaria la spendita di poteri imperativi da parte del giudice; così quanto all'ordine di esibizione rivolto al terzo, alla richiesta d'informazioni alla pubblica amministrazione.

Incompatibile e inammissibile è anche il giuramento, sotto altro riflesso.

Nel rito statuale tale prova è presidiata dalla sanzione penale dello spergiuro, commesso innanzi al giudice, organo dello Stato; mentre tale presidio fa certamente difetto in ordine al giuramento deferito e da prestare in sede arbitrale.

L'inammissibile è la consulenza tecnica nella ipotesi in cui l'arbitro o gli arbitri siano stati designati proprio in funzione della loro competenza in un certo settore di scienza.

Quanto allo svolgimento dell'istruzione probatoria, essa risente della carenza di poteri coattivi da parte dell'arbitro; né offre l'assistenza del giudice statale.




Gli atti di istruzione possono essere delegati dal collegio arbitrale ad uno dei suoi componenti, in particolare le disposizioni possono essere raccolte a domicilio, o ricevute per iscritto.

La sospensione del processo arbitrale è contemplata dalla legge art.819c.p.c per la ipotesi che in esso insorga questione preliminare sottratta alla potestas iudicandi dell'arbitro.

L'arbitrato riprende dalla notifica della sentenza passata in giudicato che ha pronunciato su quella preliminare.

Se ciò accade quando manchino meno 60 giorni dallo spirare del termine per l'emanazione del lodo, lo stesso termine è prorogato fino a raggiungere i 60 giorni.

Il processo può ovviamente essere sospeso per accordo fra le parti; l'eventuale impedimento dell'arbitro per il periodo al quale le parti rimandino l'arbitrato costituisce giustificato motivo per il suo recesso.

La legge art.820c.p.c prevede la interruzione del termine per l'emanazione del lodo quando occorra procedere alla sostituzione dell'arbitro.

La norma va interpretata nel senso che s'interrompono non solo il termine, ma anche l'attività processuale sia quando l'arbitro sia solo sia quando la potestas spetti ad un collegio di arbitri, per la sopravvenuta incompletezza del medesimo.

Lo svolgimento del processo riprende quando le parti abbiano nominato un nuovo arbitro.

La interruzione deve intendersi in senso processualistico; cioè ha anch'essa effetto meramente sospensivo del processo arbitrale: il quale dopo la nomina dell'arbitro non ricomincia ex novo, ma prosegue, ancorché siano possibili misure volte a soddisfare eventuali esigenze conoscitive del nuovo arbitro.

Il processo arbitrale si può distinguere per concorde volontà delle parti sia che esse rinuncino all'arbitrato in corso sia che sciolgano addirittura il compromesso ne riconoscano la nullità.

L'estinzione consegue se le parti nel fissare il termine per l'emanazione del lodo abbiano comminato espressamente la decadenza dell'arbitro che non rispetti il termine; nonché nell'ipotesi che esse disciplinando il processo abbiano stabilito delle preclusioni come causa di estinzione del processo.

Quanto all'inattività delle parti essa non determina la estinzione del processo arbitrale, salva l'ipotesi che l'attore non proponga neanche la propria domanda.












8. ORDINANZA E LODO



Le questioni di rito vanno decise con ordinanza.

Essa è una volizione dell'arbitro, le quale è preceduta dalla ricognizione dei presupposti; l'arbitro ricostruisce i fatti rilevanti, in ordine alla questione di rito de qua agitur, in base alle risultanze in atti e secondo gli schemi logici usuali, cioè comuni a chiunque debba pronunciarsi sull'esistenza di un fatto; individua poi la regola processuale pertinente, la interpreta e la applica al fatto; dai due giudizi trae il contenuto della propria volizione.

L'ordinanza svolge efficacia all'interno del processo. Non è perciò soggetta ad omologazione, non è reclamabile, ma è revocabile, se promani da potere discrezionale dell'arbitro.

Il processo arbitrale perviene all'emanazione del lodo quando la fase di trattazione sia esaurita se l'arbitro ritenga matura una questione di rito o una parte del merito e decida di pronunciarsi su di essa.

Il lodo può essere definitivo o non definitivo ossia parziale, e concerne il merito o soltanto il rito.

Il lodo parziale si limita a pronunciare su una delle domande di merito rivolte all'arbitro oppure su di una o più questioni pregiudiziali o preliminari che l'arbitro ritenga di decidere subito.

Il resto rimanendo riservato all'eventuale prosieguo.

La domanda di merito decisa è indipendente dalle altre, il lodo parziale va considerato come definitivo.

Quanto alla natura, il lodo consiste in una volizione privata o comando, da collocare fra i negozi giuridici unilaterali; la quale, emessa in virtù dell'investitura conferita all'arbitro dalle parti, e in relazione alle domande da esse svolte, può avere contenuto assimilabile a quello della sentenza civile ed è rivolta alle parti sul piano privatistico e su tale piano le vincola.

L'arbitro può emettere anche la pronuncia sulle spese.

La legge non spende parola sul contenuto del lodo di merito, quale pronuncia, ma può tenersi per certo, in relazione alle possibilità che il lodo rituale acquisti, tramite l'omologazione, gli attributi della sentenza, che il lodo può soltanto contenere condanna e/o accertamento, e/o costituzione prevista dalla legge.

Se travalica tale ambito viene meno la possibilità di omologazione, non potendosi conferire gli attributi della sentenza dello Stato ad un comando che esorbiti dalla tipologia della medesima.

Il contenuto della volizione dell'arbitro è determinato attraverso il giudizio, e cioè la cognizione e la soluzione delle questioni di merito coinvolte.






La fase del giudizio può anche indicarsi come fase di accertamento purché si tenga fermo che l'accertamento non esaurisce il lodo, ma è strumentale rispetto alla volizione in cui il lodo consiste.

L'arbitro è investito di tutte le questioni preliminari che la causa pone, escluse quelle che non sono compromettibili.

Le quali ultime sono riservate alla cognizione del giudice statale.

In tale ipotesi la competenza dell'arbitro è esclusa non già dal fatto che la questione non sia stata oggetto del compromesso, ed anche dalla incompromettibilità della questione in sé.

L'applicazione della regola in discorso non richiede che i litiganti abbiano domandato all'arbitro, sulla insorta preliminare un'apposita pronuncia; se la questione è incompromettibile l'arbitro non può conoscerla neanche incidenter tantum.

Gli arbitri comunque non devono sospendere e possono giudicare n via preliminare e purché rientri nella loro competenza una questione di merito di cui sia già investito il giudice civile.

L'arbitro sospende mediante ordinanza il processo fino a che non gli venga notificata la sentenza definitiva sulla questione preliminare.

La pregiudiziale di costituzionalità della legge si pone soltanto quando l'arbitro sia investito dal compito di giudicare secondo la legge italiana.

L'arbitro non è munito di potere di sottoporre la questione alla Corte Costituzionale.

Non si può ritenere applicabile l'art.819 ed assumere che l'arbitro debba sospendere l'arbitrato, e la parte più diligente debba rivolgersi al giudice perché a sua volta possa investire la Corte costituzionale: per attuare tale espediente il giudice statale dovrebbe essere investito di una domanda di merito e proprio quella già rivolta all'arbitro, in relazione alla quale sia insorta la questione di costituzionalità; il che spoglierebbe definitivamente l'arbitro, in violazione del patto compromissorio.

L'arbitro se non può investire la Corte costituzionale, può tuttavia porsi la questione di costituzionalità e disapplicare la legge della quale si tratti; mentre l'eventuale errore in cui l'arbitro incorra costituirà violazione di legge da far valere mediante impugnativa del lodo per nullità.

Tale soluzione presuppone una scelta dei compromittenti, cioè che, quanto all'arbitrato interno essi non abbiano escluso, nei limiti ammessi, la impugnabilità del lodo per violazione di legge e la abbiano contemplata, quanto all'arbitrato internazionale.

Risulta lasciata alla responsabilità delle parti contenersi in modo che rimanga aperto l'eventuale adito alla Corte costituzionale, attraverso il giudizio di impugnazione del lodo.





Alla stessa soluzione pare doversi far capo in arbitrato dove insorga pregiudiziale comunitaria, anche in questa ipotesi la questione non può essere sottoposta dall'arbitro alla Corte di giustizia dell'Unione europea; ma può pervenire ad essa mediante eventuale rimessione da parte del giudice dell'impugnativa del lodo, investito della quaestio.

L'arbitro deve ricostruire la situazione di fatto in base alle allegazioni ed alle prove. Questa parte del giudizio si suole indicare come giudizio di fatto: essa mette capo alla affermazione o negazione, da parte dell'arbitro, della esistenza dei fatti rilevanti nella specie, i quali si possono chiamare fatti principali e consistono in fatto costitutivi, fatti estintivi, fatti impeditivi.

L'arbitro può indurre il fatto principale dalla prova raccolta oppure da uno o più fatti che al giudice risultino dalle prove, e da qualificare, per questo loro ruolo, da secondari.

Poiché la prova costituisce la rappresentazione di un fatto da essa il giudicante può indurre l'esistenza del fatto medesimo, dirsene certo; la certezza consistendo in ciò che egli possa attribuire all'esistenza del fatto il massimo grado di probabilità.

Quanto al passaggio da uno o più fattori secondari ad un fatto principale, l'arbitro può indurre dai primi l'esistenza del secondo, se e quando, in base all'esperienza, tale esistenza risulti probabile, e la probabilità sia in massimo possibile grado.

Il tramite fra la prova e il fatto secondario e il fatto principale è costituito da un dato di comune esperienza che enuncia ciò che è estremamente probabile attenersi in presenza di questa o quella circostanza.

Il necessario impiego di tale proposizioni assicura la razionalità della sua decisione e la rende controllabile in sede di impugnativa.

L'induzione da uno o più fatti secondari al fatto principale integra la figura della presunzione, nel senso, in presenza di un fatto noto presume l'esistenza di un fatto ignoto.

Dovunque vi sia induzione ivi c'è un soggetto che trae un fatto ignoto da un fatto noto. Ma si suole parlare di presunzione piuttosto a proposito dell'inferenza del fatto secondario a quello principale, cioè nell'ipotesi in cui fra la prova e il fatto principale non vi è un solo passaggio logico, con il rapporto diretto fra i due termini, sebbene vi è un primo passaggio e un secondo.

L'arbitro deve applicare il diritto ai fatto accertati, e dedurre le conseguenze in termini di emanazione o rifiuto del lodo richiesto.

Le norme di diritto sono quelle appartenenti ad un ordinamento dato e riconoscibili in esso per caratteristiche prestabilite o perché munite di opinio iuris vel necessitatis.






Gli usi non rientrano nelle norme di diritto salvo che essi non siano già recepiti dalla legge. Altrettanto si può dire della c.d lex mercatoria; delle leges mercatorie che sono svariate quanti sono i settori della mercatura.

Si tratta di diritti diffusi in questa o in quella corporazione, anche al di là dei confini di uno Stato; di usi assistiti da opinio iuris e/o rafforzate dalla affectio societatis.

Ma non per questo esse entrano a far parte dell'ordinamento statuale.

L'art.822c.p.c riconosce alle parti il potere di autorizzare agli arbitri a pronunciare secondo equità.

Quest'ultimo metro di giudizio può essere assegnato agli arbitri come esclusivo, o come complementare rispetto a quello costituito dalle norme di diritto.

L'autorizzazione va conferita in maniera esplicita.

Il c.d giudizio equitativo riguarda, per il giudicante, la possibilità di impiegare canoni di valutazione diversi da quelli posti da norme statuali: cioè per la qualificazione giuridica dei fatti, sia per la determinazione del contenuto del lodo, quale volizione.

Che i fatti vadano riconosciuti secondo verità e non secondo equità non significa che, in presenza di una certa situazione di fatto il giudicante non possa essere orientato, quanto al successivo giudizio di equità, verso un sistema di valori piuttosto che verso un altro.

Soltanto questo specifico profilo può ammettersi che si parli dell'equità come di giustizia del caso concreto: la giustizia è sempre resa nel caso concreto ma va sempre ragguagliata ad un sistema di valori che preesista ancorché non sia assunto in un ordinamento giuridico.

Non è ammissibile un'equità cerebrina, mentre, al limite, l'equità può essere identificata dal giudicante con i valori canonizzati nell'ordinamento giuridico.

Ma l'equità non può dirsi né del caso concreto né sociale, essendo l'ambito della scelta del canone valutativo da parte del giudicante.

Con i soli limiti, invalicabili, costituiti:

sul piano sostanziale, dall'ordine pubblico, quale sintesi dei valori fondanti dell'ordinamento, e sul pino processuale, dall'obbligo di motivare la scelta.

Fra i valori non giuridici che il giudicante in equità può impiegare rientrano, nel caso, usi non recepiti dalla legge e le leges mercatorie.

Se più sono gli arbitri, la delibera del lodo deve avere luogo in epilogo della loro riunione, cioè in conferenza personale: durante la quale gli arbitri compresenti affrontano e risolvono le questioni nell'ordine della pregiudizialità e pervengono alla decisione: sia la volizione sia il giudizio che la precede possono scaturire dal consenso di tutti gli arbitri o della maggioranza di essi.







Il modo in cui si svolge la conferenza de qua, nonché quello in cui si procede alla votazione possono essere prefissati dalle parti o dagli arbitri o seguire, per analogia, le norme del codice di rito.

Per rendere possibile il controllo, la legge richiede, nel contenuto - forma del lodo, la indicazione del modo di cui il lodo è stato deliberato.

Una volta deliberato il contenuto della volizione del lodo segue la sua redazione.

Come atto completo, scritto ad substantiam, il lodo deve contenere:

la indicazioni delle parti, le indicazioni del patto compromissorio e delle domande, la esposizione sommaria dei motivi: dove la sommarietà non può che intendersi come possibile concisione, non certo come assoluzione dal dovere di dar conto dei risultati del contraddittorio e dell'impiego che il giudicante ne faccia. Ciò anche in considerazione della rilevanza di tale elemento in sede di impugnazione del lodo per nullità.

Quanto alla motivazione in fatto si suole ritenere che basti risultarne il lodo l'iter logico seguito dall'arbitro per l'accertamento dei fatti; ma, affinché tale assunto abbia senso, occorre che questo iter sia intrinsecamente privo da vizi logici. Quanto alla motivazione in diritto, dal lodo deve risultare, se non la puntuale indicazione della norma sostanziale applicata, la ratio decidendi cioè il principio cui l'arbitro ha, nella specie, messo capo.

E' un problema se l'arbitro dissenziente possa motivare il proprio voto, contrario o diverso da quello della maggioranza, mediante opinione diversa inserita nel lodo. Sebbene la legge taccia in proposito, se ve ne fosse bisogno la natura privatistica dell'arbitrato dovrebbe consentire, salvo disposizione contraria delle parti, la manifestazioni del dissenso.

L'opportunità di evitare l'emergere del dissidio rispetto al lodo milita in senso opposto in quanto la motivazione del dissenso è volta a garantire la serietà del medesimo ed a sconsigliare dissensi partigiani o capricciosi.

La sottoscrizione di tutti gli arbitri, essa può avvenire in luogo diverso dalla sede dell'arbitrato ed anche all'estero.

A differenza della delibera, ciascun arbitro può sottoscrivere il lodo separatamente e in luogo diverso.

In caso di rifiuto di sottoscrizione la parte di un arbitro o di sua impossibilità a sottoscrivere; in tal caso è sufficiente la sottoscrizione degli altri arbitri purché sia fatta menzione di quel rifiuto o di quella impossibilità.

Il lodo va pronunciato nel termine disposto dalle parti, reso noto all'arbitro con la nomina e dal lui accettata.

In difetto di questa disposizione, il termine secondo l'art.820c.p.c. è di 180 gg dall'accettazione dell'arbitro.

Il termine può essere prorogato dalle parti per iscritto.






Può essere prorogato dagli arbitri stessi, per non più di 180 gg quando, debbano assumere mezzi di prova o quando pronuncino un lodo parziale: la legge contempla una sola proroga da parte degli arbitri, ma tale lettera, deve guardare la possibilità di più lodi parziali e dunque di più proroghe.

Il lodo, nei dieci giorni dall'ultima sottoscrizione, dev'essere comunicato mediante consegna o spedizione in plico raccomandato, di un originale a ciascuno delle parti.

L'efficacia del lodo, sul merito e/o sul rito si svolge nel patrimonio delle parti, dalla data dell'ultima sottoscrizione(art.823); ed è efficacia privatistica pari a quella dei negozi unilaterali di diritto privato perché prescinde del tutto dalla omologazione.

Essa investe direttamente l'erede ma non l'avente causa lite pendente, a meno che costui non abbia partecipato al processo arbitrale.

Nel patrimonio del terzo avente causa incidono, invece, gli effetti sostanziali indiretti del lodo, venendo a lui diritto a trovarsi, sul piano sostanziale, confermato o eliso, a seconda della sorte riservata dal lodo alla posizione del dante causa. Ancorché non seguito da omologa, il lodo diviene una volta preclusa per il decorso del termine, o dichiarata inammissibile o improcedibile o  abbandonata ma impugnativa di nullità definitivo per le parti, nel senso che non può più essere contestato in giudizio da loro.

Questa incontrovertibilità non riguarda però i terzi aventi causa, destinatari di quegli effetti indiretti: essi possono sempre contestare il lodo non omologato.























9. OMOLOGAZIONE DEL LODO


L'omologazione è una parte della disciplina che riguarda esclusivamente l'arbitrato rituale che si distingue dall'arbitrato irrituale.

La disciplina in discorso esula dall'ambito di diritto privato e appartiene al diritto pubblico: sia per quanto riguarda l'attività di giurisdizione volontaria, in che l'omologazione consista, sia in ordine all'efficacia della medesima.

Oggetto dell'omologa è il lodo concernente il merito, sia esso di condanna sia di accertamento sia costitutivo.

La parte che intende conseguire l'omologazione, deve depositare il lodo in originale o in copia conforme presso la pretura dove ha avuto sede l'arbitrato.

Col lodo va depositato, in originale o in copia conforme, il patto compromissorio: si tratterà o dell'atto contenente la clausola compromissoria o di documento equipollente. La conformità dell'eventuale copia all'originale deve intendersi come autenticità.

La novella del '94 ha abolito il termine per il deposito, di un anno dal ricevimento del lodo.

L'eventuale deposito implica , ove non sia espressa esplicitamente, istanza al pretore perché omologhi il lodo.

In sede di ricognizione dei presupposti del decreto , il pretore deve verificare la regolarità formale del lodo: verifica che riguarda l'estrinseco, cioè se si verta in atto sottoscritto, riconoscibile come lodo, prescinde dal contenuto della volizione arbitrale e dalla sua validità.

Poiché col lodo va depositato anche il patto compromissorio la verifica si estenderà alla corrispondenza del lodo col medesimo.

L'errore  del legislatore col non munire il giudice dell'omologazione di più pregnante potere, e col rinviare in sede di eventuale impugnativa del lodo il controllo della sussistenza di alcuni requisiti essenziali, quali il contenuto - forma del lodo di cui all'art.823 e la proponibilità oggettiva delle domande accolte dal lodo.

E' da ritenere che il pretore non possa concedere l'omologazione qualora patto e pronuncia rivelino prima facie di non essere patto e lodo rituali.

Il decreto pretorile è emesso, senza previo contraddittorio in Camera di consiglio e per la funzione che assolve è da ascrivere alla giurisdizione volontaria.

Il decreto che omologa il lodo non è reclamabile; mentre lo è quello che nega l'omologazione: attraverso ricorso al tribunale che decide anch'esso in camera di consiglio, ma sentite le parti e mediante ordinanza inoppugnabile.







L'omologazione del lodo può ritenersi surrogata nel caso in cui esso sia stato impugnato prima dell'omologa, dal passaggio in giudicato del rigetto della impugnativa per nullità.

Il controllo ex ufficio del giudice dell'impugnazione sulla ammissibilità della medesima ha portata di certo non minore di quello devoluto al pretore per l'omologazione.

Poiché il controllo sulla regolarità formale del lodo e sull'esistenza del patto compromissorio al quale esso si colleghi è indispensabile; questo controllo va in ogni caso compiuto incidenter tantum dal giudice dinanzi al quale il lodo non ancora omologato sia fatto valere; non è ragionevole che questo giudice tratti il lodo rituale come semplice negozio privato, se esso presenti i requisiti per essere ragguagliato a sentenza; per queste ragioni alle quali fa riscontro anche l'intervenuta abolizione del termine per richiedere l'omologazione non si può escludere che anzi è da contemplare una omologazione richiesta e concessa in via incidentale dal giudice in discorso.

In virtù dell'omologazione l'efficacia del lodo acquista gli attributi propri della sentenza civile:

la imperatività che è l'aspetto della sovranità dello stato.

Essa impone l'esecutività del lodo a contenuto condannatorio; proietta l'efficacia diretta del lodo nel patrimonio del successore a titolo particolare nel diritto controverso il quale prima dell'omologazione è soggetto soltanto sul piano negoziale, ad effetti di ripercussione:

l'autorità di giudicato, quando il lodo non sia più soggetto, per preclusione o per abbandono o per rigetto, all'impugnativa per nullità.

In forza della c.g. efficace del lodo diviene incontrovertibile non soltanto per le parti, ma anche per i terzi aventi causa: mentre prima dell'omologazione il terzo avente causa si trova difronte al lodo come difronte ad un negozio che egli può contestare innanzi al giudice di prime cure, dopo l'omologazione lo stesso terzo non può contestare il lodo e la sua efficacia diretta fra le parti.

Ulteriori effetti dell'omologazione sono: trascrivibilità del lodo e utilizzabilità del lodo.

Questi effetti costituiscono fra l'altro conferma della conclusione che l'omologa ragguaglia l'efficacia del lodo a quella della sentenza, e non si limita a conferire l'esecutività al lodo condannatorio.

Infatti la trascrivibilità riguarda anche il lodo di accertamento e quello costitutivo, alla stessa stregua delle sentenze; mentre l'iscrizione d'ipoteca non dipende dall'esecutività del lodo, sebbene dalla sua equiparazione a sentenza, dal momento che anche la sentenza di condanna non esecutiva è titolo per l'iscrizione d'ipoteca.






In caso che il lodo sia affetto da omissioni relative al contenuto - forma o da errori materiali o di calcolo, le parti possono ora rivolgersi per la correzione, agli stessi arbitri i quali devono provvedere entro 20 gg ( art.826c.p.c).

Tuttavia se il lodo è stato depositato presso il pretore per l'omologazione è al pretore che va chiesta la correzione.

Egli provvede attraverso decreto, se le parti chiedono in modo concorde la correzione; con ordinanza, e previo contraddittorio fra le parti, se una sola di esse ha fatto istanza.

Il termine per l'impugnativa del lodo quanto alle parti corrette decorre dal giorno in cui è stato notificato il provvedimento di correzione( art.826 e 288c.p.c).



































10. IMPUGNAZIONE DEL LODO E IMPUGNAZIONE PER NULLITA'



Contro il lodo rituale sono contemplate alcune impugnative:

impugnazione per nullità, revocazione straordinaria, opposizione di terzo.

Esse non costituiscono parte dell'arbitrato; il quale si conclude relativamente all'oggetto della pronuncia con il lodo.

Si tratta di un'attività giurisdizionale connessa con l'arbitrato rituale.

L'impugnative in discorso sono processi giurisdizionali nei quali vengono sottoposti alla corte d'appello la cui circoscrizione è la sede dell'arbitrato, e da essi sindacati, vizi del lodo, e dove occorra, viene compiuta la sostituzione del medesimo con sentenza statale.

Questo regime si fonda sulla caratteristica distintiva dell'arbitrato rituale, cioè sulla possibilità, voluta dall'inizio dai compromittenti, che esso sfoci in un lodo omologabile.

Infatti l'aggancio della impugnabilità del lodo è costituito dalla omologabilità del medesimo; e cioè contemplato in considerazione dell'eventuale omologa.

E' anche la impugnabilità immediata del lodo parziale che ha così infranto il mito della indivisibilità del lodo, da cui si traeva la necessità che il lodo parziale fosse impugnabile soltanto insieme a quello definitivo.

La giurisdizionalità delle impugnative in discorso consiste nell'impiego dei giudici dello stato e delle loro potestà; e non discende dalla specificazione dei vizi del lodo cui le impugnazioni risultano coordinate: questi vizi appartengono alla disciplina privatistica dell'arbitrato, quella che stabilisce i requisiti del lodo e ne individua la invalidità.

L'impugnazione per nullità è quella di maggior rilievo.

Costituisce rimedio contro la invalidità del lodo, sia nullità sia annullabilità, ed è destinata a sfociare a seconda del tipo di vizio riscontrato, in una sentenza dichiarativa della nullità o in una sentenza costitutiva di annullamento.

Quando si verta in nullità l'impugnativa è facoltativa, nel senso che i legittimari a proporla o a parteciparvi possono tralasciarla, confidando su ciò che la nullità non necessita di accertamento, mentre quando si verta in annullabilità l'impugnativa è necessaria.

L'impugnativa è prevista solo contro il lodo rituale; la ritualità dovendosi stabilire dal giudice dell'impugnazione anche d'ufficio, ai fini dell'ammissibilità.

Per essa vige la regola dell'irrinunciabilità dell'impugnazione prima dell'emanazione del lodo.

Questa regola deriva dall'esigenza di tutelare l'interesse del soccombente rispetto al lodo suscettibile di acquistare gli attributi della sentenza.





L'impugnativa può essere rinunciata a priori quando la invalidità consista nella violazione di norme di diritto.

L'impugnazione risulta del pari disponibile prima dell'emanazione del lodo quanto ai vizi che secondo l'art.829 non possono farsi valere se non rilevati già nel corso dell'arbitrato: la mancata rilevazione costituendo rinuncia implicita e inequivoca a farli valere.

L'impugnazione è ammessa per i seguenti motivi indicati nell'art.829c.p.c.

Questo articolo sanziona l'invalidità del compromesso ossia attiene al presupposto dell'arbitrato. L'art. in esame parla di nullità del compromesso: ma la ratio medesima dell'impugnazione volta a troncare un arbitrato che non si sarebbe dovuto essere impone di ritenere che, oltre alla nullità, possa farsi valere anche l'annullabilità.

La distinzione tra nullità ed annullabilità è pertinente, giacché la prima può essere rilevata anche d'ufficio.

La impugnazione per tale motivo può appuntarsi contro il lodo sia che si censuri l'errore degli arbitri di avere ritenuto la validità del compromesso, sia che si denunci quello di aver ritenuto la invalidità .

Concerne la irritualità della nomina degli arbitri. Quale è vizio affidato alle parti, non censurabile per la prima volta in sede di impugnazione, vigendo l'onere della rilevazione nel corso dell'arbitrato: si verte in annullabilità.

Sanziona la nullità dell'elemento soggettivo del lodo per incapacità del soggetto nominato arbitro ed attiene alla potestas decidendi dell'arbitro.

Riguarda il soggetto del lodo; segnatamente la di cui potestas iudicandi. Sanziona la ultrapetizione l'impiego di tale potestas al di là di tali domande hinc et inde; l'omessa pronuncia su domanda rivolta all'arbitro, il contrasto di pronunce, emanate dall'arbitro nel lodo unico, oppure nel lodo parziale e, poi, in quello definitivo.

La ultrapetizione è vizio che è dato percepire anche prima dell'emanazione del lodo allorché sia stata svolta nell'arbitrato una domanda esorbitante dall'oggetto del compromesso e che, perciò la parte interessata può rilevare nel corso del processo. L'ultrapetizione non può farsi valere per la prima volta mediante l'impugnazione del lodo che abbia pronunciato su quella domanda. Trattasi dell'applicazione del principio che afferisce alla disponibilità delle parti in ordine all'oggetto del processo e in virtù del quale la parte che accetti il contraddittorio su domanda irritualmente proposta diventa legittimata passiva rispetto alla pronuncia sulla medesima. La ricostruzione sistematica dell'art.829 richiede che sia sanzionato alla stregua dei vizi di cui a questo numero attinenti alla potestas iudicandi dell'arbitro, anche il vizio che consiste nell'esorbitanza





del lodo dalla tipologia della sentenza civile. La domanda di merito rivolta all'arbitro rituale, la quale non rientri nella tipologia della sentenza civile è da ritenere oggettivamente improponibile. La nullità del lodo che abbia pronunciato di una siffatta domanda è d'interesse generale, non essendo ammissibile che si ottenga dal lodo di più e di diverso di quanto possa essere concessa dalla sentenza, dei cui attributi il lodo venga poi arricchito per virtù dell'omologazione. Tale vizio si sarebbe dovuto contemplare dal legislatore come impedimento all'omologazione rilevabile dal pretore. Mentre i vizi sanzionati dal suddetto numero devono essere fatti previamente valere innanzi all'arbitro, quello ora in esame può essere rilevato per la prima volta in sede di impugnativa, ed anche ex officio.

Colpisce il difetto di potestas decidendi dell'arbitro per mancato rispetto del termine stabilito per l'emanazione del lodo. Ma il lodo emanato in ritardo non può essere impugnato se la decadenza non è stata espressamente comminata, mediante notifica di una parte all'altra e dagli arbitri prima della sottoscrizione del dispositivo del lodo. Rimanendo l'arbitro responsabile del danno derivato dal ritardo (art.821).

si appunta alla potestas decidendi dell'arbitro. Della quale sanzione il difetto nell'ipotesi in cui il lodo sia contrario ad uno precedente o ad una precedente sentenza fra le stesse parti e sullo stesso oggetto. Nell'esigere che la precedente pronuncia sia definitiva opera una distinzione, riferendosi quanto al lodo, alla inoppugnabilità e, quanto alla sentenza, al suo passaggio in giudicato.

Nell'attuale disciplina il lodo non omologato diviene si, per preclusione o abbandono inoppugnabile dalle parti ma non acquista l'autorità di cosa giudicata: la quale è attribuito proprio della sentenza, largito al lodo solo a seguito e in virtù dell'omologazione.

Il difetto di potestas dell'arbitro su controversia già decisa non è configurabile quando i compromittenti abbiano convenuto il nuovo  giudizio sullo stesso oggetto. Il vizio costituisce invalidità relativa, essendo richiesto, perché il lodo sia inficiato e impugnabile, che la esistenza di precedente pronuncia venga eccepita nel corso dell'arbitrato.

Colpisce la inosservanza del principio del contraddittorio. Il procedimento  

arbitrale esige fra le parti. Le parti o gli arbitri possono disciplinarlo più o meno dettagliatamente, ma c'è del contraddittorio un nucleo essenziale e indeclinabile perché imposto dalla legge: tale nucleo consiste nel diritto di ciascun litigante di allegare e provare fatti, di conoscere le allegazioni e prove dell'altro, d'interloquire sugli elementi via via raccolti, di svolgere argomentazioni e replicare quelle altrui, nel diritto di difendersi e nell'attività in cui esso si esercita.





7. irroga contro la invalidità di qualsiasi altra componente dell'iter di   

formazione del lodo; ove anche essa non sia assorbita da carenza o da vizi

di comportamento volti a realizzare il minimo indispensabile di

contraddittorio, la invalidità di altre condotte processuali viene stigmata da

tale numero purché non risulti sanata nel corso medesimo del processo.

Si tratta di invalidità che non riguarda solamente l'elemento di forma,

bensì qualsiasi elemento costitutivo dell'atto processuale.

Né si tratta di nullità o invalidità assoluta ma anche di invalidità relativa:

l'una considerata la mancanza degli elementi essenziali, l'altra il fatto che

essi risultano viziati.

L'esclusione della censura se la nullità è stata sanata riguarda invalidità

relativa, perché soltanto i vizi che producono annullabilità sono sanabili.

Tale comminatoria deve ritenersi valida soltanto ove si verta in invalidità

relativa e può essere contenuta nel codice di rito o disposta dalle parti.

Quando invece si verta in vera e propria nullità essa può essere dichiarata senza bisogno di previa comminatoria e senza possibilità di sanatoria.

Il numero 9 stigmatizza l'invalidità degli atti che realizzano il nucleo essenziale del contraddittorio o addirittura la incompletezza o la totale carenza del medesimo e invece il 7 riguarda tutti gli altri atti del processo arbitrale.

Da considerare le censure possibili, in sede impugnativa per nullità, in ordine al giudizio dell'arbitro che precede la di lui volizione, ed a quest'ultima.

Quanto al giudizio di fatto l'art.829 n.5 si limita a richiamare la mancanza dell'esposizione sommaria dei motivi, quale richiesta fra i requisiti del contenuto - forma del lodo.

Il sindacato del giudizio di fatto sembrerebbe ammesso solamente sotto profilo analogo a quello del controllo di legittimità in sede di cassazione.

L'art.829 non contempla l'errore di fatto revocatorio ma comunque l'interpretazione sistematica dovrebbe consentire l'impugnazione di nullità di tale vizio; se è da condividere tale scelta del legislatore di non largire contro il lodo un vero e proprio gravante, con un pieno riesame del fatto è anche da rilevare che il vizio de quo non implica nuovi apprezzamenti, ma soltanto la constatazione di un abbaglio dell'arbitro, cioè rientra in un controllo minimo del fatto, di cui sembra inspiegabile la mancata previsione.

Il giudizio di diritto è assoggettato a sindacato pieno, presumibile per l'interesse che il legislatore ammette ad una diffusa nomofilachia.

Le norme di diritto possono inficiare il giudizio e la volizione, oppure soltanto uno dei due componenti del lodo. Può darsi che l'errore di diritto incorso in sede di giudizio non sia causale ossia non si traduca in errore del dispositivo; a prescindere al caso di scuola in cui l'arbitro abbia emesso una volizione






diversa da quella che avrebbe dovuto e conforme alla legge, la ipotesi si verifica quando l'errore riguardi uno soltanto dei motivi e ne lasci immuni altri, sui quali la volizione continui a reggersi.

E' anche possibile che l'arbitro, essendo pervenuto ad un giudizio immune da errore, v'incorra in sede di comando, emettendo una volizione diversa da quella che dovrebbe i costanza del giudizio: tale errore può sopravvenire specialmente nei casi in cui il contenuto del giudizio.

In ordine all'errore del giudizio e/o di volizione l'art.829terzo comma si appunta contro la violazione dei contratti e accordi collettivi.

Sul piano processuale, colpisce il divario rispetto alla communis opinio, secondo cui la violazione dei patti in discorso non costituisce motivo di ricorso per cassazione.

Tale violazione o falsa applicazione sembra allusivo.

Giudice d'impugnazione è la Corte d'appello nella cui circoscrizione è la sede dell'arbitrato.

I termini sono quello generale di un anno e quello acceleratorio di novanta giorni dalla notificazione del lodo (art.828c.p.c.).

Quanto alla legittimazione delle parti, il suo metro è sempre costituito dagli effetti del lodo: sono legittimati i soggetti nel cui patrimonio esso svolge efficacia diretta. E' ammessa l'impugnativa incidentale.

Superfluo soggiungere che l'impugnativa non può coinvolgere l'arbitro né questi può parteciparvi; privo di legittimazione, non essendo destinatario degli effetti sostanziali del lodo.

Quanto alla legittimazione del terzo ove sia divenuto parte egli è ovviamente legittimato rispetto al giudizio de quo. Il litisconsorte necessario, il terzo titolare di diritto dedotto in lite da falsus procurator, il titolare di diritto incompatibile ed autonomo, possono addirittura promuovere l'impugnazione.

Al terzo dipendente è aperto l'adito al giudizio di nullità instaurato da altri.

Al successore a titolo particolare nel diritto controverso va riconosciuto il diritto d'instaurare il giudizio d'impugnazione contro  tutti i vizi anche nell'ipotesi che egli non abbia partecipato al processo arbitrale.

Segnatamente rispetto alla pronuncia di accertamento ed a quella costitutiva non soggette ad opposizione di terzo prima del passaggio in giudicato del lodo, il terzo litisconsorte necessario, il terzo coinvolto da falsus procurator, il terzo autonomo e il terzo avente causa, possono intervenire nel giudizio di nullità anche nell'ipotesi che non siano stati parti nel processo arbitrale, se e in quanto legittimati all'opposizione di terzo, semplice o revocatoria.









Qui ricorre lo stesso principio di economia che consente al terzo, destinatario di effetti diretti o riflessi del lodo omologato, di apprestare le proprie difese prima che il lodo diventi definitivo.

L'analogia fra le posizione del terzo rispetto all'impugnativa de qua e quelle concernenti l'appello sembra evidente.

Essa vieta di ritenere che il litisconcorte pretermesso e il terzo autonomo, non intervenuti nell'arbitrato, siano legittimati, oltre che ad intervenire nella fase d'impugnazione, addirittura ad instaurarla.

Ma non per questo possono lamentarsi privazioni e diseconomie; ove l'impugnazione non sia instaurata dalle parti originarie, il lodo omologato passa in giudicato, aprendo l'adito all'opposizione di terzo.

Per questo l'art.344 contempla soltanto l'intervento.

Vertendosi, quanto all'impugnativa in esame, in processo con una prima fase rescindente, è da domandarsi quali vizi possano far valere i terzi in discorso.

Quanto al terzo avente causa, egli deve attenersi ai vizi denunciati dalla parte adiuvata.

Quanto al litisconsorte necessario pretermesso, egli denuncerà, la violazione del principio del contraddittorio, nell'ambito degli errores in procedendo.

All'inderogabile principio, dettato a favore del titolare di un diritto, che non possa altri, non autorizzato da lui o dalla legge, chiedere ed ottenere una pronuncia possono far capo, per censurare il lodo nella fase rescindente del giudizio di nullità, il terzo titolare di diritto autonomo e il terzo titolare di diritto dedotto da falsus procurator.

Nel caso di partecipazione del litisconsorte pretermesso all'impugnativa di nullità, l'eliminazione del lodo per l'accoglimento della di lui censura fa sì che il giudice della nullità debba rinviare la causa al giudice ordinario di primo grado: a seguito della dichiarazione di nullità del lodo investe della controversia lo stesso giudice dell'azione di nullità; ma ciò non importa il di lui esonero dal rispetto della regola, posta dal nostro rito al giudice di secondo grado, di rimettere al giudice di prime cure nel caso in cui il primo giudizio di merito debba considerarsi come svolto.

La legge distingue due addendi: quello rescindente e quello rescissorio, e li regola laconicamente.

Entrambi si svolgono a instar del processo innanzi alla Corte d'appello, salvo esigenze proprie dei giudizi in esame; nel rescindente la specificazione dei motivi secondo la tipologia di legge; nel rescissorio la istruttoria aperta.

Quanto alla cognizione che si svolge sul rescindente, le questioni vanno esaminate seguendo l'ordine della pregiudizialità: prima quelle concernenti






l'ammissibilità e procedibilità dell'impugnativa; poi quelle relative ai presupposti del processo arbitrale e quelle relative al processo; infine quelle afferenti al lodo.

La inammissibilità e la improcedibilità della impugnativa vanno dichiarate dalla Corte d'appello con sentenza.

In ordine alla questione relativa alla validità del patto compromissorio, alla nomina dell'arbitro, al processo innanzi all'arbitro, la Corte d'appello deve compiere la ricognizione dei fatti cui ciascuna questione si riferisce e delle regole che la concernano.

La fase rescindente si conclude, quanto al merito dell'impugnativa; con sentenza che rescinde il lodo ex tunc, quando il giudice accerti la fondatezza di una censura; si tratterà di un sentenza di accertamento o costitutiva, secondo che abbia per presupposto la nullità o l'annullabilità o con sentenza di rigetto della impugnazione.

Si accenni inoltre il principio di tutte le impugnative secondo il quale viene eliminata soltanto la statuizione viziata.

Quando escano indenni dal giudizio di nullità per effetto della sentenza che dichiari la inammissibilità o la improcedibilità dell'impugnativa, o di quelle che la rigetti, il lodo già omologato, o parti di esso, passano in giudicato.

Bisogna richiamare l'avviso secondo il quale il lodo non ancora omologato va, in ipotesi di rigetto della impugnazione ritenuto implicitamente omologato, e quindi minuto, se non appena tale rigetto diventi definitivo, dell'autorità di giudicato.

Non si passa al rescissorio, e la impugnazione si conclude col rescindente, quando l'efficacia del compromesso e la competenza arbitrale sopravvivano all'annullamento del lodo.

Ad esempio nell'ipotesi di nullità del medesimo a causa dell'incapacità dell'arbitro o della sua nomina irrituale; nonché a quella di ritardo dell'arbitro a rendere il lodo nel termine fissato dall'art.820.

Qui la giurisprudenza assume che il compromesso perda efficacia, e contempla la competenza del giudice di primo grado: laddove è da ritenere che l'ipotesi importi sanzione per l'arbitro inadempiente, ma non decadenza del vincolo compromissorio.

Quanto all'avviso giurisprudenziale il giudice dell'azione di nullità debba rinviare al giudice di primo grado, il dubbio ch'essa suscita va risolto a favore, perché nell'ipotesi in discorso l'art830 investe della controversia, a seguito della dichiarazione di nullità del lodo, il giudice dell'impugnativa, ma non lo esonera dal rispetto della regola, dettata dal nostro rito, al giudice superiore, di rimettere






al primo giudice nel caso in cui il primo giudizio di merito debba considerarsi come non svolto.

Ove contenga soltanto il rescindente o il rigetto dell'impugnativa, e non anche il giudizio rescissorio, cioè la nuova pronuncia di merito, e la sentenza de qua è da considerarsi definitiva, alla stregua della disciplina vigente quanto alla natura definitiva o parziale della sentenza civile.

Il giudizio rescissorio continua a spettare al giudice dell'impugnativa.

La concorde volontà delle parti può esonerarlo dal nuovo giudizio: con ciò l'arbitrato e l'autonomia dei litiganti vengono sottratti alla forzata sottomissione alla giustizia statale.

La volontà delle parti, di derogare alla competenza del giudice statale, deve essere espressa prima che egli assuma in decisione la causa per la prima sentenza, quella che può essere sia rescindente che rescissoria.

La sentenza della Corte può essere, oltre che rescindente, anche rescissoria, cioè può contenere anche il nuovo giudizio, quale e nella misura in cui è reso necessario dall'annullamento del lodo.

Il giudizio rescissorio può essere reso in epilogo da un'apposita fase, successiva a quella che ha messo capo all'annullamento del  lodo.

Ciò accade quando la Corte d'appello ravvisi la necessità di ulteriore istruzione.

La differenza di natura fra impugnativa del lodo ed appello, è fisiologico che il primo intervento del giudice ordinario in sede contenziosa, sulla causa devoluta ad arbitri, sia contrassegnato da un possibile arricchimento della di lui cognizione.

Il che è in linea con la previsione di partenza: secondo la quale quel giudice può ritenere quella causa non matura per la decisione.

Ai fini della nuova pronuncia di merito, il giudice statale può mutuare le risultanze dell'istruttoria svolta dagli arbitri.

La sentenza rescissoria può riguardare il merito, oppure il rito o entrambi; e può definire il giudizio su questione di rito o su questione di merito.

Quanto alla cognizione della Corte, va richiamato quanto detto a proposito delle pronunce.

Si ritiene che il giudice dell'impugnazione debba riesaminare tutte le domande formulate innanzi agli arbitri, ancorché non  espressamente riproposte.

Per quanto concerne il merito, il nuovo giudizio di diritto non può farsi sull'equità, per il solo fatto che a ciò erano autorizzati gli arbitri: occorre nuova specifica e concorde richiesta al giudice.










La pronuncia della Corte d'appello è soggetta  a ricorso per cassazione ed a revocazione ordinaria.

Se si verta in condanna, è subito soggetta anche ad opposizione di terzo. Quando passi in giudicato è impugnabile con revocazione straordinaria.

Oggetto della misura interlocutoria del giudice dell'impugnativa per nullità è il lodo condannatorio, in quanto omologato: soltanto l'omologazione conferisce imperatività, ed esecutività.

Il lodo a contenuto dichiarativo e quello a contenuto costitutivo, ancorché omologati, non sono riguardati dalla misura in discorso, sia perché non abbisognano di esecuzione, sia perché svolgono efficacia pari a quella della sentenza soltanto dopo il passaggio in giudicato.

Presupposto della misura interlocutoria deve ritenersi non già l'incombenza di grave e irreparabile danno, sibbene la costanza dei gravi motivi richiesti per la sospensione da parte del giudice di appello: il lodo è la conclusione di un primo grado e quindi meno resistente della pronuncia emessa in secondo grado.































REVOCAZIONE ED OPPOSIZIONE DI TERZO



E' contemplata la impugnabilità del lodo anche per vizi ossia la revocazione straordinaria.

La revocazione è ammessa soltanto quando sia esclusa o non sia più aperta una fase di gravame: se questa è disponibile, in essa vanno conosciuti anche i vizi che, quando invece emergessero a gravame precluso, dovrebbero farsi valere con la domanda di revocazione.

La revocazione deve ritenersi ammissibile soltanto dopo la scadenza del termine per l'impugnativa di nullità: prima di tale scadenza il vizio, che in seguito aprirebbe l'adito alla revocazione, va fatto valere instaurando in discorso quella impugnativa.

Ove i vizi emergano a giudizio di nullità già instaurato per altri motivi, essi vanno fatti valere mediante domanda di revocazione: ciò si trae dalla regola secondo la quale il giudizio di revocazione va riunito al giudizio di nullità.

Tale avviso è confermato dalla regola secondo il quale il termine per proporre domanda di revocazione contro vizi che emergano in pendenza del giudizio di nullità è sospeso sino alla pronuncia sulla medesima.

Questa ultima regola è di stretta interpretazione cioè importa soltanto che il legittimato abbia la scelta fra attendere l'esito del giudizio di nullità oppure proporre domanda di revocazione mentre esso pende.

L'art.831 menziona, come oggetto della sospensione soltanto il termine impugnare e non anche il procedimento.

Il processo di revocazione avverso il lodo risponde ai modi e termini cui gli art.398ss. del codice di rito.

La opposizione di terzo è stata espressamente introdotta dalla novella del '94.

L'impugnabilità si sarebbe dovuta ritenere già presente nel sistema precedente.

Nel nostro sistema l'opposizione è concessa al terzo per svellere l'efficacia a lui pregiudizievole, quindi presuppone che la sentenza, se di condanna, sia divenuta esecutiva, mentre se costitutiva o di accertamento, ch'essa sia passata in giudicato. Prima che la sentenza diventi esecutiva o passi in giudicato il terzo che, sarebbe legittimato a fare opposizione, può svolgere intervento ad excludendum. Tale regime riferito al lodo importa che esso non possa essere impugnato mediante opposizione prima che l'omologazione lo ragguagli alla sentenza. Prima del verificarsi del pregiudizio, il terzo può tutelarsi partecipando all'arbitrato e all'eventuale giudizio di nullità.



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Il terzo litisconsorte necessario pretermesso, il terzo coinvolto da falsus procurator, il terzo autonomo e il terzo dipendente possono intervenire nel giudizio di nullità, se legittimati all'opposizione di terzo, semplice o revocatoria.

Il legittimato all'opposizione di terzo può intervenire anche in appello, ma non proporre appello.

Ma tale intervento è facoltativo, nell'ipotesi in cui si verta in lodo condannatorio omologato, è aperta al terzo l'alternativa della opposizione di terzo: nel senso che il terzo può far valere le sue ragioni o nel giudizio di nullità pendente oppure mediante distinta, ma coeva opposizione.

Anche l'opposizione contro lodo di condanna omologato può essere proposta prima che il soccombente in arbitrato impugni il lodo per nullità.

In ambo le ipotesi vige la regola della riunione dei due processi di impugnazione, instaurati separatamente.

Tale riunione è stabilita anche nella ipotesi di concorso, contro lo stesso lodo, di revocazione ed opposizione di terzo.



ARBITRATO ( RITUALE) INTERNAZIONALE.



Il legislatore del 1994 ha inserito nel codice di rito la disciplina dell'arbitrato internazionale.

Nell'ambito del nostro ordinamento, essa è una specie dell'arbitrato rituale: di cui condivide la natura privata e l'omologazione del lodo ma a differenza del rituale interno la sua caratteristica è quella in cui almeno una delle parti risieda o abbia sede non in Italia ma all'estero, o che riguardi un rapporto con prestazioni da eseguirsi in gran parte all'estero( art.822c.p.c).

La legge ha preferito la qualifica di internazionale a quella di commerciale internazionale, ma comunque sarebbe stato preferibile adattare la qualifica di transnazionale.

Come l'arbitrato rituale così anche quello internazionale è manifestazione dell'autonomia privata, la ritualità si richiama alla possibile omologazione del lodo. Essa risulta costituita dal corpus di regole dell'arbitrato rituale ma con rilevanti deroghe.

Ove le parti non indichino le norme sostanziali metro della pronuncia di merito, o non richiedano il giudizio d'equità, gli arbitri devono impiegare le norme con le quali il rapporto controverso risulti più strettamente collegato.

Essi devono sempre tenere conto anche delle indicazioni del contratto, nonché degli usi di commercio.






Anche tali arbitri possono essere ricusati, ma le parti possono preventivamente rinunciare all'esercizio della relativa facoltà (art.835 c.p.c).

E anche di consentire agli arbitri, per la deliberazione del lodo, anche una conferenza personale videotelefonica.

L'art.838 stabilisce i limiti alle impugnazioni, quella per nullità non può utilizzarsi per far valere violazioni di regole di diritto.

La previsione per la quale, salva diversa disposizioni delle parti, il giudice della impugnazione per nullità non è investito dell'eventuale giudizio rescissorio: il quale rimane confidato alla potestas arbitrale.

Revocazione ed opposizione di terzo vengono escluse, con  salvezza della diversa volontà delle parti, la quale appare derisoria rispetto al ripudio dell'opposizione di terzo: il terzo deve potersi procurare da solo la propria tutela, e contro le parti.



ARBITRATO IRRITUALE O LIBERO



L'arbitrato irrituale, come quello rituale, è un processo di natura privata dove l'arbitro è investito dalle parti del dovere di conoscere la controversia e dettare, con propria volizione, l'assetto sostantivo che la risolva e tale assetto è, sul piano privatistico, vincolante fra le parti; l'ambito dell'impugnazione del lodo innanzi al giudice di prime cure contempla gli stessi vizi previsti e sanzionati dalla legge in ordine al lodo rituale.

L'arbitrato irrituale si distingue da quello rituale perché il suo lodo e la sua efficacia non è suscettibile d'omologazione da parte dei giudici dello Stato, e quindi non acquista gli attributi propri della sentenza civile.

Anche i modi e i termini della eventuale impugnazione del lodo sono diversi da quelli dell'arbitrato rituale.

Sul piano dell'identificazione, e sempre che le parti non abbiano avuto cura di esprimere nel patto compromissorio la qualifica d'irritualità, il punto di distinzione sta in ciò che il patto compromissorio preveda o che da esso possa trarsi la volontà dei compromittenti di escludere l'omologazione del lodo; il dubbio su tale esclusione non può che rivolgersi a favore della ritualità, cioè del modello di arbitrato contraddistinto dalla omologabilità del lodo ossia dall'arricchimento del suo risultato.

Sul piano della disciplina la comunanza di natura, consente, impone di applicare la normativa dell'arbitrato rituale, prescindendo solo dalle regole, non





privatistiche, che sono correlate all'eventuale omologazione del lodo rituale e al rito delle impugnazioni.

Al patto compromissorio per arbitrato libero  si applicano le regole degli art.806-809.

Per quanto riguarda la forma del patto è da escludere che esso possa non essere quella scritta.

Quanto al contenuto, la volontà dei compromittenti non contempla l'omologazione del lodo.

In ordine ai poteri per la stipula del patto, si richiama all'interpretazione già proposta quanto al rituale, secondo la quale l'incongruenza fra l'art.807 e l'808 può risolversi involgendo la ordinaria amministrazione o quella straordinaria a secondo che il rapporto sostanziale oggetto di controversia vada ascritto all'uno o all'altro.

Quanto alla nomina dell'arbitro pare escludersi la incapacità del fallito e dell'interdetto dai pubblici uffici (art.812), incapacità da ritenere comminata in vista dell'omologazione ossia dell'assimilazione del lodo alla sentenza.

Gli art.806-809 governano anche il patto per arbitrato libero e prevedono, ove necessaria, la cooperazione dello Stato sub specie di provvedimenti di giurisdizione volontaria (art.810/811/814/815c.p.c) governano la investitura e la funzione del privato quale arbitro; proteggendo l'interesse dei privati e assistendolo mediante interventi di giurisdizione volontaria.

L'arbitrato irrituale a differenza di quello rituale non appartiene alla giurisdizione.

Ove si ammettano la natura privatistica e il contenuto di giudizio comuni ai due tipi, il riconoscimento all'irrituale dei presìdi in discorso discende de plano.

Nell'arbitrato libero la sede la determinazione della sede non è necessaria.

Il compromesso importa l'esonero del giudice statuale rispetto alla controversia.

L'improponibilità della domanda si risolve proprio nel difetto, per il giudice statale di potestas iudicandi.

Anche l'arbitro irrituale non può giudicare senza disporre della soluzione di questione preliminare la cui cognizione spetti inderogabilmente al giudice ordinario.

Non può essere concessa la cautela del giudice civile contemplata per l'arbitrato rituale, sul presupposto della sua ragguagliabilità, attraverso l'omologazione, alla sentenza dello Stato.

A proposito dello svolgimento del processo rituale va ripetuto anche per quello irrituale però da ritenersi che l'arbitrato libero ha solo natura contrattuale e non giurisdizionale.

Per quanto concerne la legittimazione delle parti non si possono contemplare, nel processo irrituale, interventi di terzi.






Non vi sono quindi regole circa i tipi di domande proponibili in quanto esso vale solo per il rituale ove il lodo viene omologato.

Inoltre nell'irrituale non è necessario il novero delle volizioni che possono essere chieste all'arbitro il quale deve corrispondere a quella delle sentenze civili.

La fissazione del termine per l'emanazione del lodo fa sempre parte degli ausili conferiti dalla legge ai privati compromittenti, proprio in ragione della natura privatistica dell'arbitrato, quale ne sia il tipo.

Il lodo consiste in una volizione dell'arbitro sul piano privatistico, giusta investitura delle parti. Il lodo può essere definitivo o parziale, nei modi nei termini indicati per il lodo rituale.

Come per l'arbitro rituale, il rispetto del termine per la pronuncia è affidato alla volontà delle parti.

L'art.823 mentre è indubbio che il lodo rituale debba in vista della sua omologazione, essere motivato e che i litiganti non possano rinunciare all'impugnativa per difetto di motivazione altrettanto non può dirsi quanto all'arbitrato irrituale, nel quale le parti possono esonerare gli arbitri dal motivare.

Sull'efficacia del lodo libero quello irrituale si tratta di efficacia negoziale, che tale lodo svolge nei confronti delle parti, vincolandole sul piano privatistico, e che si ripercuote sui loro aventi causa: ciò alla stessa stregua del lodo rituale non omologato. Come di qualsiasi posizione sostanziale, dalla tutela giurisdizionale dei diritti in sede di cognizione piena, sommaria o cautelare.

Al lodo irrituale si applica l'art.826 relativo alla correzione dell'errore materiale; escluso l'ultimo capoverso che riguarda il lodo rituale già depositato.

Il lodo libero non è suscettibile di riconoscimento all'estero.

La struttura dell'impugnativa dell'invalidità del lodo rituale in ragione della sua omologabilità non si applica a quello irrituale.

Mentre il lodo rituale è soggetto a specifica impugnazione ed al relativo termine, quello libero è controvertibile in prime cure senza limiti di tempo.

Il lodo rituale non ancora omologato diventa definitivo per preclusione dell'impugnativa a termine spirato, mentre quello irrituale rimane aperto all'azione giudiziaria volta a farne valere l'invalidità.

L'invalidità del lodo rituale può esser fatta valere nonostante qualsiasi rinuncia preventiva, in quello irrituale le parti possono impegnarsi preventivamente a non far valere eventuali invalidità.

I vizi che importano contro il lodo rituale l'impiego della revocazione possono farsi valere anche contro il lodo irrituale, sempre mediante l'azione innanzi al giudice di primo grado.






L'opposizione di terzo, in quanto suppone l'esecutività e/o il passaggio in giudicato, non è applicabile al lodo irrituale, privo come esso è di esecutività e di definitività.

Il terzo dispone contro tale lodo delle azioni ordinarie: così quella di revindica, di accertamento del proprio diritto, dell'azione revocatoria.

Il lodo irrituale si avvale della più blanda disciplina dell'arbitrato internazionale.

Le parti le possono disporre le eventuali invalidità di cui scagiona il lodo.

L'omogeneità di natura dei due tipi di arbitrato consentono di contemplare la conversione del lodo rituale in lodo irrituale, ai sensi ed effetti dell'art.1424c.c.

Il lodo che si assume rituale ma che non sia omologabile per difetto di determinazione della sede può svolgere effetti come lodo irrituale, ove non risulti che le parti lo abbiano escluso.

Altrettanto si può dire quando il lodo rituale non sia omologabile per aver disposto un assetto esorbitante dalla tipologia condanna, accertamento, costituzione.
































14. RICONOSCIMENTO DEL LODO ITALIANO ALL'ESTERO E

RICONOSCIMENTO DEL LODO ESTERO IN ITALIA.



Il lodo rituale ha la possibilità di essere potenziato, mediante l'omologazione, con gli attributi della sentenza giurisdizionale italiana, anche dal riconoscimento straniero. Il quale afferisce il presupposto che essa possa essere posta, in virtù dell'omologazione statale, sullo stesso piano della sentenza di giudice.

La pronuncia arbitrale viene riconosciuta nell'ordinamento straniero in quanto sentenza o potenziale sentenza a seconda che l'omologazione in Italia sia intervenuta o sia un'eventualità futura.

L'art.839 stabilisce che chi vuol far valere nella Repubblica un lodo straniero, il presidente della Corte d'appello dichiara con decreto l'efficacia del lodo straniero nella Repubblica.

Il c.d. exequator non riguarda soltanto l'esecutività, esclusiva del lodo condannatorio, quale ne sia il contenuto, per ragguagliarlo alla sentenza italiana.

Il riconoscimento del lodo estero secondo la disciplina convenzionale di New York importa il controllo della capacità delle parti, della validità della convenzione arbitrale secondo la legge stabilita dalle parti o, in difetto, secondo quella del luogo dove il lodo è stato emesso, del rispetto del contraddittorio, della coerenza fra la pronuncia e il compromesso, della costituzione degli arbitri e della regolarità della procedura voluta dalle parti o vigente nel luogo di emissione del lodo, della vincolatività del lodo e della sua vigenza.

Più semplificato risulta irrogata nell'ambito della sua applicazione la Convenzione di Ginevra.

La prima rifiuta il riconoscimento al lodo annullato nel paese d'origine mentre quella di Ginevra esclude si abbia il rifiuto se quell'annullamento è dipeso da carenze diverse dall'incapacità dei compromittenti, dall'obliterazione del contraddittorio, dall'extrapetizione, dalle difformità della investitura degli arbitri o dello svolgimento del processo rispetto alle regole vigenti nel caso.

L'omologabilità che giustifica il riconoscimento del lodo rituale è la pietra di paragone sul quale deve ritenersi il lodo libero, che non è omologabile, non può beneficiare del riconoscimento dello Stato estero dal momento che già non è riconosciuto da quello interno.

Non è ammissibile che , avendo i compromittenti escluso d'accordo l'omologabilità del lodo, una delle parti possa chiedere ed ottenere all'estero efficacia propria della sentenza.

La riforma del '94 ha innovato anche il regime del riconoscimento in Italia del lodo straniero.

L'art.839 stabilisce che:

Chi vuole far valere nella Repubblica un lodo straniero deve proporre ricorso al Presidente della corte d'appello nella cui circoscrizione risieda l'altra parte e se l'altra parte non risiede in Italia è competente la Corte d'appello di Roma.

Il ricorrente deve produrre il lodo in originale o in copia conforme, insieme con l'atto di compromesso o documento equipollente in originale o copia conforme.

Se i documenti non sono redatti in lingua italiana la parte istante dovrà produrne una traduzione certificata conforme.

Il presidente della corte d'appello accertata la regolarità formale del lodo, dichiara con decreto l'efficacia del lodo straniero in Italia, salvo che:

la controversia non possa formare oggetto di compromesso secondo la legge

italiana( p.c.806/808).

il lodo contenga disposizioni contrarie all'ordine pubblico.

...



A. ARBITRATO E CONTROVERSIE TRA SOGGETTI DI DIRITTO

INTERNAZIONALE.


Essendo l'arbitrato una forma di regolamento giudiziario in quanto comporta la creazione di un giudice e essendo la comunità internazionale istituita su base paritaria e senza un giudice precostituito, al di fuori della Corte internazionale di Giustizia, qualsiasi persona può essere arbitro.

Il diritto internazionale è a base volontaristica e quindi l'arbitro può desumere il proprio potere solo e la propria competenza solo dall'accordo delle parti.

L'accordo, che prevede la nomina, la competenza e le norme sulle quali il giudizio arbitrale deve fondarsi si chiama compromesso.

Il quale si differenzia dalla transazione che non è altro che un negoziato realizzato attraverso concessioni reciproche, esso è il negozio stragiudiziario, in base al quale le parti si accordano e si fanno reciproche concessioni per la risoluzione di una controversia; mentre il compromesso è l'accordo istitutivo di un arbitro internazionale.

L'istituzione dell'arbitro può anche essere prevista in un trattato di contenuto più ampio e la clausola che contempla la designazione dell'arbitro viene definita clausola compromissoria.

Il ricorso dell'arbitrato si conclude con la pronuncia dell'arbitro, sulla base del c.d. sillogismo giudiziale, di una sentenza arbitrale, motivata, la quale decide su una determinata controversia. La sentenza ha carattere vincolante ed obbliga le parti in causa. Di solito le sentenze internazionali sono inappellabili salvo la possibilità di procedere ad una revisione a seguito della scoperta di fatti nuovi.























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