Caricare documenti e articoli online 
INFtub.com è un sito progettato per cercare i documenti in vari tipi di file e il caricamento di articoli online.


 
Non ricordi la password?  ››  Iscriviti gratis
 

Relazione dei primi quattordici paragrafi del 'De Bellum Catilinae" di Sallustio

letteratura latina



Relazione dei primi quattordici paragrafi del "De Bellum Catilinae" di Sallustio:


cap.1)) Gli uomini che vogliono distinguersi si impegnano al massimo per affermarsi nella vita per distinguersi dagli altri animali. Tutta la forza dell'uomo è nell'anima e nel corpo: dall'una ricaviamo l'attitudine al comando, dall'altro quella all'obbedienza. L'uomo è una via di mezzo tra gli dei e gli animali per il fatto stesso che il comando sia una dote divina e l'obbedienza, animale. È per questo che la gloria va cercata nelle cose spirituali e non in quelle fisiche e che non bisogna tentare di raggiungere la longevità, ma di render più lunga possibile la vita della nostra memoria. La gloria delle cose materiali ha una durata temporale limitata, solo quella delle cose spirituali può essere eterna. Tuttavia le doti fisiche devono lavorar in collaborazione con quelle dello spirito per ricavarne il massimo vantaggio. Non per nulla prima d'agire è necessario riflettere, dopo aver riflettuto bisogna agir rapidamente.

cap.2)) La monarchia è la prima forma di potere comparsa su questa Terra. Sono state le dominazioni straniere (i Greci e i Persiani) a rovinar Roma, a corromper i suoi re e i suoi costumi. Se vi fosse un giusto e forte potere centrale la società e le arti non si disperderebbero.



cap.3)) É nobile operare nel bene dello Stato, ma anch 151i87b e scriverne: si può ricevere gloria da entrambi. Tuttavia pare più difficile trovar parole che possano esser adeguate a descriver i fatti e che non possano esser fraintese o miscredute dagli altri. Sallustio ammette di non poter far a meno di parlare dello Stato: la politica è una passione che si porta dentro dai tempi dell'adolescenza.

cap.4)) Dal mondo della politica Sallustio riceve molte delusioni. È lì che conosce la sfrontatezza, l'avidità, la corruzione. Sebbene il suo animo da adolescente dissentisse da quelle regole, ne viene coinvolto a causa della sua ambizione. Fattosi più in là con gli anni, decide di ritirarsi, di condurre una vita d'otium operoso e diventa uno storico.

In questo libro vuol parlare di Catilina perché la singolarità della sua "macchinazione delittuosa"  riuscì a far correr un grande rischio allo Stato romano.

cap.5)) Si presenta il personaggio di Catilina. D'origini nobili, aveva una grande forza d'animo e fisica, tanto che resisteva alla fame, al freddo e alle veglie in modo a dir poco incredibile. Fin dall'adolescenza s'era impegnato in guerre civili stragi, rapine, discordie. Era audace, impulsivo, subdolo, malvagio, cinico, teatrale, bugiardo, corrotto, lussurioso. Sperperava i propri beni e bramava quelli degli altri, mirava sempre a ciò che era troppo grande per essere alla sua portata: i debiti che aveva accumulato lo rendevano sempre più inquieto e lo spingevano a continuare a compiere le sue scelleratezze.

cap.6)) A Sallustio viene spontaneo, per associazione ideologica, collegare la corruzione di Catilina a quella dello Stato. Si sente dunque di dover trattare brevemente degli avi di Roma. Ai tempi in cui Enea aveva fondato Alba Longa, la città era in ottimi rapporti con le popolazioni circostanti. Gli interessi di potere ruppero questo equilibrio provocando guerre. Così il popolo romano dovette costituirsi un organo bellico, che col tempo si perfezionò, rafforzò; si formarono nuove alleanze.  Al vertice della scala sociale c'erano il re e la legge, subito sotto di lui i delegati e i sapienti a sovrintendere gli interessi dello Stato. Quando la monarchia si depravò si preferì passare al consolato per evitare il rischio di dittature: venivano eletti due capi che rimanessero in carica un solo anno.

cap.7)) Continua il discorso del capitolo precedente facendo notare che chi saliva al consolato ostentava i propri meriti come se fosse angosciato dalla virtù altrui, ma continuando a preferire l'onestà alla depravazione. Lo Stato, ottenuta la libertà dal dispotismo monarchico, prosperò. I cittadini erano uomini giusti, generosi, nobili d'animo, arditi, bramosi di gloria. Per primi i giovani, che si arruolavano non appena raggiunta l'età per farlo, traevano piacere più dalle armi, dall'equitazione militare, dalla fama, dalla gloria militare e civile che dai bordelli o dai banchetti.

cap.8)) La sorte, più che la verità, decide quali imprese rendere illustri. Le imprese degli Ateniesi sono conosciute in  tutto il mondo grazie all'impegno dei loro scrittori . La virtù degli eroi trattati è stimata in base alle parole con le quali vengono messe in luce le loro gesta. A Sallustio quelle degli Ateniesi sembrano minori di quanto vengano narrate e ritiene che ai Romani era mancata la fortuna d'aver buoni scrittori. Il problema sta nel fatto che i più valorosi preferivano lasciare agli altri la lode delle imprese. Non avevano tempo da perdere in parole: erano totalmente impegnati nell'azione, poiché a quei tempi non si concepiva l'esercizio della mente senza quello del corpo.

cap.9)) Riprende il discorso del capitolo sette facendo sentire la malinconia dell'età dell'oro; parlando degli antichi costumi si gioca sull'espressione "domi bellique". Una volta vigevano i buoni costumi: massima concordia, minima cupidigia. Lo Stato e i cittadini erano sostenuti in guerra dall'audacia, in pace dall'equità e la giustizia, come l'onestà, traevano vigore dalla natura degli uomini, non dall'imposizione delle leggi. Non era uso parlar dietro: si preferiva esser sinceri e aver il coraggio d'affrontare il nemico; si conduceva una vita modesta e si competeva a chi dimostrava maggior virtù. Erano sacri e molto rispettati il culto per gli dei e l'amicizia. In guerra, i soldati codardi o disubbidienti erano spesso puniti; si era più clementi coi disertori o con quelli che avevano abbandonato la postazione in battaglia. In pace, i cittadini non si ribellavano al governo perché ne erano garantiti e, poiché quest'ultimo non era basato sulla politica del terrore, non ne erano esasperati.



cap.10)) Continua il discorso iniziato precedentemente. Quando lo Stato crebbe e fu sottomesso da popoli stranieri; Cartagine, emula dell'impero romano, fu rasa al suolo, insieme allo Stato decaddero tutte le virtù. Per primo crebbe il desiderio di denaro, poi quello di comando e furono all'origine della maggior parte dei mali.

cap.11))Approfondisce il tema affrontato nel capitolo di prima. L'ambizione trasformò gli uomini in menzogneri, fedifraghi, narcisisti, poveri d'animo perché più concentrati sull'apparire che sull'essere, fece cadere il valore dell'amicizia vera per instaurare quella per interesse. Può essere considerata sia vizio che virtù: la possiedono sia gli uomini giusti che gli sciagurati poiché entrambi aspirano alla gloria, agli onori, al comando. La differenza sostanziale è il mezzo di persecuzione del fine: mentre il primo lo ottiene tramite l'onestà, il secondo, cerca di raggiungerla con frodi e menzogne. L'avarizia invece fece nascere la superbia, la crudeltà, l'ateismo, il considerare tutto in vendita. É un veleno mortale: una volta entrato nell'uomo si diffonde nel corpo e nell'anima e né l'abbondanza né la penuria di mezzi riescono a placarla.

Sallustio passa poi a parlar di Silla: dopo essersi impadronito del potere tramite l'esercito, ridistribuì i terreni e le proprietà assegnandole come bottino di guerra ai suoi uomini. Per non perdere il favore dei soldati che aveva condotti in Asia, li aveva lasciati vivere nella sfrenatezza e nel lusso, contro le antiche consuetudini, permettendo che i loro animi ne venissero traviati.

cap.12)) Insiste sul tema della perdizione. S'era ormai persa la concezione di virtù, soprattutto fra i giovani: erano diventati avari, arroganti, disonesti, ladri, scialacquatori, senza scrupoli, moderazione, riguardo al pudore e alle temperanza, senza rispetto né amore per le proprie cose, ma invidiosi per quelle degli altri; erano consumati dalla loro libidine e non sapevan più distinguere le cose umane da quelle divine. La povertà era considerata un disonore e l'integrità un'ostentazione: la ricchezza era ora il mezzo per ottenere merito, prestigio, autorità e potere.

L'ex politico fa notare come, ammirando gli edifici antichi, si possa scoprire con meraviglia come ornamento dei santuari fosse la fede alla divinità, decoro delle case, la fama conseguita con l'onestà. Aggiunge che ai tempi degli avi ai vinti era tolta solo la possibilità d'offendere, ora vengono derubati, in quanto si pensa che la supremazia si dimostri con l'oltraggio.

cap.13)) Sallustio si chiede perché riguardo a queste cose dovrebbe mentire. Assicura che privati cittadini sperperano denaro in modo vergognoso e immorale. Gli uomini sono diventati depravati e dissoluti: amano le orge_ gli uomini si prestano sessualmente come fossero donne, le donne si svendono senza ritegno_ , non agiscono seguendo le proprie necessità, ma si abbandonano completamente ai peccati sensuali.

cap.14)) Per Catilina non fu difficile, in una città così grande e corrotta, circondarsi di uomini della peggior specie: erano suoi amici e guardie del corpo. Riusciva a corrompere anche chi non lo era tramite denaro e favoreggiamenti e in questo non badava a spese né si preoccupava della sua reputazione. Preferiva di gran lunga i giovani perché essendo ancora malleabili, riusciva a comprare il loro sostegno più facilmente accontentando tutti i loro desideri.




Nel "De Coniuratione Catilinae" Sallustio parla della corruzione dei "mores romanorum". Spicca qui la sua concezione della storiografia legata alla prassi politica, finalizzata all'etica, alla formazione dell'uomo politico e tendente a configurarsi come analisi sulla crisi. Si riconosce l'impronta del modello tucitideo scelto dall'autore: brevità, densità, asprezza. 

Sallustio motiva la sua scelta tematica con la grande passione per la politica, che l'aveva rapito fin dall'adolescenza: era stato questore, tribuno della plebe, pretore, governatore dell' "Africa nova". Nell'introduzione del libro, fa degli accenni autobiografici e non nega d'esser stato corrotto. Difatti nel 50 venne espulso dal senato per indegnità morale, più avanti aveva dato prova di rapacità e malgoverno a capo di una delle Province dell'Impero. alla fine s'era ritirato e s'era dato all'otium. La sua brama di conquistar una gloria che lo rendesse eterno non viene di certo fermata dal ritiro dalla vita politica: decide di far lo stesso politica e guadagnarsi fama diventando storiografo.

Emerge da quanto viene scritto che il compito dello storiografo non è semplice: bisogna trovar parole adeguate al contesto e che possano esser credute. Del resto Roma ha bisogno di persone che celebrino degnamente i suoi eroi e li facciano conoscere in tutto il mondo.

All'origine di tutto è l'ambizione per la gloria: l'obbedienza è ciò che assimila l'uomo alle bestie, il comando agli dei. Nel loro tentativo di distinguersi dagli altri animali gli uomini tendono a volersi elevare verso la divinità, aspirando al comando e all'eternità. L'unico modo per avere quest'ultima è ottenere una gloria memorabile, non coltivando le cose materiali, tuttavia per ottener maggiore vantaggio è necessario unire le forze del corpo e dello spirito.

Ispirandosi ancora a Tucitide, Sallustio fa dell' "archeologia": attingendo dalla storiografia e dalla tradizione traccia una rapida storia dell'ascesa e della decadenza di Roma. Descrive ampiamente la correttezza dei costumi romani originari. Al principio, quando Enea aveva fondato Roma non c'era corruzione, né depravazione. La guerra tra la città e le popolazioni vicine era sorta in un secondo tempo per un conflitto d'interessi. Con il progressivo accrescersi della potenza di questa civiltà, era sorto il problema del dispotismo, a cui s'era posto rimedio col consolato: il potere fu assegnato a due consoli in carica un solo anno. Lo Stato era tornato a prosperare.  L'ascesa di Roma era stata bloccata dalle dominazioni straniere (Persiani e Greci): grazie a queste era dilagata la corruzione. Prima la forza, la solidità e la validità del re e della legge garantivano la virtù e la correttezza degli uomini, da quel momento in poi, la città si avvia ad un rapido decadimento. Infatti era stata destrutturata delle sue istituzioni politiche e privata di un modello di riferimento a cui tornare: la sua più vicina emulazione, Cartagine, era stata rasa al suolo.

Vengono chiamati in causa, per il loro contributo alla rovina dei valori romani, due personaggi illustri: Catilina e Silla. Del primo Sallustio fa uno dei suoi tipici medaglioni fotografici individuando caratteristiche fisiche e morali del personaggio. Si insiste sull'orrore delle proscrizioni sillane, in cui Catilina s'era distinto all'inizio della sua carriera. Dopo la dittatura di Silla, che aveva concesso il dilagare della corruzione per paura di perdere il consenso dei soldati che lo avevano accompagnato durante il colpo di Stato e nelle campagne militari, Catilina ne aveva approfittato per impadronirsi del potere. Con lui la crisi giunse all'apice: riuscì a corrompere anche uomini giusti e onesti, a maggior ragione i giovani che, essendo ancora in via di crescita, erano più facilmente plasmabili dalle sue mani esperte.

Lo scrittore non dimentica di dipingerci anche un quadro dei nuovi costumi corrotti, mettendoli in contrasto evidente con quelli degli antenati. La condanna mossa dallo storiografo coinvolge indifferentemente i populares e i fautori del senato: da un lato demagoghi che con elargizioni e promesse alla plebe ne aizzano l'emotività per farne piedistallo delle proprie ambizioni; dall'altro aristocratici che si fanno velo della dignità del senato,  ma combattono in realtà esclusivamente per i propri privilegi.











Privacy




Articolo informazione


Hits: 2059
Apprezzato: scheda appunto

Commentare questo articolo:

Non sei registrato
Devi essere registrato per commentare

ISCRIVITI



Copiare il codice

nella pagina web del tuo sito.


Copyright InfTub.com 2024