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Su Fedro - La vita, Le opere

letteratura latina



LA VITA:

Su Fedro si hanno scarse notizie e assai poco sicure; incerto è anche il suo nome latino, giacché la tradizione manoscritta ci dà il genitivo Phaedri nell' Inscriptio del I libro, per cui si potrebbero avere i nominativi Phaedrus o Phaeder.

Nacque sotto il principato di Augusto, intorno al 15 a.C, ma fu attivo sotto Tiberio, Caligola e Claudio. E' uno dei pochissimi autori di nascita non libera nella letteratura della prima età imperiale: egli era infatti uno schiavo di origine tracia (ma dovette avere una discreta educazione letteraria, se è vero - come egli stesso confessa - che da fanciullo legge Ennio), e nei manoscritti delle sue opere è citato come liberto di Augusto (sembra, quindi, che fosse stato liberato proprio dall'imperatore, da cui avrebbe ricavato il prenome Gaio e il nome Giulio: ma non conosciamo le circostanze dell'affrancamento). Negli anni tra il 13 e l'11 a.C. avvenne la repressione di una rivolta in Tra 838j99i cia; in quell'occasione parte della popolazione fu fatta schiava: proprio allora Fedro potrebbe essere stato condotto a Roma, finendo nella famiglia di Augusto. A dire il vero, nel prologo del III libro, che contiene notizie autobiografiche, Fedro dice che la madre lo generò << sulle balze del monte Pierio >> e quindi in Macedonia; potrebbe però trattarsi di una civetteria letteraria, giacché proprio sul quel monte gli antichi favoleggiavano che Mnemosine, resa madre da Giove, avesse dato alla luce le Muse. In effetti ai vv. 52-59 il poeta si definisce << molto più prossimo alla coltissima Grecia >> di quanto fossero stati il frigio Esopo e lo scita Anacardi, ma non più vicino dei traci Lino e Orfeo; l'origine tracia non è dunque da escludere. Sempre nella stessa opera (prologo del III libro), si evince che il poeta sarebbe stato inoltre perseguitato da Seiano, il braccio destro di Tiberio, rimasto offeso da allusioni colte in alcuni scritti. Queste persecuzioni furono in parte mitigate dai suoi amici Eutico, Particulone e Filato. Dopo la condanna, Fedro soffrì umiliazioni e, probabilmente, la povertà: visse abbastanza a lungo, ma - oltre ciò - nulla di più certo si sa della sua vita. Segno, questo, che la sua produzione evidentemente non ebbe molta fortuna ai suoi tempi. Morì nel 50 d.C.




LE OPERE:

Scrisse cinque libri di favole in senari giambici che lui stesso chiamò "esopiche", perché sono, per lo più, traduzioni o rifacimento di favole greche attribuite ad Esopo Frigio, anche se, talvolta, rispetto al suo modello, Fedro introduce nelle sue favole aneddoti storici, scenette sentimentali ed epigrammatiche, quadri simbolici. Fedro ha una posizione sociale modesta e come poeta non si può definire veramente un virtuoso: pratica un genere letterario ritenuto minore, anch'esso marginale rispetto alle grandi corrente dell'età imperiale. Come narratore, invero, egli poi inventa ben poco: prese una per una, le sue favole sono poco originali, indebitate con la tradizione esopica e con una raccolta di favole di età ellenistica (questo, soprattutto nel I libro); quanto alla rielaborazione letteraria, nessuna delle favole di Fedro può superare le opere dei grandi poeti.

Tuttavia, a questo umile artigiano tocca una priorità storica importante: è il primo autore che ci presenta una raccolta di temi favolistici, concepita come autonoma opera di poesia, destinata alla lettura. Il merito del nostro sta, infatti, nell'impegno costante e metodico per dare alla favola una misura, una regola, una voce ben definita e riconoscibile: egli, insomma, pur definendosi come il continuatore di un genere già a suo modo "stabilizzato" da Esopo, tuttavia lo innova, ne dilata gli orizzonti e lo porta a perfezione, adattandolo alla tradizione culturale latina. Lo stesso Fedro è orgogliosamente consapevole di questo "traguardo", raggiunto ovviamente attraverso tappe difficili e progressive, com'è avvertibile, del resto, nel corso stesso dell'opera (da una più vincolata aderenza al modello verso una più spiccata e piacente originalità). Alla fine Fedro può ben affermare che le sue composizioni sono "Aesopias, non Aesopi", "esopiane, ma non di Esopo", ovvero composte secondo lo stile e i caratteri della favola esopica, ma non semplici traslitterazioni di quella.


Oltre alle 90 Favole, divise nei 5 libri, sono sicuramente sue anche le circa 30 favole raccolte nella cosiddetta "Appendix Perottina", che prende nome dall'umanista Niccolò Perotti, curatore della raccolta. Di altre ci resta la parafrasi in prosa.

Il I libro (31 favole) fu scritto subito dopo la morte di augusto; il II (8) durante il ritiro di Tiberio a Capri; il III (19) il IV (25) e il V (10) sotto Caligola e sotto Claudio. La scarsa estensione del II e del V libro è forse un indizio che la raccolta, così come ci è giunta, è in verità estratto di una più ampia.
Talvolta l'autore appesantisce la composizione dando troppa importanza alla morale; tuttavia ha il merito di aver creato nella letteratura romana il genere della favolistica.
Di tutta la sua opera rimangono solo estratti; lo dimostra l'ineguaglianza dei singoli libri giunti a noi, che constano rispettivamente di 31, 8, 19, 25 e 10 favole.
Fedro non ebbe molta fama, solo Marziale lo nomina tra gli autori latini; poi di lui se ne perdono le tracce fino al 4° secolo, cioè fino alla raccolta di Aviano.
In seguito, si venne formando un corpus di favole latine in prosa, in cui molte delle favole latine in prosa di Fedro, furono inserite come anonime e tradizionali, sì che nel Medioevo, quando Fedro era ignoto, si ebbero tre redazioni principali di favole; di questa la più nota è quella intitolata Romulus
oppure Aesopus latinus , dove Fedro, non viene nominato, ma dove ne sono riprodotte cadenze tipiche e dove la derivazione da lui è dimostrata dal fatto che spesso le favole in prosa si possono ridurre in senari.
Solo nel 1596 Pierre Pithou (Pithoeus) pubblicò a Troyes la prima edizione di Fedro da un manoscritto del 9° secolo; in seguito furono ritrovati altri manoscritti e nel secolo 19° fu edita una trentina di "favole nuove" di Fedro su una raccolta fatta alla fine del secolo 15° da Niccolò Perotto, che non si sa però da quale fonte le avesse attinte.
La favola si riferisce dunque ad una breve narrazione in prosa o poesia, i cui personaggi - immaginari - sono in genere animali, descritti però in maniera antropomorfa, ossia come se fossero uomini (dal greco anthropos, uomo, e morfè, forma).
Infatti ad alcuni viene assegnata la parte dei virtuosi (agnello, colomba) ad altri quella dei cattivi o, comunque, dei prepotenti o degli egoisti (lupo, volpe, falco), in modo da fornire caratterizzazioni tra loro contrapposte di virtù e di vizi propri degli uomini.
L'intento prioritario della favola è di tipo didascalico: attraverso una vicenda arguta, l'autore si prefigge di fornire un insegnamento riguardante la natura degli uomini o i rapporti sociali.
E' questa la cosiddetta morale della favola, "fabula docet" raramente sottintesa, più spesso posta ben in evidenza come incipit (ossia apertura del testo), oppure in chiusura come interpretazione della vicenda narrata.
Le favole di Fedro ebbero come fine la condanna dei difetti della classe dominante romana.
Le favole erano diffuse soprattutto tra gli strati più bassi della società ed insegnavano come far fronte ai soprusi dei potenti, grazie alla forza dell'astuzia e dell'accortezza.

La struttura. Nonostante la (relativa) varietà di situazioni e personaggi presenti nelle favole, la struttura di queste segue, generalmente, strutture ordinate da "passaggi" quasi obbligati; ecco, ad es., una schematizzazione della struttura di tre notissime favole:

Il lupo e l'agnello: 1 - Azione immediata dei personaggi; 2 - Contrasto di carattere; 3 - Assenza di aspetto fisico; 4 - Ruolo indistinto tra protagonista e antagonista; 5 - Successione alternata di attacco e di difesa attraverso il dialogo; 6 - Scioglimento violento del contrasto; 7 - Morale espressa.

Il lupo e il cane: 1 - Accenno di situazione iniziale; 2 - Descrizione funzionale dei personaggi; 3 - Ruolo indistinto tra protagonista ed antagonista; 4 - Confronto dialogico; 5 - Scoperta della verità attraverso il dialogo; 6 - Morale.

La vacca, la capretta, la pecora e il leone: 1 - Morale espressa; 2 - Situazione iniziale; 3 - Azione dei personaggi; 4 - Prepotenza e violenza giustificate attraverso la parola; 5 - Umiltà e sottomissione dimostrate attraverso il silenzio; 6 - Morale espressa.

La favola in Grecia e a Roma. Il genere della favola, prima di Fedro, non aveva una grande tradizione (almeno scritta) nella letteratura latina: la sua nascita - almeno per quanto riguarda la sua forma scritta - coincide praticamente con la produzione del greco Esopo (VI sec. a.C.), una produzione invero già "matura". Essa constava di storielle, in prosa, che presentavano spunti umoristici e pillole di saggezza, e a cui erano allegate una premessa o una postilla che spiegavano il tema della favola o la morale che si poteva trarre da essa. Tipico del genere era, poi, l'uso di animali come maschere, personaggi umanizzati dotati di una psicologia fissa (evidentemente, l'uso di questi "tipi" animaleschi doveva essere ritenuto meno compromettente, su un fronte casomai "politico": ma ciò fu solo in parte esatto, se è vero che lo stesso Fedro, nonostante avesse "ereditato" almeno all'inizio questo accorgimento, incorse comunque nelle ire di Seiano, come detto).    A Roma, con molta probabilità, questa materia originaria dovette avere, almeno all'inizio, una diffusione esclusivamente "orale", e soprattutto fra gli strati subalterni, nonché - a livello letterario più "nobile" - attraverso una vera e propria "contaminazione" col genere satirico, almeno secondo istruttivi indizi su Ennio e Lucilio, e secondo l'opera dello stesso Orazio. Proprio a quest'ultimo, infatti, risalgono - se vogliamo - le prime vere testimonianze di favole scritte in latino: il famoso apologo del topo di città e del topo di campagna, nonché richiami alle favole della rana e del bue, del cavallo e del cervo, della volpe e della donnola, contenute negli "Epodi" e soprattutto, manco a dirlo, nelle "Satire". E' a questo punto d'arrivo che si colloca la figura e l'opera di Fedro, che da tutti quei prodromi prenderà spunti, temi (morali), situazioni e personaggi, però rielaborandoli ed adattandoli - come vedremo - alla propria personalità e al proprio tempo.

Componimenti "metaletterari". Queste sue riflessioni di poetica (sui rapporti con la tradizione e sui tempi e i modi della propria originalità), Fedro le affida a specifici componimenti, che all'interno della sua opera assumono funzione, prettamente, "metaletteraria": è il caso, ad es., degl'importanti prologhi dei 5 libri e degli altrettanto importanti epiloghi dei libri II, III, IV.

Istanze sociali nelle favole. Le "morali" di Fedro, e la stessa allegoria del mondo animale, poi, non sono soltanto mere espressioni del buon senso, bensì esprimono anche una mentalità sociale, ossia il punto di vista delle classi subalterne della società romana: egli è davvero l'unico a dare voce al mondo degli schiavi e degli emarginati, promuovendolo ad oggetto letterario; e non manca di accenni violentemente polemici, colpendo - nel suo stile quasi satirico - tipi di uomini e regole del vivere: perché le sue favole vogliono essere sì divertenti, ma insieme vogliono anche "istruire". In questo, la sua opera contiene una forte istanza realistica (di "realismo comico", ovviamente) e a suo modo "ideologica"; anche se, a ben vedere, la sua ideologia esprime più che una vera protesta una rassegnata e amara consapevolezza: la consapevolezza che nel mondo sempre ha regnato, regna, e regnerà sempre incontrastata la legge del più forte e del più prepotente: agli umili, ai poveri, ai sottomessi non resta altro che provare ad eludere questa forza, per quanto possibile, con l'astuzia e con l'arguzia, cercando nella vita sempre il "meno peggio". E proprio loro - gli schiavi, gli umili, gli emarginati - sono gl'ideali destinatari dell' "utilitaristica" produzione del favolista romano.

Temi, linguaggio e personaggi, fra tradizione ed originalità. Nelle favole, è quasi del tutto assente - invece - un realismo descrittivo e linguistico, anzi il loro mondo è piuttosto generico, il linguaggio asciutto e poco caratterizzato (ma è una "brevitas" che lo stesso autore annovera tra i suoi pregi). Non mancano tuttavia spunti di adesione alla realtà contemporanea: Fedro, infatti - come già accennato - non si limita sempre alla tradizione della fiaba d'animali, e talora (soprattutto nei libri successivi al I) sembra inventare di suo, come nel racconto che ha per protagonista Tiberio; altrove ricava anche aneddoti dalla storia, seguendo anche una scelta oculata che rispettasse il criterio della "variatio". Così, non troviamo soltanto quegli animali-personaggi già assodati dalla tradizione (i più frequenti, e con un ruolo da dominatori, sono il lupo, la volpe, il cane, il leone, l'aquila, il serpente.), né le solite anonime figure umane (il ladro, i viandanti, il brigante, il buffone, il contadino.), ma anche personaggi storici (Simonide, il poeta Menandro, il tiranno Demetrio, Cesare, Socrate) o mitologici (Prometeo, Giove, Giunone), nonché lo stesso Esopo, assurto a simbolo dell'arguzia popolare. Il "padre fondatore" del genere lascia - qui - quasi la sua palma a Fedro, divenendo poco più che un semplice personaggio fra gli altri, anche se di rilievo. La lingua usata da Fedro è semplice e corretta, il senario assai regolare.


Ricerca svolta da

Michela Zappa 1a











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