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Gneo Nevio - Vita, Opere

letteratura latina



Gneo Nevio

Vita.


Intellettuale-scrittore politicizzato. "Civis" romano, ma "sine iure suffragii" (ovvero, senza diritto di voto nelle assemblee di Roma, e ciò in quanto propriamente campano, e non romano), N. combatté nella I guerra punica (264-241). Probabilmente era un plebeo di nascita e questo spiega il fatto delle sue frequenti sortite politiche antinobiliari: non abbiamo inoltre indizi che si appoggiasse a protettori aristocratici, come invece nel caso dei rapporti Ennio-Nobiliore ed Andronico-Salinatore. Si sospetta che fosse stato incarcerato per certe allusioni contenute nei suoi drammi, soprattutto contro la potente famiglia dei Metelli: famosissimo, a riguardo, l'aneddoto d 424c29e el suo famoso, ambiguo saturnio "fato Metelli Romae fiunt consules" (traducibile sia in "E' destino di Roma che i Metelli siano fatti consoli" che in "E' sventura di Roma."); ad esso, i Metelli avrebbero risposto con un saturnio divenuto altrettanto famoso: "dabunt malum Metelli Naevio poetae". Morì durante l'esilio, forse volontario, in Africa (dove ebbe anche occasione di trarre materiale per il suo capolavoro epico).

N. è il primo letterato latino di nazionalità romana, e ci appare anche come il primo letterato latino vivacemente inserito nelle vicende contemporanee. Fece recitare la sua prima rappresentazione nel 235.

Opere "minori".



Titoli e trame. Di N. conosciamo: 2 praetexte (tragedie di ambientazione romana), il "Romulus" (sulla mitica fondazione di Roma) e il "Clastidium" (celebrazione di Marco Claudio Marcello, vincitore degl'Insubri nella decisiva battaglia omonima, nella guerra di Gallia); almeno 6 tragedie mitologiche: "Equos troianus" (l'argomento piaceva ai romani), "Lesiona" (altra leggenda relativa alle catastrofi troiane), "Hector proficiscens", "Iphigenia" (probabilmente un'"Ifigenia in Tauride"), "Danae" e "Lycurgus", (rappresentazione dionisiaca senza alcun dubbio in rapporto col diffondersi del culto di Bacco nell'Italia meridionale e nel Lazio durante gli ultimi decenni del III sec.); 1 commedia, la "Tarentilla" ("La ragazza di Taranto"), ossia il ritratto di una ragazza civettona; ma ci rimangono almeno altri 27 titoli, purtroppo con soltanto un'ottantina di frammenti, per un totale di 125 versi, non pochi incompleti.

N. comico e tragico. Nel teatro N. fu un innovatore: introdusse per primo la novità delle "praetextae", e alla sua famigerata "libertà di parola e di pensiero" aggiunse, sempre per primo, e in modo "sistematico", l'espediente della "contaminatio" (commedie ibride di elementi o scene desunte da più modelli greci), che tanta fortuna avrà nella successiva produzione teatrale latina.

E' un peccato, poi, aver perso le opere comiche di N.: egli, molto probabilmente fu, infatti, poeta più grande nella commedia che nella tragedia: usò, nei suoi intrecci e soprattutto nel suo linguaggio, una "fantasia" [A. Traina] tale (secondo alcuni, paragonabile addirittura ai testi plautini) che gli antichi - nel loro particolare "canone" - gli conferirono, in quel genere, la palma del terzo posto, dopo lo stesso Plauto e Cecilio Stazio.

Bellum Poenicum: contenuti struttura e considerazioni.

Contenuti e struttura. Ma il capolavoro è, ovviamente, il "Carmen belli Poenici", meglio conosciuto come "Bellum Poenicum" ("Guerra punica"), scritto in saturni, probabilmente durante la vecchiaia, intorno al 209 (nel momento in cui l'Italia era per gran parte occupata dalle truppe di Annibale o, quanto meno, minacciata dalle imprese del cartaginese) e comprendente circa 4000/5000 versi, aventi come argomento appunto la I guerra punica: in origine era un lungo carme, e solo in seguito (II sec. a.C.) venne diviso in 7 libri.

I frammenti che possediamo dell'opera sono brevi, ma relativamente numerosi (una settantina), e consentono comunque di farsi una qualche idea d'insieme di questo, ch'è il primo esempio di epica storica romana.

Una vicenda d'attualità storica, ma intessuta di mito e di religiosità. Ne evinciamo che il poeta non si limita a trattare in poesia le vicende della guerra cartaginese, ma, con un salto temporale non indifferente, affonda nella preistoria di Roma: N. ad es. parla, nei primi canti (l' "archeologia" del poema, come viene denominata), con certa ampiezza dell'impresa di Enea, considerato il fondatore di Roma, e dei suoi amori con la regina Didone, la fondatrice di Cartagine. Il nostro utilizzò questa storia drammatica per spiegare la rivalità mortale che opponeva Roma a Cartagine. Il suo scopo è di mostrare che il fato è dalla parte di Roma; ciò assumeva grande importanza negli anni oscuri della II guerra punica: Roma riceveva così dal suo poeta una duplice certezza: che gli dèi erano con lei, e che le passate vittorie su Cartagine garantivano il successo finale.

Modello greco, ma ispirazione profondamente romana. Pur mantenendo di fondo un'ispirazione nazionale al poema, N. non si stacca troppo dalla tradizione letteraria greca: nel "Bellum Poenicum" si intrecciano, come visto, una storia di viaggi e una storia di guerra, quasi a simboleggiare l'Odissea e l'Iliade. Sicuro è che non vi era, però, narrazione continua: mito di fondazione e storia "contemporanea" si fronteggiavano dunque in blocchi distinti. Anche certi aspetti, come ad es. le figure di suono, presuppongono un'originale mescolanza di cultura romana e greca nel testo.

Ma mentre l' "Odyssia" di Livio era a suo modo ispirata dalla tradizione italica, il "Bellum Punicum" è più profondamente romano. Sono cambiate le circostanze: Roma non è più l'arbitro dell'Italia, ma una città che lotta per la sua stessa esistenza, e questo restringimento dei suoi orizzonti provoca un accesso di nazionalismo, di cui l'esaltazione storica degli eroi nazionali è una manifestazione palese. E' non a caso anche il momento, come abbiamo visto, in cui si forma - anche e soprattutto per opera del nostro autore - la tragedia "praetexta", simbolo quasi di una nuova orgogliosa consapevolezza della propria identità "nazionale".

N. innovatore e precursore. Dunque, la storia recente diventava, per la prima volta, con N., materia di poesia in un'opera originale, "nuova" ma non "primitiva" (presenta, come visto, complessità di struttura, ricercatezza stilistica e significativi punti di contatto con la produzione alessandrina), mediante la stilizzazione epica e la presenza dell'elemento mitico-religioso: questi elementi fanno a buon diritto di N. epico il precursore di Virgilio epico, ammirato ancora da Cicerone.

Livio Andronico

Vita.

Primo intellettuale e letterato romano. I limiti cronologici esatti della vita di L. ci sono sconosciuti: sappiamo soltanto che era un ex schiavo, probabilmente di Taranto (Svetonio lo chiamerà "semigraecus"), e che partecipò alla guerra tra Taranto e Roma al seguito del suo protettore, il senatore Livio Salinatore, il quale lo affrancò e gli concesse il "prenomen", dopo avergli affidato l'educazione dei figli (a Roma L. è "grammaticus", "professore di scuola"). Due sono, comunque, le tappe importanti a noi note della sua carriera: 240, quando una sua opera fu il primo testo drammatico rappresentato a Roma (è da questo momento che tradizionalmente si fa cominciare la storia della letteratura latina); 207, quando compose un "partenio" in onore di Giunone, ovvero un "carmen" propiziatorio cantato in una solenne processione per le vie di Roma, durante la II guerra punica. Riconosciuta, infine, fu la sua "associazione professionale", il "collegium scribarum histrionumque", la corporazione di scrittori ed attori, con sede nel tempio di Minerva, sull'Aventino.

Opere e considerazioni.

Opere minori. L., dunque, si può giudicare, a buon diritto, l'iniziatore della letteratura latina: di lui, abbiamo 9 titoli di tragedie dedicate alla guerra di Troia, mito "eziologicamente" caro ai Romani (Achilles, Aiax mastigophorus [la follia e il suicidio di "Aiace armato di frusta"], Equos troianus ["Il cavallo di Troia"], Aegisthus [adulterio di Critennestra con Egisto e uccisione di Agamennone], Hermiona [Ermione, figlia di Menelao e di Elena: Neottolemo, suo promesso sposo e uccisore di Priamo, è ucciso da Oreste], Andromeda, Tereus, Danae e Ino); una palliata ("Gladiolus", ovvero "Sciaboletta", una sorta di soldato "ammazzatutti"), cioè una commedia d'ambientazione greca (con modelli in Menandro e Filemone), genere di cui può ben dirsi l' "inventor" (egli fu anche attore delle sue rappresentazioni); il già citato "partenio" (= canto per un coro di vergini), di cui però nulla conserviamo. Di questa intensa produzione, di cui ci restano pochissimi frammenti se non addirittura solo i titoli, è difficile dire quanto si trattasse di semplici traduzioni, di adattamenti o di riduzioni di opere greche, e quanto fosse invece il contributo della farsa italica.

Odyssia, traduzione artistica. Ma il suo capolavoro è certamente la traduzione - o forse è più esatto dire l' "adattamento artistico", "letterario" - in lingua latina e in versi saturni, dell'Odissea di Omero ("Odyssa" o "Odusia"), fatica che ebbe una importanza storica enorme. L'operazione aveva infatti finalità sia letterarie che culturali: l'Odissea rappresentava un testo fondamentale della cultura greca ed è per questo che la traduzione di L. non rimase solamente in ambito scolastico. Essa, inoltre, appariva più "moderna" dell'Iliade, più vicina alla sensibilità del mondo ellenistico (cosmopolitismo, viaggi ed avventure, passioni e sofferenze umane), dal quale lo stesso L. proveniva, e più legata all'Occidente ed al gusto dei Romani, tra l'altro oramai già abituati a solcare i mari.

Difficoltà da battistrada. Ma essere il primo a tentare un esperimento simile comportava una miriade di difficoltà; in specie, non avendo una tradizione epica alle spalle, L. cercò di dare per altre vie solennità e intensità al suo linguaggio letterario: all'inizio della traduzione egli rende, ad es., la "Musa" di Omero con l'antichissima "Camena", divinità italica delle acque; ancora, alcuni dei passi scritti da Omero non erano concepibili per i Romani e L. si trovò così a dover modificare e "tradire" spesso il testo originale dell'Odissea (tipicamente romana, ad es., è la considerazione dell'eroe che si evince dall'opera, reso quasi pari agli dei).

Ideologia. In effetti, di questa "Odyssia", noi non possediamo che pochi frammenti isolati e molto brevi, ma la scelta del soggetto lascia intravedere lo scopo che L. si proponeva: dietro la sua epopea, infatti, possiamo indovinare i racconti leggendari etruschi e l'epopea "orale" del Lazio etruschizzato. E adattare l'Odissea in latino non era forse (anche) rendere delicato omaggio ai Romani che, dall'Italia centrale, ritornavano da liberatori alla patria di Ulisse?

Solennità dello stile. Infine, tipica della sua poesia è pure la ricerca del "pathos", della tensione drammatica, della solennità: non disdegna, così, arcaismi, o di ricorrere al formulario religioso. I modelli tragici cui s'ispirò, a tal proposito, furono verosimilmente testi attici del V sec. (soprattutto Sofocle ed Euripide).

Meriti di L. Ora, il merito di L. non fu tanto di introdurre a Roma la letteratura greca, o di coniugare il momento dell'oralità con quello della scrittura, quanto piuttosto di concepire la possibilità stessa di una letteratura in lingua latina sul modello delle opere greche, e di nobilitare al tempo stesso la lingua e la metrica latine. Egli, come visto, compose - su questa riga - paritempo tragedie, commedie e un'epopea, fondando così tre generi che avrebbero dato origine, molto presto, ad una straordinaria fioritura.





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