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Caio Giulio Cesare - La vita e le opere

letteratura latina









La vita e le opere




Caio Giulio Cesare nacque a Roma nell' anno 100 a. C. da una famiglia molto nobile. Essendo tuttavia parente di Caio Mario, in gioventù venne perseguitato dai sillani e fu costretto ad abbandonare la città fino alla morte di Silla per intraprendere la carriera politica. Divenne infatti questore, pontefice massimo e pretore.

Nel 60 a. C. stipulò con Pompeo e Crasso l' accordo segreto del <primo triumvirato> che si sciolse dopo la morte di Crasso durante una battaglia contro i Parti. Nel 58 gli fu affidato il proconsolato in Illaria e nella Gallia Narbonese, già a quel tempo romanizzata. Prendendo a pretesto presunti sconfinamenti delle popolazioni celtiche, Cesare intraprese l' opera di sottomissione di tutta la Gallia. La conquista si protrasse per sette anni con numerose campagne du 646c28g rante le quali Cesare compose il "De bello Gallico" nel quale annotava anno per anno gli eventi di guerra.

Dopo i lunghi sette anni di guerre in Gallia, Cesare volle tornare in Italia ed assumere la carica di consolato, ma i suoi avversari capeggiati da Pompeo glielo impedirono costringendo Cesare, una volta varcato il Rubiconde nel 49, ad intraprendere una nuova guerra contro i pompeiani.

Tale guerra venne da lui stesso definita "civile". Egli ce ne parla nella sua seconda opera detta "De bello civili". La guerra civile si conclude con la disfatta di Pompeo, che, una volta rifugiatosi in Egitto, venne decapitato da seguaci di Tolomeo.

A tal punto Cesare e' padrone indiscusso di Roma e ricopre la carica prima di consolato e poi di dittatura; ma un gruppo di repubblicani aristocratici, guidati dal figliastro Bruto e Cassio, organizzano una congiura. Cesare venne assassinato il 44 a. C.

E' bene ricordare che Cesare oltre ad avere composto opere storico-memorialistiche, elaborò varie orazioni purtroppo andate perdute e vari trattati tra i quali il "De analogia" riguardante problematiche di lingua e stile.



Il  Commentarius come genere storiografico


Il termine "Commentarius" indica un tipo di narrazione a mezzo tra la raccolta dei materiali grezzi, quali appunti personali o vari rapporti, e la loro rielaborazione nella forma artistica. I due Commentari più importanti di Cesare sono: il De bello Gallico e il De bello civili nei quali egli non parla mai in prima persona, ma usa sempre la terza. Il de bello Gallico è composto da sette libri che ci narrano dei relativi anni trascorsi da Cesare in Gallia a fare guerra e campagne contro le popolazioni autoctone. Solo in seguito vi fu aggiunto un ottavo libro scritto da un suo luogotenente: Aulo Irzio.

Uno delle caratteristiche di quest'opera e' la frequenza degli "excursus", cioè delle parentesi. Cesare ne fa uno proprio all' inizio dell' opera parlando degli usi costumi e tradizioni dei popoli della Gallia prima di parlarci degli eventi di guerra.

Il "De bello Civili", invece, consta in tre libri che parlano della guerra civile contro Pompeo. Dall'opera affiorano, ovviamente, le idee politiche di Cesare che non si lascia sfuggire l'occasione per colpire la vecchia classe dirigente, rappresentata come una consorteria di corrotti. Cesare ricorre all'arma di una satira sobria (una novità stilistica rispetto al de bello Gallico), per svelare le basse ambizioni e gli intrighi meschini dei suoi avversari, per esempio di uomini come Catone, che si riempiono la bocca di parole come giustizia, onestà, libertà, mentre sono mossi da rancori personali o avidità di guadagno.

In questa opera non si trovano, tuttavia, i punti precisi di un programma di rinnovamento politico dello stato romano: Cesare aspira unicamente a dissolvere di fronte all'opinione pubblica, l'immagine che di lui dava la propaganda aristocratica, presentandolo come un rivoluzionario, un continuatore dei Gracchi, o peggio ancora, di Catilina; egli vuole mostrarsi come colui che si è sempre mantenuto nell'ambito delle leggi e che le ha difese contro gli arbitri dei suoi nemici. Sottolineando di essersi sempre mantenuto nei limiti della legalità repubblicana, Cesare trova modo anche di insistere sulla propria costante volontà di pace: lo scatenarsi della guerra si deve solo al rifiuto, più volte ripetuto, di trattative seria da parte dei pompeiani. Un altro fondamentale motivo dell'opera è la clemenza di Cesare verso i vinti, contrapposta alla crudeltà degli avversari.

I commentarii sono scritti con un'ineguagliabile semplicità ma allo stesso tempo con una certa drammaticità di alcune scene collettive, in cui vengono, ad esempio, evocati i sentimenti dei soldati prima delle guerre. E' bene chiarire che la grande semplicità, attraverso cui Cesare compone le sue opere, garantisce una grande efficacia ed immediatezza nel racconto.

Lo stile scarno dei commentari cesariani, il rifiuto degli abbellimenti retorici tipici della historia, e la forte riduzione del linguaggio valutativo, contribuiscono moltissimo al tono apparentemente impassibile ed oggettivo della narrazione cesariana. È innegabile che in entrambe le opere vi sia la presenza di deformazione di fatti ed eventi: non si tratta mai di falsificazioni vere e proprie, ma di omissioni più o meno rilevante di un certo modo di presentare i rapporti tra i fatti. Cesare fa ricorso ad artifici abilissimi: attenua, insinua, ricorre a lievi anticipazioni o posticipazioni, dispone le argomentazioni in modo da giustificare i propri insuccessi; le guerre vinte e suoi successi, invece, sono descritte con tono elogiativo ed esaltante. Egli ci parla di guerre vinte a carissimo prezzo e grande sforzo contro a avversari formidabili: Vercigetorige e Critognato, capi di grosse schiere barbariche, nel de bello Gallico, e Pompeo, capo dell' esercito pompeiano, nel de bello civili. In entrambe le opere egli pone in luce le proprie capacità di azione militare e politica ma non alimenta l'alone carismatico intorno alla sua figura. La fortuna è un elemento largamente presente nelle sue narrazioni, ma non viene presentata come una divinità protettrice. Egli, infatti, cerca di spiegare gli avvenimenti secondo cause umane e naturali e di coglierne lucidamente la logica interna, non fa mai praticamente ricorso all'intervento delle divinità.






Teorie linguistiche di Cesare


Persino il più grande oratore dell'età cesariana, Cicerone, riconobbe che Cesare agì da purificatore della lingua latina, correggendo un uso difettoso e corrotto con un uso puro e irreprensibile. Cesare espose le sue teorie linguistiche nei tre libri che compongono il De Analogia, composto nel 54 e dedicati proprio a Cicerone, anche se quest'ultimo non condivideva quelle teorie. I pochi frammenti conservati mostrano come Cesare ponesse alla base dell'eloquenza l'accorta scelta delle parole, per la quale il criterio fondamentale è appunto l' analogia cioè la selezione razionale e sistematica delle parole. Tale selezione deve limitarsi ai termini già nell'uso. Cesare consigliava di non usare le parole strane ed inusitate. È evidente la coerenza di queste prescrizioni con il suo stile asciutto; l'analogismo di Cesare infatti è cura della semplicità dell'ordine e della chiarezza alla quale talora egli arrivava a sacrificare la grazia.





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