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La personalità di Caio Giulio Cesare

letteratura latina



La personalità di Caio Giulio Cesare



Caio Giulio Cesare nacque nel 100 a.C., singolare coincidenza, con lui si apriva un nuovo secolo, ma con lui iniziava anche una nuova epoca della storia romana ed universale. Egli apparteneva alla famiglia degli Iulii, che vantava una nobiltà antichissima e un'origine divina, essa infatti sosteneva di discendere da Enea, figlio della dea Venere.

Fin da giovanissimo si fece notare subito non solo per la sua abilità mili 444j99e tare, ma anche per la sua notevole abilità oratoria e per la capacità di conquistarsi il favore della gente con una grande disponibilità e un'ostenta generosità. Anche Plutarco affermava che Cesare avesse un'ottima disposizione naturale per l'oratoria politica e che nonostante coltivasse questa inclinazione con molta diligenza, vi rinunciò poiché si era prefisso di raggiungere il primato nell'attività politica e militare, non conseguendo così il primato nell'eloquenza, cui lo portava la natura, a causa delle campagne militari e dell'attività civile con la quale arrivò al potere.



"Ha una maniera splendida e impeccabile di parlare, solenne e nobile nella voce, nella gestualità e nel contegno", ammetteva anche il suo rivale Cicerone, oltre a sostenere che talvolta ne era spaventato: disse infatti " di vedere un intendimento tirannico in tutti i suoi pensieri e in tutte le sue azioni politiche, ma aggiunge, quando vedo i suoi capelli così ben curati,e lo vedo grattarsi la testa con un dito, davvero non  mi pare che quest' uomo possa concepire un pensiero così funesto, e cioè la distruzione della costituzione romana."

Cesare aveva un'alta concezione della propria persona e per questo si dedicava molto alla cura del corpo. Questo è il ritratto che ne fa Svetonio: " Si dice che avesse alta statura, colorito molto chiaro, membra ben fatte, viso un po' troppo pieno, occhi neri e vivaci, fronte spaziosa, sguardo folgorante come uno sparviero, aspetto nobile, voce vibrante e sana costituzione a parte il fatto che negli ultimi tempi gli capitava di svenire e perfino di spaventarsi nel sonno. Due volte, durante l'azione, fu colto da attacchi di epilessia, un po' troppo insistente nella cura della persona tanto che si faceva non solo accuratamente tagliare i capelli e radere, ma anche depilare -come alcuni gli rimproveravano- e accettava assai male l'inconveniente della calvizie, anche perché l'aveva  ripetutamente veduta esposta agli scherzi dei denigratori. Perciò aveva preso l'abitudine di riportare in avanti dalla sommità del capo , i capelli che se ne stavano andando, e tra tutti gli onori decretatigli dal senato e dal popolo, nessuno egli accolse e sfruttò più volentieri del diritto di portare sempre una corona d'alloro."

Raccontano che anche nell'abbigliamento egli fosse distinto: avrebbe infatti indossato un laticlavio con frange fino alle mani, costantemente cingendosi al di sopra di esso, per di più con una cintura un po' lenta.

Caio Giulio Cesare dimostrò durante tutto il corso della sua vita grande valore, intelligenza e strategia, sia ne campo militare che in quello politico.

Al suo ritorno dalla Spagna Ulteriore, dove era stato governatore, iniziò la sua ascesa politica, prefiggendosi come obiettivo la carica di console; poiché le forze su cui poteva contare non erano sufficienti a garantirgli l'elezione, si adoperò per riconciliare i due uomini più potenti di Roma, Pompeo e Crasso e si valse del loro incontrastato e autorevole appoggio per conseguire la carica e poi dei loro endemici contrasti per fungere da indispensabile ago della bilancia. Come afferma Plutarco: "Con la persuasione e la riconciliazione, unì i loro partiti e costituì un potere a tre invincibile, per mezzo del quale tolse potere al senato e al popolo romano, rendendo non tanto grandi gli altri due per il sostegno reciproco, quanto grandissimo se stesso con il sostegno di entrambi."

Oltre alla sua grande abilità di stratega militare, che dimostrò sin dalla più giovane età, e di politico lungimirante, cesare teneva in grande considerazione gli avversari. Questa caratteristica emerse in situazioni di grande tensione come nel momento in cui decise di attraversare il Rubicone, scatenando così un'altra guerra civile; in quell'occasione però entrambi i grandi condottieri avrebbero preferito non arrivare ad una situazione così estrema, ma furono probabilmente preda di ingranaggi più grandi di loro.

Cesare disdegnò anche l'atto di viltà di Tolomeo XIII che uccise Pompeo a tradimento, nella speranza di guadagnarsi il suo favore.

Eliminato Tolomeo XIII e dopo altre numerose campagne militari per sconfiggere definitivamente i suoi avversari, Cesare era ormai diventato l'indiscusso padrone di Roma.

Ottenne così, oltre alla carica di pontefice massimo che già ricopriva dal 63 a.C., il titolo di imperator ( generale vittorioso) e la carica di dittatore a vita, si fece in oltre conferire l'inviolabilatà tribunizia che lo rese sacrosanctus. Le istituzioni repubblicane erano formalmente ancora in vita, ma nella sostanza tutti i poteri civili, militari e religiosi erano concentrati nelle mani di una sola persona. Cesare però non solo non ne abusò ma si comportò con magnanimità e con un senso del governo senza precedenti, dando nel contempo inizio a una organica politica riformatrice.



C'è da dire però che nè nelle cariche militari né in quelle politiche si mostrò disinteressato. Come attestano alcuni nei loro scritti, quando fu proconsole in Spagna, anzitutto prese denaro dagli alleati, mendicando per rimediare ai debiti e poi saccheggiò da nemico alcune città dei Lusitani, sebbene esse non rifiutassero i sui ordini e al suo arrivi gli aprissero le porte. I Gallia fece manbassa nei santuari e nei templi, colmi di doni votivi e distrusse città più spesso per farne bottino che per qualche loro colpa; fu così che si trovò in possesso di molto oro, che mise in vendita, in Italia e nelle altre province, a tremila sesterzi la libbra.

Durante il primo consolato rubò dal campidoglio  tremila libbre d'oro e lo sostituì con altrettanto bronzo dorato. Contrasse anche molte alleanze e concesse regni dietro pagamento, al solo Tolomeo estorse quasi seimila talenti a nome suo e di Pompeo. In seguito sostenne gli oneri delle guerre civili e le spese dei triofi e degli spettacoli con innegabili rapine e saccheggi, come afferma lo stesso Svetonio.

Nell' eloquenza e nell'attività militare eguagliò o superò la gloria degli uomini più grandi. Abilissimo nell'usare le armi e nel cavalcare, sopportava incredibilmente la fatica. Durante  le marce, talvolta a cavallo, più a pied, precedeva tutti, e a capo scoperto, sia che ci fosse il sole sia che piovesse. Compì lunghissimi viaggi con incredibile rapidità, senza bagagli, in carrozza da nolo, arrivando a percorrere cento miglia al giorno. Se c'erano fiumi che ostacolavano la sua marcia, li attraversava a nuoto o poggiandosi su otri gonfiati, tanto che assai spesso giunse prima dei messaggeri che dovevano annunciarne l'arrivo.

Cesare era molto amato dal popolo che aveva sempre cercato di difendere e di favorire con le sue riforme, perfino nel suo testamento aveva lasciato trecento sesterzi ad ogni membro del proletariato urbano e ai legionari.

All'aristocrazia senatoria, tuttavia nulla importava che nel giro di un solo anno la pace e l'ordine fossero stati ristabiliti e fossero state poste le condizioni per un governo più efficiente. Cesare aveva tentato di non inimicarsi l'aristocrazia senatoria, gli optimates temevano che egli aspirasse a diventare sovrano assoluto, istaurando una monarchia di tipo orientale, a questo si aggiunse che a odiare Cesare non era solo l'oligarchia che voleva riconquistare il potere perduto, ma anche alcuni sinceri repubblicani convinti che egli avesse privato Roma della libertà.

Questa situazione portò all'organizzazione della congiura, capeggiata da Cassio e da Bruto, figlio adottivo di Cesare, che avrebbe portato alla sua morte.

Cesare morì a cinquantacinque anni e fu annoverato tra gli dei, non solo per bocca di quelli che lo decretavano, ma anche nella convinzione della gente. In effetti, durante i giochi che per la prima volta il suo erede Augusto dava in onore di Cesare divinizzato, una stella cometa rifulse per sette giorni di seguito e si credette che fosse l'anima di Cesare accolto in cielo. Si decise di murare la Curia in cui era stato ucciso, di chiamare Parricidio le Idi di Marzo e che mai in quel giorno il Senato tenesse seduta.

Dei suoi uccisori quasi nessuno sopravvisse più di tre anni o morì di morte naturale. Tutti, dopo essere stati condannati, perirono tragicamente chi in un modo chi in un altro, chi per naufragio, chi in battaglia. Alcuni si uccisero da sé con quello stesso pugnale con cui avevano assassinato Cesare. 


Fine







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