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(presentazione del corso)

letteratura italiana



(presentazione del corso)


Il neorealismo non fu un movimento ma una tensione comune dagli esiti affini. Coinvolse al suo interno la letteratura, il cinema e le arti figurative (apparteneva ad intellettuali e esponenti di sinistra).

Occorre fare una distinzione tra romanzo resistenziale e romanzo neorealista.

Il primo ha a che fare con situazioni storiche legate alla resistenza (chi partecipava alla guerra solitamente quando tornava a casa scriveva, come fu nella I GM) "Il sergente di ghiaccio".

Sono degli scritti non tanto d'intensità formale, ma quanto come testimonianze dell'orrore della guerra (anche se esistono delle eccezioni come "Se questo è un uomo" di P. Levi).

Nel '46/'47 nacquero tanti quotidiani, su cui chi aveva partecipato al conflitto scriveva i suoi racconti a riguardo: sarà l'ultima volta perché durante l'epoca dell'"industria culturale" tutto ciò cadrà in disuso.

"IL PARTIGIANO JONNY" di Fenoglio

"IL SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO" di Calvino



Fenoglio appartiene al periodo dei grandi "alfieri" del realismo italiano; mentre Calvino appartiene alla generazione successiva, come Pasolini (generazione di mezzo).

Calvino fu un critico strepitoso, scrisse moltissimi saggi, aveva grandissima lucidità, che gli ha sempre consentito di scrivere cose profonde. Calvino conosceva l'industria culturale, perché lavoro all'Einaudi e conosceva come si scriveva un libro.

Pisolini pubblicò 2 libri fondamentali per capire il periodo:

"Ragazzi di vita" e "Le ceneri di Gramsci" ('55 e '60)

Se Calvino ci offre un esempio di romanzo resistenziale Pisolini, invece, con il romanzo del 1955 desta un certo sconcerto perché i protagonisti non avevano voglia di benessere o lavoro, nessuna voglia di progresso. (L'autore era polemico con la società speculatrice - edifici fatiscenti, abusivi, come favelas). Questi ragazzi erano svogliati, delinquenti.

Fece sconcerto perché era esaltata la vitalità e la felicitàdel comportamento di questi ragazzi (come una battaglia persa per la sinistra).

La polemica arrivò ad un processo (uno dei tanti intentati contro Pisolini)

Sempre nel 1955 esce un altro libro, "Metello di Pratolini, che è esattamente l'opposto di "Ragazzi di vita". Fu la prova del fallimento perché nonostante tutto risolveva il tutto in un ambito troppo provinciale e non razionale come forse Pratolini voleva.

La narrativa di questi anni si muove in "piccolo" senza grandi sorprese.

Teniamo conto di 2 grossi eventi cardine:

nel 1950 il suicidio di Pavese

la polemica di Vittorini che fonda il giornale "Il politecnico" (45-47) che chiude a seguito di una lettera di Togliatti che lo diffidava nel pensare che la politica potesse entrare in tutta la società. Vittorini si stacca quindi dal partito comunista.


Altre 2 opere decisive furono:

"I quaderni dal carcere" di Gramsci, grazie a i quali l'Italia trovò qualcuno da opporre a Antonio Croce. Anche se molti sostengono che non è stato capito a fondo. Il concetto di Nazionalpopolare, che coniò Gramsci, non fu usato nei modi appropriati .

"Il romanzo storico" di Lucach, che pensava che i romanzi dovessero rispecchiare gli eventi storici




Dal libro di Calvino "Il sentiero dei nidi di ragno" post-fazione alla II edizione del libro ('64), in cui il suo sguardo retrospettivo è illuminante.

Lo scrittore afferma di aver scritto quel libro in un momento particolare, mentre la generazione a cui apparteneva era in tensione morale, e mossa da un movimento letterario comune. Non si sentiva schiacciata dall'eredità dei partigiani, ma anzi sentivano che era un pericolo di inizio, e si sentivano vincitori perché la fine della guerra dava la possibilità di ricominciare tutto, e loro lo vivevano con "allegria spavalda".

Calvino usa il termine "guerra civile" che però è una nazione che nascerà solo molto dopo il '64.

"..la rinata libertà di parlare si trasformava in smania.", tutti parlavano di tutto.

Il racconto orale è intrattenimento fatto solo per il "piacere di farlo" e spontaneamente nasce lo stile linguistico del neorealismo. Chi tornava però da esperienze estreme non raccontava, si chiudeva nel silenzio.

Le storie che si raccontavano erano materiale grezzo, solo voglia di esprimere se stessi realizzare ciò che sentivano e volevano: il NEOREALISMO vero fu questo.

Calvino prende le distanze da chi considera il neorealismo (ora, nel '64) un mondo a sé e non il mondo che realmente era in quel periodo.

"Il neorealismo non fu una scuola (fu un insieme di voci, delle diverse Italie, di quelle più inedite per la letteratura, genti e dialetti da mescolare con l'italiano), non fu paesano, non fu il verismo dell'800; eravamo figli di quegli scrittori americani del 1930, e venivamo rimproverati di ciò; il linguaggio, lo stile, e il ritmo erano nostri e il più distante possibile dal naturalismo francese"

"L'appuntamento con l'espressionismo, che era stato mancato nel 1° dopoguerra, era stato fatto nel secondo, così che invece del neorealismo dovevamo chiamarlo neoespressionismo"

Il punto di vista del romanzo è quello di un bambino anche per sfuggire a troppe responsabilità. Ribadisce più volte che questo libro è il 1° che ha scritto.

Dice che la sua è una letterature impegnata, ma non come quelle che si pensavano dovessero essere scritte con idee prefissate e troppo "intellettuali".

Polemico contro il perbenismo ideologico che si era formato dopo il primo anno dalla liberazione: si chiedeva all'autore di creare un eroe positivo con idee politiche di sinistra (Metello), così Calvino fa una provocazione e scrive una storia di partigiani che non erano eroi, ma semplici uomini. Allusione finale a Fenoglio: ". scrisse il romanzo che tutti quanti avremmo voluto scrivere.".



Oggi esamineremo il periodo che va dagli anni '30 agli anni '40, circa.

Il problema che si poneva il neorealismo non è nato completamente dopo la II GM ma nel breve spazio tra le due guerre.

In questo periodo il romanzo non era il genere prediletto ma viene preferito il racconto frammentato. Solo con il neorealismo ci si accorge che bisogna farlo ritornare in vita. Nel '29 esce "L'indifferente" di Moravia, pietra miliare del genere romanzesco, ma anche della sua particolare lingua e del suo stile (che consideriamo in quegli anni quasi "eretici").

E' un opera fredda, di tipo esistenzialista, anche perché non parla di un ceto popolare ma di una famiglia borghese. Quest'ultima viene decostruita e smascherata in tutta la sua falsità e odio.

Su questo solco lasciato da Moravia nascono 2 romanzi usciti con la rivista "Solaria": uno di Svevo e uno di Tozzi.

Negli anni '20 nascono molte riviste, tra le quali "La Ronda" è sicuramente una delle più importanti, dove scrivono tant 242c23c i autori fautori del bello stile, anche Leopardi; "Solaria" invece era una rivista totalmente diversa, perché era più eclettica, e comprendeva al suo interno anche ex-rondiani, come Montale, Saba etc. Da qui si fa strada l'interesse per la letteratura europea: Joyce, Kafka e Proust sono gli autori più tradotti, letti, recensiti e dibattuti.

Ma tra i tre ce n'era sicuramente uno che più influenzo la maggior parte degli scrittori italiani: Proust ("La recherche du temps perdu")

Proust condizionò profondamente lo stile degli italiani: periodi lunghissimi con al loro interno locuzioni varie e intrecciate. uno stile senza dubbio difficile.

Da qui ecco che alcuni autori cominciano a scrivere romanzi, sicuramente poco realisti: Mancini, Bonsanti, Loria (scrittori che all'epoca erano molto più conosciuti di adesso).

Il mito dell'infanzia è il mito cardine di questo periodo, la generazione contemporanea è molto legata a questo tema, perché l'infanzia e l'adolescenza sono le età della ribellioni, della ricerca di un'identità, le età più critiche della vita, "quando si scopre il mondo che ci circonda" (Vittorini)

Su questa base si crea il mito americano, che nasce grazie soprattutto a due figure chiave: Vittorini e Pavese. L'America rappresentava la libertà ( spaziale e per assenza di tradizioni), c'era il mito dell'uomo selfmade, la predisposizione alla creatività individuale , il cinema americano (negli anni '30, le grandi storie d'amore, le grandi majors, i grandi registi e produttori)

Vittorini pubblica nel '41 "Americana", antologia si prose e brani dei maggiori romanzieri americani, tradotti da lui e Pavese, con introduzione dello stesso Vittorini. A causa di quest'ultima la censura fascista ne blocco la pubblicazione che fu affidata in seguito a Emilio Cecchi, così che il libro poté uscire un anno dopo.

Emilio Cecchi era un poligrafo, scrittore, critico, autore di scritti di viaggio ("America Amara"), fu però poco attento ai "valori" americani, e poneva (come molti italiani facevano) l'estetica prima dell'etica. L'America scritta da Cecchi è brutta e mal rappresentata.

Solo negli anni '60 l'opera di Vittorini/Pavese fu ristampata con l'introduzione originale.


(lettura)

1929 (brano uscito su un quotidiano) "SCARICO DI COSCIENZA" (poi intitolato nuovamente "MAESTRI CERCANDO") di Vittorini (raccolta di suoi vecchi brani e scritti con riflessioni di decenni dopo)

Ritratto in prima persona della sua generazione.

"D'Annunzio è scomparso, come scrittore ormai è fuori." C'è da dire che anche "La ronda" dedica un numero a Pascoli ma non a D'annunzio.

"Carducci non ci aveva insegnato nulla"

"Croce, Prezzolini, Papini, non erano i nostri maestri, non erano riusciti a insegnarci nulla" "Soffici, con la morte dell'avanguardia, era scomparso anche lui"

Anche la prima GM aveva segnato molti scrittori

"Quanto al futurismo ù, era inferiore e mediocre già alla nascita, poco intelligente"

"Di D'annunzio ci sentiamo migliori, da Verga lontani e diversi"

Vittorini si sceglie come progenitori Leopardi e Stendhal, gli scrittori del 1800, ma sono fondamentalmente due i personaggi a cui dice di dovere più di tutti: Proust e Svevo:

"Proust è il nostro maestro più genuino, non siamo figli di Joyce"

"Svevo (con "La Coscienza di Zeno" del 1923) ci ha giovato meglio di 20 anni di orrenda letteratura"

"Se avessimo seguito D'annunzio, il futurismo e Soffici saremo arrivati come siamo ora?"

Vittorini, nel 57, accompagna la ristampa chiarendo che la qualità dell'antifascimo che motivava i giovani del '30 stava nello STILE (ad es. anche Solaria" in 20 anni era riuscita a non nominare una volta il nome del Duce)


1941 "AMERICA" -   Vittorini dice che ciò che aveva l'America erano le aspirazioni morlai (contenute nelle opere di oggi e di ieri)ù. Nel 1941 l'America non è più un mondo nuovo, è come un nuovo oriente ed è tutta la terra.

Avveniva una sorta di mitizzazione dell'America e degli americani.

Vittorini più tardi accompagna la ristampa con una chiosa: chiarisce che ciò che miticizzava era fondato su basi insicure, perché solo dopo 20 anni capisce che si credeva in qualcosa di "fumoso" (si riferisce a molti scrittori). "Ormai le leggenda americana è morta" , e non vede quale futuro ci possa essere per tali scrittori.


(lettura)

PAVESE "LETTERATURA AMERICANA E VARI SAGGI"

Pavese si laureò con una tesi su W. Witman, scrittore poeta americano, e c'è da dire che di Neorealismo per Pavese se ne può parlare veramente per pochissimi libri

1931 "MIDWEST E' PIEMONTE" - conferma la natura consolatoria della letteratura. (.)



Il problema che gli scrittori dell'epoca hanno non è un antifascismo precoce, ma riguarda solo e strettamente la letteratura.

Anche se temi neorealistici vengono adottati prima del '40, non significa che gli scrittori fossero comunisti o antifascisti. Ovvero non è dal tema ma dallo stile e dalla lingua che si riconoscono certi scrittori neorealisti (dopo la guerra però).


(lettura)

VITTORINI "CONVERSAZIONI IN SICILIA" 1941 (titolo originale "NOME E LAGRIME")

Vittorini era siciliano e di famiglia piccolo borghese, autodidatta e uomo di temperamento.

Il romanzo ebbe inizio nel 1937, anno in cui l'autore era stato colto da "astratti furori" (dovuti alla guerra di Spagna, che per lui è un brutto presagio per il futuro). Questo testo rappresentò la nascita di una nuova forma letteraria (in Italia): la conversazione (che in America è già molto sviluppata)

Narra il viaggi di ritorno in Sicilia per ritrovar patria e libertà. (Guttuso, siciliano anche lui realizzò dei disegni per Vittorini, che però uscirono solo con alcune ristampe.

(prefazione) "furori per il genere umano perduto" "pioggia, massacri sui giornali" "quiete della non speranza" "non avevo voglia di nulla".

E' tutto sotto forma di una cantilena, un compianto sulla propria assenza e refrattarietà di agire in quel momento drammatico. La persona che non riesce più a comunicare, a parlare.

E' tutto una figura retorica l'iterazione (ripetizione), che scandisce e unisce la prosa. IL tempo è un imperfetto durativo , senza fine come se fosse un tempo ciclico.

Perdita di umanità (ovvero la guerra, che però non è mai citata): "come se non avessi mai avuto un'infanzia". Questo tipo di scrittura è implicita, ovvero attraverso descrizioni e dialoghi si allude a qualcosa.

La struttura del romanzo procede così: ogni capitolo successivo prende un qualcosa dal capitolo precedente, anche se non c'è una trama intrecciata e questo legame non è progressivo, ma lineare e piatto.

Il dialogo dà l'opportunità di riprendere la realtà, impedendo alla figura del narratore di essere onnisciente, così dialoga lui stesso.

(3° capitolo) "scrissi un vaglia telegrafico in cui le dissi: "torno giovedì" qui notiamo che il dialogo viene inserito anche dove non ci dovrebbe essere, perché il vaglia è scritto!!!

Il ritmo è lento come l'andamento del treno, e la figura retorica in questo caso è l'accumulazione di membri all'interno di una frase. Una figura enigmatica è quella del topo: forse un ricordo, forse il furore che si scioglie (che però è un'immagine concreta). Le percezioni sensoriali sono tante: non più immagini, odori o sapori

(6° capitolo?) il protagonista è sul battello insieme a un gruppo di siciliani con cui cerca di attaccare discorso ripetendo (in modo irritante!) "non c'è formaggio come il nostro", ma nessuno lo considera.. solo quando il discorso dei siculi cade sull'America gli riesce di inserirsi.

Vittorini non usa il dialetto che però nel Neorealismo sarà una costante

Da "AMERICANA", quanto deve Vittorini agli americani?

A proposito di Hemingway (e Folkner): Hemingway è di qualità più attiva, utilizza elisioni, ritorni all'immagine. Racconta senza motivazione.

Vittorini riproduce 2 racconti di Hemingway: "VITA FELICE DI FRANCIS MCCOMBER, PER POCO" e "MONACO E MESICANI". Quest'ultimo è un dialogato secco, senza congiungimenti (molto poco simili allo scrittore italiano), molto veloce grazie soprattutto alla lingua inglese che lo permette, molto ritmato e ironico.

L'opera che invece è molto più vicino allo stile di Vittorini,ovvero come una specie di cantilena, è "LA CASA DELLE FORMICHE" di Sorayan (???)


(lettura

PAVESE "PAESI TUOI"

Come modello tematico formale, quello di Pavese si svincola di più da quello di Vittorini ("idillio"). Anche nel caso di Pavese il bisogno di tornare alle origini è importante.

Ne "La luna e i falò", Pavese celebra le langhe (un confronto con Fenoglio: lo scrittore non celebra le langhe come fa Pavese, le descrive e basta) e vi è ancora il tema del ritorno, anche se è più "mitico" rispetto a "Paesi tuoi", che è più legato alla realtà. Meno miticizzato.

Anche Pavese ha a che fare con il popolo ( non come quello di Vittorini, pittoresco e più immaginato), Pavese inizia di getto, senza prefazione, con un'oggettività trasparente e autobiografica. Utilizza un gergo familiare ("cominciò a lavorarmi sulla porta") fatto di periodi molto lunghi, i verbi passano dal passato remoto al presente: è un piano narrativo sfalsato, nel mezzo tra il vissuto e il narrato, fatto per far entrare il lettore nel racconto.

Inizialmente è il tutto è un po' incomprensibile ma piano piano si scoprono più cose, grazie al narratore che dà degli indizi: i due protagonisti sono amici, stanno uscendo dal carcere, uno di loro vive con il padre. Ci sono molte similitudini.

La società del narratore non è quella dell'autore: "rideva come un negro".



Ci avviciniamo alla guerra e lo facciamo grazie ad altre letture.

(lettura)

1943 "REALISMO E MORALITA'" di Umberto Barbaro

Autore poligrafo, critico d'arte, di cinema e letteratura. Fu il fondatore della critica cinematografica e di 2 riviste: "Bianco e nero" e "Cinema". Morì nel dopoguerra. Nel '76 uscirono in due volumi tutti i testi critici sull'arte e il cinema ("REALISMO E NEOREALISMO"). Per lui il realismo nasce prima di tutto grazie al regista Pudovkin. Adottando il regista russo, impone tutt'altro approccio alla realtà. Secondo Barbaro criticare il presente serviva per costruire il futuro, soprattutto nel periodo fascista.

Questo brano è un apprezzamento al film di Luchino Visconti "Ossessione", perché implicava un impegno (engajement) sia per chi lo aveva realizzato sia per capirlo. Fa una descrizione delle città rurali della valle padana (quelle che racconte Visconti): "Rappresentazione artistica di una realtà angosciata" "critica cinematografica forse poco movimentata, percé impegnata a giudicare altri film(etti)"

Era un film scandaloso ed è l'immortalità che lasciava a bocca aperta molti critici che non capivano fino in fondo. (populismo fascista).

Il film racconta della passione che scoppia tra un uomo (Massimo Girotti, "la finestra di fronte") e una donna (Clara Calamai), di un omicidio, e con un finale tragico. Barbaro capisce la grande novità e bellezza di questo film realista.


(lettura)

1942 "INFANZIA DEL CINEMA ITALIANO" di Vizzani

Vizzani è consapevole che il cinema è un'industria (molto più di Barbaro) e per questo il prodotto può essere scadente (per mancanza di $) "il vero cinema italiano ancora deve rinascere". Mette due film come esempio "Il corsaro nero" e "Piccolo mondo antico". E parallela il cinema/industria con un calzaturificio, che se produce cose malriuscite chiude, il cinema no. Questo perché il cinema ovviamente ha qualcosa in più ma non basta un film fatto bene, il cinema dev'essere veicolo di attenzione sociale.


(lettura)

1942 "PAURA DELLA PITTURA" di Guttuso.

Il brano inizia con un elenco di oggetti, situazioni, luoghi (cioè il mondo) che possono essere espressi in un modo diverso: la pittura.

Guttuso sostanzialmente chiede la libertà di esprimersi, di gridare contro le gerarchie degli oggetti.


Siamo arrivati alla seconda GM.

Fino al 25/7/1943, quando Mussolini cade e viene arrestato (e i Reali se la filano), l'Italia non aveva visto il peggio, ancora. L'8/9/1943 firma l'armistizio con gli inglesi e americani. Le reazioni del 25/7 furono ovviamente di estrema gioia, ma l'esercito era allo sbando (non sapeva a chi fare capo) e la guerra diventa civile (contro i tedeschi e i fascisti). Mussolini viene liberato e fonda la Repubblica di Salò.

Adesso è il momento di agire, perché molte persone (afasciste, neutre etc..) devono scegliere: molti lo hanno fatto e molti altri no, molti sono morti e molti altri sopravvissuti, per questo.


(lettura)

28/11/1943 TESTIMONIANZA DI GIAIME PINTOR

G. Pintor scrive una lettera a suo fratello Luigi (fondatore e attuale giornalista del "Manifesto"), prima di raggiungere i partigiani al nord (morì purtroppo 3 giorni dopo, il 1/12), aveva 20 anni.

"ora bisogna mobilitarsi, lasciare ogni cosa, scrittura, pittura, tutte le attività, bisogna attuare una rivoluzione" "gli italiano sono un popolo fiacco e corrotto" "l'Italia è nata da pochi intellettuali" questa ultima affermazione era sbagliata, ma era un'idea che molti avevano e che fu portata avanti per molti anni.



Parliamo oggi de "Il sentiero dei nidi di ragno" di Calvino.

Esce nel '47, anno in cui Calvino si laurea con una tesi su Konrad . Lo pubblica presso Einaudi, spinto dall'interessamento di Pavese,. Dopo una raccolta di racconti pubblicata nel '49 la narrativa calviniana cambia, dedicandosi a racconti o romanzi più fiabeschi (trilogia "Il visconte dimezzato", "Il barone rampante", "Il cavaliere inesistente").

INTRECCIO



FABULA

"Il sentiero.." possiede la grande genialità di essere raccontato dal punto di vista di un ragazzetto di nome Pin, questo è presente per tutto il romanzo. Il libro è diviso in 12 capitoli, anche se a metà, ovvero al 6° capitolo c'è una svolta per cui la prima parte si differenzia dalla seconda (nei primi 6 si racconta di Pin, del suo ambiente fino a quando arriva a un collina dove ci sono dei partigiani).

Nel primo capitolo l'autore è come se enunciasse tutti i motivi per i quali la storia si evolverà.

L'intreccio di questo romanzo è abbastanza avventuroso, in quanto Pin intraprende un viaggio "picatesco", cioè un iter per trovare la propria identità e origine (Pin è un orfano).


1° CAPITOLO: introduzione descrittiva (anche se tutto il romanzo non viene mai citato dove avvengono i fatti - intuiamo però che sia la città naturale di Calvino, cioè Sanremo). Povertà dell'ambiente, società "contadina" (anche se contadina non è perché c'è il mare!). Il narratore introduce il tutto con una lingua "letteraria", anche se non usa termini molto eruditi, ma la sintassi è corretta. Quando arrivano i personaggi però la lingua cambia. E' come se Pin venisse introdotto dai personaggi e non dal narratore. Vengono usati nomignoli paesani (soprannomi) e non nomi propri, e scopriamo varie cose: Pin canta, Pietromagro è il ciabattino, la sorella di Pin è una prostituta, etc..

Che tipo di lingua viene fuori? Non è dialetto ma una specie di italiano regionale, in cui tutti interagiscono anche con appellativi dispregiativi. La sintassi diventa veloce, una sorta di accelerazione del dettato, anche perché è una scrittura dell'oralità.

Pin ha la "voce rauca da bambino vecchio", e ciò è un indizio perché scopriremo che Pin beve e fuma.

I paragoni che fa il narratore ("lentiggini come un volo di vespe" "barba corta come pelo di cane") potrebbero apparire eruditi e fini ma invece si avvicinano molto alla realtà di Pin (infatti non dice "come un volo di farfalle.").

> Si passa alla sorella di Pin, che ogni due giorni è "visitata" da un marinaio tedesco. Notiamo che ogni informazione che da il narratore viene commentata a seguito dai personaggi. Il presente che usa il narratore è "eterno", cioè viene usato per descrivere azioni che avvengono quotidianamente.

> Si passa all'interno dell'osteria, e anche qui c'è sempre qualcuno che "apostrofa" Pin per qualcosa (quasi sempre per via di sua sorella) e Pin che ribatte.

Il narratore chiude la descrizione di Pin in un periodo: ".il vino non piace a Pin. fumo, vino, donne". I personaggi all'interno dell'osteria invitano Pin a cantare ("Le quattro stagioni", canzone dei carcerati). Il narratore afferma: "tutti sono stati in prigione: chi non è stato in prigione non è un uomo", ma capiamo che non è, non può essere il narratore soltanto che dice ciò ma ora la sua figura e quella di Pin si sono sovrapposte e il pensiero del ragazzo emerge.

> "Quel giorno.." ci si riferisce a un giorno preciso, uno in cui la quotidianità del presente è spezzata, perciò il narratore prende a raccontare in imperfetto.

C'è il primo riferimento alla guerra, perché viene descritto lo stato d'animo del marinaio tedesco mentre sta andando dalla sorella di Pin. Qui il ragazzo si accorge della pistola del tedesco.

Piccola digressione del narratore perché Pin è solo? Perché non ha amici della sua età? Perché Pin non va insieme ad altri compagni dove ci sono i nidi di ragno? Perché i ragazzi non vogliono bene a Pin, perché lui sta con i grandi, anche se lo picchiano perché ha le braccia smilze.

I personaggi della narrativa neorealista sono dei raccontatori, raccontano tutti delle storie.


Pin è un raccontastorie


Pin però racconta storiacce, storie di uomini e donne, e di uomini ammazzati: ma per il narratore Pin racconta delle fiabe. è una specie di "buffone" di corte , anche se più verosimile perché è un ragazzino.

Pin forse vorrebbe stare con i ragazzi della sua età ma i grandi sono più facili, perché li puoi catturare con le storiacce.

> Siamo di nuovo nell'osteria. In questo momento c'è una specie di riferimento storico, in quanto Miscel (il francese) dice a Pin che chi sta con i tedeschi (come sua sorella o lui stesso) avrà una severa punizione. Sempre il francese gli chiede se lui sta con il fascio, e Pin risponde di no, difendendo anche sua sorella (anche se Pin non sa cos'è il fascio). Interviene il narratore: "questi son tutti discorsi che Pin ha imparato ascoltando i grandi, magari quelli stessi che ora parlano con lui. Perché ora tocca a lui spiegarlo a loro?").

Per farsi grande comunque Pin dice loro della pistola che il tedesco porta sempre con sé, e Miscel gli propone di rubargliela, per dimostrare che non sta con i tedeschi.

Nell'innocenza di Pin si scorge l'accusa verso la pazzia degli uomini e verso la guerra.


2° CAPITOLO: furto della pistola sequenza "cinematografica" condotta al presente dal narratore.

Il ragazzo gioca con l'arma, poi va in osteria per esibire il "trofeo" ma scopre che in realtà ai grandi non gliene frega niente (" i grandi sono una razza ambigua e traditrice, non hanno quella serietà terribile nei giochi propria dei ragazzi.")

Allora Pin esce e va per il sentiero dei nidi di ragno e lì nasconde l'arma (prima però spara un colpo). Il capitolo si chiude quando lui torna a casa dove ci sono delle macchine e dei fascisti e nazisti, e il marinaio punta il dito contro di lui.

Il narratore è oscillante: onniscente ma a volte coincide con il pensiero di Pin.


3° CAPITOLO:     c'è l'interrogatorio al comando tedesco di Pin e Miscel (qui viene citato il 1940, ma adesso dovremmo essere + o - nel 43)

La verosimiglianza è un po' oscurata, dato che non sappiamo se il tedesco (colui che interroga) parla italiano, o viene tradotto da qualcuno.

Pin però non dice niente e, dopo aver resistito a due cinghiate, comincia a urlare e piangere, al che viene accompagnato fuori da un milite fascista giovanissimo che gli propone di entrare nelle brigata nera, se vuole evitare il carcere, anche perché i "rallestramenti sono bellissimi". Pin ci pensa quasi invogliato (perché avrebbe autorità, una pistola, e potrebbe cantare canzoni oscene), ma rifiuta offendendolo.


4° CAPITOLO:     Pin è in carcere insieme a Pietromagro. Avviene l'incontro con Lupo Rosso (un sedicenne partigiano).



Lupo Rosso escogita un piano per scappare e lo fa insieme a Pin. Non sappiamo come ma Pin si ritrova fuori dal carcere da solo e quindi deve proseguire senza Lupo.

Ogni capitolo del libro finisce con una sorta di epigrafe, di sentenza.

Pin dopo essere rimasto solo, incontra un omone (figura molto fiabesca) che sicuramente un incontro "fatale".

Pin sta piangendo perché è stato abbandonato, perché ha perso Lupo (come si vede e vedremo anche più avanti Pin piange quasi sempre perché si sente abbandonato), così appare questa figura che comincia a chiacchierare con Pin, che gli racconta la sua storia. Il capitolo finisce: "la guerra è tutta colpa delle donne".


5° CAPITOLO: Pin attraversa il bosco con l'omone (come in tutte le fiabe attraversare un bosco è come una specie di "iniziazione"). Arrivano nell'accampamento dei partigiani: l'omone si saluta con un altro personaggio (Mancino, il cuoco) e si capisce che il nuovo amico di Pin si chiama Cugino. Si conoscono piano piano tutti i personaggi che popolano questo accampamento.

(Questo capitolo si può intendere come il "complementare" del primo perché in entrambi si presenta una sorta di "mondo": il narratore viene aiutato dai personaggi a introdurre le varie figure dell'accampamento. E anche qui troviamo una donna, Giglia - moglie di Mancino - , figura complementare della sorella di Pin).

Mancino, il cuoco, tiene un falchetto sulla spalla che si chiama Babeuf e lavorava nelle barche dei pirati qui Calvino dev'essersi ispirato a un personaggio dei fumetti, (L'intrepido?) - anche nel 2° capitolo Pin fa dei gesti con la pistola che potrebbero aver visto su alcune riviste (non al cinema!!!).

Anche qui Pin canta le sue canzoni ma ne scopre di nuove come "Bandiera Rossa". Ritratto dei partigiani:"Pin ha sempre voluto vedere i partigiani. paglia in silenzio". Scopriamo però (più tardi) che questo distaccamento è tenuto isolato perché è formato da delinquenti, "avanzi di galera": abbiamo a che fare con una classe che "non è una classe" e che non ha coscienza di esserlo. Ritorna Lupo Rosso. Il finale è: "l'estremismo, malattia infantile del comunismo".


6° CAPITOLO: ancora dei nuovi personaggi: Zena, Pelle (che diventerà una spia), Duca, Marchese, Conte e Barone. Pin è sia contento di aver conosciuto i partigiani ma ha anche un risvolto di delusione: "Questo è diverso da tutti. dentro fosse di terra" Pin pensa che questi uomini non sono come quelli del vicolo perché questi amano avere nemici, non capisce questo loro atteggiamento di dover odiare a tutti i costi.


7° CAPITOLO:     questo capitolo è impostato su una scena decisiva per il prosieguo della vicenda: l'innamoramento tra Giglia e il Dritto; e forse c'è da dire che questo è il capitolo meno riuscito.: mentre Pin canta, ad ogni sua strofa accresce l'attrazione tra Giglia e il Dritto, per cui il ragazzo accorgendosene continua a cantare. L'"ardore" tra l'uomo e la donna è talmente al massimo che scoppia un incendio (il Dritto pur di toccare Giglia, gli passava in continuazione la legna per il fuoco, troppa!!). L'accampamento è distrutto e i personaggi sono costretti a trovarsene un altro, ma c'è anche un altro problema: l'incendio può essere stato visto anche dai nemici.

La scena è sicuramente troppo artefatta, c'è troppa artificiosità e poca naturalezza.


8° CAPITOLO:     Pin stringe amicizia con il Dritto che gli insegna a pulire la pistole. Conosciamo meglio un nuovo personaggio: Giacinto,. il commissario; Giacinto spiega cos'è il comunismo, in modo molto elementare.


9° CAPITOLO: è il capitolo più importante (perché i capitoli seguenti sono un semplice "corollario") Qui compare il commissario politico di brigata: Kim. ( riferimento al Kim di Kipling)

Arrivano i tedeschi, perché Pelle ha tradito i partigiani ed è passato ala brigata nera.

Il dritto si prende la colpa dell'incendio e fa di tutto per non andare in battaglia e rimanere con Giglia (dice "sono malato"). Anche Pin viene lasciato all'accampamento per non portarselo in battaglia. Pin per la prima volta nel romanzo "scompare" per fare spazio a Kim, che fa un monologo. Nel discorso di Kim compare più volte la parola furore (forse ripresa da "astratti furori" di Vittorini), e c'è un'idea che allora era abbastanza diffusa: il riscatto della storia (pag 151). Questa idea oggi non può essere criticata perché ora ci rendiamo conto che non è così.

Conversazione di Kim con Ferriera Kim si allontana e parla da solo Kim e il narratore coincidono Ritorna il narratore, in terza persona ma c'è l'inserimento di un pensiero di Kim non virgolettato "Kim un giorno sarà sereno. TI AMO Adriana"

Finale: "Questo nient'altro che questo, è la storia"


10° CAPITOLO:   connubio tra il Dritto e Giglia, sorvegliati da Pin. Pin viene mandato dal Dritto a prendere l'acqua (perché vogliono stare da soli), ma quando torna non ci sono più, la battaglia intanto è scoppiata in lontananza e Pin piange, non perché c'è la guerra ma perché è stato di nuovo abbandonato. Camminando un po' più in là però vede i due.


11° CAPITOLO:   Ritirata della brigata partigiana. Pin incontra per caso uno dell'osteria che gli dice che la sua sorella s'è messa coi tedeschi. Racconto della morte di Pelle (molto poliziesco: uomini con l'impermeabile ancora una volta immaginario del cinema o dei fumetti)


12° CAPITOLO:   Pin torna a casa, ritorno temporaneo però, come Ulisse: scappa dall' accampamento, è di nuovo solo. Riflessone sugli adulti. Pin torna sul sentiero dei nidi di ragno per prendere la pistola, ma non c'è più e piange. Torna allora dalla sorella, le chiede se ha una pistola: lei dice che un certo Pelle gliel'ha data, Pin vede che è la sua, la prende e scappa nel bosco.

Ancora piangendo cammina per il bosco e come nel 5° capitolo, incontra l'omone che gli chiede se può conoscere sua sorella. Pin gli dice di sì e che invece di portarsi il mitra è meglio se si porta la sua P38.. Quando torna l'omone prende Pin per la mano e se ne vanno insieme. Pin non è più solo: "ha trovato un Grande Amico" Grande Amico compare nella raccolta "Le grand mol", di Alain Fournier.



Per concludere il discorso sul testo di Calvino, bisogna sottolineare due aspetti importanti:

1. Cugino alla fine quando va dalla sorella di Pin l'ammazza con la pistola del bimbo, perché lei era una spia tedesca;

2. Pin offre la sua pistola a Cugino, quindi è cosciente e forse lo fa di proposito MISOGINIA dell'intero romanzo.

"Degli spari laggiù, nella città vecchia. rana pelosa di sua sorella?"

Pin rappresenta la fantasia, l'irrazionalità Kim,che rappresenta la serietà e la razionalità del mondo.

Già in questo romanzo si nota come Calvino stia abbandonando le sue ideologie.


Passiamo adesso a parlare di Cassola.

Fu un autore molto criticato per il suo provincialismo, ma lui rispondeva a coloro che lo accusavano, accusandoli a sua volta di intellettualismo. A volte tali accuse erano fin troppo pesanti e soprattutto quando l'autore veniva accostato a Liala, scrittrice italiana di romanzi rosa, i cui protagonisti erano quasi sempre piloti (perché il suo partner morto era pilota).

In un articolo, Cassola respinge le accuse e cita James Joyce ("I dublinesi" e "L'Ulisse") ed il suo percorso letterario, notando come lo scrittore brittanico era peggiorato con il tempo. Per Cassola era sempre contata più la poesia del romanzo o del racconto: giovanissimo cominciò a scrivere dopo aver vissuto il periodo della resistenza. Scrisse racconti brevi come "La visita" o "La periferia" che segnavano per l'appunto una forte presenza di Joyce. Questi racconti non avevano trama, praticamente non succedeva niente, il contesto era il quotidiano. S'ispirava molto al cinema dell'impossibile in cui si cercava l'evoluzione, il movimento partendo da stampe o fotografie dove però i momenti erano fissati nell'eternità.

Un altro autore italiano da cui fu molto influenzato fu Montale ("Ossi di seppia").

Dopo queste prime tracce letterarie, Cassola riporta la resistenza che lui aveva vissuto, ma anche in racconti molto lontani da quel periodo specifico, come "Fausto ed Anna" o "La ragazza di Bube", che sono dei primi anni '60; c'è comunque da dire che i vari riferimenti storici in Cassola sono molto meno evidenti e forti che in altri autori come Vittorini o Pisolini.

Come Calvino, anche Cassola usava il riferimento al cinema o ai fumetti, ma molto prima di lui, nel '46: scrisse il racconto breve "Baba". Baba è il protagonista che racconta in prima persona: è un personaggio molto duro e refrattario, che decide nonostante tutto di non partecipare alla resistenza. Qui c'è la contrapposizione tra l'intellettuale e il proletario. (C'è da ricordare che Cassola durante la resistenza faceva parte della così detta "terza forza" ovvero né socialisti, né comunisti, ma liberisti di sinistra che però avranno poca vita nella politica italiana). IL comunismo viene raccontato come un mito di un film (un po' come Kim per Calvino).

Cassola si definiva un "moralista del '45", in quanto non gli interessava molto la politica quanto l'etica (in questo caso c'è un racconto che rispecchia perfettamente questo suo pensiero "I vecchi compagni"). La caratteristica di Cassola era che nei vari romanzi o racconti c'è una specie di ciclicità, per cui ritroviamo vari personaggi in altre storie (Baba, Anna, Rosa, etc.)


Il "Taglio del bosco" fu scritto nel 1958, e apparve per la prima volta sulla rivista "Il paragone".

I protagonisti sono 5 boscaioli, montanari e taglialegna che conoscono la miseria e che vivono in condizioni particolari, dato che vivono in montagna per 6 mesi per via del loro lavoro.

I taglialegna (mestiere ormai scomparso) si riunivano in piccole comunità completamente separate dalla storia e dalla società (come il distaccamento partigiano in Calvino), ma comunque la presenza di questo ceto non impedisce a Cassola la presenza di sentimenti.

Guglielmo, il protagonista, è un taglialegna a cui muore la moglie, compra un terreno su cui fare un capanno di legno e assume altri 4 taglialegna per fare il lavoro, per cui la storia si svolge tutta intorno a questi 5 uomini. (riassunto della storia)

La struttura è quella di un viaggio, poiché il racconto termina dove era cominciato, ovvero al Campo Santo dove è sepolta la mogie del protagonista.

La dimensione (il capanno dove stanno i 5) è quella di un luogo chiuso, ma accogliente perché c'è una lieta convivenza; sicuramente è contrapposto al fuori, pericoloso, soprattutto di notte.

Francesco è un raccontatore, è colui che tiene a veglia i compagni, raccontando novelle (= racconti orali) inventate oppure no, ma comunque autentiche.

I personaggi fumano tutti, ma nessuno lo stesso tipo di cosa.

La lingua è assolutamente neutra, in quanto non è dialetto, non è gergo, non è formale, non è informale, non è erudita ma non è nemmeno "bassa". Evita gli aggettivi, anche per evitare inutili esaltazioni. Guglielmo e gli altri parlano come il narratore PURA COMUNICAZIONE

Quello che conta è il ritmo, che è basso, piatto, adeguato al tipo di lavoro dei 5.

Guglielmo è ossessionato dall'immagine della moglie e delle figlie.

Quando arriva Natale, i 5 avrebbero 2 giorni di "riposo" in famiglia, ma due di loro restano all'accampamento: Guglielmo e Fiore. Fiore è praticamente nella stessa condizione di Guglielmo, in quanto a lui è morto un figlio. I due spesso avevano lavorato insieme ma G. non aveva mai capito cosa Fiore pensasse, come Fiore si sentisse, e non avrebbe saputo nemmeno che al compagno gli era morto un figlio se non per un accenno casuale dello stesso. Fiore è indifferente a tutto ciò che lo circonda.

Il ricordo della moglie di G. è affidato al narratore, con un discorso indiretto, integrato con alcune battute di G. dirette.

Quando il lavoro per i taglialegna è finito G. rimane al capanno e c'è l'arrivo del carbonaio. Il narratore lo introduce in maniera saggistica, ovvero fornisce una spiegazione per il lettore che non sapesse in cosa consiste il lavoro del carbonaio. Questo atteggiamento didattico è molto neorealista, in quanto non vediamo nella letteratura contemporanea (né in quella antecedente) un tale intervento.

Per questi personaggi non c'è il riscatto a cui accennava il Kim di Calvino: per loro c'è solo dolore

Guglielmo parlando col carbonaio scopre che anche lui ha perso la moglie da poco; sempre parlando col carbonaio, la conversazione cade sul mestiere dei due, che vogliono stabilire quale dei due sia il più duro: G. risponde che ce n'è uno molto più difficile, cioè quello del minatore.

Il riferimento di Cassola è chiaro e importante: in Maremma infatti, scoppiò una miniera al cui interno morirono centinaia di lavoratori, e Cassola insieme ad un altro autore dedicò alla loro scomparsa un libro.

La funzione del paesaggio è importantissima: consolatoria ma anche con un valore conturbante.

Questo non è un racconto che si affida alla psicologia, ma sia affida alla successione dei gesti, che Cassola descrive nei minimi particolari, e al pensiero.

Il finale è molto bello (ritorno = partenza): Guglielmo per la stradadi casa si ferma nella locanda della zia e lì, alla domanda "come va?" lui risponde "sempre peggio." Chinando il capo all'indietro e lasciando cadere una lacrima. Uscito poi fuori va nel Campo Santo e piangendo alla tomba della moglie, invoca il suo aiuto il racconto diventa così tragico.



Dal libro di Giovanni Falaschi (Realtà e retorica, p.142-149), intervento di Cassola:

"Io, tra il '40 e il '45, ho smesso di scrivere quasi completamente, né pensavo che in seguito avrei ricominciato.ora io sono persuaso che quel cambiamento si stato in meglio e non in peggio; sono persuaso cioè che l'idea di letteratura affermatesi in questo dopo guerra sia più giusta, più vicina alla verità, di quella che prevaleva prima."

"Ora, mi domando: la generazione romantica, secondo questi signori, quali temi avrebbe dovuto affrontare?.restaurazione, risorgimento, ma né il Manzoni, né il Leopardi si sono curati di trattare questi temi. Dovremo concludere che furono cattivi scrittori, o scrittori non rappresentativi del tempo loro? ."

L'aspetto della poesia come equilibrio spirituale, come frutto dello spirito.


Oggi è il turno di Fenoglio.

Forse il più diverso tra gli scrittori, soprattutto per ragioni bibliografiche:

Fenoglio muore precocemente nel '63, a 41 anni di tumore. Fu uno scrittore molto celebrato. Non era un intellettuale, non era laureato. Nacque ad Alba (Piemonte), nelle Langhe, nel '22.

Partecipò alla Resistenza e, come Cassola, non entrò in un gruppo partigiano (rossi), né nei badogliani (azzurri): alla fine della guerra, quando avvenne l'armistizio (l'8/9), Fenoglio si spogliò della divisa e tornò a casa, prese contatto con le formazioni partigiane e in seguito fece la Resistenza.

Se parliamo di Fenoglio non parliamo di neorealismo, perché, come ben dice Calvino nella sua prefazione (lezione del 7 marzo), la sua vita fu segnata dalla Resistenza e la sua morte prematura gli privò forse di essere un vero neorealista.

La sua lingua è segnata dall'appartenenza geografica (ma non è un dialetto); i personaggi e le tematiche non furono frutto di una scelta politica, ma era davvero uno specchio di ciò che Fenoglio viveva e aveva visto. MITO DELLE LANGHE (Pavese), TEMA NON CAMBIA.

Due aspetti importanti:

- Amore per la letteratura anglosassone (Milton di "Una questione privata" "Il partigiano Jhonny"..)

- Nessuna forma di celebrazione, anzi esaltazione dei difetti dei personaggi ritratto non convenzionale, mentre la letteratura resistenziale finiva a essere completamente a favore.


"La malora" uscì con Einaudi nella collana "I gettoni", il che voleva dire avere udienza, ossia riscontri, anche se con qualche etichetta. Vittorini disse che Fenoglio era un neoverista (termine che a Fenoglio non dispiaceva), quindi molto vicino a Verga (= assenza di bello stile, contaminazione linguistica etc.)

"La malora" esce con "I 23 giorni della città di Alba", di cui dopo parleremo.

E' un racconto lungo, una specie di pendant del "Taglio del bosco" perché rappresenta una condizione umana che adesso non esiste più. E' la storia di un viaggio che ha per meta un luogo di lavoro. L'andamento è "circolare", come in Cassola, perché si regola sullo spazio e sul tempo (delle coltivazioni). Il racconto è in prima persona, una sorta di testimonianza, perché il protagonista Agostino racconta la propria vita in modo retrospettivo, anche se non è un'autobiografia che inizia dalla nascita fino alla contemporaneità, ma è solo una "fetta di vita".

Il racconto si apre su una scena di morte, del padre di Agostino, la struttura è così riassumibile:

MORTE DEL PADRE PASSATO MORTE DEL PADRE SITUAZIONE ATTUALE

Agostino viene "venduto" per lavoro, la sua è una vita difficile, e il suo unico obiettivo ora che è lontano da casa è potervici tornare (è l'unico che riesce a realizzare).

(riassunto della storia)

Non ha una fine né pessimista, né ottimista perché Agostino conclude la sua testimonianza senza speranze.

Agostino = Guglielmo(Cassola) lavora per dimenticare

L'inizio è come chiarificatore, come incipit introduttivo per dire tutti i personaggi e i vari luoghi: la mamma, il fratello, il padrone, il luogo di lavoro (Pavaglione), del padre. Non parla di Stefano (perché non lo ama).

Pag. 11: "Quasi tre anni sono restato al Pavaglione." il narrato è "saltuario" (presente, passato, presente, passato.), anche se notiamo che quasi tutti i paragrafetti iniziano al presente.

Non c'è partecipazione sentimentale.

Pag. 12: "Per venire a Tobia, lui m'ha sempre trattato alla pari dei suoi figli." ma non era Agostino che veniva trattato come un figlio, ma i figli che venivano trattati come servi. una specie di COMICITA'

Tobia, il padrone, è violento con tutti, anche se è un mezzadro (ovvero colui che coltiva la terra per qualcun altro)

La lingua dei personaggi è forzatamente la stessa del narratore, dato che anche lui è un personaggio.

P.23: "Parla come un avvocato" PROMESSI SPOSI.



L'idillio tra Agostino e Fede dialogo tra i due: approccio marginale (A. non viene subito al sodo)

Il linguaggio è neutro, anche se ci sono alcuni termini non proprio corretti: "a me mi" "cabalizzare" "schiavenze" .

MALORA "e un passo più avanti mi venne di colpo paura d'avere una volta paura.." Infatti Fede verrà data in sposa ad un ragazzo, quindi Agostino si ritroverà di nuovo solo

CAMBIAMENTO IN MEGLIO p.82 "ebbene, nel pieno della malora . il primo in vent'anni che ero al mondo"

La sintassi è appartenente al parlato

Il finale, affidato alla preghiera della madre, è molto secco, per niente idillico, molto semplice p. 85 "Non chiamarmi prima che io abbia chiuso gli occhi al mio povero figlio.. Agostino, che è buono e s'è sacrificato per la famiglia e sarà solo al mondo."

Il ritmo è molto pacato (sempre meno che ne "Il taglio de bosco"), ma per velocizzare o ci si affida ai dialoghi diretti o raccontati dal narratore.


Ne "I 23 giorni della città di Alba", il ritmo è del tutto diverso, e anche l'ambiente è differente (perché parliamo di partigiani)

L'inizio del racconto     p. 159 "Alba la presero in duemila il 10 ottobre e la persero in duecento il 2 novembre dell'anno 1944"

"I repubblicani (i repubblichini) passarono il fiume Tanaro con armi e bagagli." quando cioè vennero cacciati dai partigiani e Alba rimane in loro possesso per solo 23 gg.


Ironia   episodio "eroico" ma narrato ironicamente, esaltando le contraddizioni e i difetti, la parata che dovrebbe rappresentare una vincita gloriosa viene ridicolizzata: "Fu la più selvaggia parata della storia moderna: solamente di divise ce n'era per cento carnevali. sfilarono i badogliani con sulle spalle il fazzoletto azzurro e i garibaldini col fazzoletto rosso e tutti, o quasi, portavano ricamato sul fazzoletto il nome di battaglia .presero tutti a strizzar l'occhio."

". i capi erano subito entrati in municipio . si presentarono al balcone . ma videro abbasso la piazza vuota e deserti i balconi dirimpetto."

Il linguaggio totalmente diverso da "La malora"

".ma loro li avevano mandati a farsi fottere ."


Caricatura dei

repubblichini ". si sentirono i capi fascisti del Piemonte alternarsi a giurare che l'onta di Alba sarebbe stata lavata." I borghesi della città si rendono conto che i partigiani sono tutti dei ragazzetti.


Altri avvenimenti

principali   I capi fascisti cercano un accordo con i partigiani, ma nonostante nessuno dei due abbia voglia di iniziare uno scontro, questo comincia. Sbarco dei fascisti (p. 167 "I capi fascisti, i più terribili. parigrado partigiani.") è composto quasi solo da verbi.

L'ironia cela l'amarezza dell'autore


Nel racconto "L'andata" , sentiamo una qualche vicinanza con Calvino 5 ragazzi partigiani hanno imprigionato un sergente repubblicano e non sanno cosa farne.


Parliamo adesso del più prolifico e più conosciuto all'estero degli autori neorealisti: Alberto Moravia. Era il più conosciuto lontano dall'Italia soprattutto perché era il più "traducibile", anche se troviamo in alcune opere dei dialettismi, dato che era fuori da ogni intenzione mimetica e espressività. Non era "provinciale" ma di famiglia borghese. Viaggiava molto e conosceva molte lingue. Dopo la pubblicazione de "Gli indifferenti" andò in America, dove insegnò alla New York University (dove c'era anche Prezzolini, fondatore della rivista "La Voce")

I suoi titoli più importanti furono: "Le ambizioni sbagliate" del '35, che sicuramente è quello meno riuscito, troppo ambizioso, troppo pieno; "Agostino" del '45, un romanzo breve; "La romana" del '47 romanzo neorealista, molto voluminoso; "La ciociara" del '57 da cui venne tratto il film.

Narratore quasi ottocentesco, spesso interviene e giudica ma non prende mai le parti di nessuno Grande moralista a questo si deve il uso interesse sociologico. Era sempre realista anche quando trattava di racconti fantastici. Al contrario di Fenoglio, Moravia era il fulcro della società letteraria. Era un attento lettore e critico cinematografico amico di Pisolini, e sposato con la scrittrice Elsa Morante. Unico scrittore che guadagnava con i suoi libri (che dal secondo dopoguerra vendeva moltissimo). Una sua grande qualità era la CHIAREZZA.

Fu costretto ad andarsene perché figlio di un ebreo e antifascista.

Nel 1954 esce un racconto su un quotidiano e dopo il grande entusiasmo ne scrive altri che poi raccoglie nel libro "Racconti romani". Nello stesso anno al cinema escono due film che col neorealismo non hanno più nulla a che fare: "Pane, amore e fantasia" e "Senso".

Nel '57 esce "La ciociara".



Quando si legge una raccolta di racconti (o di poesie) è per vedere fondamentalmente se c'è stata una strategia o un disegno dell'autore per la composizione dei racconti (se sono legati da un tema, da dei personaggi, da un luogo, oppure organizzati secondo una cronologia.)

Una raccolta molto spesso costituisce un'autobiografia dell'autore (come il canzoniere di Petrarca o quello di Saba). Una altro indizio sulla composizione di una raccolta può derivare dal valore attribuito al primo e poi all'ultimo racconto (o poesia..)

(Proprio nel caso di un canzoniere di poesie il 1° solitamente è un sonetto che introduce la raccolta, e spiega un po' il percorso seguito, l'ultimo può essere una specie di congedo, o comunque un riepilogo di tutto ciò che è stato scritto prima)

Moravia per comporre i "Racconti Romani" usa un criterio molto semplice, dato che non c'è un disegno vero e proprio:

cronologia (dal '46 al '54)

luogo (Roma che comunque è unità di luogo, tempo e azione che lega l'intera raccolta)


Racconti Romani - Ragazzi di vita


Mappa dettagliata di Roma

(dal centro alla periferia della città)

Quello del luogo è forse l'unico rapporto riscontrabile tra i racconti di Pisolini e Moravia


Un altro criterio unificante dei Racconti Romani può essere la prima persona con cui sono narrati (quasi sempre si tratta del protagonista, altre volte è solo un testimone che racconta - ma non al lettore, ma ad un conoscente).


Le raccolte di NOVELLE furono "inaugurate" da Boccaccia, con il suo Decameron

Che tipo di personaggi troviamo? La maggior parte appartiene alla piccolissima borghesia o a un ceto popolare (anche all'interno di quest'ultimo occorre fare una distinzione, tra gente onesta e piccoli malviventi).


Alcuni modelli di novella si rifanno molto allo stile di Boccaccia, e le ritroviamo anche in Moravia:

BURLA (spirito carnevalesco)

ADULTERIO (a cui Moravia aggiunge un tentato o riuscito omicidio)

RAPPORTO CON LA STRADA (persone che con la strada hanno a che fare per lavoro - tassisti - , o anche semplicemente per svago)


Moravia non rinuncia mai alla descrizione (come uno scrittore dell'800) sia fisionomica ( molto dettagliata, al contrario degli autori che abbiamo visto finora) sia caratteriale.

E' anche la prima volta forse, che il cinema entra nel narrato (ma non come occasione di incontro - come per Pisolini) ma fa parte dell'intreccio ("La controfigura" o "Faccia di mascalzone")

Un racconto deve sempre avere una sorta di cambiamento nel suo intreccio


I titoli possono essere connotativi o denotativi


La lingua di Moravia è aliena al romanesco ( Pasolini) anche se appartiene al "parlato regionale". Moravia a volte riesce a raccontare fatti banali o dove non accade nulla, dando loro una sorta di importanza. I primi tre racconti sono legati da un intreccio che riguarda sempre un'occasione violenta.


Analizziamo ora alcuni racconti della raccolta:


"Arrivederci" Arrivederci è la battuta che dice il protagonista uscendo dal carcere, ecco un esempio di titolo denotativo.


"Pioggia di maggio" E' un racconto retrospettivo, l'incipit localizza lo spazio ed il tempo in cui si è svolta l'azione. E' una narrativa orale. Il protagonista descrive i personaggi e se stesso. I paragoni sono realistici perché attingono al contesto in cui ci si trova ("grasso come una palla di burro")


"Faccia di mascalzone L'intreccio si basa tutto su un provino per diventare controfigura in un film. L'explicit (finale) è molto originale.


"Il pupo"    Anche questo racconto è "cinematografico". E' la storia di una coppia di poverissimi che hanno 6 figli e che alla nascita del 7° decidono di abbandonarlo e quindi viaggiano per tutta Roma, cercando di liberarsi del "pupo". Il protagonista che racconta è il padre.

La miseria, all'inizio, è illustrata grazie a titoli dei quotidiani (che ci fa capire che "i casi pietosi" di cui si parla erano molto diffusi).



Vasco Pratolini

Questo autore ha scritto tanti romanzi forse anche meglio di "Metello", ma questo è un romanzo emblema della fine e delle polemiche rivolte alla corrente neorealista.

Anche per Pratolini il rapporto cinema - letteratura è molto forte, non solo perché ha collaborato a sceneggiature e copioni, o perché molti suoi romanzi sono stati trasformati in film (Metello, Cronache di povere amanti, Le ragazze di San Frediano), ma anche perché, come Moravia, il cinema entra nel romanzo.

Pratolini non è uno scrittore monolitico, non ha fatto del neorealismo il suo unico stile, ma pate da basi ermetiche, poetiche esistenziali (diari, autobiografie racconti).

Nel '56 sotto il titolo di "Diario sentimentale", Pratolini aveva radunato le sue "prove" giovanili, risalenti agli anni '40: Una giornata memorabile, Via dei magazzini, Il tappeto verde.

I luoghi di Metello sono i luoghi dell'infanzia di Pratolini, quindi vale per lui quello che si era detto per Moravia: una mappa dettagliata di Firenze (= Roma). Precisione topografica in quanto ogni luogo comprende un destino, una sorta di identità per quei personaggi testimoni o protagonisti di tali storie San Frediano: le donne di San Frediano (come la ragazza di Metello) sono forti, sono donne che lavorano e che sanno i fatti loro.

Il tempo è un tempo storico (né ciclico, né naturale), ha un aspetto lineare e interrotto e sfigurato dagli eventi. La critica obiettava che Pratolini aveva vissuto due "vite letterarie": una ermetica e una neorealista (ovvero da autobiografia alla storia).

Pratolini fondò una rivista "Campo di Marte", ermetica, a cui si riferirono molti critici e scrittori del movimento (Carlo Bo, Mario Luzi). Ebbe vita breve, ma fu un passaggio importante per quanto riguarda la sua formazione.

I narratori di tutti suoi scritti sono per la maggior parte onniscienti, perché non solo commentano, ma intervengono con riflessioni di tipo morale (un po' allo stile di Manzoni).

Pratolini inoltre, ha sempre voluto dimostrare il rapporto Io/Collettività, come ha fatto per Metello


Con "Metello", scritto nel 1955, Pratolini tenta di costruire un romanzo storico. Questo doveva essere il primo di una trilogia (che si chiamava "Una storia italiana", che ripercorreva dalla fine dell'800 fino agli anni '60), gli altri due si intitolavano "Lo scialo" del '60, e "Allegoria e derisione" del '66.

Due sono le caratteristiche importanti:

Il periodo storico, non doveva essere uno sfondo alla trama, ma doveva svolgere il ruolo di un vero personaggio.

Metello doveva maturare in rapporto agli eventi ma anche in rapporto ai vari personaggi (positivi o negativi) che incontrava lungo il cammino.

Ciò che Pratolini intendeva fare era forse un'operazione anacronistica, una cosa che però era abbastanza estranea alle tendenze contemporanee. Ma forse è proprio questo che rende ancora più interessante l'opera di Pratolini.

Il termine cronaca è un termine molto importante per comprendere le intenzioni di Pratolini (Cronache di povere amanti e Cronaca familiare), che non desidera attuare una cronaca del presente, quanto quella del passato: non come quelle antecedenti, che erano tutte di tipo allegorico.


Che romanzo è "Metello"?

E' un romanzo di formazione intellettuale, di un apprendistato culturale, di un passaggio tra adolescenza e età adulta.

Metello arriva in città a 15 anni, e poi fa il muratore, si imbatte in molti personaggi, in molti cambiamenti di tipo sociale (il lavoro, i sindacati, i capi, i colleghi..)

Il romanzo "dura 15 anni, finendo così con Metello che ha sui 30 anni.

Finisce con uno sciopero di 46 giorni che segna la vittoria dei sindacati.

La lingua usata è l'italiano neutro, informale e spesso e volentieri usufruisce di locuzioni, termini e modi di dire fiorentini rispetto ad altri contemporanei toscani (Palazzeschi) Pratolini non isola tali termini (con un carattere diverso, o attraverso le virgolette). Pratolini comunque sia utilizza una lingua un po' datata.

Il libro è diviso in 4 parti, a loro volta suddivise in capitoli.


PARTE PRIMA

1° CAPITOLO (p.37) Passo lento, dilatato, che non lascia nessun indizio o notizia riguardo a quello che sta per succedere, ma è importante per capire e conoscere meglio gli antefatti che riguardano la famiglia di Metello.

Come in ogni romanzo storico anche qui troviamo personaggi storici realmente esistiti ("Guerra e pace" di Tolstoji, "Il rosso e il nero" di Stendhal).

L'antefatto serve per conoscere le idee del babbo di Metello (che era anarchico). Compaiono già dei luoghi, San Niccolò, e dei personaggi con i loro soprannomi, Caco. Caco faceva il renaiolo, ma muore annegato. Descrizione dettagliata (troppo) di Vincine, dove deve andare Metello (neonato) che vive in casa del Tinaj, alla morte del babbo. Qui ci vive per 15 anni 8con Olindo, fratello di latte di Metello).

Il Tinaj decide di trasferirsi in Belgio, lasciando però Metello in campagna. Che però, appena partono, scappa e arriva a piedi a Firenze.

Solo alla pag 49 arriva la descrizione fisica del protagonista.

Come arriva a Firenze subito gli viene offerto di lavorare come facchino.


2° CAPITOLO Conosce i colleghi Betto, vecchio amico del babbo, muratore, che lo riconosce e lo ospita, e lo "forma" in senso politico ed esistenziale.


3° CAPITOLO Arriva ai 20 anni. E così comincia a svilupparsi la vera storia di Metello.



Parliamo oggi dell'ultimo autore che prenderemo in esame, ovvero Pier Paolo Pasolini.

Fu uno dei maggiori intellettuali (scrittore, critico, romanziere, poeta, sociologo, regista.) al pari di lui ce ne sono stati pochissimi, e forse nemmeno così eccelsi.

"Ragazzi di vita" esce nel '55 (Come "Metello"), anno in cui si chiude il movimento neorealista (con quei due film che abbiamo già citato). Pasolini però comincia a scrivere giovanissimo, già negli anni '40 scrive testi in friulano (con riferimenti a Casarsa, città della madre, e poi in seguito allo scoppio della guerra, città in cui si rifugerà proprio con la donna).

In Friuli trascorre 2-3 anni, dedicandosi all'insegnamento per i bambini dei contadini. Nel '50 si trasferisce a Roma, anche se prima scrive due romanzi, che usciranno soltanto dopo la sua morte: "Amado mio" e "Atti impuri". Quest'ultimo è una sorta di diario; mentre l primo è un romanzo in breve con una grazia "settecentesca". Proprio "Amado mio" è agli antipodi di "Ragazzi di vita". (Parla di due amori incrociati di due ragazzi che decidono di trascorrere una vacanza insieme; "Amado mio" prende il titolo dalla canzone che canta Rita Hewort in un film, che i due ragazzi vanno a vedere alla fine del romanzo)

Tutte le prove di scrittura di Pasolini avvengono in estate (stagione in cui ci si diverte, siamo liberi, il lavoro non c'è.) e ci sono altre due caratteristiche che ritroviamo in molti testi di Pisolini:

- il bagno nel fiume (che sia il Tevere, o anche un piccolo ruscello)

- la piazza paesana (che si trova nei paeselli, soprattutto quando le scene sono ambientate in Friuli..) che è luogo di incontri, di conoscenze, e dove d'estate ci sono le orchestrine e si balla.

Il mondo dell'eros e della sessualità (e dell'iniziazione) ha quasi un aspetto religioso per Pasolini, ha un che di sacrale.

Sicuramente il passaggio fondamentale nella vita di Pasolini fu il trasferimento a Roma, che comportò molti cambiamenti (poiché lui e la madre erano poveri), la madre invece di svolgere l'insegnamento, fu costretta a fare la governante, e Pasolini cercò di collaborare a delle riviste come critico; dopo qualche anno si trasferirono a Rebibbia. Il cambiamento però fu "felice" per Pasolini.

(L'autore fu costretto a laurearsi in letteratura italiana, anziché in Storia dell'arte)

Roma lo colpisce per le persone, per la storia, ma soprattutto per i quartieri poveri, le cosiddette borgate (che non erano costituite da operai o da contadini, ma solo da proletari) e vede la situazione di degrado in cui versano questi quartieri.

Pasolini però non vuole denunciare (come Carlo Levi in "Cristo si è fermato a Eboli), anche se indirettamente (fornendo solo alcuni accenni) porta alla luce tale situazione. Il primo giorno di lavoro di Pasolini (in una scuola lontana dal centro di Roma), lo scrittore ebbe l'occasione di attraversare questi sobborghi e, attirato da questa novità decide di andarci e parlare con queste persone (ma senza porsi in superiorità) e comunque avendo sempre una atteggiamento didattico.

E' da queste premesse che nasce "Ragazzi di vita".

Questo non è un vero e proprio romanzo, perché i capitoli di cui è composto sono indipendenti uno dall'altro, non c'è un vero e proprio intreccio. L'unico personaggio che li "attraversa" tutti è Riccetto, anche se ogni capitolo, presenta nuovi personaggi. Un altro elemento ovviamente presente in tutti i capitoli è Roma ed il suo centro (come in Moravia, anche qui una mappa dettagliata della città). Il romanzo parte dalla prima adolescenza del Riccetto fino ai suoi 20 anni. Il narratore detesta la maturità, perché crede che questa sia l'età più importante, e gli adulti non fanno quasi mai parte della storia, e se compaiono fanno una figura pessima (all'infuori di uno, che è la madre di un ragazzo).

Perché il romanzo si chiude con i venti anni di Riccetto? Perché è maturato e ha perso quella gioia e quella innocenza dei 15 anni ( ultima scena del romanzo, quando non si butta nel fiume).

(la storia la sai!)

2 sono le cose da sottolineare:

-1 i furti che compiono i ragazzi non servono ad accumulare $ ma vengono spesi nel giro di poche ore, e in questo senso non c'è una specie di economia capitalista E il giudizio del narratore non va aldilà di dire che sono "malfattori".

-2 un personaggio negativo in tutto questo c'è: Amerigo. Grande e grosso, gioca d'azzardo ed è violento. E nonostante tutto anche Amerigo riesce ad aver una dimensione eroica, quando si suicida.


Questo romanzo si definisce NEROEALISTA per via della lingua usata, ovvero il dialetto o il gergo (ecco un'altra differenza con "Amado mio" in cui usa una lingua letteraria).

Il livello è dialettale, ma c'è anche un'INFLESSIONE GERGALE, ovvero viene utilizzato un gergo appartenente solo ai giovani e ai "malavitosi". Molti dialoghi. (Analogia con Gadda per la lingua che diventa gergo)

Il narratore è onnisciente, e passa da una lingua neutrale, a un italiano regionale, al dialetto vero e proprio .

La ricezione di questo romanzo fu molto combattuta e contradditoria: il narratore non colpevolizzava questi ragazzi, essendo quasi accondiscendente, ecco perché fu stroncato dalla critica.





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