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Il cavaliere nella letteratura italiana

letteratura italiana



Il cavaliere nella letteratura italiana


la corte medicea si è affermata a Firenze, in un ambiente che affonda le sue radici nel laicismo urbano che già Boccaccia ha analizzato.

La  tradizione cortese in Toscana è stata tradotta entro i valori urbani, grazie allo "stilnovo", per cui non vi ha attecchito l'epica cavalleresca.

La corte estense di Ferrara, invece, è divenuta un punto di ri 535f54f ferimento di una serie di piccole signorie feudali padane. La corte estense appare a molti poeti il rifiorire di una tradizione avventurosa e amorosa che sembra scomparsa. Tra questi poeti c'è Matteo Maria Boiardo, che nell'"Orlando innamorato" tratta della tradizione epica cavalleresca.

In alcune ottave del poema viene trattato il tema dello scontro fra due cavalieri, che si aafrontano in un luogo solitario e lontano dall'odio e dall guerra. I duellanti sono Orlando e Africane, il cui confronto non è dettato dall'ira, ma dalla necessità il duello è un dovere che ogni cavaliere deve compiere in nome della fede e con profondo rispetto.



Anche in ciò si avverte il laicismo umanistico: il duello in nome della fede; due cavalieri combattono per una donna. Da questa forma furiosa dell'onore prenderà poi spunto Ludovico Ariosto per "l'Orlando furioso".

A differenza del Boiardo, che la corte il punto di riferimento del poeta umanista, l'Ariosto definisce la corte un luogo di caos, di delusioni, di incontri e di scontri tra i cavalieri.

Il cavaliere cristiano per eccellenza è Orlando, che è il simbolo del destino umano e combatte con violenza non più per fede, ma per amore.

Da ciò la follia che lo trasforma in cavaliere innamorato. Tuttavia, è nel Cinquecento che appare la figura del cavaliere errante. La "Gerusalemme liberata" di Torquato Tasso presenta fin dalla prima ottava il tema del cavaliere errante, definito così per il fatto che si è smarrito inseguendo valori terreni e passionali a si è allontanato dagli scopi religiosi della crociata.

Dopo il periodo delle crociate, l'immagine del cavaliere si trasforma. Il cavaliere diventa una figura di potere e di divertimento spettacolare, ed evocando cortesia e virilità, non è più propenso alla guerra.

Il cavaliere si trasforma non solo in Italia, ma anche in Europa con Miguel de Cervantes e il "Don Chisciotte". Tipico esempio del cavaliere errante, che non vive nella realtà ma in una rappresentazione di essa.

Il don Chisciotte di Cervantes è una fsione tra tutti i diversi caratteri dei cavalieri finora descritti: è folle e savio. Illuso e disilluso, è tragico e comico, è eroe e antieroe.

E' con lui che si chiude un intero modo di intendere l'immagine del cavaliere, che assume un altro ruolo nella società del Settecento.

Infatti, "la Locandiera" di Goldoni, presenta il cavaliere come un misogino, un nemico dichiarato delle donne, portatore di un valore pericoloso: inizialmente i cavalieri oltre alla moglie avevano l'amante, invece, con lui, la situazione si ribalta, in quanto egli ritiene che la donna sia infermità, pazzia e valga meno di quattro cani messi insieme.

E' la donna, quindi, la vera vincitrice della commedia di Goldoni, perché riesce nel suo intento di far innamorare di sé il misogeno.

Con la sconfitta del cavaliere di Goldoni si chiude quell'insieme di trasformazioni che hanno portato la donna ad essere la protagonista nella società.




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