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N. MACHIAVELLI, La mandragola, Oscar Classici Mondadori, Cles 2004

letteratura italiana



N. Machiavelli, La mandragola, Oscar Classici Mondadori, Cles 2004, pagg. 54

Niccolò Machiavelli nacque a Firenze il 3 maggio 1469. Nel 1498, a 29 anni, fu eletto Segretario della Repubblica, un incarico che gli fornì l'occasione di viaggiare spesso. Nel 1500, infatti, fu inviato presso Luigi XII di Francia e, nel 1502, andò in legazione presso Cesare Borgia. In questo periodo si batté per dotare la 828g61i Repubblica Fiorentina di armi proprie. Dopo aver preso parte ad alcune ambascerie in Tirolo, a Monaco, in Francia e presso il conclave succeduto alla morte di papa Pio III, venne condannato ad un anno di confino: un effetto degli eventi che seguirono la decisione della Lega Santa di ripristinare la dinastia medicea a Firenze (Dieta di Modena, 1512). Fu questo uno dei suoi periodi più difficili, anche a causa del carcere e delle torture che un'accusa di tentata congiura antimedicea lo portò a subire. Nella seconda metà dell'anno compose "Il Principe", opera che Machiavelli offrì a Lorenzo de' Medici (nipote del Magnifico) tra il settembre del 1515 e lo stesso mese del 1516. Nel 1520, il cardinale Giulio de' Medici gli diede l'incarico di scrivere le "Istorie Fiorentine" per conto dello Studio pisano. Gli otto libri delle Istorie furono consegnati un anno dopo al nuovo committente, Clemente VII. Nel 1526, Francesco Guicciardini, suo intimo amico, tentò di mettere in scena una replica della sua commedia "La Mandragola", che però si risolse in un nulla di fatto. In seguito all'indebolimento di papa Clemente VII dopo il sacco di Roma nel 1527, a Firenze venne restaurata la Repubblica, ma Machiavelli non fu chiamato a ricoprirvi incarichi. Morì il 21 giugno dello stesso anno.



La commedia si divide in cinque atti più un prologo, in cui si presenta in breve la commedia. Il prologo è importante in quanto sono espresse «le considerazioni dell'autore sulla propria condizione, espresse in modo che raramente in Machiavelli abbiamo trovato così acre, nemmeno nella corrispondenza privata».[1] Nel primo atto assistiamo a un inizio in medias res. La vicenda inizia a essere narrata dal momento in cui Callimaco confida al servo Siro quale motivo l'ha spinto a raggiungere Firenze e dice che ha già richiesto l'aiuto di Ligurio. Nella seconda scena apprendiamo che Ligurio si sta già dando da fare per tramare un inganno verso Nicia, marito di Lucrezia e motivo per cui Callimaco si è recato a Firenze. Nicia vorrebbe un erede, ma non riesce ad averlo; dice a Ligurio che si è recato da molti dottori i quali gli hanno prescritto di recarsi presso alcuni bagni, lontani da Firenze. Ma Nicia è restio a spostarsi, a causa della sua pigrizia, così Ligurio gli consiglia un medico giunto da Parigi (Callimaco) che è un esperto in sterilità e potrebbe consigliarli un giusto rimedio.

Nel secondo atto viene chiarito il piano ideato da Ligurio. Callimaco grazie alla sua conoscenza del latino fa credere allo stolto Nicia di essere davvero un eccellente medico venuto da Parigi. Dunque Callimaco propone a Nicia una soluzione: Lucrezia dovrà bere una pozione a base di erba di mandragola. Questa pozione ha però degli effetti che bloccano l'entusiasmo di Nicia: «quell'uomo che ha prima a fare seco, presa che l'ha cotesta pozione, muore infra otto giorni, e non lo camperebbe el mondo».[2] Nicia è sul punto di rifiutare, ma Callimaco e Ligurio trovano la soluzione: il primo garzoncello che incontreranno per strada sarà condotto da Lucrezia. Nicia è inizialmente riluttante, ma poi, convinto da Callimaco e Ligurio che l'unico modo per avere un erede è quello di far bere la pozione a Lucrezia, accetta e si fa consegnare la pozione.

Il filo conduttore del terzo atto è la difficoltà che si incontra nel convincere Lucrezia a bere la pozione di mandragola. A tale scopo vengono coinvolti Sostrata, madre di Lucrezia, e frate Timoteo, i quali diventano in un certo senso complici del piano ideato da Callimaco e Ligurio. I due si recano dal frate e per paura che Nicia, a causa della sua stoltezza, potesse parlare a sproposito, Ligurio dice a questo che dovrà far finta di non udire ciò che si dice e che non dovrà parlare col frate, perché a quello penserà lui. Conventicinque ducati convincono Timoteo. Nel frattempo Sosrata si reca da Lucrezia e la convince ad andare a parlare col confessore. Frate Timoteo, torcendo le dottrine etiche e religiose, riesce infine a convincere Lucrezia durante la confessione.

Ligurio, Nicia e Siro, nel quarto atto, si mascherano in modo da catturare il primo garzoncello che incontreranno per strada e che sembrerà adatto ai loro scopi. Questo garzoncello sarà proprio Callimaco, mascherato in modo tale che Nicia non lo può riconoscere. E proprio al fine di non insospettire Nicia, frate Timoteo prende le sembianze di Callimaco. Il travestimento di Nicia fa ridere tutti, tant'è che a Ligurio sembra «uno di questi gufi dè canonici, e uno spadaccino sotto»[3]. Il vero Callimaco viene catturato e condotto da Lucrezia. La dinamicità del quarto atto viene introdotta e conclusa da due monologhi di frate Timoteo, due pause di riflessione.

Nel quinto e ultimo atto si assiste alla conclusione. Nicia, dopo aver constatato che tutto si svolgesse nel verso giusto, ha lasciato soli Callimaco e la moglie per poi cacciare Callimaco, che non ne voleva sapere di andarsene, all'indomani mattina. Nicia racconta a Ligurio cosa è accaduto prima che lasciasse Callimaco e la moglie soli nella stanza, anche se Ligurio già sa. Questo è però un espediente utilizzato da Machiavelli per imprimere maggiore comicità alla commedia ma soprattutto al personaggio di Nicia, che parla dandosi molte arie per come è riuscito a portare a termine la cura. Separatamente Callimaco racconta a Ligurio come si sono svolti i fatti: Lucrezia, inizialmente restia, infine si dà completamente. La stessa Lucrezia propone al marito di fare di Callimaco suo compare. La commedia si chiude con la cerimonia di ringraziamento svolta in chiesa a cui tutti sono convenuti.

Ogni atto si chiude con una canzone, ad eccezione del quinto e ultimo atto e del prologo. Il primo atto termina con un inno all'amore «chi non fa prova, Amore, / della tua gran possanza»[4], il secondo si chiude con una canzone in lode degli stolti, «quanto felice sia ciascun sel vede, / chi nasce sciocco ed ogni cosa crede» . La canzone di chiusura del terzo atto ha come tema l'inganno «Sì suave è l'inganno / al fin condotto, imaginato e caro / ch'altrui spoglia d'affanno / e dolce face ogni gustato amaro» , e il quarto atto si chiude con una canzone che accompagna la veglia di Callimaco e Lucrezia.

Nella Mandragola Machiavelli riprende lo stile della commedia di origine greca e latina fino ad arrivare allo schema della novella boccacciana. Un esempio di questa trasmissione emerge immediatamente dai nomi dati da Machiavelli ai personaggi: da Callimaco, poeta e grammatico greco del IV - III secolo a.C, a Nicia, politico ateniese del V secolo a.C, a Lucrezia, nome di tradizione latina, si collega alla matrona romana. Per quel che invece riguarda la tradizione boccacciana, l'esempio che viene immediatamente posto all'attenzione del lettore riguarda la trama della commedia in se stessa: viene infatti presentata la trama del marito che viene raggirato e beffato per permettere al protagonista di conquistare l'amata. I personaggi riprendono nel loro significato quelli della commedia plautina (il padrone, il servo, l'amata), ai quali si aggiungono il frate e il marito stolto, ripresi dal Boccaccio.



I personaggi vengono presentati nel primo atto; in esso si possono infatti evincere i principali tratti morali e sociali. Il primo personaggio a essere presentato nei suoi tratti fondamentali è Nicia, «el marito ricchissimo»[7] di Lucrezia, nonché «el più semplice e el più sciocco omo di Firenze». Nel secondo atto Nicia parlando di se stesso dice «mi spicco mal volentieri da bomba» , e con queste parole lascia intendere al pubblico e al lettore la sua pigrizia. Questo lato del suo carattere è facilmente comprensibile anche quando dialoga con Callimaco, e quest'ultimo gli si rivolge in latino, e afferma che quel poco che sa l'ha imparato a fatica. Nicia è, tra tutti i personaggi della commedia, quello che più si avvicina al popolo fiorentino del 1500. Di Nicia in tutta la commedia si hanno parecchi giudizi dati dai protagonisti, nessuno dei quali esprime qualcosa di positivo su di lui. Questo perché è attorno a lui che ruota tutta la beffa e deve obbligatoriamente apparire sciocco. Nicia viene anche pesentato come un personaggio molto avaro. Basti pensare alla sua reazione quando apprende la somma da versare a frate Timoteo.

Callimaco somiglia molto all'innamorato del periodo dantesco, all'innamorato stilnovistico: «A me bisogna tentare qualche cosa, sia grande, sia pericolosa, sia dannosa, sia infame. Meglio è morire che vivere così. Se io potessi dormire la notte, se io potessi mangiare, se io potessi conversare».[10] Callimaco è senz'altro un uomo di cultura. E' possibile ricavare questo dato oltre che dalla sua conoscenza del latino anche da ciò che ne dice Ligurio: «per esser tu litterato». E' proprio per questa suo essere uomo di cultura che riesce a convincere e così bleffare messer Nicia di essere davvero un dottore.

Per quanto riguarda il personaggio di Ligurio, i punti fondamentali del suo carattere che possiamo identificare sono quattro: la freddezza e la sicurezza con cui agisce, dimostrata nel poco tempo che adotta per organizzare lo stratagemma al fine di rendre felice Callimaco, ed era fermamente sicuro di riuscire nel suo scopo; la spregiudicatezza, in quanto non si ferma dinanzi ai principi religiosi ed etici in cui Lucrezia crede fermamente, e corrompe frate Timoteo affinché questi possa distorcerli a loro favore; la prontezza, dimostrata nel far fronte alla sostituzione di Callimaco nella mascherata del quarto atto. Non si sa molto di questo personaggio dal punto di vista sociologico. L'unica fonte che abbiamo è ciò che di lui afferma Callimaco parlando con il suo servo Siro nel primo atto: «Tu conosci Ligurio, che viene continuamente a mangiar meco. Costui fu già sensale di matrimoni, di poi s'è dato a mendicare cene e desinari».[12]

Timoteo è un personaggio molto attaccato al denaro, che spesso all'interno della commedia gli viene affiancato. Un primo esempio si ha quando Ligurio, parlando con Nicia, gli dice «che bisogna in questi casi spendere e farsi amico el prete presto, e dargli speranza di meglio».[13] Altro punto in cui si nota quanto il frate sia attaccato al denaro è quando Ligurio gli comunica quant'è il suo compenso per convincere Lucrezia. Infatti egli era in principio riluttante, ma non appena udita la somma, accetta subito, promettendo di donare quel denaro in beneficenza, denaro che poi terrà per sé. Và dunque oltre la morale pur di ottenere quel denaro, e accetta pure di prendere le sembianze di Callimaco. Per Timoteo la religione è qualcosa di opinabile, interpretabile e adeguabile alle situazioni. Parlando con Lucrezia in confessione egli và contro la sua morale, contro i suoi stessi insegnamenti e contro le verità ecclesiastiche. Inoltre Timoteo, nell'ultimo atto, chiarisce la sua idea di religione, spiegando al lettore e spettatore che per lui la fede, l'atto di fede, è pura esteriorità. Ciò che religiosamente parlando a lui importa è che le immagini della Vergine nella chiesa vengano tenute pulite.

Di Lucrezia parla solo Callimaco. Nel primo atto descrive e loda a Siro la sua bellezza, i suoi costumi, la sua fama. Dopo la notte passata con Callimaco, la si potrebbe definire una donna senza mezze misure, o tutto o niente. Prima è riluttante fino alla fine, poi vuole Callimaco come compare. Alla fine della commedia si fa anch' essa beffatrice del marito.

Il linguaggio della commedia è a tratti aulico e a tratti popolare. E' chiaramente aulico nel secondo atto, quando Callimaco si esprime in latino, anche proprio il linguaggio di questo personaggio è di stile elevato. Nel periodo in cui è ambientata la commedia, nel 1500, il latino era considerato linguaggio aulico, colto. Invece dei tratti del linguaggio popolare è esponente messer Nicia. Machiavelli opera questa scelta proprio per evidenziare il carattere, le idee morali e la sociologia di questo personaggio: è un provinciale, sciocco e presuntuoso. Basti pensare al modo in cui si esprime quando narra a Ligurio come si sono svolti i fatti. Comunque tutta la commedia viene scritta in un registro abbastanza elevato.




A. Guetta, Invito alla lettura di Machiavelli, Mursia, Como 2005, pag. 103.



N. Machiavelli, La mandragola, Oscar Classici Mondadori, Cles 2004, pag. 22.

N. Machiavelli, La mandragola, pag. 44.

N. Machiavelli, La mandragola, pag. 16.

N. Machiavelli, La mandragola, pag. 24.

N. Machiavelli, La mandragola, pag. 35.

N. Machiavelli, La mandragola, pag 10.

N. Machiavelli, La mandragola, pag 11. Così viene definito da Callimaco nella prima scena del primo atto rivolgendosi a Siro.

N. Machiavelli, La mandragola, pag 13.

N. Machiavelli, La mandragola, pag. 14. In questo contesto Callimaco parla con Ligurio di Lucrezia, e gli lascia intendere che è disposto a qualunque tipo di azione per avere Lucrezia.

N. Machiavelli, La mandragola, pag. 15.

N. Machiavelli, La mandragola, pag. 11.

N. Machiavelli, La mandragola, pag. 26






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