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La discrepanza, che suscita sgomento, tra arte e verità

psicologia



La discrepanza, che suscita sgomento, tra arte e verità


Il fatto che la questione dell'arte ci conduca immediatamente alla domanda che sta prima di tutte le domande indica già che essa cela in sé, in un senso eccezionale, riferimenti essenziali alla domanda fondamentale e alla domanda-guida della filosofia. Viceversa, anche il chiarimento finora dato dell'essenza dell'arte riceverà la sua giusta conclusione solo dalla questione della verità.

Per riuscire a vedere fin dall'inizio questa connessione tra arte e verità, si deve preparare la questione dell'essenza della verità, e il modo in cui Nietzsche pone tale questione e dà una risposta, discutendo ciò che la questione della verità provoca nell'essenza della verità. Al bisogno si ricordino ancora una volta le parole che Nietzsche scrive sulla connessione tra arte e verità: "il rapporto dell'arte con la verità è stata la prima cosa che mi ha impensierito: e ancora adesso sto, con un sacro sgomento, dinanzi a questa discrepanza".

Il rapporto di arte e verità è una discrepanza che suscita sgomento. In quale misura?? Come e a quale riguardo l'arte entra in rapporto con la verità?? In che senso questo rapporto è per Nietzsche una discrepanza?? Per poter vedere in quale misura l'arte come tale entra in rapporto con la verità, bisogna prima dire, in modo più chiaro di quanto sia stato fatto finora, che cosa Nietzsche intende per verità. Certo, nelle discussioni fin qui svolte sono state già date indicazioni. Non siamo però ancora giunti a cogliere concettualmente l'idea nietzscheana della verità. A tal fine c'è bisogno di una riflessione preparatoria.



Diventa necessaria una meditazione di principio sull'ambito in cui ci muoviamo quando diciamo la parola verità al di là di una sciatta consuetudine linguistica; infatti, senza la cognizione di queste connessioni ci mancano tutti i presupposti per comprendere ciò su cui evidentemente il pensiero metafisico di Nietzsche converge da ogni parte. Una cosa è se Nietzsche stesso, schiacciato dal peso della sua missione, non ha guadagnato la trasparenza sufficiente, un'altra cosa è invece se noi, posteri, ci sottraiamo al compito di una meditazione profonda.

Ogni qualvolta tentiamo di mettere in chiaro parole fondamentali come verità, bellezza, essere, arte, conoscenza, storia, libertà, dobbiamo prestare attenzione a 2 cose:

il fatto che sia qui necessario un chiarimento trova la sua ragione nella velatezza dell'essenza di ciò che è nominato in tali parole. Un tale chiarimento è inevitabile nell'attimo in cui esperiamo che l'esistenza umana, nella misura in cui è se stessa, è espressamente rimandata ai riferimenti nominati in tali parole fondamentali ed è legata a tale riferimento. Ciò si vede quando l'esistenza umana si fa storica, cioè quando si espone al confronto con l'ente in quanto tale, per venire a stare in mezzo a quest'ultimo e fondare in modo determinante questa sua posizione. A seconda che il sapere si mantenga nella vicinanza o nella distanza essenziale da ciò che in tali parole è nominato, il contenuto denominativo e l'ambito della parola variano, e la forza denominativa è diversamente vincolante.

Quando prendiamo questo stato di cose, in riferimento alla parola verità, dall'esterno e in modo sommario, siamo soliti dire: la parola ha significati diversi che non sono separati nettamente l'uno dall'altro, ma sono invece connessi per una ragione vagamente avverita ma non saputa con chiarezza. La forma più esteriore che troviamo di polisemia della parola è quella lessicale. Nel vocabolario i significati della parole sono enumerati e tenuti pronti per essere scelti. La vita della lingua reale consiste nella polisemia. Il cambiamento della parola vivente, vibrante, nella rigidità di una sequenza di segni fissata in modo univoco, meccanico, sarebbe la morte della lingua, il congelamento e la desolazione dell'esistenza.

Ma perché parliamo qui di cose tanto comuni?? Perché la rappresentazione lessicale della polisemia di una tale parola fondamentale ci fa facilmente perdere di vista il fatto che qui tutti i significati, e così pure la loro diversità, sono storici e perciò necessari. Di conseguenza non può mai essere lasciato all'arbitrio, e rimanere privo di conseguenze, quali significati delle parole scegliamo allorché tentiamo di cogliere l'essenza nominata (e perciò già rischiarata) nella parola fondamentale, e di inserirla come parola direttrice nell'ambito e nell'indirizzo del sapere. Ogni tentativo siffatto è una decisione storica. Il significato-guida in cui di volta in volta una tale parola fondamentale ci parla in modo più o meno chiaro non è nulla di ovvio, sebbene l'abitudine sembri parlare in tal senso. Le parole fondamentali sono storiche. Questo non vuol dire soltanto che esse hanno significati rispettivamente diversi nelle epoche che possiamo abbracciare in termini storiografici nel loro passato, ma vuol dire che esse, ora e in futuro, sono fondatrici di storia a seconda dell'interpretazione che diventa in loro dominante. La storicità delle parole fondamentali, così intesa, è quell'Uno che, nel pensarle a fondo, si rende necessario osservare.

l'altra cosa riguarda il modo in cui tali parole fondamentali sono diverse nel loro significato. Qui ci sono linee capitali entro le quali i significati a loro volta oscillano. Questo oscillare non è una semplice trascuratezza dell'uso linguistico, ma è il respiro della storia. Quando Goethe e Hegel pronunciano la parola cultura, rispetto a quando invece la dice un uomo colto degli anni 90 del 700, cambia non solo il contenuto formale del significato della parola, ma, benchè non senza relazioni, anche il mondo contenuto in quel dire. Quando Goethe dice natura e quando lo dice Hölderlin, regnano sovrani mondi diversi. Se il linguaggio fosse soltanto una somma di segni comunicativi, esso rimarrebbe qualcosa di altrettanto arbitrario e indifferente quanto la scelta dei segni e il loro impiego.

Dal momento però che il linguaggio, in quanto significare per mezzo di suoni, ci radica dalle fondamenta ancor più nella nostra terra, dal momento che esso ci traspone nel nostro mondo e a questo ci lega, la meditazione sul linguaggio e sulla sua forza storica è sempre l'azione del dare forma all'esistenza stessa. La volontà di originarietà, di rigore e di misura della parola non è perciò un trastullo estetico, ma il lavoro nel nocciolo essenziale della nostra esistenza in quanto esistenza storica.

Ora, però, in che senso per le oscillazioni storiche di significato delle parole fondamentali ci sono quelle che chiamiamo le linee capitali?? Lo spieghiamo in riferimento alla parola verità. Senza la cognizione di queste connessioni, la peculiarità e la difficoltà, e persino l'aspetto eccitante della questione della verità, ci rimangono preclusi, e con ciò diviene impossibile anche comprendere lo stato di necessità più proprio di Nietzsche in relazione al rapporto tra arte e verità.

L'asserzione: "tra i contributi di Goethe nel campo della scienza rientra anche la teoria dei colori" è vera. Con questa proposizione disponiamo di qualcosa di vero. Siamo, come si dice, in possesso di una verità. L'asserzione "2 per 2 fa 4" è vera. Con questa proposizione abbiamo, daccapo, una verità. Ci sono così molte verità diverse: constatazioni nell'esistenza quotidiana, verità nelle scienze naturali e verità nelle scienze storiche. In quale misura queste verità sono ciò che il loro nome dice?? In quanto in generale, e fin dall'inizio, soddisfano i criteri propri di una verità. Questi ultimi sono quello che rende vera un'asserzione vera. Così come chiamiamo l'essenza del giusto giustizia, l'essenza del pavido pavidità e l'essenza del bello bellezza, si deve altresì chiamare verità l'essenza del vero. La verità, concepita come l'essenza del vero, è però una soltanto; infatti l'essenza di qualcosa è ciò in cui tutto quello che ha una siffatta essenza (nel nostro caso tutto ciò che è vero) coincide. Se verità significa l'essenza del vero, allora la verità è una soltanto; parlare di più verità diventa impossibile.

Così, abbiamo già 2 significati fondamentalmente diversi, benchè in relazione l'uno con l'altro, di una sola parola: verità.

se la parola verità viene intesa nel significato che non ammette plurale, allora denomina l'essenza del vero

se invece prendiamo la parola nel significato inteso al plurale, essa denomina allora non l'essenza del vero, ma, di volta, in volta, un certo particolare vero

Ora, l'essenza di una cosa può essere colta per eccellenza, o in senso esclusivo, come ciò che spetta a tutto quanto soddisfa tale essenza. Se ci si attiene a questa possibile (ma non unica né originaria) concezione dell'essenza come quell'Uno che vale per molti, ne risulta facilmente quanto segue in merito alla parola essenziale verità:

Poiché di ogni proposizione vera si può affermare l'essere vero, anche il vero stesso, quando si pensa e si parla in termini sommari, può essere chiamato una verità; è inteso però un vero particolare. Ora, il vero si chiama semplicemente la verità. La verità nomina sia l'Uno, l'essenza, sia i molti che soddisfano all'essenza. Il linguaggio stesso ha una peculiare inclinazione a tale ambiguità. Per questo la incontriamo ben presto e di continuo. La ragione intima di questa ambiguità è la seguente: parlando, cioè rapportandoci mediante il linguaggio all'ente, parlando muovendo dall'ente e ritornandovi, intendiamo per lo più l'ente stesso. L'ente è sempre questo o quel singolo, questo o quel particolare. Al tempo stesso l'ente, in quanto è questo ente qui, è siffatto, cioè di tal specie e di tal genere, di tale essenza; questa casa qui è della specie e dell'essenza casa.

Certo, quando intendiamo qualcosa di vero, comprendiamo insieme con esso anche l'essenza della verità. Dobbiamo farlo se vogliamo sapere che cosa abbiamo dinanzi quando intendiamo qualcosa di vero. Tutte le volte che l'essenza stessa non venga nominata in modo esplicito e noto, ma sia già nominata sempre e soltanto insieme a quel qualcosa di vero, la parola verità, che nomina l'essenza, viene tuttavia usata per il vero stesso. Il nome indicante l'essenza slitta nella denominazione di ciò che ha una tale essenza. Lo slittamento è favorito e provocato dal fatto che noi ci lasciamo per lo più determinare dall'ente stesso e non dalla sua essenza come tale.

Così il modo di pensare le parole fondamentali si muove lungo 2 linee capitali:

la linea essenziale

e la linea distolta dall'essenza, eppure ad essa riferita

Ora, però, questo stato di cose apparentemente semplice è stato reso ancora più semplice, e quindi più corrente, con un'interpretazione che è vecchia quanto la logica e la grammatica occidentali che abbiamo finora avuto. Si dice che l'essenza, in questo caso l'essenza del vero che rende tale ogni cosa vera, è (valendo per molte cose vere) ciò che è valido per i molti e in universale. La verità dell'essenza non consiste in nient'altro se non in questa validità universale. Dunque la verità come essenza del vero è l'universale. Tuttavia la verità al plurale, le verità, le singole cose vere, le proposizioni vere, sono i casi che cadono sotto l'universale. Ma ci sono diverse specie di chiarezza e di trasparenza, tra l'altro una trasparenza che vive del fatto che il proprio contenuto trasparente è vuoto, che vi si pensa il meno possibile e che si elimina in questo modo il pericolo dell'oscurità. Ma così accade quando si connota l'essenza di una cosa come il suo concetto universale. Che l'essenza di qualcosa valga in certi ambiti (non ovunque) per molti casi individuali (la polivalenza), è una conseguenza dell'essenza, ma non coglie il suo carattere essenziale.

L'identificazione dell'essenza con il carattere dell'universale, come serie essenziale anche se valida solo in modo condizionato, non sarebbe in sé tanto fatale se da secoli non sbarrasse la via in una questione decisiva. L'essenza del vero vale per le singole asserzioni e proposizioni (che in quanto singole sono del tutto diverse fra loro per contenuto e struttura). Il vero è di volta in volta diverso, l'essenza invece, in quanto è l'universale, cioè quello che è valido per molti, è Una. Ora, però, ciò che è valido generalmente, cioè per i rispettivi molti, viene fatto diventare l'universalmente valido in assoluto. Universalmente valido ora non significa più soltanto: valido per molti rispettivi casi individuali, ma ciò che è valido in sé, in generale e sempre, l'immutabile, l'eterno, il sovratemporale.

Si giunge così al principio dell'immutabilità dell'essenza e, quindi, anche dell'essenza della verità. Questo principio è logicamente corretto, ma metafisicamente non vero. Vista partendo dai singoli casi delle molte proposizioni vere, l'essenza del vero è ciò in cui i molti convengono. Ciò in cui i molti convengono dev'essere per loro un Uno e uno Stesso. Ma da questo non segue affatto che l'essenza non possa essere in sé mutevole. Infatti, posto che l'essenza della verità muti, ciò che è mutato può diventare sempre di nuovo, nonostante il mutamento, quell'Uno che vale per molti. Ma ciò che si mantiene attraverso il mutamento è l'elemento immutabile dell'essenza che è durevolmente presente nel suo mutamento. Con ciò è affermata l'essenzialità dell'essenza, la sua inesauribilità e quindi la sua genuina stessità e identità, in netta antitesi con la vuota identificità del tutt'uno; e l'unità dell'essenza può essere pensata unicamente come tale vuota identicità finchè viene presa sempre e soltanto come l'universale. Se nel concepire l'identità dell'essenza della verità si continua ad essere guidati dalla logica tramandata, si dirà subito e, da questa posizione, a buon diritto: l'idea di un mutamento dell'essenza porta al relativismo, c'è un'unica e identica verità per tutti, ogni relativismo distrugge l'ordine universale, porta al puro arbitrio e all'anarchia. Ma il diritto di questa obiezione contro il mutamento dell'essenza della verità sta e cade con la legittimità della rappresentazione in essa presupposta di quell'Uno e Identico che si chiama l'Assoluto, e con il diritto di determinare il carattere essenziale dell'essenza come polivalenza. L'obiezione che il mutamento dell'essenza condurrebbe al relativismo è possibile sempre e soltanto in base ad un misconoscimento dell'essenza dell'Assoluto e del carattere essenziale dell'essenza.

Per ora questa osservazione deve bastare per poter sviluppare ciò che Nietzsche intende per verità nelle sue discussioni sul rapporto tra arte e verità. Secondo quanto esposto, dobbiamo anzitutto domandare: lungo quale linea di significato si muove per Nietzsche la parola verità nel contesto delle discussioni sul rapporto tra arte e verità?? Risposta: lungo la linea distolta dall'essenza. Ciò vuol dire che in questa questione fondamentale, che suscita sgomento, Nietzsche non giunge però all'autentica questione della verità nel senso di una discussione dell'essenza del vero. Questa essenza viene presupposta come ovvia. La verità non è per Nietzsche l'essenza del vero, ma il vero stesso, ciò che soddisfa l'essenza della verità. Sapere che Nietzsche non pone la questione autentica della verità, la questione dell'essenza del vero e della verità dell'essenza e, quindi, la questione della necessaria possibilità del mutamento della sua essenza, e che perciò non sviluppa mai nemmeno l'ambito di questa questione, sapere tutto ciò è di un'importanza decisiva; e questo non solo per giudicare la presa di posizione di Nietzsche nella questione del rapporto tra arte e verità, ma soprattutto per valutare e misurare in linea di principio il grado di originarietà del domandare al quale arriva la filosofia di Nietzsche nel suo insieme. Che nel pensiero di Nietzsche non venga posta la questione dell'essenza della verità è un'omissione sui generis che, se mai, non potrebbe essere messa in carico solo a lui e a lui per primo. Questa omissione, da Platone ad Aristotele in poi, si aggira ovunque per l'intera storia della filosofia occidentale.

Che molti pensatori si arrovellino intorno al concetto di verità, che Descartes interpreti la verità come certezza, che Kant, non indipendentemente da questa svolta, distingua una verità empirica e una verità trascendentale, che Hegel determini in modo nuovo l'importante differenza tra verità astratta e verità concreta, cioè verità scientifica e verità speculativa, che Nietzsche dica che la verità è l'orrore, tutti questi sono essenziali passi in avanti del domandare del pensiero. Eppure! Tutti lasciano intatta l'essenza della verità stessa. Per quanto Nietzsche sia distante da Descartes e per quanto sottolinei questa distanza, nell'essenziale gli sta invece vicino. Sarebbe tuttavia pedante voler costringere l'uso linguistico relativo alla parola verità a stare rigorosamente entro le linee del suo significare; infatti, in quanto parola fondamentale, verità è al tempo stesso una parola generale e quindi calata nella trascuratezza dell'uso linguistico.

Bisogna domandare più a fondo che cosa Nietzsche intenda per verità. Abbiamo risposto: il vero. Ma che cos'è il vero?? Che cos'è, in questo caso, ciò che soddisfa l'essenza della verità e in che cosa questa essenza stessa è definita?? Il vero è il vero ente, ciò che è in verità reale. Che cosa vuol dire qui in verità?? Risposta: ciò che è in verità conosciuto; infatti il conoscere è ciò che per natura può essere vero o falso. La verità è verità della conoscenza. Il conoscere è la patria della verità in modo così proprio che un conoscere non vero non può avere valore di conoscenza. Ma il conoscere è il modo di accedere all'ente; il vero è il veramente conosciuto, il reale. Soltanto nella conoscenza, per suo tramite e per essa, il vero viene fissato come vero. La verità rientra nell'ambito della conoscenza; qui si decide del vero e del non vero. E a seconda di come viene definita l'essenza della conoscenza si determina il concetto essenziale della verità.

Conoscere è sempre, in quanto conoscere qualcosa, un'adeguazione alla cosa da conoscere, è un commisurarsi con .. In base a questo suo carattere commisurativo è insito nel conoscere il riferimento a qualche parametro. Questo, così come il riferimento ad esso, può essere interpretato in diversi modi. Per chiarire la possibilità di interpretare l'essenza del conoscere, descriviamo, nei loro tratti capitali, 2 specie fondamentali di conoscere. Nel farlo, ci serviamo eccezionalmente, per ragioni di brevità, di 2 titoli che non vogliono dire niente di più di quello che qui viene stabilito su quanto è nominato per mezzo loro: la concezione della conoscenza nel platonismo e nel positivismo.





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