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Il grande stile

psicologia



Il grande stile


A questo insieme della realtà dell'arte Nietzsche guarda ogni qualvolta parla di ciò in cui l'arte giunge alla sua essenza. Nietzsche lo chiama il grande stile. Anche qui sarebbe vano cercare una definizione e una fondazione essenziali di che cosa significa stile; come accade di solito ovunque nell'ambito dell'arte, ciò che viene denominato con la parola stile è tra le cose più oscure. Il modo in cui Nietzsche parla ripetutamente, anche se solo con indicazioni concise, del grande stile, getta luce su tutto quello che è stato finora menzionato dell'estetica di Nietzsche.


3 buone cose fanno parte dell'arte

eleganza

logica



bellezza

e la cosa ancora migliore

il grande stile

Quando Nietzsche afferma che tutto questo rimane estraneo alle masse, con massa non intende il concetto di classe indicante il basso popolo, ma i colti nel senso dei mediocri conformisti della cultura che praticano e sostengono il culto di Wagner. Il contadino e il lavoratore realmente integrato nel mondo delle proprie macchine sono ribelli all'elemento eroico e presuntuoso allo stesso modo in cui quest'ultimo è destinato a rimanere un bisogno del piccolo borghese imbizzarrito. Il mondo di quest'ultimo, o meglio il suo non mondo, è il vero e proprio ostacolo all'ampliamento, cioè alla crescita di quello che Nietzsche chiama il grande stile.

"Il grande stile consiste nel disprezzo della bellezza piccina e breve, esso è il senso del poco e lungo".

Ci ricordiamo dell'essenza del creare come estrapolazione dei tratti capitali. Nel grande stile c'è: "un dominio sulla pienezza del vivente, la misura diventa padrona, alla base c'è quella calma dell'anima forte che si muove con lentezza e che ha una riluttanza nei confronti di ciò che è troppo vivo. Il caso generale, la legge vengono venerati e messi in risalto; l'eccezione viene invece messa in disparte, la sfumatura cancellata".

Pensiamo alla bellezza come a ciò che è massimamente degno di essere venerato. Ma questo viene in luce soltanto là dove è viva la grande forza del ven 515i88f erare. Venerare non è cosa per gente piccola e meschina, per gli incapaci e i malcapitati. Venerare è cosa per la grande passione; sua conseguenza soltanto è il grande stile.

Ciò che si avvicina di più a quello che Nietzsche chiama il grande stile è lo stile severo, classico: "lo stile classico rappresenta essenzialmente questa calma, semplificazione, abbreviazione, concentrazione; il sentimento sommo della potenza è concentrato nel tipo classico. Reagire duramente: una grande coscienza: nessun sentimento di lotta".

Il grande stile è il sentimento sommo della potenza. È quindi chiaro che se l'arte è una forma della volontà di potenza, l'arte è sempre concepita qui nel suo rango essenziale supremo. La parola arte non designa il concetto di un semplice fatto accaduto, bensì un concetto di rango. L'arte non è un qualcosa che esiste accanto ad altro, che si pratica e di cui a volte si fruisce. L'arte sottopone a decisione l'intera esistenza, ve la mantiene e pertanto sottostà essa stessa a condizioni uniche. Per questo Nietzsche si propone il compito di: "pensare fino in fondo senza pregiudizio e senza mollezza su quale terreno può svilupparsi un gusto classico. Indurimento, semplificazione, rafforzamento, incattivimento dell'uomo: queste cose fanno tutt'uno".

Ma fanno tutt'uno non solo il grande stile e l'incattivimento come sopportazione dei grandi contrasti dell'esistenza in uno, bensì anche quello che in un primo momento ci era apparso come inconciliabile: l'arte come contromovimento che si oppone al nichilismo e l'arte come oggetto di un'estetica fisiologica.

La fisiologia dell'arte, in apparenza, prende il suo oggetto soltanto come un ribollente processo naturale, come un prorompente stato di ebbrezza che decorre senza che nulla si decida, poiché la natura non conosce ambito di decisione.

Ma l'arte come contromovimento che si oppone al nichilismo deve pur porre un fondamento per la posizione di misure e valori nuovi, deve quindi essere rango, distinzione e decisione. Se l'arte ha la sua autentica essenza nel grande stile, questo significa adesso: misura e legge vengono poste soltanto nel dominare e nel domare il caos e l'elemento dell'ebbrezza. Questo è quanto il grande stile esige per essere possibile. Di conseguenza la dimensione fisiologica è la condizione fondamentale perché l'arte possa essere un contromovimento creativo. La decisione presuppone la cesura in opposti, e cresce alla propria altezza con la profondità del contrasto.

L'arte in grande stile è la semplice calma del dominare, conservandola, la somma pienezza della vita. Ad essa appartengono

l'originario scatenamento della vita, ma domato

la più ricca antiteticità, ma nell'unità del semplice

la pienezza della crescita, ma nella durata del lungo e del poco

Dove l'arte vuole essere capita in ciò che è di più alto in base al grande stile, va ricondotta agli stati più originari della vita del corpo, alla fisiologia

l'arte come contromovimento che si oppone al nichilismo e l'arte come stato di ebbrezza

l'arte presa come oggetto della fisiologia (fisica nel senso più lato) e presa come oggetto della metafisica

non si escludono, ma si includono

L'unità di questi opposti, concepiti in tutta la loro pienezza essenziale, dà un'idea di quanto Nietzsche sapeva (cioè: voleva) dell'arte, della sua essenza e della sua determinazione essenziale.

Frequentemente e fatalmente Nietzsche scivola, non solo nel linguaggio ma anche nel pensiero, in asserzioni puramente fisiologico-naturalistiche sull'arte; non meno grande è però il fraintendimento nei suoi confronti se si estrapolano questi pensieri fisiologici e li si spaccia per un'estetica biologistica o addirittura li si mescola con Wagner oppure, stravolgendo completamente il tutto, se ne trae, con Klages, una filosofia dell'orgiasmo facendola falsamente passare per la dottrina e la conquista vere e proprie di Nietzsche.

Ci vuole una grande apertura di pensiero e una capacità di guardare liberamente oltre gli aspetti fatali di tutto quello che in Nietzsche vi è di contemporaneo, per avvicinarsi alla volontà essenziale del suo pensiero e rimanere ad essa vicini. Il sapere dell'arte in Nietzsche e la lotta di Nietzsche per la possibilità della grande arte sono dominati da un unico pensiero che una volta egli esprime brevemente così: "qual è la sola cosa che può ristabilirci?? La vista del perfetto".

Ma Nietzsche sapeva pure di tutta la gravità di questo compito; infatti, chi deve stabilire che cosa è il perfetto?? Possono farlo soltanto coloro che sono essi stessi perfetti e che quindi sanno che cos'è il perfetto. Qui si spalanca l'abisso di quel girare in circolo in cui si muove l'intera esistenza umana. Solo chi è sano può dire che cos'è la salute. Ma il sano si misura a seconda di come è postulata l'essenza della salute. Che cos'è la verità, lo può stabilire soltanto chi è veritiero; ma chi sia veritiero, lo si determina a seconda di come è posta l'essenza della verità.

Ora, associando l'arte di grande stile al gusto classico, Nietzsche non cade in un classicismo. Nietzsche è il primo (se prescindiamo da Hölderlin) che ha nuovamente liberato il classico dal fraintendimento del classicismo e dell'umanismo. La sua presa di posizione contro l'epoca di Winckelmann e di Goethe parla in modo molto chiaro: "è una gaia commedia della quale solo ora impariamo a ridere, che ora soltanto vediamo, il fatto che i contemporanei di Herder, Winckelmann, Goethe e Hegel pretendessero di avere riscoperto l'ideale classico .. e nello stesso tempo Shakespeare! E la stessa generazione si era sprezzantemente proclamata libera dalla scuola classica dei Francesi! come se l'essenziale non si fosse potuto imparare qui altrettanto bene che là! Ma si voleva la natura, la naturalezza: oh, ottusità! Si credeva che la classicità fosse una specie di naturalezza!".



Accentuando costantemente e con consapevole esagerazione l'aspetto fisiologico dello stato estetico, Nietzsche vuole mettere in risalto, contro la mancanza interiore di opposizioni e la povertà del classicismo, il contrasto originario della vita e con esso la radice della necessità di una vittoria. Il naturale a cui si riferisce la sua estetica fisiologica non è il naturale del classicismo, vale a dire ciò che è calcolabile e accessibile agli occhi di una ragione umana apparentemente indisturbata e per sé valida, l'innocuo, l'ovvio, ma è quella forza naturale che i Greci dell'età tragica chiamavano il terribile.

Il classico, d'altra parte, non è qualcosa che si possa ricavare direttamente da una determinata epoca passata dell'arte, ma è una struttura fondamentale dell'esistenza che deve prima creare essa stessa le condizioni di ciò, aprirsi ad esse e dedicarvisi. La condizione fondamentale è però la libertà, parimenti originaria, rispetto agli estremi opposti del caos e della legge; non la semplice costrizione del caos in una forma, ma quel dominio che fa sì che la primordialità del caos e l'originarietà della legge vadano l'una contro l'altra e, secondo la stessa necessità, vadano sotto un giogo: il libero disporre di questo giogo, che è ugualmente distante sia da un irrigidimento della forma nel pedante e nel formale, sia da un puro delirare nell'ebbrezza. Dove il libero disporre di questo giogo è la legge, che si sta costituendo, dell'accadere, qui c'è il grande stile; dove c'è il grande stile, qui l'arte è reale nella purità della sua pienezza essenziale. L'arte può essere valutata soltanto in base a quello che essa è nella sua realtà essenziale, se deve poter essere concepita come una forma dell'ente, cioè della volontà di potenza.

Quando Nietzsche tratta dell'arte nel suo senso essenziale e determinante, intende sempre l'arte di grande stile. È da qui che viene in luce nel modo più netto il suo intimo contrasto con Wagner; soprattutto perché la concezione del grande stile implica contemporaneamente una decisione di principio non solo sulla musica di Wagner, ma anche sull'essenza della musica in generale, in quanto arte. "Il poeta fa entrare in gioco l'istinto che vuole conoscere, il musicista lo lascia riposare".

La riflessione di Nietzsche sull'arte è estetica perché guarda allo stato del creare e del fruire. È l'estetica più estrema in quanto questo stato viene seguito fino all'estremo dello stato fisiologico del corpo, fino a ciò che massimamente si distacca dallo spirito e dalla spiritualità di quanto viene creato e dalle leggi della sua forma. Senonché, proprio in questo estremo dell'estetica fisiologica avviene il rovesciamento; infatti, questa dimensione fisiologica non è ciò a cui si potrebbe ricondurre o in base a cui si potrebbe spiegare tutto l'essenziale dell'arte. In quanto lo stato fisiologico del corpo rimane una condizione concomitante dell'atto del creare, esso è contemporaneamente ciò che viene domato, superato e tolto in quello che viene creato. Lo stato estetico è ciò che si sottopone alla legge del grande stile da lui stesso generata. Lo stato estetico è esso stesso veramente tale soltanto come grande stile. Così questa estetica viene portata, entro se stessa, oltre se stessa. Gli stati artistici sono quelli che si sottopongono al sommo comando della misura e della legge, che prendono se stessi nella loro volontà che rimanda oltre loro stessi; quegli stati che sono ciò che essenzialmente sono quando, volendo oltre se stessi, sono più di quello che sono e si affermano in tale essere sovrani.

Gli stati artistici, cioè l'arte, non sono nient'altro che: volontà di potenza. Ora comprendiamo la tesi capitale di Nietzsche sull'arte come grande stimolante della vita. Stimolante significa: che porta nel dominio del grande stile.

Ora, però, vediamo pure più chiaramente in quale senso la tesi di Nietzsche che l'arte è il grande stimolante della vita rappresenti un rovesciamento dell'affermazione di Schopenhauer che definisce l'arte come un quietativo della vita. Il rovesciamento non consiste soltanto nel sostituire quietativo con stimolante, nello scambiare il calmante con l'eccitante. Il rovesciamento è la trasformazione della definizione dell'essenza dell'arte. Questo pensiero sull'arte è pensiero filosofico che pone parametri, che è pertanto confronto storico e che diventa prefigurazione dell'avvenire. È questo che bisogna vedere nell'insieme, se vogliamo decidere in quale senso la questione dell'arte in Nietzsche possa ancora essere estetica, e tuttavia in quale misura non possa non esserlo. Quanto Nietzsche dice dapprima in riferimento alla musica e guardando a Wagner vale in genere per l'arte nel suo insieme: "non sappiamo più dare fondamento ai concetti di modello, maestria, perfezione, ci aggiriamo tastando alla cieca con l'istinto dell'antico amore e ammirazione nel regno dei valori, crediamo quasi che sia bene ciò che piace a noi".

Qui, dinnanzi alla completa decadenza dello stile di Wagner, si esige in modo chiaro e univoco la legge, la misura e soprattutto la sua fondazione, e precisamente come la cosa prima ed essenziale al di là di ogni semplice tecnica e semplice invenzione e potenziamento dei mezzi espressivi: "che importanza ha ogni ampliamento dei mezzi espressivi se quello che qui esprime, l'arte stessa, ha perduto la legge per se stessa!".

L'arte non sottostà soltanto a regole, non ha soltanto leggi da seguire, ma è in se stessa legiferazione e soltanto come tale è veramente arte. L'inesauribile, e ciò che va creato, è la legge. Ciò che l'arte che dissolve lo stile interpreta, fraintendendolo, come semplice ribollire dei sentimenti, è essenzialmente l'inquietudine della ricerca della legge, che diventa reale nell'arte soltanto quando la legge si cela nella libertà della forma per entrare così nel gioco aperto.

La posizione della questione estetica in Nietzsche, giungendo al proprio estremo confine, ha fatto saltare se stessa, ma l'estetica non è affatto superata, perché ciò richiede un mutamento ancora più originario della nostra esistenza e del nostro sapere che Nietzsche solo indirettamente prepara con l'insieme del suo pensiero metafisico. Sapere qual è la sua posizione speculativa di fondo, questo, e soltanto questo, è ciò che a noi importa.

Il pensiero di Nietzsche sull'arte, secondo l'apparenza più immediata, è estetico

secondo la sua volontà più intima, è metafisico, ossia è una determinazione dell'essere dell'ente

Il fatto storico che ogni vera estetica, per esempio quella kantiana, faccia saltare se stessa, è il segno inequivocabile che

da un lato, la posizione della questione dell'arte in termini di estetica non è casuale

ma che, dall'altro, non è nemmeno l'essenziale

L'arte è per Nietzsche il modo essenziale in cui l'ente viene fatto diventare ente. Poiché ciò che importa è questa dimensione creativa, legiferante e formatrice propria dell'arte, la definizione dell'essenza dell'arte può essere condotta a buon fine se si domanda che cosa nell'arte è di volta in volta l'elemento creativo. Questa domanda non mira ad una constatazione psicologica degli impulsi di volta in volta presenti nella creazione artistica, ma è intesa come domanda che decide se, quando e come sono date o meno le condizioni fondamentali dell'arte di grande stile. Per Nietzsche questa domanda non è nemmeno una domanda di storia dell'arte nel senso abituale del termine, ma è una domanda di storia dell'arte nel senso essenziale che contribuisce a configurare la storia ventura dell'esistenza.



La domanda che chiede che cosa in un'arte sia diventato creativo e che cosa in essa lo voglia diventare non è nient'altro che la domanda: che cos'è che, nello stimolante, propriamente stimola?? Quali possibilità si danno qui?? Come si determina, partendo da qui, la configurazione dell'arte?? In quale modo l'arte è un risvegliare l'ente in quanto ente?? In quale misura è volontà di potenza??

Ma, come e dove pensa Nietzsche la questione relativa a ciò che nell'arte è propriamente creativo?? Nelle riflessioni che cercano di concepire in modo più originario la differenza e l'antitesi di classico e romantico. Non è qui possibile entrare nel merito della storia di questa distinzione e del ruolo, tanto di chiarificazione quanto di confusione, che essa ha avuto nel sapere dell'arte. Seguiamo solamente il modo in cui Nietzsche, percorrendo la via di una determinazione originaria di questa differenza, definisce in modo ancora più netto l'essenza dell'arte di grande stile e conferisce una maggiore chiarezza alla tesi che l'arte è lo stimolante della vita. Tuttavia, proprio questi brani mostrano quanto tutto ciò rimanga un semplice progetto. Anche qui, quando chiarisce la differenza tra classico e romantico, Nietzsche pensa come esempio non all'arte nell'epoca intorno al 1800, ma all'arte di Wagner e alla tragedia greca. Pensa sempre mirando alla questione dell'opera d'arte totale. È la questione della gerarchia delle arti, della forma dell'arte essenziale. I nomi romantico e classico sono sempre e soltanto facciata e sostegno.

"Un romantico è un artista che la grande insoddisfazione di sé rende creativo, che distoglie lo sguardo da sé e dal suo prossimo, che guarda indietro".

Ciò che veramente crea è qui [romantico] l'insufficienza, la ricerca di un totalmente altro, il desiderio e la fame. Con ciò è già prefigurata l'antitesi. La possibilità opposta [classico] consiste nel fatto che

non la mancanza ma la pienezza

non il cercare ma il pieno possesso

non il desiderare ma il donare

non la fame ma la sovrabbondanza

è ciò che crea.

Il creare per insufficienza [romantico] perviene all'azione soltanto distaccandosi e sottraendosi ad un altro; non è attivo, ma, a differenza di ciò che sgorga puramente da se stesso e dalla sua pienezza [classico], è sempre reattivo. In vista di queste 2 possibilità fondamentali di ciò che in un'arte diventa ed è diventato creativo, Nietzsche pone la domanda: "dietro l'antitesi di classico e romantico non si nasconde l'antitesi di attivo e reattivo??".

La comprensione di questa antitesi, colta in modo più ampio e originario, implica però l'impossibilità di equiparare il classico all'attivo; infatti la distinzione di attivo e reattivo si interseca con un'altra distinzione, cioè se la causa del creare è

l'esigenza di irrigidirsi, di diventare eterno, di essere

o invece l'esigenza di distruzione, di cambiamento, di divenire

Questa distinzione richiama la differenza di essere e divenire, una differenza rimasta dominante fin dagli inizi del pensiero occidentale e, da allora in poi, per tutta la sua storia fino a Nietzsche compreso.

Sennonché, questa distinzione del principio creativo come esigenza di essere o come esigenza di divenire è ancora equivoca. Tale equivocità può essere sciolta di volta in volta in una determinazione univoca guardando alla distinzione di attivo e reattivo. Questo schema va preferito al primo e va posto come lo schema fondamentale per la determinazione delle possibilità del principio creativo nell'arte. Nietzsche mostra la duplice interpretabilità dell'esigenza dell'essere e dell'esigenza del divenire con l'ausilio dello schema dell'attivo e del reattivo.

L'esigenza del divenire, di diventare altro e perciò di distruzione può (ma non necessariamente deve) essere espressione della forza sovracolma e gravida di futuro. È l'arte dionisiaca. L'esigenza di cambiamento e di divenire può però scaturire anche dall'insoddisfazione di coloro che odiano tutto ciò che sussiste, per il fatto che sussiste e sta. Qui è creatrice l'indignazione di coloro che sono privi di qualcosa, degli svenurati e dei malcapitati, per i quali ogni superiorità sussistente è già in sé una critica contro il diritto alla sua sussistenza.

Corrispondentemente, l'esigenza dell'essere, la volontà di immortalare può venire dal possesso della pienezza, della gratitudine per ciò che è; oppure ciò che rimane e che vincola viene eretto a legge e costrizione in base alla tirannia di un volere che aspira a liberarsi della sua sofferenza più propria. Per questo esso la impone a tutte le cose e si vendica su di loro. Tale è l'arte di Wagner, il pessimismo romantico.

Dove invece il selvaggio e il prorompente vengono condotti all'ordine della legge da loro stessi creata, qui c'è l'arte classica. Essa non può quindi essere intesa semplicemente come l'attivo; perché attivo è anche il dionisiaco puro. Il classico non è nemmeno soltanto il desiderio di essere e di sussistenza; tale è anche il pessimismo romantico. Il classico è il desiderio di essere, proveniente dalla pienezza di chi dona e dice sì. Con ciò si ha daccapo il rinvio al grande stile.

È vero che in un primo momento stile classico e grande stile sembrano coincidere. Ma penseremmo in modo troppo sbrigativo se volessimo assestare a nostro piacimento le cose in questa forma corrente. Eppure anche le affermazioni di Nietzsche, prese direttamente alla lettera, sembrano parlare in favore di questa identificazione. Procedendo così, tuttavia, non penseremmo il pensiero decisivo: proprio perché il grande stile è un volere l'essere donando e dicendo sì, per questo la sua essenza si svela soltanto quando, ad opera del grande stile stesso, si arriva a decidere che cosa significa l'essere dell'ente. Solo di qui si determina il giogo che regge la tensione degli opposti.

Ora, quindi, possiamo definire l'essenza del grande stile sempre e soltanto con una limitazione esplicita. In una formula si può dire: il grande stile è là dove l'eccedenza si doma nel semplice. Ma questo vale in un certo modo anche per lo stile classico. E anche se chiariamo la grandezza del grande stile dicendo che essa è quella superiorità che costringe sotto un giogo tutto ciò che è forte nella sua più forte antiteticità, pure questo vale per il classico. Così Nietzsche stesso dice: "per essere un classico, si devono avere tutte le doti e i desideri forti, apparentemente contradditori: ma in modo che vadano assieme sotto un giogo".



Ciò che invece ha il proprio contrario solamente sotto di sé, o addirittura solo fuori di sé, come ciò che va combattuto e negato, non può ancora essere grande nel senso del grande stile; infatti rimane dipendente e si lascia guidare da ciò che nega; rimane ancora re-attivo. Nel grande stile, invece, la legge che si sta formando cresce dall'azione originaria, che è già il giogo stesso. Il grande stile è la volontà attiva di essere, e precisamente in modo da superare e conservare in sé il divenire.

Ma quanto è stato detto sul classico lo si è detto nell'intento di far vedere il grande stile muovendo da ciò che gli è più affine. Veramente grande è quindi solamente ciò che non solo tiene sotto controllo e sotto di sé il suo estremo contrario, ma lo ha trasformato in sé e, al tempo stesso, lo ha trasformato in modo che esso non scompare ma arriva a dispiegarsi nella sua essenza. Ricordiamo quanto Nietzsche dice della grandiosa iniziativa dell'idealismo tedesco che tenta di pensare il male come facente parte dell'essenza dell'Assoluto. Tuttavia, Nietzsche non ammetterebbe che la filosofia di Hegel sia una filosofia di grande stile. Essa è la fine dello stile classico.

Ciò che tuttavia, al di là dello sforzo di definire il grande stile, è più essenziale va cercato nel modo in cui Nietzsche tenta di determinare ciò che nell'arte è creativo. Ciò accade tramite una definizione di stili d'arte nel quadro delle distinzioni di attivo-reattivo ed essere-divenire. Qui si mostrano determinazioni fondamentali dell'essere: l'attivo e il reattivo si coappartengono nell'essenza del movimento.

Nietzsche interpreta l'essere dell'ente come volontà di potenza. L'arte è per lui la forma suprema della volontà di potenza. L'essenza vera e propria dell'arte è prefigurata nel grande stile. Quest'ultimo, però, riguardo alla propria unità essenziale, rinvia ad un'unità originariamente configurantesi di attivo e reattivo, di essere e divenire. A questo proposito bisogna pensare che cosa significa per la metafisica di Nietzsche la priorità, esplicitamente sottolineata, della distinzione attivo-reattivo su quella di essere e divenire. Infatti, formalmente si potrebbe collocare la distinzione di attivo-reattivo sotto uno dei 2 contrari della distinzione subordinata di essere e divenire, cioè nel divenire. La combinazione, propria del grande stile

dell'attivo

dell'essere

e del divenire

in un'unità originaria deve quindi essere racchiusa nella volontà di potenza, se questa viene pensata metafisicamente. Ma la volontà di potenza è come eterno ritorno dell'uguale. In esso Nietzsche vuole pensare insieme, unendoli in un'unità originaria

essere e divenire

azione e reazione

Si ha così una veduta sull'orizzonte metafisico in cui va pensato quello che Nietzsche chiama in generale il grande stile e l'arte.

Sennonché, vorremmo aprirci la via che porta a questo ambito metafisico passando prima per l'essenza dell'arte. Ora si chiarisce forse il motivo per il quale nel domandare della posizione metafisica di fondo di Nietzsche partiamo dall'arte, e si chiarisce che questo approccio non è arbitrario. Il grande stile è il sentimento sommo della potenza. L'arte romantica, che scaturisce dall'insoddisfazione e dalla privazione, è un volere-andare-via-da-sé. Ma volere, secondo la sua propria essenza, è volere-se-stesso, dove però sé non è mai ciò che è lì presente e che sussiste proprio così, ma ciò che ancora vuole diventare quello che è. Volere autentico non è un via-da-sé, ma è un al-di-là-di-sé, dove in questo superarsi la volontà prende appunto il volente, lo accoglie in sé e lo trasforma. Volere-andare-via-da-sé è quindi in fondo un non volere. Dove invece l'eccedenza e la pienezza, cioè il manifestarsi e il dispiegarsi dell'essenza si sottopongono da sé alla legge del semplice, la volontà vuole se stessa nella sua essenza, è volontà. Questa volontà è volontà di potenza; infatti la potenza non è costrizione e non è violenza. Non v'è ancora potenza genuina nemmeno là dove essa deve mantenersi soltanto per controreazione a quanto è ancora indomito. V'è potenza soltanto dove regna sovrana la semplicità della calma con la quale gli opposti vengono conservati, cioè trasformati nell'unità dell'arco teso di un giogo.

C'è veramente volontà di potenza là dove la potenza non ha più bisogno della combattività nel senso della semplice reattività, e lega ogni cosa in forza della sua superiorità, in quanto la volontà lascia libere tutte le cose di avere la loro essenza e il loro limite proprio. Solo quando arriviamo a vedere quello che Nietzsche pensa ed esige come grande stile, e solo allora, siamo giunti al culmine della sua estetica, che qui cessa di essere tale. Ora soltanto possiamo ricapitolare il nostro cammino e tentare di capire quanto è rimasto insoluto. Il nostro cammino per comprendere il pensiero di Nietzsche sull'arte è stato questo:

Per guadagnare l'orizzonte in cui si muove il suo domandare, sono state formulate e sommariamente delucidate, oltre alla tesi capitale, altre 5 tesi sull'arte, senza però dare loro una vera e propria fondazione. Infatti la fondazione scaturisce solamente dal ritorno all'essenza dell'arte. Ma questa viene messa in rilievo e al sicuro nell'estetica di Nietzsche. Abbiamo tentato di esporla raccogliendo le prospettive tradizionali in una nuova unità. Il centro unificante è indicato da quello che Nietzsche chiama il grande stile. Finchè non ci sforziamo, nonostante la frammentarietà, di trovare un ordine interno nella dottrina nietzscheana dell'arte, il suo dire rimane una massa di intuizioni casuali e di osservazioni arbitrarie sull'arte e sul bello. Per questo dev'essere tenuto continuamente presente il cammino:
Esso va dall'ebbrezza quale disposizione estetica fondamentale alla bellezza come ciò che la predispone e la determina; dalla bellezza quale elemento determinante ritorna a ciò che da essa prende la misura, cioè al creare e al recepire; di qui passa ancora a ciò in cui, e in quanto è tale, l'elemento determinante si rappresenta, cioè alla forma. Infine abbiamo tentato di capire l'unità del riferimento reciproco di

ebbrezza e bellezza

di creazione

recezione

e forma

come grande stile. Nel grande stile l'essenza dell'arte diviene reale.







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