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6 fatti fondamentali ricavati dalla storia dell'estetica

psicologia



6 fatti fondamentali ricavati dalla storia dell'estetica



Incominciamo con la seconda questione. Per risolverla è necessario connotare in termini più complessi il modo in cui Nietzsche procede nel determinare l'essenza dell'arte e inserirlo nel contesto degli sforzi finora fatti in merito al sapere dell'arte.

Con le 5 tesi sull'arte sono fissati gli aspetti essenziali in cui si muove Nietzsche nel porsi la questione dell'arte. Una cosa risulta chiara: Nietzsche non si pone la questione dell'arte per descriverla come una manifestazione o un'espressione della cultura, ma vuole mostrare per mezzo dell'arte, e della connotazione della sua essenza, che cos'è la volontà di potenza. Tuttavia la riflessione nietzscheana sull'arte si muove in linea con la tradizione. Questa linea è determinata nel suo carattere peculiare dal nome estetica. È vero che Nietzsche parla contro l'estetica femminile; ma con questo egli si pronuncia in favore dell'estetica maschile, dunque in favore dell'estetica. Pertanto, la posizione della questione dell'arte in Nietzsche finisce per essere estetica spinta all'estremo, la quale, per così dire, rovescia se stessa.



Il nome estetica è formato in modo analogo a come si sono formati logica ed etica. Bisogna sempre aggiungere sapere.

Logica: dottrina dell'affermare, del giudicare, quale forma fondamentale del pensiero; logica: sapere del pensiero, delle forme e delle regole del pensiero ciò che determina il pensiero, la logica, e ciò a cui il pensiero si rapporta, è il vero

Etica: sapere del portamento interiore dell'omo e del modo in cui esso determina il suo comportamento ciò che determina il portamento e il comportamento dell'uomo, l'etica, e ciò a cui essi si rapportano, è il bene

Logica ed etica si riferiscono rispettivamente ad un comportamento umano e alle sue leggi.

Analogamente è formato il nome estetica: sapere del comportamento sensibile, sensitivo e sentimentale dell'uomo e di ciò da cui è determinato ciò che determina il sentire dell'uomo, l'estetica, e ciò a cui esso si rapporta, è il bello

Il vero, il bene e il bello sono oggetto della logica, dell'etica e dell'estetica.

L'estetica è di conseguenza la considerazione

dello stato sentimentale dell'uomo nel suo rapporto al bello

del bello in quanto riferito allo stato sentimentale dell'uomo

Il bello stesso non è altro se non ciò che, mostrandosi, produce questo stato. Ma il bello può essere: della natura o dell'arte. Poiché dunque l'arte produce nel suo modo il bello, in quanto l'arte è arte bella, la riflessione sull'arte diventa estetica. In riferimento al sapere dell'arte e al porre la questione 545j98f dell'arte, l'estetica è quindi quella riflessione sull'arte nella quale il rapporto sentimentale dell'uomo con il bello raffigurato nell'arte costituisce l'ambito decisivo della determinazione e della fondazione, e rimane il suo punto di partenza e di arrivo. Il rapporto sentimentale con l'arte e le sue produzioni può essere quello del creare e quello del fruire e recepire.

Ora, in quanto nella considerazione estetica dell'arte l'opera d'arte viene determinata come il bello prodotto dall'arte, l'opera è rappresentata come portatrice e suscitatrice del bello in riferimento allo stato sentimentale. L'opera d'arte è posta come oggetto per un soggetto. La relazione soggetto-oggetto, e precisamente quella sentimentale, è determinante per la sua considerazione. L'opera diventa oggetto nel suo aspetto rivolto all'esperienza vissuta.

Ora, così come diciamo che un giudizio che rispetta le leggi del pensiero stabilite dalla logica è logico, in modo esattamente corrispondente trasferiamo la designazione estetico, che in verità significa soltanto il tipo di considerazione e il modo di indagine in riferimento al raporto sentimentale, a questo comportamento stesso e parliamo di sentimento estetico e di stato estetico. A rigore, lo stato sentimentale non è estetico, ma è tale da potere diventare oggetto di una considerazione estetica, la quale si chiama estetica perché fin dall'inizio mira allo stato sentimentale suscitato dal bello, riferisce tutto a esso e determina tutto in base ad esso.

Il nome estetica per indicare la riflessione sull'arte e sul bello è recente e risale al 700; ma la cosa designata in modo pertinente dal nome, il modo di porre la questione dell'arte e del bello partendo dallo stato sentimentale dei fruitori e dei produttori, è antica: antica quanto la riflessione sull'arte e sul bello nel pensiero occidentale. La riflessione filosofica sull'essenza dell'arte e del bello comincia già come estetica.

Negli ultimi decenni si sente spesso lamentare che le innumerevoli considerazioni e indagini estetiche sull'arte e sul bello non producono niente e non sono di nessun aiuto per accedere all'arte e tanto meno per creare arte e per un'educazione artistica sicura. Questo è certamente giusto e vale in particolare per quello che oggi circola ancora con il nome di estetica. Soltanto che noi non dobbiamo prendere dall'oggi i criteri per giudicare l'estetica e il suo rapporto con l'arte; infatti, se e come un'epoca sia legata ad un'estetica, se e come essa prenda posizione nei confronti dell'arte in base ad un atteggiamento estetico, è questo che in verità è decisivo per il modo in cui in tale epoca l'arte dà forma alla storia (oppure viene a mancare).

Poiché per noi l'arte è in questione come forma della volontà di potenza, cioè in generale come forma dell'essere, anzi, come la sua forma eminente, la questione dell'estetica quale specie fondamentale di riflessione sull'arte e sul sapere relativo può essere trattata soltanto in linea di principio. Soltanto con l'aiuto di una simile riflessione sull'essenza dell'estetica ci mettiamo nella condizione di capire l'interpretazione nietzscheana dell'essenza dell'arte e quindi, al tempo stesso, la presa di posizione nei confronti di essa, in modo tale che ne possa nascere un confronto reciproco.

Per connotare l'essenza dell'estetica, il suo ruolo entro il pensiero metafisico e il suo riferimento alla storia dell'arte europea, prendiamo in considerazione 6 fatti fondamentali. Ciò, in verità, non può andare oltre una semplice indicazione.

La grande arte greca rimane priva di una corrispondente riflessione speculativo-concettuale che la pensi, e che non dovrebbe essere necessariamente identica all'estetica. La mancanza di questa contemporanea riflessione speculativa sulla grande arte non vuol dire nemmeno che questa arte sia stata allora soltanto vissuta, nell'oscuro ribollire delle esperienze vissute non toccate dal concetto e dal sapere. Per fortuna i Greci non avevano le esperienze vissute, ma in compenso un sapere talmente originario e lucido, e una tale passione per il sapere, da non aver bisogno, in tale lucidità del sapere, di un'estetica.

L'estetica comincia presso i Greci soltanto nel momento in cui la grande arte, ma anche la grande filosofia che le è parallela, si avvicinano alla fine. In questo periodo, all'epoca di Platone e di Aristotele, nel contesto della formazione della filosofia vengono coniati quei concetti fondamentali che da allora definiscono l'orizzonte di ogni posizione della questione dell'arte. Si tratta anzitutto della coppia di concetti materia-forma. Questa distinzione ha la sua origine nella concezione dell'ente, fondata da Platone, che guarda al suo aspetto. Dove l'ente viene percepito come ente e viene distinto da altri enti riguardo al suo aspetto, i confini e la struttura dell'ente vengono visti come limitazione esterna e interna. Ma ciò che delimita è la forma e ciò che è delimitato la materia. A queste determinazioni viene riportato quello che compare all'orizzonte visivo non appena l'opera d'arte, come ciò che si mostra, viene esperita secondo il suo aspetto. Ciò che propriamente si mostra risplendendo più di tutte le altre cose, è il bello. Passando attraverso l'aspetto l'opera d'arte viene ad assumere la connotazione del bello.

Alla distinzione materia-forma, che riguarda l'ente in quanto tale, si unisce un secondo concetto che diventa un concetto-guida per ogni posizione della questione dell'arte: l'arte è natura. Da tempo si sa che i Greci denominano sia l'arte sia l'artigianato con la stessa parola e, corrispondentemente, sia l'artigiano sia l'artista con lo stesso nome. In corrispondenza con il più tardo uso tecnico della parola che indica sia l'arte sia l'artigianato (secondo il quale, in modo assolutamente non greco, essa designa un modo del produrre) si cerca questo contenuto anche nel significato originario e genuino della parola e si crede che questa parola significhi il fare dell'artigianato. Ora, poiché anche quelle che noi chiamiamo le belle arti venivano designate dai Greci con la stessa parola, si crede che con questo sia messa in risalto la componente artigianale dell'arte o addirittura che la pratica artistica venga ridotta ad artigianato.

Anche se evidente, questa opinione diffusa non coglie affatto nel segno, cioè non giunge alla posizione di fondo dalla quale i Greci determinano l'arte e l'opera d'arte. Ciò risulta chiaro in base ad un'altra parola fondamentale. Per coglierla nel suo vero significato, è bene stabilire il suo esatto contrario. La traduciamo con natura. Per i Greci natura è il nome primo ed essenziale per indicare l'ente in se stesso e nel suo insieme. L'ente è per i Greci ciò che si apre e viene fuori spontaneamente e senza alcuna costrizione, ciò che ritorna in sé e trapassa: l'imporsi che si apre e che ritorna in sé.

Ora, se l'uomo tenta di prendere posizione e di installarsi in mezzo all'ente a cui è esposto, se nell'affrontare l'ente procede in un certo modo o in un altro, il suo procedere contro l'ente è retto e guidato da un sapere relativo all'ente. Questo sapere si chiama natura. Tale parola non è mai, fin dall'inizio, la designazione di un fare e di un produrre, bensì di quel sapere che regge e guida ogni iniziativa umana in mezzo all'ente. Per questo natura designa spesso il sapere umano in assoluto. In particolare, poi, è considerato natura il sapere che guida e fonda quel confronto con l'ente e quel padroneggiamento dell'ente in cui, oltre agli enti già spontaneamente cresciuti, e sul loro fondamento, vengono espressamente fabbricati e prodotti altri enti nuovi, gli utensili e le opere d'arte. Ma anche qui natura non vuole mai dire un fare e un'attività artigianale come tali, ma sempre il sapere, l'aprire l'ente in quanto tale guidando con il sapere un produrre. Ora, poiché la predisposizione di utensili e la creazione di opere d'arte vengono a stare, ciascuno a suo modo, nell'immediatezza dell'esistenza quotidiana, il sapere che fa da guida in tale procedere e produrre viene chiamato natura in un senso speciale. L'artista non è un (creatore?) perché è anche un artigiano, ma perché sia il produrre opere sia il produrre utensili sono un'iniziativa dell'uomo che sa e che procede in mezzo alla natura e sul fondamento della natura. Il procedere, che va pensato in modo greco, non è tuttavia un attacco, ma un lasciar avvenire il già presente.

Ora, con l'emergere della distinzione di materia-forma, l'essenza della natura viene interpretata in una determinata direzione e perde la sua vasta forza semantica originaria. In Aristotele natura è ancora un modo del sapere, benchè soltanto uno tra gli altri. Se con la parola arte intendiamo, in un senso del tutto generale, ogni specie di capacità di produrre dell'uomo, e se concepiamo inoltre tale capacità e facoltà in un senso più originario come un sapere, allora, anche proprio nella sua accezione lata, tale parola arte corrisponde al concetto greco natura. In quanto però la natura viene poi riferita esplicitamente alla fabbricazione di cose belle e al modo in cui le si pensa, attraverso il bello la riflessione sull'arte si sposta nell'ambito dell'estetica. Ciò che in verità è racchiuso nella connotazione dell'arte come natura, apparentemente esteriore e secondo il modo di pensare corrente addirittura fuori strada, non viene mai in luce né presso i Greci né successivamente.

Non è però qui il caso di illustrare come la coppia di concetti materia-forma sia diventata lo schema capitale vero e proprio di ogni posizione della questione dell'arte e di ogni più precisa determinazione delle opere d'arte, e come la distinzione di contenuto e forma abbia finito per assolvere la funzione di quei concetti di comodo ai quali si può ricondurre ogni cosa. È sufficiente sapere che la distinzione di materia e forma nasce nell'ambito della preparazione di attrezzi (di utensili), che non è ottenuta originariamente nell'ambito dell'arte in senso stretto, cioè delle belle arti e delle loro opere, ma vi è soltanto trasferita. Quanto basta per essere presi da un dubbio profondo e persistente in merito all'efficacia di questi concetti nell'ambito del discorso sull'arte e sulle opere d'arte.

Il terzo fatto fondamentale per la storia del sapere dell'arte, il che significa ora: per la nascita e lo sviluppo dell'estetica, è di nuovo un avvenimento che non proviene direttamente dall'arte stessa e dalla riflessione su essa, ma riguarda piuttosto un mutamento di tutta la storia. È l'inizio dell'età moderna. L'uomo e il suo libero sapere, in merito a se stesso e alla sua posizione in mezzo all'ente, diventano adesso il luogo della decisione che stabilisce come l'ente vada sperimentato, determinato e configurato. Il riandare agli stati dell'uomo, al modo in cui l'uomo stesso sta in rapporto all'ente e in rapporto a se stesso, implica che adesso la libera presa di posizione dell'uomo, il suo modo di trovare e sentire le cose, in breve: il suo gusto, diventi il tribunale che giudica dell'ente. Nella metafisica ciò si manifesta nel fatto che la certezza di tutto l'essere e tutta la verità viene fondata sull'autocoscienza del singolo io: ego cogito ergo sum. Il trovarsi lì nel proprio stato, il cogito me cogitare, dà luogo anche al primo oggetto assicurato nel suo essere. Io stesso e i miei stati siamo l'ente primo e autentico; su questo ente così certo, e in base ad esso, viene misurato tutto quello che deve poter essere chiamato ente. Il mio essere in uno stato, il mio modo di sentirmi situato presso qualcosa, contribuisce in modo essenziale a determinare il modo in cui io trovo le cose e ciò che incontro.

La riflessione sul bello dell'arte si sposta e viene riferita ora in modo pronunciato ed esclusivo allo stato sentimentale dell'uomo. Non c'è da meravigliarsi del fatto che l'estetica fu fondata e praticata consapevolmente come tale nei secoli dell'età moderna. Questa è pure la ragione per la quale soltanto ora compare il nome estetica per designare un tipo di considerazione che era già preparata da tempo. L'estetica dev'essere nel campo della sensibilità e del sentimento quello che la logica è nell'ambito del pensiero; per questo si chiama anche logica della sensibilità.

Di pari passo con questo sviluppo dell'estetica e con lo sforzo di chiarire e di fondare lo stato estetico si attua nella storia dell'arte un altro processo decisivo. La grande arte e le sue opere sono grandi nel loro avvento e nel loro essere storico perché assolvono un compito decisivo nell'esistenza storica dell'uomo: quello di rendere manifesto, nel modo dell'opera, che cosa l'ente sia nel suo insieme e di conservare nell'opera questa manifestatività.

L'arte e la sua opera sono necessarie solo come cammino e soggiorno dell'uomo nei quali si apre a quest'ultimo la verità dell'ente nel suo insieme, cioè l'incondizionato, l'assoluto. La grande arte non è grande soltanto per l'alta qualità del prodotto, ma per il fatto che essa è un bisogno assoluto. In quanto essa è questo, può, anzi, dev'essere pure grande di rango; infatti soltanto sul fondamento della grandezza della sua essenzialità essa crea una possibilità di gioco in cui è possibile la grandezza di rango del prodotto.

In età moderna, con lo sviluppo del dominio dell'estetica e del rapporto estetico con l'arte, va di pari passo la decadenza della grande arte nel senso indicato. Questa decadenza non consiste nel fatto che la qualità sia peggiore e lo stile inferiore, ma nel fatto che l'arte perde la sua essenza, il riferimento diretto al suo compito fondamentale di rappresentare l'assoluto, cioè di porlo in quanto tale, in modo determinante, nell'ambito dell'uomo storico. Da qui capiamo il quarto fatto fondamentale.

Nel momento storico in cui l'estetica raggiunge la sua massima altezza, vastità e rigore di sviluppo possibili, la grande arte è alla fine. Il compimento dell'estetica ha la sua grandezza nel fatto che esso riconosce ed esprime come tale questa fine della grande arte. Questa estetica ultima e massima dell'Occidente è quella di Hegel. È stesa nelle sue Lezioni sull'estetica, tenute per l'ultima volta alla fine degli anni 20 dell'800. Non si possono contraddire queste affermazioni, e tutta la storia e i fatti accaduti che stanno alle loro spalle, obiettanto a Hegel che anche dopo gli anni 30 dell'800 possiamo annoverare più di un'opera d'arte considerevole. Hegel non ha mai inteso negare la possibilità che anche in seguito sarebbero state create e apprezzate singole opere d'arte. L'esistenza di fatto di tali opere singole, che ormai sono opere soltanto nella cerchia della fruizione estetica di alcuni ceti sociali, non parla contro Hegerl, ma proprio in suo favore. È la prova che l'arte ha perduto la potenza dell'assoluto, il suo potere assoluto. In base a ciò, nell'800 vengono determinati la posizione dell'arte e il tipo di sapere corrispondente. Indichiamolo brevemente in un quinto punto.

L'800 osa compiere ancora una volta (in relazione al decadere dell'arte che viene meno alla sua essenza) il tentativo dell'opera d'arte totale. Questo sforzo è legato al nome di Wagner. Non è un caso che esso non si limiti alla creazione delle opere che devono servire a tale finalità, ma sia accompagnato e sorretto da riflessioni di principio e dagli scritti corrispondenti. Non è qui possibile chiarire, nemmeno solo per grandi cenni, l'intricata e confusa situazione storico-spirituale alla metà dell'800. Nel decennio dal 1850 al 1860 giungono a intrecciarsi ancora una volta, in una singolare compenetrazione

la genuina e ben conservata tradizione della grande epoca del movimento tedesco

e la strisciante desolazione e sradicatezza dell'esistenza, quali vengono poi pienamente alla luce negli anni 70)

Non si potrà mai comprendere questo secolo molto ambiguo seguendo la via di una descrizione del succedersi dei suoi periodi. L'800 dev'essere circoscritto partendo dai 2 lati opposti, dagli ultimi 30 anni del 700 e dai primi 30 anni del 900.

Dobbiamo qui accontentarci di un'indicazione limitata alla problematica che ci guida. In riferimento alla posizione storica dell'arte, lo sforzo di creare l'opera d'arte totale rimane essenziale. Già il nome è significativo. Vuol dire anzitutto: le arti non debbono più essere realizzate l'una accanto all'altra, ma debbono essere congiunte in una sola opera. Ma, al di là di questa unificazione più che altro numerica e quantitativa, l'opera d'arte dev'essere una celebrazione della comunità del popolo: la religione. Le arti determinanti sono qui la poesia e la musica. Nelle intenzioni la musica dovrebbe essere un mezzo per valorizzare il dramma; in realtà, invece, la musica, nella forma dell'opera, diventa l'arte vera e propria. Il dramma ha il suo peso e la sua essenza non nell'originarietà poetica, cioè nella verità strutturata dell'opera linguistica, ma nella dimensione scenica di ciò che viene rappresentato e della grandiosa coreografia. L'architettura è considerata soltanto costruzione di teatri, la pittura scenografia, l'arte plastica raffigurazione della gestualità dell'attore. La poesia e il linguaggio restano privi della forza creatrice essenziale e decisiva propria dell'autentico sapere. Si vuole il dominio dell'arte come musica e con esso il dominio dello stato sentimentale puro: la sfrenatezza e l'ardore dei sensi, il grande spasimo, il brivido beato dello sciogliersi nel piacere, lo svanire nel mare senza fondo delle armonie, lo sprofondare nell'ebbrezza, il dissolversi nel sentimento puro come liberazione; l'esperienza vissuta in quanto tale diventa decisiva. L'opera è ormai soltanto un attivatore di esperienza vissuta. Tutto quello che va rappresentato deve servire solo da proscenio (parte anteriore del palcoscenico) e da primo piano, mirando all'impressione e all'effetto che suscita, al volere avere un effetto e al voler scuotere: teatro. Teatro e orchestra determinano l'arte.

L'essenziale della concezione dell'opera d'arte totale è: la dissoluzione di ogni elemento stabile nel languido, nell'impressionabile, nel fluente e nell'evanescente; l'immenso, senza legge, senza limite, senza chiarezza né determinatezza, l'illimitata notte del puro sprofondare. In altre parole: l'arte deve ridiventare, ancora una volta, un bisogno assoluto. Ma l'assoluto viene ormai esperito soltanto come il puro indeterminato, come la completa dissoluzione nel sentimento puro, come il fluttuare sprofondando nel nulla. Non c'è da meravigliarsi che Wagner trovasse nell'opera capitale di Schopenhauer, da lui studiata a fondo, la conferma e la spiegazione metafisica della propria arte.

Per quanto la volontà wagneriana di creare l'opera d'arte totale divenisse inevitabilmente, nella sua attuazione e nei suoi effetti, il contrario della grande arte, tale volontà rimane tuttavia unica nel suo tempo e, nonostante i molti aspetti teatrali e avventurosi, distingue Wagner dagli altri sforzi fatti per l'arte e per il suo carattere essenziale dell'esistenza. Nietzsche scrive a tale proposito: "Wagner ha senza alcun dubbio dato ai Tedeschi di questa epoca l'idea più vasta di quel che potrebbe essere un artista: la venerazione per l'artista è improvvisamente ingigantita, dappertutto egli ha suscitato nuovi giudizi di valore, nuovi desideri, nuove speranze, e non da ultimo, forse, proprio per l'essenza solo annunciatrice, incompleta e incompiuta delle sue creazioni artistiche. Chi non ha appreso da lui!".

Che il tentativo di Wagner dovesse fallire, non dipende soltanto dal predominio della musica sulle altre arti. Piuttosto, il fatto che la musica abbia potuto assumere questa preminenza ha già la sua ragione nel carattere sempre più estetico della posizione di fondo nei confronti dell'arte nel suo insieme; è la concezione e la valutazione dell'arte che parte dallo stato sentimentale puro ed è il crescente imbarbarimento dello stesso stato sentimentale, che diventa semplice borbogliare e ribollire del sentimento lasciato a se stesso.

D'altro canto, questa eccitazione dell'ebbrezza del sentimento, lo sbrigliamento degli affetti, potè essere ritenuta un salvataggio della vita, tanto più di fronte alla crescente disillusione e desolazione dell'esistenza ad opera dell'industria, della tecnica e dell'economia nel contesto di un indebolimento e di uno svuotamento della forza creativa del sapere e della tradizione, per non parlare della mancanza di ogni grande finalità dell'esistenza. L'esaltazione nell'ondeggiare dei sentimenti dovette offrire lo spazio mancante per una posizione fondata e bene inserita in mezzo all'ente, quale solo la grande poesia e il grande pensiero sono capaci di creare.

Fu questo rapimento nel tutto, che veniva dall'ebbrezza, a fare sì che l'uomo Wagner e la sua opera incantassero il giovane Nietzsche; ma ciò fu possibile soltanto perché in Nietzsche stesso vi era qualcosa che andava incontro a tutto questo, cioè quello che Nietzsche chiamò poi il dionisiaco. Ma poiché Wagner cercava la semplice esaltazione del dionisiaco e il dissolvimento in esso, mentre Nietzsche mirava a domarlo e a dargli forma, anche la rottura fra i 2 era già prefigurata.

Senza addentrarci qui nella storia del sodalizio tra Wagner e Nietzsche, indichiamo soltanto, in breve, la vera radice del contrasto che si sviluppò precocemente e in modo lento, ma sempre più chiaro e deciso. Da parte di Wagner fu una ragione personale in senso lato: Wagner non era tra coloro per i quali il massimo orrore sono i propri fedeli. Wagner aveva bisogno di wagneriani e di wagneriane. Nietzsche, invece, ha amato e venerato Wagner per tutta la vita; la sua contesa con lui fu una contesa sui contenuti, essenziale. Nietzsche attese e sperò per anni nella possibilità di un confronto fruttuoso. La sua opposizione a Wagner riguarda 2 cose:

il disprezzo del sentimento intimo e dello stile autentico da parte di Wagner. Nietzsche lo esprime una volta in questo modo: "in Wagner si tratta di fluttuare e fluire anziché di camminare e danzare (cioè vaghezza, anziché misura e cadenza)"

lo slittare in un cristianesimo moralistico ipocrita, frammisto ad ardore e delirio

Non è necessario far notare espressamente che nell'800, accanto a Wagner e anche contro Wagner, ci furono nel campo dei diversi generi artistici singole opere essenziali; sappiamo, per esempio, in quale alta considerazione Nietzsche tenesse le opere di Stifter (quasi il puro contrario di Wagner).

Ma l'unica cosa importante ora è chiedersi se, e come, l'arte fosse ancora voluta e saputa quale configurazione e conservazione determinante dell'ente nel suo insieme. La risposta è contenuta nel rimando al tentativo dell'opera d'arte totale partendo dalla musica, e dal suo necessario fallimento. Il sapere dell'arte si trasforma nell'800, corrispondentemente alla crescente incapacità di un sapere metafisico, nell'esprimere e nell'indagare i puri fatti della storia dell'arte. Ciò che nell'epoca di Herder e di Winckelmann era stato al servizio di una grandiosa autoriflessione dell'esistenza storica viene ora praticato per amore di se stesso, cioè come disciplina; incomincia la vera e propria indagine scientifica della storia dell'arte (sebbene figure come Burchhardt e Taine, del tutto diverse tra loro, non possano certo essere misurate con il parametro della pratica disciplinare).

Lo studio della poesia entra nell'ambito della filologia.

L'estetica diventa psicologia che lavora con i metodi delle scienze naturali, cioè gli stati sentimentali vengono sottoposti per se stessi all'esperimento, all'osservazione e alla misurazione come dati di fatto che si verificano (anche qui Vischer e Dilthey sono eccezioni, sorretti e guidati dalla tradizione di Hegel e Schiller).

La storia della poesia e delle arti figurative consiste nella possibilità che se ne dia una scienza in grado di portare alla luce conoscenze importanti e al tempo stesso di mantenere vigile una disciplina del pensiero.

La cura di queste scienze è ritenuta l'autentica realtà dello spirito. La scienza stessa è, al pari dell'arte, una manifestazione e un campo dell'attività culturale. Dove però la dimensione estetica non diventa oggetto d'indagine scientifica, ma determina l'atteggiamento dell'uomo, lo stato estetico diventa uno stato accanto ad altri possibili, come quello politico o scientifico; l'uomo estetico è un prodotto dell'800.

Ma la cultura non può non esserci, poiché l'uomo deve progredire (verso dove?? Nessuno lo sa, né più nessuno lo chiede seriamente). E poi abbiamo ancora il nostro cristianesimo e la nostra Chiesa, che diventano ormai essenziali più sul piano politico che su quello religioso.

Il mondo viene visto e valutato a seconda della sua efficacia per la produzione dello stato estetico. L'uomo estetico si crede protetto e legittimato nell'insieme di una cultura.

In tutto questo c'è ancora molto fervore e molto lavoro, a volte anche gusto e richieste genuine. Esso tuttavia rimane soltanto il proscenio di quell'accadere che Nietzsche per primo riconobbe ed enunciò in tutta chiarezza, il nichilismo. Con ciò arriviamo all'indicazione dell'ultimo fatto fondamentale, del quale conosciamo già il contenuto, ma che necessita ora di un'esplicita determinazione.

Ciò che Hegel enunciò riguardo all'arte (l'avere essa perduto la potenza di configurare e preservare l'assoluto in modo determinante) Nietzsche lo riconobbe riguardo ai valori supremi, religione, morale, filosofia: il venire meno e la mancanza della forza creativa e del carattere vincolante nella fondazione dell'esistenza storica dell'uomo sull'ente nel suo insieme.

Ma mentre per Hegel l'arte, a differenza della religione, della morale e della filosofia, cadde vittima del nichilismo, divenendo qualcosa di passato e di non reale, Nietzsche cerca nell'arte il contromovimento. Qui si vede, nonostante l'essenziale distacco da Wagner, un influsso della volontà wagneriana di creare l'opera d'arte totale. Mentre per Hegel l'arte, come qualcosa di passato, divenne oggetto del sapere speculativo sommo, mentre l'estetica di Hegel si sviluppò nella metafisica dello spirito, la riflessione di Nietzsche sull'arte divenne una fisiologia dell'arte.

Quindi non è nemmeno più psicologia, come altrimenti è nell'800, ma indagine scientifica degli stati e dei processi corporali e delle cause che li provocano.

Dobbiamo tenere presente questo stato di cose:

da un lato l'arte nella sua determinazione storica quale contromovimento che si oppone al nichilismo

dall'altro il sapere dell'arte che è fisiologia; l'arte viene rimessa alla spiegazione propria delle scienze naturali, viene scaricata nell'ambito della scienza dei fatti

Qui, in effetti, la posizione estetica della questione dell'arte è pensata fino in fondo nelle sue ultime conseguenze. Lo stato sentimentale va riportato alle eccitazioni dei funicoli nervosi, a stati corporali.

Con ciò la posizione di fondo di Nietzsche nei confronti dell'arte è determinata meglio nella sua realtà storica e, al tempo stesso, è determinata meglio anche la specie del suo sapere e voler sapere dell'arte: l'estetica come fisiologia applicata. Entrambe le cose sono però inserite nel vasto contesto della storia dell'arte, nel suo riferimento al rispettivo sapere dell'arte.





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