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IL GIUDIZIO SOCIALE - GLI ATTEGGIAMENTI

psicologia



IL GIUDIZIO SOCIALE


Le persone, oltre a conoscere il proprio mondo lo valutano percui gli atteggiamenti, le impressioni che ci si forma circa le altre persone, la reputazione di cui esse godono sono elementi che possono aiutare a capire il giudizio sociale e quindi i comportamenti dell'attore sociale.


1. GLI ATTEGGIAMENTI

Il termine atteggiamento è stato utilizzato per la prima volta nella ricerca di due sociologi, Thomas e Znaniecki, nel 1918, i quali lo definirono come un processo della coscienza individuale che determina l'azione.

Gli atteggiamenti possono essere inclusi nei valori sociali: infatti, gli atteggiamenti vengono concepiti come relativi ad un singolo oggetto mentre i sistemi di valore sono degli orientamenti  verso intere classi di oggetti.

Gli atteggiamenti individuali sono spesso organizzati entro un sistema di valori.

La prima definizione di atteggiamento (piuttosto generica) fu quella di Gordon Allport, il quale lo considerava uno stato mentale o neurologico di prontezza, organizzata attraverso l'esperienza, che esercita un'influenza direttiva o dinamica sulla risposta dell'individuo nei confronti di ogni oggetto o situazione con cui entra in relazione. 

Questa definizione mette in evidenza il fatto che si parla di uno stato non direttamente osservabile e che si tratta di una variabile che interviene fra lo stimolo e la risposta.



La concezione tripartita degli atteggiamenti ha conosciuto una particolare diffusione e si basa sul concetto che l'atteggiamento è un costrutto psicologico costituito da 3 componenti di natura diversa:

componente cognitiva (le informazioni e le credenze che gli individui possiedono a proposito dell'oggetto a cui si volge l'attenzione);

componente affettiva (la reazione emotiva che l'oggetto suscita);

componente comportamentale (l'azione di avvicinam 212h73c ento o esitamento rispetto all'oggetto).

La componente più studiata è stata sicuramente quella affettiva.

Più di recente, nell'ottica della social cognition, si tende a considerare l'atteggiamento come una struttura cognitiva costituita dall'associazione in memoria fra la rappresentazione dell'oggetto e la sua valutazione. In quanto struttura cognitiva, è caratterizzata da disponibilità e accessibilità.

L'idea che l'atteggiamento sia una struttura cognitiva non si contrappone alla concezione propria del modello tripartito.

Il punto innovativo di questa concezione sta nel fatto di introdurre un ulteriore parametro che caratterizza gli atteggiamenti, ovvero la forza dell'associazione fra oggetto e valutazione: infatti, un orientamento può essere lo stesso (più o meno favorevole) ma avere un diverso grado di sicurezza.

Le principali modalità di formazione degli atteggiamenti, attraverso le quali arriviamo a definire un orientamento verso un determinato oggetto, sono 3:

esperienza diretta (costituito da una forte associazione depositata in memoria fra la rappresentazione dell'oggetto stesso e la sua valutazione; questo tipo di atteggiamento risulta completamente memory-based);

osservazione dell'esperienza altrui (minor forza lega la rappresentazione dell'oggetto e la sua valutazione);

comunicazione (forza ancora minore).

La formazione degli atteggiamenti attraverso gli ultimi due casi sono anche meno resistenti al cambiamento percui l'esperienza diretta successiva può cambiare completamente la valutazione.

Un'altra modalità di formazione degli atteggiamenti è l'effetto di mera esposizione, cioè l'esposizione ripetuta ad uno stimolo nuovo per l'individuo: infatti, quanto più le persone hanno la possibilità di osservare lo stimolo, tanto più lo giudicano piacevole.

Anche se la prima reazione di fronte aduno stimolo nuovo sarebbe l'evitamento, le successive esposizioni farebbero diminuire questa reazione negativa.


Come si misurano gli atteggiamenti


A partire dagli anni '20 alcuni studiosi si dedicarono alla messa a punto di metodi per la misurazione degli atteggiamenti, come la scala Likert e il metodo del differenziale semantico).

Queste misurazioni partono dall'assunto che gli atteggiamenti non si osservano ma possono essere dedotti da alcuni indicatori come le risposte manifeste delle persone o i loro comportamenti, i quali permettono di risalire alla posizione che l'individuo occupa nella dimensione valutativa d un dato oggetto.

Nella scala Likert, vengono presentate delle affermazioni, ciascuna delle quali è seguita da una risposta a scelta multipla fra opzioni che vanno da "fortemente daccordo" a "fortemente in disaccordo"; ad ognuna di queste opzioni viene attribuito un codice numerico (da 5 a 1) che consente di effettuare varie operazioni.

Il metodo del differenziale semantico, invece, è costituito da un insieme di coppie di aggettivi opposti separati da (in genere) 7 spazi che rappresentano una gradazione da uno all'altro cosicché si possa scegliere lo spazio che rappresenta meglio la propria valutazione dell'oggetto in questione.

Queste scale per la misurazione degli atteggiamenti possono essere considerate tecniche indirette in quanto il soggetto riporta il proprio punto di vista rispondendo a delle domande che rimangono totalmente sotto il suo controllo quindi il rischio è quello di raccogliere dati frutto della desiderabilità sociale piuttosto che della realtà del fenomeno.

Per queste ragioni a volte gli studiosi impiegano tecniche meno dirette di misurazione, come le reazioni fisiologiche (la risposta elettrogalvanica della pelle o l'attività dei muscoli del viso) che l'oggetto di atteggiamento induce nel soggetto.

Questo genere di misure risolvono il problema della distorsione delle risposte sulla base della loro desiderabilità sociale però rimangono molto intrusive (richiedono molta collaborazione da parte del soggetto) e complicate.

Recentemente si ricorre sempre più spesso alla misura del tempo di latenza nell'espressione della risposta stessa perchè la velocità di risposta indica un alto livello di accessibilità dell'atteggiamento e anche un forte grado di coinvolgimento del soggetto rispetto alla tematica.


Prevedere il comportamento a partire dall'atteggiamento.


A partire dagli anni '60 si capì che non sempre conoscere gli atteggiamenti delle persone (attraverso le risposte ai questionari) serviva per prevedere i loro comportamenti. Il problema della coerenza fra atteggiamenti e comportamenti portò a formulare la teoria dell'azione ragionata, che si proponeva di integrare gli atteggiamenti come un fattore del comportamento con altri fattori, come l'intenzione.

L'intenzione, a sua volta, è il prodotto delle credenze che l'individuo ha circa le conseguenze del suo comportamento e delle norme condivise sui comportamenti adeguati in determinate situazioni (fornite dall'ambiente circostante).

Quindi, i fattori causali del comportamento sono le norme sociali e la motivazione individuale ad aderire a tali aspettative dei gruppi di riferimento.

Le prime critiche a questa proposta concettuale sono state all'assunto di controllabilità dei comportamenti, che non tutti sono facilmente controllabili dall'individuo, come quelli che derivano da un'abitudine consolidata, da una dipendenza, da stati emotivi acuti (arrossire).


Il cambiamento degli atteggiamenti


Nonostante la tendenza al conservatorismo cognitivo, gli atteggiamento possono subire cambiamenti nel corso del tempo:

a causa dell'esposizione alla comunicazione persuasiva (un messaggio in cui si sostiene la validità di un'opinione oppure l'opportunità di adottare un certo comportamento, metodo applicato soprattutto nel campo della propaganda politica e della pubblicità);

attraverso processi individuali, come la ripetuta esposizione allo stimolo;

teoria della dissonanza cognitiva, secondo la quale l'individuo ha la necessità di mantenere la coerenza fra le cognizioni che possiede circa se stesso, il proprio comportamento e l'ambiente; se non si verifica questa coerenza, l'individuo sente un disagio emotivo che cerca di rimuovere riducendo la dissonanza attraverso varie strategie.

Il problema della formulazione di una teoria generale del cambiamento degli atteggiamenti è stato affrontato attraverso due proposte teoriche formulate all'inizio degli anni '80: si tratta dei modelli a 2 percorsi:

il modello della probabilità di elaborazione;

il modello euristico-sistematico.

Per entrambi il cambiamento degli atteggiamenti è l'esito di due processi di natura diversa.

Il modello della probabilità di elaborazione prevede che il cambiamento di atteggiamento che può derivare da un messaggio persuasivo è l'esito di due possibili percorsi:

percorso centrale (processo di elaborazione attenta e di riflessione accurata sulle argomentazioni e sulle informazioni contenute nel messaggio);

percorso periferico (basato su elementi che hanno a che vedere con il modo con cui le informazioni sono presentate, come l'attrattività della fonte, l'associazione del messaggio con una musica piacevole o con colori vivaci).

I cambiamenti che risultano soprattutto da un percorso centrale sono più persistenti dal punto di vista temporale e mostrano una maggior resistenza alla contropersuasione rispetto ai cambiamenti dovuti ai segnali periferici.

Il secondo modello duale, quello euristico-sistematico, prevede due processi di natura diversa:

processo sistematico, che coincide con il percorso centrale, cioè l'elaborazione approfondita delle informazioni contenute nel messaggio;

processo euristico, che consiste nel raggiungimento di un'opinione finale attraverso la semplice applicazione di un'euristica (regola di decisione); come il percorso periferico, si tratta di una strategia di risparmio di energie cognitive resa possibile da precedenti esperienze.

Queste due modalità di elaborazione, però, non si escludono a vicenda.



2. LA FORMAZIONE DELLE IMPRESSIONI

Nella rappresentazione del mondo sociale un posto importantissimo è riservato alle altre persone.

Solomon Asch si è preoccupato del problema di individuare il processo attraverso il quale arriviamo ad una rappresentazione delle persone, affermando che le persone si formano prima un'impressione globale entro la quale fanno poi rientrare le ulteriori informazioni che li descrivono.

Concepiamo cioè le persone come unità psicologiche: è questa l'idea alla base del suo modello configurazionale, basato su un approccio di tipo olistico che rimanda all'impostazione gestaltista di Asch.

Secondo l'effetto primacy, i primi tratti servono a formare la prima impressione ed hanno un effetto molto superiore rispetto a quelli successivi; vengono quindi utilizzati per interpretare i tratti seguenti.

Infatti, i tratti negativi non sembrano poi tanto tali quando devono essere interpretati alla luce di una serie di qualità positive gia considerate, e viceversa.

L'interpretazione che Anderson fa degli studi di Asch e dei suoi risultati arriva alla conclusione che l'effetto primacy è dovuto semplicemente ad un calo di attenzione che si verifica man mano che l'individuo procede nella lettura dei tratti.

Per questo propone un modello algebrico secondo il quale l'impressione è il frutto dell'integrazione algebrica delle connotazioni attribuite ai vari tratti, cioè della media ponderata delle informazioni a disposizione.

Alla fine degli anni '80 il modello di Asch e quello di Anderson vengono integrati in una proposta concettuale secondo la quale nella formazione delle impressioni intervengono diversi processi a seconda delle condizioni nelle quali si attuano.

La formazione delle impressioni è quindi vista come il prodotto di un continuum di elaborazione, suddiviso in vari stadi; infatti, di fronte ad uno sconosciuto:

si formula un'impressione a partire dalle appartenenze categoriali più evidenti (sesso, fascia di età, razza, livello sociale determinato in base a qualche stereotipo), il che richiede pochissimo sforzo di attenzione ed elaborazione in quanto l'impressione è raggiunta più o meno automaticamente; questa prima formulazione risulta soddisfacente nel caso in cui la persona in questione ha scarsa rilevanza rispetto agli scopi del soggetto;

se la persona è più rilevante, si procede ad una elaborazione più approfondita che richiede maggiore attenzione alle informazioni disponibili; in questa fase:

a-  se le informazioni formulate su base categoriale corrispondono ai dati della realtà, il soggetto continuerà ad utilizzare prevalentemente un processo di categorizzazione confermativa;

b-  se invece il soggetto percepisce una certa incongruenza fra la prima categorizzazione e le informazione acquisite successivamente, procederà ad una ricategorizzazione.

Nella formulazione di impressioni vengono utilizzate anche le cosiddette teorie implicite di personalità, che consistono nell'attribuire determinati tratti di personalità a partire da altre informazioni riguardanti i tratti o determinate caratteristiche di un soggetto.

Queste teorie implicite di personalità possono risultare scorrette e comunque esiste la tendenza a non metterle in discussione, a non verificarle. In esse sono sempre presenti idee fisse date per scontate e pregiudizi.



3. LA FORMAZIONE DELLA REPUTAZIONE

Le impressioni che le persone si formano le une delle altre costituiscono uno degli argomenti essenziali nella comunicazione.

Le fonti delle informazioni sugli altri, cioè le modalità per conoscere gli altri sono 3:

l'osservazione diretta del comportamento

l'ascolto di ciò che gli altri vogliono rivelare di sé;

la ricezione di informazioni da terzi (che forma la reputazione).

Nicholas Emler definisce la reputazione come un giudizio formulato da una comunità su un individuo in particolare.

È dunque una forma di conoscenza del mondo sociale mediata dall'esperienza degli altri, che si costruisce nella comunicazione fra i membri dei gruppi.

Infatti, perchè un individuo abbia una reputazione sono necessarie 3 condizioni:

che faccia parte di una comunità con membri relativamente stabili;

che questi parlino fra loro del comportamento e delle qualità altrui;

che le persone siano legate tra di loro in una rete di conoscenze anche indirette.

Funzioni della reputazione:

assicurare scambi cooperativi (in quanto l'organizzazione umana in sistemi sociali richiede la coordinazione e la pianificazione degli sforzi) grazie ad una certa forma di controllo sociale sulle persone potenzialmente dannose grazie all'anticipazione delle scelte altrui (informandoci da terzi circa le abitudini, i comportamenti passati, ecc.);

autocontrollo e gestione delle informazioni personali: infatti, anche l'individuo ha interesse a mantenere una reputazione positiva e anzi, le opportunità di accesso alle interazioni di cui può godere sono in relazione al credito morale che matura all'interno della propria comunità mettendo in atto comportamenti socialmente approvati.

La reputazione, inoltre, è specifica dei contesti, e questo e; dovuto non solo al fatto che ci si comporta in modo diverso a seconda del contesto in cui ci troviamo, ma anche alle aspettative diverse e ai sistemi di norme e valori differenti per ogni gruppo sociale.

Il singolo individuo, attraverso i suoi comportamenti, cerca di controllare e in qualche modo gestire la sua reputazione.

Infatti, la reputazione è il risultato del confronto fra le prime impressioni e quelle formate nel tempo in occasione delle interazioni comunicative fra i membri di una comunità.

L'individuo non può controllare interamente l'esito finale di questo processo perché la reputazione, una volta stabilizzatasi, diventa difficilmente modificabile.

Secondo i teorici dell'etichettamento, quando la reputazione di cui un individuo gode è negativa diventa una forma di etichettamento morale che produce una sorta di circolo vizioso poiché l'individuo finirà per soddisfare le aspettative che gli altri nutrono nei suoi confronti.

Infatti, la reputazione è una sorta di estensione del Sé.






4. PERCEPIRE LE PERSONE E I GRUPPI

Nella tradizione psicosociale, il modo in cui si formano le impressioni sulle persone e quello attraverso il quale si percepiscono i gruppi sono stati affrontati in ambiti separati ma recentemente alcuni autori propongono la tesi secondo la quale la percezione sociale sia degli individui che dei gruppi è dovuta agli stessi processi.

Spesso gli individui pensano che la personalità sia unitaria e quindi coerente. A partire da questo presupposta coerenza operano inferenze sulla base di alcune informazioni a disposizione circa le caratteristiche personali degli altri.

Inoltre, si presuppone anche una certa coerenza nel tempo fra tratti e comportamenti, ciò che porta a risolvere eventuali incongruenze attraverso attribuzioni causali.

La percezione configurazionale dei gruppi si basa sull'entitatività. Questo termine, coniato da Campbell, si riferisce al fatto che le persone percepiscono un certo livello di unità anche nei gruppi.




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