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DIVERSITÀ, DEVIANZE E TERAPIE - Premessa - Nota sul concetto di interazione

psicologia



diversità, devianze e terapie

Salvini, Galieni



Premessa - Nota sul concetto di interazione



Contesto interattivo: pluralità di situazioni in cui gli individui scoprono un ruolo, un'identità, delle regole. I contesti esistono solo in presenza delle persone e della loro capacità di dare un senso ad un'azione.

L'esperienza soggettiva scorre su piani diversi e ha significati mutevoli. Le percezioni e l'esperienza sono l'effetto retroattivo delle azioni per trovare soluzioni nell'adattamento al mondo.

Gli psicologi si confrontano con realtà già costruite (di second'ordine).




Interazione: nessuna scelta è libera dall'informazione su cui si fonda. L'informazione è selezionata dalla stessa persona che opera la scelta. Nessuna scelta è determinata dall'ambiente, ma l'ambiente fornisce le informazioni usate per la scelta.

Interazione simbolica: compresenza (fisica o mentale) dell'Altro. Per interazione non si intende l'individuo e la situazione sociale come entità in relazione ma separate, quanto piuttosto di una finzione teorica, non soggetta a nessun criterio di verità, ma solo ad un criterio di adeguatezza.

Orientamento interazionista in psicoterapia: riferimento costruttivista di tipo socio-cognitivo (interazionismo simbolico) + metodiche delle terapie strategiche e cognitive. Configura comportamenti e stati mentali problematici come tentativi disfunzionali di adattamento dell'organizzazione personale.

1. Ipotesi per una terapia cognitiva di alcune forme di allucinazione uditiva



1. Premessa


Dubbio sull'utilità della categorizzazione psichiatrica indirizzare la ricerca verso i processi mentali e neurologici sottostanti le allucinazioni uditive.

La valutazione di quanto un'allucinazione uditiva sia un fatto delirante può essere utile a valutare il grado di compromissione della realtà percepita.

Allucinazioni uditive modalità cognitive non dissimili da quelle consuete continuità tra i processi mentali usuali e quelli più insoliti.

Le voci tendono a ricalcare episodi e copioni sistema di credenze costrutti narrativi.



2. Reperti


Vasto campionario di allucinazione uditive manifestato ovunque e in ogni tempo (v. bibbia). Le allucinazioni vengono rispettate se a contenuto religioso, e tollerate se di intellettuali eccentrici.

Secondo la psichiatria, in genere sono considerate epifenomeni o sintomi di psicosi e deliri.



3. Voci della mente


Reazioni dei soggetti: alcuni ridono, altri sono terrorizzati; ricorrono a cure mediche, a pratiche esoteriche, ad ausili religiosi o a trattamenti psicologici. La maggior parte convive in silenzio, per la paura di essere etichettati come folli.

Bentall: spesso sono individui intelligenti e sensibili, che lottano per dare senso ad un mondo confuso. Quando sperimentano un qualunque evento tendono a presumere o a costruire un qualcosa che percepiscono realmente.

Evento attivante: secondo ricercatori e psicoterapeuti cognitivisti, sarebbe la causa delle allucinazioni. Gli individui si sforzano di dare un senso all'evento, costruendo l'esperienza che poi riferiscono, amplificata dall'effetto di realtà (§ 7).

Non sempre l'origine delle voci è inspiegabile: sintomo di sindromi schizofreniche; dopo periodi prolungati di isolamento e solitudine; in situazioni di deprivazione sensoriale; durante l'infanzia la presenza di amici immaginari; dopo una suggestione.



4. Ipotesi neuropsicologiche


Teoria dell'output: possibile parlare a se stessi con un linguaggio subvocale, che non genera suoni, ma attiva i muscoli che regolano l'articolazione della parola. Se il linguaggio subvocale è attribuito ad altro al di fuori di sé, potrebbero comparire le allucinazioni uditive.

Gli uditori di voci sarebbero allora ascoltatori di se stessi, con un inconsapevole ruolo attivo processo dissociativo impossibilità di riconoscere il proprio pensiero nelle voci che ascoltano.



5. Schemi linguistici ed espedienti dissociativi


La "personalizzazione" delle voci (attribuzione di qualità, di caratteristiche, di identità) sarebbero delle tentate soluzioni isolare e distaccare il fenomeno dalla propria coscienza reificazione del fenomeno = rinforzo del processo dissociativo alla base del disturbo.

Personificazione delle voci rinforzo delle attribuzioni di causa spiegazione del perché di un evento aumento dell'attesa e della probabilità della ripetizione dell'evento.



6. I generi discorsivi codificati


La maggior parte delle allucinazioni uditive sono generi discorsivi codificati, non estranei alle conoscenze ed esperienze del soggetto generi immaginativi e discorsivi già presenti nell'esperienza.

L'uditore di voci trasforma ciò che sente nell'atto comunicativo intenzionale di un altro e attribuisce un senso a ciò che pensa di ascoltare utilizzando i propri riferimenti culturali e personali.

Anche se siamo portati a dimenticarlo, l'influenza della cornice culturale sulle allucinazioni è lampante (es. la sempre minore esperienza di allucinazioni uditive divine o diaboliche).

Jaines: udire voci sarebbe una disposizione latente arcaica, presente in tutti noi, che affiorerebbe in situazioni di stress (anche emozionale) o di malattia, in individui predisposti in particolari contesti.



7. Allucinazioni uditive come delirio


Delirio: falsa credenza infondata e illogica.

Il termine delirio può essere applicato alle spiegazioni del fenomeno date dall'uditore di voci.

Il clinico però può considerare deliranti certe credenze solo perché devianti le preoccupazioni morali più che il fenomeno in sé suggeriscono un trattamento psichiatrico.

Quello che può sembrare un delirio, può essere l'effetto di ragionamenti normali applicati a fatti insoliti l'effetto di realtà delle voci è talmente forte che spinge il soggetto a cercare di spiegarle con saperi accessibili cautela per i giudizi svalutativi portati dal concetto di delirio.



8. La psicoterapia


Psicoterapia cognitiva ad orientamento interazionista

Presupposti 1. Frammenti di pensieri e di emozioni subvocali tendono ad essere tradotti in voci attribuite ad un altro.

2. Le credenze alimentano il copione allucinatorio facilmente rievocabile.

3. L'evento attivante e il contenuto provocano ansia e paura.


Obiettivi 1. Mettere in condizione l'uditore di voci di conviverci, accettarle eliminare ansia e paura.

2. Modificare la vulnerabilità psicologica individuale.

3. Modificare il sistema di credenze e i processi che alimentano il fenomeno.


Tecniche 1. Identificare le situazioni che agiscono sulla presenza di voci incoraggiare il paziente ad evocarle ed eliminarle.

2. Fare immaginare cambiamento di frasi indebolire la credenza retrostante.

3. Ristrutturare il significato attribuito alle intenzioni della voce l'interazione tra la voce e il paziente è spesso governata da un copione relazionale.

Cercare di modificare le credenze del soggetto riguardo le voci, riportandole sotto il suo controllo consapevole.


Resistenze al cambiamento: in funzione della conservazione del proprio senso di identità, il soggetto tende a frequentare situazioni e ruoli che lo confermino. La psicoterapia può essere minacciosa, perché rinunciare alle voci significa cambiare un equilibrio psicologico.

Le voci possono svolgere la funzione di difesa psicologica del sé: consentono di esportare le valutazioni negative su di sé attribuendole ad una voce non riconosciuta come propria difficile rinunciarvi.

Se il soggetto ha ottenuto un ruolo sociale positivo dall'udire le voci (portatore di poteri soprannaturali, illuminato dalla voce della madonna.) può volere continuare a sentirle.











2. La terapia cognitiva delle fobie attraverso la realtà virtuale



2. La terapia delle fobie in Ambiente Virtuale


In una situazione fobica, la R.V. può migliorare l'efficacia delle terapie tradizionali:

a. Maggior coinvolgimento paziente in una situazione realistica.

b. Personalizzazione del trattamento varietà di quadri fobici.

Situazione fobica SIMULATA minor reattività ansiosa riscontro di autoefficacia + senso di controllo sull'esplorazione delle proprie risposte emozionali.


Il terapeuta inoltre può osservare le reazione del paziente, analizzare il suo modo di interpretare un evento, monitorare situazioni e stimoli.



3. La R.V. applicata alla psicoterapia


Rappresentazione grafica e sonora di uno spazio tridimensionale. Il soggetto si immerge con un casco e un guanto percezione realistica più o meno accentuata.

Grado di realismo importante variabile nella psicoterapia delle fobie, a cui contribuisce anche il paziente con la sua organizzazione cognitiva e le sue attese.

Controllo: variabile centrale del disturbo E del cambiamento terapeutico.

Per pianificare un intervento clinico, il terapeuta deve partire da un'ipotesi teorica sull'organizzazione disfunzionale del paziente non è un trattamento clinico affidato ad una macchina.


3.1 La prospettiva del terapeuta


Perché la R.V. sia terapeutica:

a.    Riferimento teorico: ipotesi sugli stati e i processi mentali del soggetto fobico;

b.    Progetto per costruire l'ambiente virtuale;

c. Strategia per guidare le procedure e le tattiche del terapeuta.

Il terapeuta ha la possibilità di avere un costante feedback sulle sue ipotesi.



4. Modello, obiettivi e programma terapeutico


4.1 Il disturbo fobico come processo interattivo


Modello di riferimento: cognitivista di tipo interazionista, con particolare risalto all'autoregolazione (disfunzionali) con cui il disturbo viene generato e mantenuto dal paziente.

Il terapeuta lo induce a modificare la percezione delle situazioni vissute come minacciose, con una ristrutturazione autocorrettive.

La R.V. può essere utile per cambiare:

a.    Costrutti attribuzionale del paziente (significati, spiegazioni, credenze); ATTRIBUZIONI

b.    Generi narrativi che definiscono la situazione come minacciosa;    NARRAZIONI

c. Percezioni e rappresentazioni di sé rispetto all'evento minacciante. DEFINIZIONI DI SE'

Attribuzioni, narrazioni, definizioni di sé + strategie di evitamento + schemi di attivazione emozionale accentuazione dell'allarme fobico.

La R.V. si propone di incidere sull'esperienza del paziente:

a. Processo autoregolativo interno (risposte psicofisiologiche)

b. Processo autoregolativo esterno (controllo dello stimolo fobico virtuale).


4.2 Aspetti rilevanti del problema


Disturbo fobico risultato di processi psicologici e relativi schemi organizzatori attivata una risposta di paura alla percezione di situazioni il cui gradiente di minaccia è debole o improbabile.

Forme adattive di tipo difensivo (es. evitamento), DISFUNZIONALI sul piano dell'adattamento sociale.

I racconti di soggetti fobici utilizzano rappresentazioni e generi discorsivi culturalmente preordinati attenzione focalizzata su certi stimoli a. Allevia la paura e l'ansia 535j91f ;

b. Convalida la natura pericolosa dell'evento.

Si crea uno schema interattivo a cui porzioni dell'identità del soggetto finiscono per essere vincolate mantenimento + resistenza al cambiamento.


4.3 Gli obiettivi terapeutici


Obiettivo: far acquisire al paziente sempre più confidenza e controllo dello stimolo fobico vivere esperienze emozionali correttive.

Perché la R.V.:

a.  Ricostruisce il contesto fobico con le rappresentazioni che ne dà il paziente;

b.  Consente la scoperta dei processi taciti e gli effetti impliciti delle strategie di evitamento;

c.   Mette il paziente in condizioni di decidere quali stimoli fobici voglia provare ad affrontare;

d.  Fa sperimentare al paziente nuove possibilità autoregolative con elevato grado id autoefficacia.



5. La progettazione dell'Ambiente Virtuale


L'ambiente di vita viene fotografato nei minimi dettagli + registrazione di rumori ambientali rilevabili intensificare la sensazione di trovarsi proprio in quel contesto.

Gli stimoli fobici (insetti) sono dotati di movimenti automatici + pilotati dal terapeuta.

1° computer: interazione con l'ambiente virtuale dal punto di vista dello stimolo fobico possibilità di guidarne i movimenti rispetto al soggetto.

2° computer: immersione del paziente nell'ambiente virtuale.

A seconda delle fasi il paziente può gestire i propri spostamenti in vari modi.

Uno dei terapeuti si occupa della registrazione degli indici psicofisiologici.

All'inizio di ogni seduta c'è una fase di rilassamento: rilevazione di frequenza cardiaca e dell'attività elettrodermica; usati anche come bio-feedback per influire sulla risposta cognitivo-emotiva del soggetto.



6. La sperimentazione del protocollo terapeutico


7 sedute sperimentali, con 3 o 4 sessioni alla volta.

La durata delle sessioni è di 12-15 minuti, con 30-50 minuti di pausa tra l'una e l'altra per evitare i fastidiosi disturbi legati all'immersione in realtà virtuale.


6.1 Le sedute di terapia


1a seduta

1a sessione: addestramento e rilevazione della vaseline degli indici fisiologici del soggetto senza apparecchiature.

2a sessione: rilevazione degli indici fisiologici con apparecchiature; guardare due stimoli fobici all'esterno del vetro della finestra (virtuale).

3a sessione: calabrone viene fatto entrare e vengono sfiorati braccia e collo del soggetto.

rilevazione di picchi di attivazione simulazione virtuale ha un forte potere realistico.


2a/6a seduta

4 minuti di rilassamento: segnali psicofisiologici di tranquillità (per confronto) + allenare il soggetto a sperimentare una condizione propriocettiva positiva da richiamare durante la situazione fobica.

Attivazione del casco: entrata nell'ambiente virtuale fobico.


4a seduta

La paziente ha avuto il controllo attivo sullo stimolo (avvicinare, allontanare gli stimoli fobici).


6a-7a seduta

La paziente ha avuto la possibilità di muoversi nell'ambiente virtuale; passato in cuffia il segnale manipolato del suo battito cardiaco per eliminare il mantenimento corrispettivo tra stato mentale e ansia.


6.2 Annotazioni sulla terapia


Realismo costruito: l'immersione in ambiente virutale è ancora più realistica con gli apporti del soggetto.

Scambi verbali tra terapeuta e paziente: non avvertiti come insoliti, e sono risultati contenuti e mirati.

Effetti dell'agire - Ristrutturazione attraverso l'azione: la comunicazione si sposta sul piano dell'agire, del percepire e sugli effetti retroattivi nei processi autoregolativi.

Tendenze difensive: recidiva probabile con un trattamento con la R.V. che è più centrato sul problema che sul cambiamento.

Il follow-up a tre mesi indica una tenuta nella ristrutturazione provocata dalle esperienze emozionali correttive in R.V., risultato comunque non generalizzabile a tutti i pazienti.

Per il momento la R.V. è limitata alle monofobie.

3. Il transessuale e la riorganizzazione dell' identità di genere



1. Premessa


Tre livelli problematici:

Origine in parte ignota: neurobiologica? Psichiatrica? Sessuale?

Trattamento ormonale e interventi sui caratteri primari della morfologia sessuale + riconoscimento giuridico-sociale.

Travagli psicologici che precedono e accompagnano il cambiamento di genere, costruzione emantenimento di un'identità di genere accettabile sofferenza emotiva, disadattamento sociale, conflitto cognitivo, smarrimento esistenziale.



2. La prospettiva clinica


La psicoterapia può essere utile al transessuale per aiutarlo a gestire il disagio, non curare qualcosa. Qualunque sia il modello teorico, bisogna considerare il punto di vista del soggetto e il suo sistema di significati comprensione NON spiegazione.

Il soggetto è considerato esperto su di sé.

La psicoterapia si avvale di un metodo storico-clinico ricostruire le narrazione ed eventualmente modificare l'esperienza.



3. Il punto di vista dell'altro come problema


Aspetti della rappresentazione di sé dipendono dal punto di vista dell'altro sessualmente complementare. Questo è particolarmente importante nella psicologia del transessuale, perché ospita in una parte di sé il punto di vista dell'altro come esperienza e immagine ideale.

I transessuali sono problematizzati da: a. Il riconoscimento o meno di un'identità sessuale dagli altri;

b. Giudizio interiorizzato che usano verso se stessi.

Data la sua storia, il transessuale entra in contatto con punti di vista diversi il suo mondo interno può essere conflittuale. Pur sentendosi donna (o uomo), sarà sempre legato a quella parte di sé che è il ruolo a cui è stato inizialmente assegnato, ma che nessun trattamento può modificare. Non è possibile dimenticare del tutto l'altro che è stato. Pur non riconoscendolo, ne ha imparato comunque gli schemi. Infatti a volte, è più facile al transessuale indovinare le intenzioni e le attese proprie al suo vecchio ruolo sessuale, rispetto a quello nuovo di cui è meno competente. La costruzione del suo nuovo ruolo può avvenire selezionando tratti percepiti come significativi per il suo precedente ruolo sessuale, che conosce meglio.

Il punto di vista dell'altro è anche costruito attraverso la mediazione culturale delle piccole comunità di transessuali, che gli offrono consigli, sostegno, modelli normativi e copioni di comportamento, a volte influenzando o facilitando alcune scelte devianti.

È preso da una doppia dipendenza: lo sguardo dell'altro e ciò che di questo sguardo ha interiorizzato.



4. La narrazione di sé e la memoria autobiografica


Il transessuale presta molta attenzione alla gestione dell'immagine di sé e delle sue rappresentazioni in ogni situazione è presente un osservatore interno. In questo modo c'è il rischio che le sue "voci di dentro" siano stereotipiche, anziché naturali bisogno di provare esperienze autentiche.

Tutto questo si riflette sulla sua memoria autobiografica, che dovrebbe conferire al proprio senso d'identità una coerenza retrospettiva. Gli episodi di vita vengono selezionati e ricostruiti per dare coerenza alla rappresentazione di sé. Ogni autobiografia influisce sul sentimento di identità.

Spesso gli psicoterapeuti hanno evidenziato uno scarto nelle autobiografie dei pazienti tra verità storica e verità narrativa, anche per la scelta del genere narrativo. È l'intenzione narrativa che dà ai fatti un certo peso e significato. Il transessuale non è sempre in grado di affrontare il crollo tematico del dover rinunciare ad una certa idea di se stesso.

Compito del clinico è introdurre nuovi elementi per riorganizzare la personalità del paziente, grazie a schemi narrativi che attribuiscano senso a eventi passati.

Ogni modo di raccontarsi contiene teorie su se stessi spiegazioni implicite le teorie variano a seconda del genere narrativo effetti retroattivi.

Introduzione del modello narrativo: attenzione spostata dalla valutazione sintomatica alla narrazione di sé e al significato dato agli eventi ridimensionamento dell'interpretazione clinica.


4. Ansia e disforia nella fecondazione medicalmente assistita


1. Forme tipiche di disagio psicologico nella gravidanza e nel puerperio


1.1 La gravidanza


30% delle gestanti ha sintomi di disagio emotivo nella prima fase della gravidanza ipocondria per la salute sia per la mamma sia per il bambino + preoccupazioni sul proprio corpo.


Ipocondria: indipendentemente dal trimestre di gravidanza, livelli più alti di ipocondria rispetto al gruppo di controllo sintomi ipocondriaci tendono a rimanere stabili durante l'intera gravidanza. Se le rassicurazioni del medico non sono convincenti percezione selettiva di un'attivazione corporea che coincide con i sintomi della malattia.

Disforia e ansia: le oscillazioni del tono d'umore possono influenzare anche il decorso della gravidanza e del parto elevati livelli di ansia e depressione sono correlati con complicazioni ostetriche e maggiore percezione del dolore.   
Possono avere effetti dannosi anche per il bambino
sofferenza neonatale.
Comunque sembra che la presenza di un livello fisiologico d'ansia sia fondamentale
le primigravide più ansiose presentano un travaglio di parto normale.


1.2 Il puerperio


Disagio psicologico in alcuni soggetti forse dovuto a:

a.  Repentini mutamenti a livello biochimico tono dell'umore;

b.  Insoddisfazione nei confronti della propria immagine corporea + variazioni del peso;

c.   Isolamento sociale + mancanza di un concreto supporto nelle relazioni;

d.  Svalutazione di sé + rappresentazione di sé inadeguata rispetto ai compiti materni.

Aumento di tensione emozionale e di reattività psicologica + percezione di incapacità e immodificabilità della situazione.

Costruzione del sintomo: tradurre le intense sensazioni di disagio in un quadro di sintomi.


Disforia post-partum (maternity blues): transitoria alterazione disforica dell'umore, interessa dal 50 all'80% delle madri di ogni età, classe sociale e cultura. Caratterizzata da affaticamento ed episodi di pianto, forse dovuti a privazione di sonno, tensione, paura, irritabilità. In genere si risolve entro massimo 10 giorni.
Fattori predittivi: prevalenza in primipare
adattamento al ruolo genitoriale + presenza di episodi disforici nel passato (85% delle madri che manifestano la sindrome ha episodi disforici passati). Sembra direttamente proporzionale all'intervallo di tempo dal parto precedente.
Anche i padri possono avere variazioni dell'umore: influenzati dalle difficoltà di personalità della madre e da avvenimenti non risolti del passato + percezione negativa del carattere del bambino.

Psicosi depressiva post-partum: quadro distimico e a volte ciclotimico alternanza di fase maniacale e fase depressiva. Più rara della disforia. Sembra causata da uno shock biografico riorganizzazione a livello intrapsichico ed interpersonale, in particolare dopo la nascita del primo figlio.
Attualmente non sono disponibili dati a sostegno delle differenze tra depressione post-partum e depressione di altra natura.



2. Il disagio psicologico nella fecondazione medicalmente assistita


Se è vero che il 50% delle gravidanze non è desiderato, è possibile che il desiderio di maternità o la sua assenza incidano sulla reattività psicologica della donna. Indagine esplorativa di confronto tra donne con gravidanza fisiologica e donne con gravidanza indotta tramite fecondazione medicalmente assistita (FMA).


2.1 Una premessa sulle questioni di metodo


Scala del Maternity Blues: scala di autovalutazione per la determinazione dell'intensità della disforia post-parto risultata attendibile, di facile compilazione e sensibile per cogliere eventuali variazioni dello stato affettivo dei soggetti.



2.2 Gli obiettivi della ricerca


Scopo: studiare il vissuto psicologico durante la gravidanza e dopo il parto.

Ipotesi: i maggiori disagi dopo il parto potrebbero essere riferiti dalle donne con gravidanza insorta spontaneamente.

Disforia post-parto insorgerebbe con maggiore intensità i primi dieci giorni dopo il parto (dopo la dimissione ospedaliera)

Cercata l'influenza delle variabili socio-anagrafiche prima della gravidanza e dopo il parto, per capire se esista una relazione tra categorie professionali più elevate e il disagio riferito disforie come espressione di un sentimento di disadattamento al ruolo materno.


2.3 Il metodo


Soggetti: 50 donne primipare, 27 gravidanza spontanea e 23 fecondazione medicalmente assistita. Età tra i 26 e i 40 anni.
Istruzione: medio superiore.
Tutte coniugate e conviventi con il marito.

Strumento: SMB, composta da 29 item con riferimento ai sintomi e alle sensazione maggiormente caratteristici (ansia, ipocondria, tristezza, irritabilità.).
Somministrata in 5 momenti: al 7° mese, all'8° mese, 12 ore dopo il parto, il giorno della dimissione ospedaliera, 1 mese dopo il parto.


2.5 I risultati


Donne con FMA: momenti più acuti di disforia negli ultimi mesi di gravidanza.

Donne con fecondazione naturale: momenti più acuti di disforia subito dopo il parto.

Donne di età superiore (35-40 anni): maggiori reazioni disforiche durante la gravidanza.

Donne con incarichi professionali più elevati hanno maggior disagio emozionale subito dopo il parto e il giorno della dimissione ospedaliera.



3. Commenti e considerazioni conclusive


Le donne con FMA hanno momenti più acuti di disforia negli ultimi mesi di gravidanza forse perché hanno un fortissimo investimento emotivo. Il bambino non è ancora realtà certa fino a quando non lo potranno avere in braccio. Il carico emotivo, l'attesa, la preoccupazione per un parto prematura potrebbero favorire reazioni di tipo disforico.

Le donne con gravidanza naturale tendono ad avere reazioni disforiche nelle ore immediatamente dopo il parto e il giorno della dimissione perché pervengono ad una presa di coscienza.

Esisterebbe una discrepanza tra le aspettative prima della nascita e la realtà che segue, che implicano una certa delusione e una difficoltà a prevedere e controllare la situazione, un senso di impotenza sulla propria vita, che crea le condizioni per lo sviluppo di una reazione disforica.

L'impegno della madre trova uno scarso riconoscimento sociale. Inoltre tanto più la donna è esperta professionalmente riguardo le gravidanze, tanto più è consapevole e preoccupata.

Il ruolo di madre sembra integrarsi perfettamente con la scelta esclusiva dell'impegno familiare, per cui la maternità conferma la loro identità femminile.

Lo stato psicologico della neo-mamma è in corso di riorganizzazione e ristrutturazione della propria identità.

5. Ansia, prestazione e identità femminile: il caso della donna atleta



1. Il problema della diversità femminile nella pratica sportiva


Oltre a differenze fisiche biologicamente preordinate che danno al maschio una superiorità atletica, ci sarebbero differenze di capacità visuo-spaziali e di aggressività, componenti importanti del comportamento agonistico.

Differenze di abilità cognitive: a. Esistono differenze di abilità cognitive e predisposizione all'aggressività;

b. Con le meta-analisi è invece emerso che le differente nelle abilità cognitive tra i due sessi erano minime (<5% della varianza) e per l'aggressività dipende da altre variabili, come il motivo, il sesso dell'istigatore, ecc.

Le differenze che ci sono sembrano provenire più che altro dall'addestramento avuto che enfatizza predisposizioni neurobiologiche flessibili.


Inoltre, l'identità di genere avrebbe un ruolo fondamentale nell'adattamento allo sport processi che possono esaltare o ridurre il programma di differenziazione sessuale bambini e bambine apprendono ruoli e aspettative concordi al prototipo di genere, compresi interessi e abilità sull'efficacia fisica.

Esiste una grossa discrepanza tra maschi e femmine per le prestazione realmente ottenute confrontate con le relative aspettative: le femmine hanno ottenuto risultati inferiori solo per il 2%, mentre stimavano il 14% aspettative basse minore coinvolgimento nelle attività motorie.


1.1 Le abilità motorie di base: differenze maschio/femmina


Maschi e femmine iniziano ad acquisire abilità motorie più o meno contemporaneamente, ma i tempi di completamento per le femmine sono più lunghi.

Corsa di velocità: dai 5 ai 14 anni i maschi corrono più veloci delle femmine, soprattutto tra i 10 e i 13 anni. I cambiamenti nella corsa di velocità dipenderebbero da variabili neuropsicologiche e biomeccaniche, tra cui l'estensione della falcata e l'esercizio.

Scatto: dai 3 ai 9-10 anni la differenza tra maschi e femmine c'è, ma è contenuta. Crescendo, la performance maschile supera in modo netto quella femminile.

Lancio: differenze significative da subito. L'efficacia nel lanciare più elevata nei maschi demotiverebbe le femmine ad impegnarsi minor esercizio del potenziale di sviluppo. Esistono anche ritardi nello sviluppo di buone sequenze di movimento del lancio. Lo schema di movimento del bambino maschio somiglia a quello della giocatrice adulta femmina.

Le differenze di tecnica maschio/femmina sono meno accentuate nell'atletica leggera, in cui esiste un apprendimento di sequenze motorie nuove, che non derivano da schemi pre-esistenti.


1.2 Schemi motori e dimorfismo sessuale


L'identità di genere filtra e orienta l'apprendere di certe competenze motorie piuttosto che altre. Inoltre la capacità di apprendimento di certi movimenti atletici, in particolare in età adolescenziale, è influenzata dal dover organizzare il proprio modo di pensarsi in termini di abilità e competenze.

Lo schema motorio è una rappresentazione mentale di un certo movimento, che può sofisticarsi e specializzarsi con l'esercizio e l'affinamento delle capacità di autoregolazione.



2. Identità femminile e identità atletica


Identità di genere: creata con a. Fattori genetici, neuroendocrina, morfologici;

b. Processi di apprendimento, sviluppo, assunzione/assegnazione dei ruoli sessuali dall'altro;

c. Variabilità individuale, culturale, sociale e biografica.

Identificazione stabile con un ruolo copioni di comportamento + caratteristiche cognitive ed emotive.

Senso di identità personale: esperienza che una persona fa di se stessa; a seconda del contesto e delle situazioni di vita possono attivarsi diversi volti dell'identità personale.

Quando l'identità atletica perde la sua centralità rispetto all'identità personale ristrutturazione di bisogni e interessi che demotivano lo svolgimento dell'attività sportiva.

Uomini e donne differiscono nell'identificazione nel ruolo dell'atleta, come se le donne si sentissero meno atlete degli uomini.

Identità atletica ≠ tratto di personalità rappresentazione di sé in relazione a risultati, aspettative e conferme dalle persone significative.


2.1 Identità e autoefficacia fisica


Attività sportiva indicatore della percezione del proprio corpo e della propria autoefficacia fisica autostima, infatti persone che fanno sport hanno una migliore valutazione di sé, una maggiore accettazione del proprio corpo importanza nella percezione interpersonale e capacità di entrare in relazione con gli altri.

Comunque, pur presentando valori di autoefficacia e autostima più elevate rispetto a donne non atlete, gli stessi valori sono minori se confrontati con atleti uomini fattori extrasportivi?!


2.2 Identità e autoefficacia agonistica


Le aspettative di successo o insuccesso influiscono sull'entità dell'impegno.

Il successo o l'insuccesso possono essere attribuiti a capacità, caso, altre persone o fortuna.

Impotenza appresa: in molte attività le donne nutrono aspettative più basse rispetto alle proprie potenzialità forme reattive di scoraggiamento e depressione a cui le atlete sono più soggette che gli atleti uomini.

Le aspettative più basse sulla prestazione sportiva potrebbero servire a preservare alcuni aspetti dell'identità femminile tradizionale, che occupa sfere diverse da quella maschile.

Weiner: modello di spiegazione di risultato in termini di controllo (interno/esterno) e stabilità (stabile/instabile).

a.    Fattori Interni + Stabili risultato dovuto a capacità personale.

b.    Fattori Interni + Instabili risultato dovuto a impegno e sforzo.

c. Fattori Esterni + Stabili risultati considerati "dovuti", sentiti come obblighi verso gli altri.

d.    Fattori Esterni + Instabili risultati dovuti al caso o alla fortuna.

Secondo questo modello:

a.    Gli atleti uomini hanno uno stile attributivo interno in caso di successo ed esterno in caso di insuccesso, mentre il contrario succede per le atlete.

b.    Per gli uomini il fattore della capacità personale è correlato con quello dello sforzo, mentre per le donne lo sforzo è correlato con il dover essere e il dover fare.


2.3 L'ansia da prestazione


Ansia: tipo di risposta a situazioni interne ed esterne percepite come rischiose per l'integrità fisica, l'autostima, l'approvazione sociale. Entro una certa soglia è una funzione attivante adattiva, oltre una certa soglia invece interferisce con i processi cognitivi, neuroendocrini e senso-percettivi-motori.

Le differenze tra uomini e donne rispetto all'ansia può essere dovuta sia al sesso sia alle autoattribuzioni di tratti maschili e femminili, quindi sarebbe ingenuo affrontare il problema riferendosi soltanto al sesso.

Androginia psicologica: presenza nello stesso individuo di caratteristiche autoattributive tradizionalmente considerate come maschili e femminili; questo avviene in particolare per le atlete e le dirigenti.

Soggetti sesso-schematici (femmine feminine e maschi mascolini): visione dello sport come tipicamente maschile alto livello d'ansia provato dalle femmine in ambiti sportivi.

L'interazione tra ansia cognitiva (preoccupazione per la prestazione) e orientamento sessuale risulta significativa: maschi mascolini hanno bassa ansia, ma non c'è alcuna differenza tra i livelli d'ansia di maschi femminini, femmine femminine e femmine mascoline.

Ansia somatica: sensazione di nervosismo e tensione a livello corporeo.


2.4 La motivazione agonistica


Motivazione agonistica: ciò che induce gli atleti a praticare la disciplina nonostante i sacrifici.

Con lo sport, gli atleti   a. Sublimerebbero pulsioni aggressive o libidiche altrimenti inaccettabili.

b. Compenserebbero sentimenti di inferiorità o di inadeguata identità sessuale.

Ipotesi non "accettate" dagli psicologi, perché non falsificabili.

Partecipatioin Motivation Inventory (Questionario di motivazione allo sport). Per entrambi i sessi è importante il miglioramento delle abilità sportive.

È presente per il sesso femminile una tendenza all'affiliazione il concetto di sé femminile si organizzerebbe con la capacità di mantenere relazioni interpersonali molto più di quanto capiti per l'uomo.

Hill: le adolescenti sono motivate agli sport di squadra per   a. soddisfare bisogni di relazione;

b. ridurre gli stati d'animo negativi;

c. rassicurazioni per l'inadeguatezza.

Le ragazze che praticano più sport sono quelle con più forte bisogno di stimoli positivi, con un debole bisogno di sostegno emotivo e di attenzione da parte degli altri e con un elevato atteggiamento competitivo basato su obiettivi di sviluppo personale.

Dal confronto con l'atteggiamento maschile si rileva come le femmine siano meno orientate alla vittoria e meno bisognose di dimostrare le loro abilità in contesti competitivi.

Horner: gli uomini sono più orientati al successo per il sentimento di paura per il successo delle donne. Il successo per le donne può avere una connotazione negativa esige competitività che collide con l'immagine tradizionale della femminilità.

Esiste un dibattito perchè non esisterebbero evidenze di una superiorità maschile nel livello di orientamento al successo.

Questionario per l'orientamento al lavoro ed alla famiglia: i maschi ottengono punteggi maggiori nella dominanza e nella competitività, mentre le femmine nel lavoro gli uomini sarebbero più dominanti delle donne, ma queste sarebbero più orientate al successo lavorativo, mentre la differenza relativa alla competitività sarebbe maggiore nei maschi.

Questionario per la misura dell'orientamento al successo nello sport: nelle dimensioni della competitività e dell'orientamento alla vittoria i maschi ottengono risultati più alti; nella scala di orientamento al compito le femmine superano solo di poco i punteggi dei maschi.


2.4.1 La demotivazione


Fattori di demotivazione:     a. Impegno scolastico;

secondo le ragazze b. Aspetti relazionali: cattivi rapporti con istruttori e compagni conferma al bisogno di affiliazione

Secondo i genitori lo sport praticato dalle ragazze è limitato ai 16 anni, e viene innalzato ma di poco se si parla dei ragazzi. Per le figlie è considerato una palestra per le abilità relazionali.


Il senso di identificazione nel ruolo atletico è considerato più temporaneo per le ragazze che per i ragazzi, quindi avrebbe una connotazione fortemente funzionale.


2.5 Conclusioni


a.  Bambini e bambine sono incoraggiati precocemente a coltivare schemi d'azione sessualmente tipizzati influenza sulla capacità di utilizzare le opportunità di apprendimento dell'ambiente.
Se una ragazza atleta deve agire in ambiti maschili, deve attivare un percorso di riorganizzazione delle proprie rappresentazioni corporee vincolate culturalmente.

b.  Le atlete hanno una migliore valutazione della propria autoefficacia fisica. Le minori attese delle donne sono funzionali a salvaguardare alcuni aspetti dell'identità femminile tradizionale.

c.   Anche se atlete di alto livello, l'identità atletica può perdere la propria centralità e importanza se l'identità personale comincia a gravitare su altri domini considerati più significativi. L'identità atletica NON è un tratto, ma ha una continuità autobiografica. L'identità atletica può accentuarsi o diminuire in relazione al conflitto tra identità atletica e identità femminile.

6. La rilevanza della rappresentazione di sé nel tossicodipendente



1. Come la tossicodipendenza diventa devianza: il contributo dei labelling theorist


I teorici dell'etichettamento si concentrano su una ricerca per comprendere la devianza dal punto di vista delle condizioni sociali che la producono anziché cercarne le cause.

De Leo: 3 condizioni perché avvenga la devianza secondaria:

a. Un soggetto produce un'azione che cade sotto l'attenzione pubblica;

b. Esistenza dei contesti o sistemi normativi che prevedano quell'azione e le contemplino come deviazione.   
Per la tossicodipendenza: Controllo sociale della dipendenza; Principi di tradizione e produzione; Regolazione della prestazione e dell'aggressività; Controllo del dolore e del piacere; Costanza, coerenza e convenzionalità del senso di realtà.

c.  Alla violazione segue un'interazione sociale di risposta.

Profezie che si autoavverano: capita spesso che aspettative rispetta alle caratteristiche tipiche di una determinata categoria di devianti canalizzino l'interazione e forniscano conferme comportamentali ciò che era vero inizialmente nella mente del perceiver diventa vero nella realtà.



2. La concezione interazionista e gli studi più recenti sulla personalità


Anche in presenza di etichettamento da parte di altri, la persona deve decidere se compiere l'atto deviante, partendo da una ridefinizioni del proprio sé. Coloro che sono devianti non sono quindi governati dalle condizioni sociali, ma soggetti attivi.

È vero in particolare per i tossicodipendenti, che dimostrano una notevole capacità di automonitoraggio capacità di controllare le proprie azioni volgere a proprio vantaggio le situazioni sociali.

Considerazioni in linea con la visione interazionista della personalità sé come serie di teorie e narrazioni culturalmente determinate.



3. Comunità del CeIS e del CNCA come esempi di modalità differenti di affrontare il recupero sociale dei devianti


Recupero sociale possibile in due modi:

Modalità correzionale: tenta di modificare la personalità dei deviante per un loro riadattamento alle norme sociali, considerate punto di partenza necessario (CeIS).

Prevede più criteri possibili di normalità, promuove competenze sociali che consentano agli individui di confrontarsi criticamente con le norme della convivenza comune (CNCA).

Kaneklin: individuate due tipologie di comunità.

CeIS (Centro Italiano di Solidarietà) - Progetto Uomo: percorso in tre fasi

a.  Accoglienza: confrontare i soggetti con i loro aspetti di immaturità e inadeguatezza, ritenuti alla base dei loro problemi;

b.  Comunità Terapeutica: organizzata in maniera gerarchica, offre premi e punizioni per produrre una definitiva conversione di indirizzo e valori;

c.   Reinserimento: la nuova identità di persona "sana" viene testata nel contesto sociale esterno.

CNCA (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza): assenza di una strutturazione comune percorsi individualizzati. Lo scopo è di fornire esperienze, conoscenze e valori per riprendere il proprio percorso di crescita.



4. La ricerca


Obiettivi: indagare i cambiamenti nelle modalità di autorappresentazione cosciente di tossicodipendenti all'interno di comunità CeIS e CNCA. Si considerano gli operatori come elementi di rispecchiamento per l'identità degli utenti verificare l'influenza delle categorie che usano per descrivere il tossicodipendente e la persona "sana".


Ipotesi:1. Rappresentazioni degli operatori più stereotipate nel CeIS rispetto al CNCA.

2. Rappresentazioni degli utenti: forte capacità della comunità di generare cambiamento.

3. Cambiamenti nelle rappresentazioni del sé degli utenti diverse a seconda del tipo di comunità in cui siano inseriti.
Nelle comunità del CeIS: progressiva conformazione dei tossicodipendenti al nuovo ruolo di normali; rimane presenta la dimensione stereotipica di tossicodipendente.
Nelle comunità del CNCA: progressivo allontanamento dalle categorie stereotipiche sia del ruolo di tossicodipendente sia di quello di "ex-tossicodipendente".


Campione: 100 tossicodipendenti e 50 operatori, equamente suddivisi tra le due comunità. Gli utenti hanno una media di 28 anni, inoltre sono equamente suddivisi tra residenti da meno di tre mesi (t0) e residenti da più di un anno (t1).


Strumento: edizione italiana dell'Adjective check List, composto da una serie di aggettivi o frasi per descrivere gli attributi di una persona.


Procedura e disegno della ricerca: gli utenti delle comunità hanno compilato un ACL; gli operatori ne hanno compilati due, uno per descrivere le caratteristiche tipiche del tossicodipendente e l'altro per descrivere la persona "sana".


Analisi statistiche e risultati: soluzione fattoriale composta da 7 fattori.

a. b.  Caratteristiche tipiche del tossicodipendente e della persona "sana": costruzioni prototipiche e stereotipiche antitetiche.

c. Aggressività - Oppositività verso l'ambiente: collegato alle caratteristiche di rigidità del contesto comunitario, che potrebbe suscitare aggressività negli utenti a causa di una privazione dell'autonomia.

d. Rapporti sociali ambivalenti: aggettivi che dimostrano un'agevolezza nei rapporti umani sono affiancati da aggettivi che testimoniano una visione negativa dell'ambiente.

e. Preoccupazione nascosta: come se la propria preoccupazione non dovesse turbare le relazioni di deferenza nei confronti di altri della comunità.

f.   Aspetto esteriore attraente.

g.  Superficialità - Stupidità.


Risultati dell'analisi della varianza: qui analizzati solo i primi due fattori.

a. Fattore 1: Stereotipo della persona "sana".
Tra gli operatori delle due comunità esiste una differenza significativa.
Tra i tossicodipendenti la differenza è significativa rispetto al fattore "tempo" soltanto nelle CeIS.

b. Fattore 2: Stereotipo del tossicodipendente.
Gli operatori del CeIS hanno punteggi significativamente maggiori degli operatori del CNCA.
Tra i tossicodipendenti esiste una differenza significativa rispetto al fattore "t1" per l'andamento opposto.



5. Discussione dei risultati


I punteggi degli operatori del CeIS sono significativamente maggiori del CNCA sia nella dimensione stereotipica "tossicodipendente" sia in quella "persona sana" confermata l'ipotesi 1 secondo cui quanto più le relazioni sono di tipo up-down, tanto più le modalità di comprensione reciproca saranno di tipo stereotipico.

L'ambiente comunitario è in grado di produrre cambiamenti nelle rappresentazioni di sé dei tossicodipendenti. Tali cambiamenti non sono aspecifici, ma dipendono dal tipo di obiettivo dell'intervento comunitario.

Nelle comunità CeIS i cambiamenti significativi riguardano il Fattore 1, nel quale i residenti al tempo t1 ottengono punteggi significativamente maggiori. Il CeIS produce un rimodellamento delle rappresentazioni di sé degli utenti, con il persistere di una difficoltà a liberarsi della loro precedente identità di tossicodipendente perché i meccanismi di etichettamento rimangono attivi.

Nelle comunità CNCA i cambiamenti significativi riguardano il Fattore 2, per cui i residenti al tempo t1 presentano punteggi significativamente più bassi. Il Fattore 1 invece è quasi inesistente.  
Nelle comunità CNCA si promuove un progressivo discostamento dalle rappresentazioni tipizzate di tossicodipendenti senza però l'identificazione con un modello di normalità definito a priori.


7. Alcolisti e eroinomani: la riorganizzazione motivazionale



1. La diagnosi, i problemi psicologici e i processi di cambiamento


Approccio interattivo-cognitivo: considera la persona come soggetto attivo, non come vittima di tratti stabili della personalità attività diagnostica non può esaurirsi nelle categorie nosografiche, ma dev'essere un'attività di comprensione del mondo id significati, regole e valori persona intesa come forma in movimento verso obiettivi di diverso genere.

Tentativi di soluzione a. Problemi di tipo psicologico per risolvere difficoltà di relazione con se stesso, ma che portano a rinforzare circolarmente il problema bloccata la possibilità di esperienza;

b. Autonarrazioni emanazioni di narrative sociali e di autodefinizione, spesso di stampo psicologistico in cui le proprie difficoltà vengono attribuite a cause esterne. Possono imprigionare le persone entro le strutture di un determinato genere narrativo.

Il terapeuta deve quindi partecipare come co-autore alla scrittura di nuove narrazioni portare il paziente fuori dai vicoli ciechi.

Può farlo attraverso interventi su:    a. Significati e modalità narrative

b. Interazioni disfunzionali

c. Contesti in cui agisce.

Approccio a. Cognitivo: tecniche discorsive e retoriche per influenzare il modo in cui si costruisce narrativamente la sua realtà;

b. Interattivo: tecniche per indurre la persona ad interagire in maniera diversa ocn il proprio contesto.

Il rapporto tra approccio cognitivo e approccio interattivo è circolare usati entrambi.

Il terapeuta interviene sempre in modo strategico, per conseguire obiettivi a breve, medio e lungo termine.

Il processo di cambiamento avviene con una presa di coscienza della persona sul suo ruolo nei riguardi del suo disturbo, e aiutandola ad assumere una posizione attiva.

Avviene un rovesciamento epistemologico: concezione di tipo realista concezione di tipo costruttivista.



2. La concezione interattivo-cognitiva del sé e la devianza secondaria


Secondo l'approccio interazionista, il sé deriva anche dal contesto in cui la persona è inserita.

I teorici dell'etichettamento hanno infatti dimostrato che il processo del divenire devianti debba tenere conto delle norme rispetto a cui la persona diventa deviante e le interazioni sociali di reazione all'azione il fattore determinante nella creazione della devianza è la reazione della società.

Lemert: la deviazione secondaria consiste nel comportamento deviante come mezzo di difesa, attacco o adattamento nei confronti di problemi creati dalla reazione della società nei confronti della deviazione primaria.

La persona coinvolta in sistemi di interazione stigmatizzanti può acquisire repertori di comportamento e autorappresentazioni per continuare a svolgere le stesse azioni carriera deviante.



3. Gli approcci basati sul "confronto" e l'influenza dei pregiudizi degli operatori


Si è consolidata anche negli operatori un'immagine delle persone che usano sostanze come persone dotate di caratteristiche prototipiche di valore negativo. Nonostante sia ormai accettato dal senso comune un approccio di intervento basato sul confronto ostile ed aggressivo per annientare i tentativi di negazione della persona, non esiste conferma dell'esistenza di una personalità di tipo dipendente, né che la negazione sia una caratteristica distintiva dei soggetti.

Tali convinzioni erronee potrebbero essere state assimilate dalla società con vari processi psicologici:

Percezione selettiva: prestare attenzione ai casi che confermano le aspettative, ignorando (anche involontariamente) gli altri.

Correlazione illusoria: predisposizione a cogliere certi legami tra gli eventi e non altri.

Errore fondamentale: sovrastimare l'influenza di fattori disposizionali stabili di personalità e sottostimare fattori situazionali e contestuali, molto radicata in psicologi e altre professioni di assistenza.

Profezie che si autoavverano: lo stile di comportamento del personale e il contesto terapeutico possono creare i fenomeni che si propongono di curare Reattanza psicologica: tendenza a negare l'accuratezza di ciò che ci viene detto per riaffermare la propria libertà personale.



4. L'ambivalenza come nodo cruciale delle condotte di abuso ed il problema della resistenza al cambiamento


Le persone con problemi di dipendenza spesso compensano i costi di assunzione di un'identità deviante con importanti vantaggi secondari; a causa di questo spesso si avvicinano a enti di aiuto con motivazioni conflittuali, esprimendo il desiderio di cercare aiuto, ma allo stesso tempo resistendo ai tentativi del terapeuta di convincerli ad impegnarsi a cambiare la loro situazione.

Un'altra difficoltà nel loro percorso è la presenza di concezioni stereotipiche ed estreme dei concetti di normalità e devianza, che rendono il cammino per l'acquisizione di una nuova identità irraggiungibile convinzione di non avere risorse e competenze necessarie per riuscire.

Le ragioni della persistenza del conflitto vanno cercate all'interno di una sottocultura deviante. Il clinico deve evitare di porsi in maniera semplicistica.

Il terapeuta deve essere in grado di motivare la persona per incrementare la probabilità che metta in atto comportamenti favorevoli non bisogna biasimare la persona, per evitare di scatenare un confronto-negazione come strategia di resistenza.



5. I principi guida e le tecniche del colloquio di motivazione


Colloquio di motivazione: metodologia di intervento per aiutare le persone a riconoscere i problemi presenti o potenziali di un comportamento disadattivo e a usare condotte in grado di farli uscire dalla situazione.

Soprattutto nel caso delle dipendenze, il terapeuta non dovrà avere un ruolo autoritario né dovrà imporre il proprio punto di vista, ma piuttosto usare strategie di tipo retorico in modo da indurre il paziente a formulare "liberamente" propositi di cambiamento.


5.1 Comprendere l'ambivalenza


L'ascolto delle affermazioni del paziente deve essere interessato, rivolto ad un'esplorazione attiva del suo sistema di significati, non al giudizio di verità o falsità. La comprensione si realizza con un continuo lavoro di formulazione di ipotesi da confrontare con la realtà del paziente.

L'ambivalenza è quindi accettata come espressione di una difficoltà del paziente, evitando di imporre il proprio giudizio per non generare una resistenza.

Il terapeuta interattivo-cognitivo ha grande rispetto per il punto di vista del paziente, e lo aiuta a sviluppare una fiducia necessaria per intraprendere un processo di cambiamento.

Si usano: a. Domande aperte;

b. Ascolto riflessivo: esplicitazione continua della propria comprensione per verificare l'adeguatezza delle affermazioni del paziente;

c. Formulazione periodica di riassunti per consentire al paziente di esaminare gli aspetti dei suoi comportamenti problematici.


5.2 Favorire processi dissociativi


Importante far comprendere al paziente che i suoi comportamenti hanno ripercussioni negative, mediante l'utilizzo di tecniche per generare una dissonanza cognitiva.

È più efficace usare il sistema di norme e valori del paziente, anziché usare motivazioni esterne.

Si usano: a. Esplorazione delle alternative: esplorazione di entrambi i rami del conflitto, per permettere di prendere consapevolezza di desideri e necessità e individuare fattori che favoriscono ed impediscono la loro realizzazione. Questo porta alla conoscenza della discrepanza tra ciò che fa e ciò che vorrebbe fare.

b. Modificare le situazioni interattive disfunzionali: coinvolgere le perosne implicate nella situazione e aiutarle ad assumere una posizione relazionale più efficace.

c. Prescrizioni paradossali: usata soprattutto con pazienti che minimizzano i problemi. Li si invita a mantenere i propri comportamenti in modo da far loro sperimentare le conseguenze negative.





5.3 Utilizzare la resistenza


Il terapeuta deve utilizzare l'attacco del paziente per condurlo a nuove percezioni favorevoli alla motivazione al cambiamento, non imponendo nuovi obiettivi, ma ridefinendo i significati del paziente per indirizzarle verso un obiettivo diverso.

Dovrebbe concludere ogni discorso chiedendogli qualcosa che lo impegni direttamente al cambiamento.

Si usano:  a. Riflessione: riproporgli una sua affermazione aggiungendovi anche un'altra faccia dell'ambivalenza emersa in precedenza.

b. Spostare il focus: quando la discussione si incaglia, spostare l'attenzione su argomenti meno problematici.

c. Riaffermare l'assoluta libertà nelle sue scelte: quando c'è il rischio che il paziente si senta minacciato e reagisca per riaffermarsi in maniera disfunzionale.

d. Ristrutturazione: riorganizzare le affermazioni del paziente effettuando piccoli spostamenti di tono, in modo da restituirgli un resoconto con un significato leggermente diverso come partenza per partire con un cambiamento.

e. Paradosso: se il paziente continua a resistere, consigliargli di perpetuare il suo comportamento problematico con una sfida, in modo da ingaggiare la persona ad impegnarsi nel cambiamento per disconfermare le affermazioni del terapeuta.


5.4 Suscitare affermazioni auto-motivanti e sostenere il senso di auto-efficacia


Obiettivo principale: suscitare il maggior numero di affermazioni auto-motivanti e diminuire il confronto-negazione il paziente è colui che fornisce le motivazioni per il cambiamento.

Ammissione dell'esistenza di un problema;

Espressione di preoccupazione sulla propria situazione;

Volontà di cambiare;

Ottimismo rispetto alle proprie risorse e alla possibilità di cambiare.

Tecniche: a. Dare per implicito che il paziente abbia sentimenti ambivalenti e chiedere di approfondirne alcuni aspetti.

b. Richiesta di esplicitare vantaggi e funzioni positive del comportamento problematico per trovare nuove strategie per soddisfare in maniera più funzionale gli stessi bisogni.

c. Favorire cambiamenti di punto di vista e spostamenti temporali costruire nuovi sé narranti. Si usa chiedere quali altre prospettive si aprirebbero e quali altre difficoltà nel caso il problema sparisse proiettarsi al di là dell'ostacolo e iniziare a costruire sé possibili.

d. Strategie di tipo paradossale: minimizzare o negare i problemi della persona suscitare la tendenza a convincere il terapeuta che invece la situazione è preoccupante invertire i ruoli.

sentire sé stessi formulare certe affermazioni porta a sviluppare una maggiore autoconsapevolezza motivazione al cambiamento che il terapeuta deve rinforzare agendo anche sulla sensazione di auto-efficacia.


Gli interventi devono quindi rafforzare la credenza nelle sue capacità.

8. Il burn-out negli operatori delle tossicodipendenze



1. Introduzione


Burn-out: forma di disagio e disadattamento in ambito lavorativo vissuto come frustrante, poco remunerativo, non soddisfacente, in cui le situazioni sono percepite come deludenti.

È sperimentato a livello a. Fisico: affaticamento, stanchezza, esaurimento di risorse personali.

b. Emotivo e relazionale: insoddisfazione e frustrazione, apatia, percezione negativa di sé, perdita di interesse nel proprio lavoro.

c. Cognitivo: sensazione di perdita o inadeguatezza delle capacità intellettive.

Ha effetti negativi sul benessere individuale e sul rendimento professionale.

Nella logica costruzionista è un effetto disfunzionale e inefficace delle strategie individuali utilizzate per fronteggiare le situazioni di malessere e di disagio, che dà vita a un processo circolare di esaurimento - disinvestimento emotivo autoalimentato.

I criteri normativi e di valore con cui l'individuo giudica in termini di soddisfazione o insoddisfazione il proprio lavoro sono il riflesso delle categorie valutative socialmente precostituite oltre a fattori del contesto lavorativo, concorrono alla formazione del burn-out anche un insieme di fattori personali.



2. Fattori che contribuiscono alla costruzione dell'esperienza del burn-out negli operatori delle tossicodipendenze


2.1 Fattori personali


Motivazioni e ragioni del lavoro, qualità della vita extralavorativa, capacità di affrontare i problemi, efficacia degli schemi e delle categorie interpretative.

Senso di autoefficacia: insieme di convinzioni personali relativo alla capacità di progettare e realizzare azioni. Influenzano la rappresentazione personale degli eventi, costruiscono fonti di motivazione.

Capacità negativa: capacità personale di perseverare attraverso el incertezze e di fronteggiare i dubbi; saper tollerare la frustrazione di non capire o di non condividere le scelte dell'altro, e di non poter sempre raggiungere gli obiettivi desiderati.


2.2 Fattori relazionali


L'utente tossicomane ha spesso modalità relazionali e di comunicazione ridondanti, funzionali al non cambiamento dell'identità personale.

Alcune risposte dell'operatore a questa modalità di comportamento possono essere rischiose per il suo benessere come la reazione impulsiva alla provocazione rischio di sperimentare vissuti di inadeguatezza e inefficacia.

L'interazione personale è il terreno su cui si fonda quella di ruolo sono interagenti.

Le risposte professionali sono strategie di intervento mediate dal modello teorico di riferimento, che tutelano l'operatore da un coinvolgimento disfunzionale.


2.3 Fattori organizzativi


Nella creazione del burn-out sono importanti le caratteristiche organizzative del contesto lavorativo.

Cultura organizzativa: insieme di principi che orientano le scelte e le modalità che un'istituzione adotta per svolgere i compiti assegnati.

Kaneklin: 3 modelli organizzativi.

Modello per adempimenti: gli operatori usano le modalità operative predefinite dal sistema, per raggiungere obiettivi decisi dall'alto. Il lavoro viene scomposto in compiti diversi assegnati a diverse figure.
Il disagio sperimentato in ambito lavorativo dall'operatore è vissuto come un problema individuale anziché come un problema organizzativo.

Modello personalistico: lavoro strutturato in base al carisma della persona. Se questa viene a mancare, occorre una totale riorganizzazione del sistema. La gestione dei conflitti è di pertinenza degli operatori coinvolti e il leader interviene in modo autoritario non per gestire il conflitto, ma per risolverlo. La formazione degli operatori è simile ad un indottrinamento.
Il disagio non viene riconosciuto e affrontato.

Modello per risultati: attenzione alle risorse materiali e umane. La comunicazione interpersonale serve a dare significato alle informazioni. I conflitti sono fonti informative sul funzionamento dell'istituzione.
Il burn-out è letto come una forma di disagio lavorativo da affrontare e risolvere negli spazi preposti alla comunicazione. Esiste un'idea magica che sia sufficiente mettere insieme le persone perché la comunicazione funzioni.


2.4 Fattori simbolici e sociali


L'universo simbolico e sociale costruisce l'esperienza del burn-out a più livelli.

I fenomeni legati al consumo sono costruiti e sperimentati dall'operatore in riferimento a rappresentazioni legate al ruolo e al contesto.

Il disagio sperimentato ha significato in riferimento a caratteristiche di tipo personale, relazionale e organizzativo, ma anche in relazione all'universo simbolico che accompagna l'immagine sociale del tossicomane e del deviante.



3. La formazione: da strategia di informazione a strategia di cambiamento


Formazione come informazione: importanza del modello teorico di riferimento forma rispetto alla quale la realtà che si realizza all'interno dei processi foramtivi viene costruita e acquista significato. La formazione è un processo di costruzione delle conoscenze.

Formazione come trasformazione: processo di cambiamento di schema di riferimento. Cambiamento distinzione tra realtà di primo ordine (proprietà fisiche degli oggetti percepiti) e realtà di secondo ordine (significato e attribuzione di valore agli oggetti). Con i processi di ristrutturazione vengono costruite nuove realtà di secondo ordine. Se la tutela del benessere lavorativo riguarda i modi in cui vengono costruiti e sperimentati gli eventi, sono richiesti cambiamenti al livello 2 ristrutturazioni di senso ≠ cambiamenti di situazioni.

Formazione come azione: atto del formare è un atto performativo, rappresenta FARE qualcosa CON qualcuno. In questo modo la realtà viene creata attivamente, anziché descritta.

Fare formazione costruire percorsi per realizzare esperienze formative interattive, in grado di confrontare differenti punti di vista.



4. Conclusioni


La formazione come strategia di promozione del benessere in ambito lavorativo è importante perché si basa sulla consapevolezza che il cambiamento all'interno di un servizio è autogenerato e passa attraverso scelte organizzative.

Correlazione tra bassa intensità, scarsa frequenza del burn-out e livello elevato e costante di aggiornamento, supervisione, scambio di esperienze.

La formazione è un'efficace strategia di prevenzione del disagio lavorativo. Attraverso la formazione si valorizza l'identità lavorativa, si agisce sull'autostima e sulla capacità di distanziarsi dalla propria quotidianità lavorativa.

La formazione può:

Valorizzare il punto di vista dell'operatore, come punto di partenza per costruire un processo formativo co-costruito.

Gli operatori hanno un ruolo attivo.

Realizza processi di ridefinizioni del posizionamento di ruolo operativa.

Crea spazi di riflessione e confronto.

Valorizza la sperimentazione attiva delle strategie proposte, anche con giochi di ruolo.

Valorizza il gruppo come strumento e contesto di lavoro privilegiato per raggiungere l'obiettivo.

Costruisce contenuti formativi in riferimento alla dimensione operativa quotidiana.

Valuta gli interventi formativi, con possibilità di ridefinizione.

9. I disturbi di personalità nel DSM IV: la validità del costrutto



1. Introduzione


L'obiettivo è esaminare le procedure diagnostiche psichiatriche valutandone le applicazioni.

Categorizzazione: processi cognitive che ordinano l'ambiente in termini di "categorie" con caratteristiche comuni, utile alla sopravvivenza. Esistono limiti alle capacità percettive degli uomini generazione di distorsioni, errori categoriali e illusioni di correlazioni. I criteri di categorizzazione sono culturalmente appresi la categoria può cambiare a seconda del metro di valutazione a seconda del sistema di osservazione-guida cambiano   a. Procedure di analisi;

b. Oggetto di valutazione.



2. Assunti teorici


In questo contesto l'uomo è considerato un essere che agisce intenzionalmente e che si autogoverna.

L'attività umana viene indagata con gli strumenti dell'umanesimo: esperienza, intuizione, empatia oggetto di studio privilegiato le relazioni tra gli atti di persone che interagiscono in un contesto simbolico.

Prospettiva interazionista: individuo prodotto di condizionamenti o motivazioni preesistenti, in grado anche di agire secondo regole e scopi definiti agire umano dotato di senso e comprensibile a seconda del contesto.

Disturbi patologici proprietà conferita dalla percezione sociale e dalle definizioni normative;

Patologia mentale conseguenza dell'applicazione di etichette e sanzioni;

Necessario assumere una prospettiva sequenziale l'individuo procede a piccoli passi;

Il disturbo patologico è il risultato di un processo in cui contano le relazioni con gli altri;

Il percorso del malato di mente è una "carriera" in cui si apprendono tecniche, regole e giustificazioni, interessi e giudizi;

Fondamentale lo studio delle norme e dei criteri in base ai quali i comportamenti vengono definiti sintomatologici.



3. Ipotesi


Il principio di neutralità del DSM-IV nasconderebbe una commistione di osservazioni cliniche, metafore e giudizi morali assetto valutativo ambiguo.



4. Obiettivi


Verificare l'esistenza di categorie valoriali implicite ed esplicite per descrivere i Disturbi di Personalità.

Approccio qualitativo con obiettivi: a. Individuazione di enunciati con giudizi di valore sociale;

b. Individuazione di errori logico-concettuali;

c. Indicazione di aree sociali in cui si trovano maggiormente quegli enunciati;

d. Ipotetica associazione tra gli errori.



5. Metodologia


Analisi del contenuto: evidenziare le aree in cui si distribuiscono eventuali errori di giudizio.

Con l'analisi del contenuto si possono analizzare    a. Relazioni tra personalità, ruolo sociale, intenzioni di chi comunica e il tipo di simboli ricorrenti;

b. Relazione tra contenuto della comunicazione e eventuali effetti sui destinatari;

c. Diversi tipi di simboli-chiave nello stesso messaggio.


Analisi dei cluster: classificare l'insieme delle entità in gruppi con caratteristiche non definite a priori, per rilevare il grado di omogeneità tra gli enunciati.


Analisi delle corrispondenze: evidenzia il pattern della dipendenza tra le variabili, per scoprire il livello di associazione o corrispondenza tra le categorie d'errore rilevate.



6. Risultati


Obiettivo 1: valutazione linguistica di tutti gli enunciati che definiscono caratteristiche sintomatologiche; 231 con chiara attribuzione di valore sociale o morale costituzione di 5 grandi categorie d'errore.

Attribuzione di leggi naturali a regole sociali

a.  Attribuita valenza naturale a comportamenti svolti in ambito sociale;

b.  Espressioni in cui è chiara la decontestualizzazione dell'atto costituzione di tratti stabili che danno coerenza all'immagine di personalità patologica;

c.   Enunciati che sembrano riferirsi ad aspetti costitutivi dell'individuo come se fossero tratti stabili naturalemtne dati scompare l'aspetto sociale.

Attribuzione di proprietà della personalità a proprietà situazionali;

a.  Enunciati che dimostrano una confusione concettuale e un'impropria attribuzione;

b.  Descrizione di tratti generalizzati con origine sociale che non specificano il come, il dove e il quando sono stati espressi.

Considerare dato di fatto ciò che è invece un giudizio di valore

a.  Enunciati con la presenza di un giudizio di valore degli ambiti sintomatici;

b.  Presenza di implicazioni valoriali anche in aggettivi o avverbi (banale, appropriato.)

Considerare i comportamenti devianti come indice di sintomatologia patologica: trasgressioni da norme anche di solo senso comune sono considerate caratteristiche di disturbo;

Anteporre una visione oggettiva alla versione soggettiva del paziente

a.  Enunciati che screditano l'individuo;

b.  Espressioni che mostrano come il disagio creato ad altri determini parte della diagnosi.


Obiettivo 2: valutazione della distribuzione in aree sociali fatta di tali errori di attribuzione; individuate 5 aree 1. Emotività;

2. Legalità;

3. Rapporto interpersonale;

4. Norme sociali;

5. Relazioni affettive intime.


Con l'analisi dei cluster sono state evidenziate altre associazioni.

1. Relazione tra errori     a. Devianza/disadattamento/sintomatologia patologica;

b. Dato di fatto/giudizio di valore;

e dimensione Rapporti interpersonali.

2. Associazione tra  a. Devianza-disadattamento/sintomatologia patologica;

b. Leggi naturali/regole sociali;

e dimensione Norme sociali

3. Relazione tra errori a. Devianza-disadattamento/sintomatologia patologica;

b. Dato di fatto/giudizio di valore;

e dimensione Relazioni affettive.


Con l'analisi delle corrispondenze sono state evidenziate le forti correlazioni tra gli errori "leggi naturali/regole sociali" e "proprietà della personalità/proprietà situazionali".



7. Commenti


Errore 1: Attribuzione di leggi naturali a regole sociali. Le norme biologiche e le norme sociali sono costrutti differenti, ma sono sovrapposte impropriamente nel DSM IV. I comportamenti sono considerati come naturalmente dati e vengono anteposti ai rapporti sociali.

Errore 2: Attribuzione di proprietà della personalità a proprietà situazionali. Manipolazione e controllo delle persone con la costituzione di una personalità, espressa solo da caratteristiche stabili nel tempo decontestualizzazione dell'azione.

Errore 3: Considerare dato di fatto ciò che è invece un giudizio di valore. È presente un valore sociale e morale nella descrizione delle caratteristiche sintomatologiche.

Errore 4: Considerare i comportamenti devianti come indice di sintomatologia patologica. Attribuzione di un valore negativo ad uno specifico comportamento dimenticato che la diversità è tale solo in relazione a criteri sociali definiti convenzionalmente confondere devianza con patologia è sintomo di tentativo di mascherare infrazioni di norme prescrittive.

Errore 5: Anteporre una visione oggettiva alla versione soggettiva del paziente. Colti aspetti più coerenti per convalidare una figura diagnostica al diagnosta interessa la conferma delle sue categorie della realtà, non il fenomeno di per sé.


Analisi del contenuto: individuate aree di maggior distribuzione degli enunciati selezionati rappresentano le dimensioni valoriali utilizzate nel DSM IV. Le aree individuate costituiscono veri e propri criteri di definizione delle caratteristiche sintomatologiche. Sembra quindi che le definizioni diagnostiche emergono in base a norme sociali, e solo poi si traducono in problematiche sanitarie.


Analisi dei cluster: valutare quanto le diverse categorie d'errore potessero essere interdipendenti la presenza di un errore prevede la presenza di un altro.

Raggruppamento 1: la trasgressione delle regole interpersonali è molto importante nella definizione delle caratteristiche sintomatologiche del DSM.

Raggruppamento 2: il criterio patologizzante comune è il concetto di mancata adesione alla normativa.



8. Considerazioni conclusive


Numero notevole di improprietà rilevate.

Nessuna classificazione di disturbo mentale può avere un numero sufficiente di categorie per comprendere tutti i casi clinici operazioni diagnostico-nosografiche sarebbero un limite e una forzatura.

La trasposizione del modello medico in ambito mentale comporta molte incongruenze.

La sola descrizione di un disagio psichico porta a scambiare il carattere ideale delle rappresentazioni presenti nel DSM per casi reali.

La convinzione per cui la descrizione neutra darebbe maggior obiettività alla diagnosi psichiatrica è un dato illusorio le decisioni diagnostiche vengono prese sulla base di inferenze. Gli errori categoriali e i giudizi di valore mostrano un utilizzo ambiguo del concetto di patologia mantale sofferenza psicologica o malattia??

I criteri di malattia per la patologia mentale, a contrario di quella medica, sono quasi inesistenti: manca l'anatomia patologica, l'eziologia e la patogenesi sono incerte, i criteri sintomatologici sono discutibili.

I sintomi sono raggruppati per convenzione e definiti IMPROPRIAMENTE come disturbi.

La nosografia psichiatrica non rispetta la logica e la metodologia coerenti al modello medico

10. Udire voci: l'applicazione dell'analisi del discorso ad un caso di allucinazioni uditive



2. Inquadramento teorico


2.1 Possibilità di distinguere tra allucinazione e percezione nelle diverse prospettive teoriche


Per la psichiatria classica le allucinazioni uditive sono una falsa percezione apparentemente non distinguibili da vissuti percettivi ordinari. Secondo questa visione, le voci sono vissute come realtà assoluta indiscutibile sintomo di malattia perché prive di riscontro oggettivo.

Tutto questo porta ad una eliminazione della diversità con cui le voci si manifestano, quando invece i significati di queste percezioni non sono estranei alla storia degli uditori l'oggetto analizzato non è indipendente dalle convinzioni che preordinano il modo di vederlo a che livello di realtà siamo??


2.2 Allucinazione e percezione come atti discorsivi


Approccio discorsivo: Percezione come Esperienza radicata in tecniche e forme di vita che forniscono capacità di estrarre informazioni dall'ambiente in accordo con le concettualizzazioni che strutturano le interazioni di quell'individuo col mondo e con gli altri.

Analisi dell'attività discorsiva chiave d'accesso per l'esplorazione del rapporto tra vissuti percettivi e allucinatori fonte di disagio intrapersonale.

Se le allucinazioni diventano una matrice simbolica alternativa a quella comune, per capire come viene gestita la coesistenza tra i due vissuti servirebbe uno strumento che ricostruisca la maniera in cui l'individuo dà forma all'esperienza.


3. Strumento d'indagine: l'analisi del discorso di Manuel Villegas


3.1 Premessa metateorica


In questo caso sembra che la tecnica migliore per i fenomeni indagati sia la semeiotica.

I resoconti degli uditori di voce non devono essere osservati riferendosi a criteri di verità esterna sospendere il giudizio altre forme di conoscenza + altri obiettivi: verità interna con l'esigenza di dare un senso e coerenza agli eventi e al resoconto individuale.


3.2 Concetti chiave: discorso e testo


Discorso: sinonimo di dialogo tra due o più interlocutori attivamente impegnati. È prodotto ed espressione del pensiero analisi della conversazione ≠ analisi del discorso.

Testo: espressioni che fanno uso del codice linguistico. Non tutte le proposizioni linguistiche possono essere considerate testo. I messaggi sono intelligibili non in base al contenuto proposizionale, ma in rapporto al contesto pragmatico, alle norme situazionali e al repertorio di conoscenze generali sul mondo.

La forma della narrazione, lo stile e il genere non sono meno importanti del contenuto.


3.3 Condizioni di produzione e comprensione del testo


Atto comunicativo: Produzione e comprensione del testo.

Produrre un testo: manifestare la matrice intenzionale dell'interlocutore grazie alla trasformazione delle rappresentazione macrostrutturali in rappresentazioni microstrutturali.

a.  Pianificazione: costituirsi di una macroproposizione rappresentativa dell'intenzione discorsiva ciò che si vuol dire, a chi, come e perché.

b.  Codificazione del contenuto comunicativo in parole conformi alle regole della lingua.

c.   Articolazione: garantisce l'accessibilità del testo al destinatario.


Comprensione: il destinatario capisce il testo.

Decodificazione: conversione dei segni in parole e frasi.

Analisi della ridondanza e della coerenza: identificazione delle varie microstrutture in cui il testo è diviso attribuzione di un significato intenzionale al discorso.

Interpretazione: donazione di senso che va scrupolosamente negoziata con l'altro non è l'unica possibile.


3.4 Condizioni di interpretabilità del testo: testualità, co-testualità, contestualità


Petöfi: un testo è comprensibile se soddisfa le condizioni di:

1. Testualità

a.   Concordanza: strutture superficiali del linguaggio regole morfosintattiche.

b.   Ridondanza: assicura la comprensibilità del testo grazie all'ampliamento del nucleo tematico

c.    Coerenza: connessione tra diverse microstrutture relazioni non contraddittorie.

2. Co-testualità: unità di significato risultata dalla combinazione di ridondanza e coerenza.

d.   Intratestuale: rimandi tra gli elementi del testo interni.

e.   Extratestuale: riferimenti a conoscenze non reperibili nel testo.

3. Contestualità: insieme di condizioni di produzione, ricerca e interpretazione esterne al testo aspetti relazionali che coinvolgono mittente e destinatario.


3.5 Che cosa s'intende per comprensione?


Il senso del testo:    a. è imprescindibile dall'intenzione dell'autore? messaggio oggettivo impresso dall'autore?

b. è esclusivamente funzione delle attese e degli schemi interpretativi del destinatario? Interpretazione dell'autore è libera da vincoli?

Riconoscendone la natura dialogica, il testo è ciò che emerge dall'incontro tra autore e lettore compenetrazione dei loro rispettivi orizzonti di significato senza comunque intaccare il valore del suo messaggio.

Il dialogo è una struttura del processo di comprensione la relazione con l'altro sollecita una ricerca sempre aperta all'ulteriorità di senso.



4. Applicazione metodologica


Procedure seguite in relazione a ciascuno stadio dell'analisi testuale.

Presupposto di partenza: il testo costruisce il riscontro sensibile della corrispondente matrice discorsiva.

Scopo dell'analisi: ricostruire il nucleo semantico, emozionale e pragmatico espressione del testo.


Modi per distinguere le diverse microproposizioni:

a. Segmentazione: divisione tematica esplicitata dal testo;

b. Connessione: vincoli che si formano tra microproposizioni.


Analisi della ridondanza: estrapolare il tema del testo, isolandolo e differenziandolo dalla corrispondente espansione narrativa.

Analisi della coerenza: evidenziare le relazioni strutturali che articolano il tema stesso. Esiste la possibilità della sovrapposizione tra analisi della ridondanza e analisi della coerenza.

Macrostruttura finale: commento preliminare: la metodologia considera la divisione del testo in macrostrutture, per lavorare su microstrutture con analisi della ridondanza e della coerenza. obiettivo: ricostruire un'unità discorsiva. La sintesi finale NON garantisce dati certi e definitivi, ma solo ipotesi.

Macrostruttura finale: sintesi discorsiva: la quotidianità è da intendersi come incarnazione dell'universo simbolico soggettivo. Il fenomeno dell'udire voci è visto come inconciliabile, incompatibile con i presupposti dell'universo simbolico soggettivo seria minaccia di frattura senso di smarrimento per la perdita delle personali coordinate di riferimento.



5. Considerazioni conclusive


L'analisi del testo è importante perché la parola dell'altro ci consegna qualcosa di lui. Non serve a trarre inferenze o ad apporre etichette nosografiche.

È necessario operare una riflessione critica sul senso del nostro agire.

Il processo psicologico alla base di una comparsa di voci sembra essere una scissione, una frammentazione tra le diverse autorappresentazioni forse l'uditore è responsabile della costruzione del fenomeno.

Le voci di dentro affiorano attraverso stati d'animo, sentimenti o risonanze emotive, che si trasformano in voci di fuori.

L'analisi testuale può allora essere usata per valutare la centralità o la perifericità di certi fenomeni psicologici. Consente di tracciare una mappa della persona per orientare strategie terapeutiche individualizzate.

11. L'analisi stilometrica e altre tecniche: lo studio dei resoconti clinici e testimoniali



1. Introduzione


Validità di una testimonianza: in ambito giuridico, grado di corrispondenza del suo contenuto allo svolgimento degli eventi.

Attendibilità di una testimonianza: grado di "accuratezza" della deposizione. Il testimone deve avere capacità cognitive adeguate. Minacciano l'attendibilità:    a. Falsi ricordi riferiti al reato;

b. Domande suggestive di risposte;

c. Scarse abilità cognitive del teste.

Complessità dei fattori richiesta di uno strumento per aiutare a decidere NON se una testimonianza sia vera o falsa, ma se possa essere accettata come documento processuale.



2. L'analisi testuale attraverso strumenti informatici


Esamina gli elementi relativi al testo scritto (grafia, contenuto, lessico), per ricavare informazioni sull'autore e sul testo.

L'uso dei mezzi informatici però preclude la possibilità di effettuare un'elaborazione semantica per cogliere il senso del testo e i significati delle parole Analisi del testo assistita da computer ruolo decisionale umano.


2.1 Lo stile linguistico come parametro per la verifica dell'attendibilità della testimonianza


Una deposizione è giudicata attendibile solo se viene riscontrato che il tipo di linguaggio utilizzato nella testimonianza è coerente con i parametri che definiscono lo stile linguistico del teste.

Si presume che eventuali forme di coercizione, o compromissioni delle abilità cognitive porterebbero a modificazione dello stile linguistico del teste.



3. Dal testo cartaceo al computer


3.1 La codifica dei testi


Il computer non può leggere il linguaggio naturale testo tradotto in forma comprensibile dal computer.

Il testo viene marcato perché possano essere definite e conservate le caratteristiche delle forme del testo e la loro funzione specifica.

Il computer non può rilevare le differenze semantiche tra le forme processo di disambiguazione delle parole omografe.

Il ricercatore deve quindi effettuare delle scelte per la descrizione del testo in funzione delle finalità della sua ricerca.


3.2 Definizione dell'unità di analisi


Costrutti frutto del lavoro di categorizzazione del ricercatore. Sottendono una modalità di approccio al testo che si riferisce al tipo di considerazione che il ricercatore ha della variabilità delle forme.


3.3 Programmi per l'analisi dei testi


La scelta del tipo di programma è influenzata dall'impossibilità di conoscere la panoramica dei programmi disponibili e le loro funzioni. Spesso la scelta non tiene conto della necessità di un'adeguatezza dello strumento rispetto agli obiettivi della ricerca.

Spad.T: programma raffinato, ma difficile da usare ricerche sull'attribuzione di paternità del testo effettuata attraverso l'analisi delle corrispondenze.

Analisi delle corrispondenze: tecnica statistica per l'analisi di una struttura delle relazioni tra le variabili indagate.





4. Possibili modalità di analisi dei testi in ambito forense


4.2 Analisi stilometriche


Stilometria: scienza che descrive e misura gli elementi personali nel lessico di un testo e nel linguaggio parlato. Ogni persona avrebbe un suo stile linguistico che la diversifica dalle altre.

Per verificare la credibilità di una confessione scelta di testimonianze ritenute attendibili, esaminati per ricavarne i caratteri distintivi del suo stile linguistico, per poi confrontarli con i documenti processuali.

Unità di analisi: metaparole o analisi grammaticali; lunghezza della frase; segmenti ripetuti; rime; sequenze di caratteri; co-occorrenze; aree lessicali.

Co-occorrenze: forme che ricorrono entro una distanza data dalla parola scelta e che ne formano il contesto.

Aree lessicali: passi del testo in cui vi è la massima compresenza di forme afferenti a categorie concettuali precedentemente definite.

Esistono alcuni problemi di credibilità sui risultati ottenuti con le analisi stilometriche, a causa del margine d'errore. Una persona con una profonda conoscenza dei principi della stilistica potrebbe ingannare gli esperti.


4.2.1 Validità dell'analisi stilometrica in ambito giuridico


Problemi di validità e attendibilità: scarsa lunghezza dei documenti processuali (documenti di 1000 parole, campione minimo per un'analisi attendibili, sono rari); discussione della leicità del confronto tra documenti scritti e orali o testi di tipo diverso; mancanza di uno studio che definisca i fattori a cui vanno addebitati i cambiamenti di stile linguistico o nel lessico di una persona.

Non sono chiari i fattori a cui vanno imputati i cambiamenti di stile nello scrivere quando la persona è in diverse condizioni: desiderio di suscitare una buona impressione può condizionare il genere del linguaggio utilizzato per esprimersi.

Inoltre, la concezione che lo stile linguistico sarebbe unico e personale sembra sottendere una visione del sé acontestuale e monodimensionale.



5. Conclusioni


Mancanza di un adeguato piano sperimentale per la verifica della validità di questa metodologia. Non è rispettata la condizione del doppio cieco lo sperimentatore sceglie direttamente i dati da analizzare in funzione dello scopo della sua ricerca incremento della possibilità che le ipotesi vengano confermate.

Limiti strutturali: trascrizioni dei processi non sempre letterali (spesso gli errori grammaticali vengono corretti); diversa credibilità dei vari periti presso i giudici la scelta di professionisti che godono di una certa fama può influenzare il giudizio della giuria.

Nonostante i molti limiti, l'attenzione è stata posta sul legame tra il linguaggio utilizzato dalle persone e la loro identità le forme del parlare rimandano a generi narrativi personali con cui costruiamo le nostre esperienze.

12. L'approccio narrativo: un'analisi dei processi di cambiamento in un gruppo terapeutico



1. Introduzione


Valutare alcuni utilizzi degli strumenti concettuali della psicologia narrativa per l'analisi delle storie narrate dalle persone. Analizzare i processi di cambiamento nelle narrazioni individuali quando vengono immesse all'interno di un gruppo produzione pubblica influenza dell'altro.



2. L'approccio narrativo


Bruner: pensiero narrativo modalità fondamentale di conoscenza. Caratteristiche:

Narrazione e realtà: non si basa sulla verità, ma sulla verosimiglianza relazione tra narrazione e realtà è di tipo metaforico possibilità di una rappresentazione del significato.

Narrazione e negoziazione: la narrazione per significare la propria vita è un'attività di tipo sociale. Durante le interazioni siamo coinvolti in un processo cooperativo id negoziazione sociale preserviamo o modifichiamo la plausibilità delle nostre storie.

Elementi costitutivi della narrazione: sequenzialità delle situazioni e degli eventi; presenza di attore, azione, scopo, scena e strumento. L'avvio della drammatizzazione è il verificarsi di uno squilibrio crisi.

Narrazioni e azioni: le narrazioni sono testi che si riferiscono ad altri testi drammaturgici testi di secondo ordine forniscono legittimità ed intelleggibilità alle azioni e agli atti sociali.

Funzione pragmatica ed espressiva della narrazione: la narrazione funge anche da anticipatrice degli eventi e da guida per l'azione. Funzione di autorappresentazione, accentuando attraverso le storie alcuni particolari ed omettendone altri si accentua in chi ascolta una determinata immagine di noi.

Sé e narrazione: il sé può essere inteso come un testo composto da molti resoconti narrativi tessuti insieme per produrre continuità e coerenza nella propria esperienza autobiografica.



3. Aspetti generali del processo di cambiamento nelle comunità terapeutiche


Efficacia dei trattamenti di tipo residenziale dovuta a:

Segregazione degli utenti dal sistema di interazioni e narrazioni che sostenevano l'identità deviante.

Inserimento di una nuova struttura di plausibilità consolidamento di una nuova identità.

Partecipazione routinaria a nuovi universi di discorso sarebbe generativa di una nuova realtà maggiore effetto terapeutico si presta molta attenzione al linguaggio e alle modalità di interagire degli utenti, che devono essere conformi al copione fornito dalla struttura.



4. Il gruppo confronto


Progetto uomo (CeIS): ogni questione personale del tossicodipendente deve essere portata in gruppo e discussa; il gruppo confronta il resoconto con le linee guida del programma terapeutico. Gli interventi mirano a mettere di fronte il residente alle sue responsabilità e modalità comportamentali.

Il gruppo confronto è lo strumento di valutazione e di influenzamento delle narrazioni dei residenti, con la funzione di produrre una versione definitiva e consensuale della realtà.



5. Applicazioni pratiche: l'analisi di un resoconto


L'analisi del resoconto gruppale si focalizza su:

a. Livello di contenuto: considera il contesto drammaturgico (attore, azione, scopo, scena, strumento).

b. Livello pragmatico ed espressivo: riguarda l'intreccio cogliere gli effetti di influenzamento che il narratore intende produrre.

c.  Livello interattivo e negoziale: riguarda gli interventi del conduttore e la loro influenza sulla narrazione.



8. La narrazione come attività congiunta


Gli interventi del conduttore portano il soggetto a valutare possibilità alternative e a spiegare il perché non sono praticabili.

I collegamenti con modalità comportamentali della famiglia di origine sono considerati una giustificazione, utilizzata per legittimare l'inevitabilità della situazione presente.

La narrazione è sempre un'attività dialogica incontro di due logiche.



9. Considerazioni conclusive


Le narrazioni dei tossicodipendenti sono caratterizzate dalla tendenza a descriversi come vittime di circostanze esterne sfavorevoli, scaricando la responsabilità su altri (famiglia, società, istituzioni).

Oltre all'analisi del contenuto del racconto, è importante la sua funzione espressiva e strumentale a causa della considerevole capacità di automonitoraggio dei tossicodipendenti tendenza a produrre narrativamente versioni parziali della realtà, strumentali al raggiungimento dei propri obiettivi.

Limiti dell'approccio narrativo:

Utilizzo ingenuo: il rapporto tra narrazioni ed azioni NON è di tipo causale.

Un'interpretazione letterale porterebbe ad un'estrema apertura nei confronti del possibile a discapito del reale.

Ciononostante l'approccio narrativo può fornire contributi importanti, sia sul piano della ricerca, sia sul piano della pratica clinica.

13. Un esempio di griglia esplorativa: l'indagine della rappresentazione degli psicologi e degli psichiatri nei medici di base



Molti psicologi o psicoterapeuti, medici o psichiatri, lamentano reciproche difficoltà a collaborare, o di essere vittime di attese distorte nei loro confronti in termini di ruolo. Questo può andare a discapito dell'utente, che sarebbe maggiormente aiutato se ci fosse un'efficace comunicazione tra gli specialisti.



2. La ricerca


Esiste spesso una difficoltà nella comunicazione tra medici e specialisti "psi", tanto che c'è una confusione anche sulle definizioni dei diversi termini e mansioni delle varie figure (psicologo, psicoterapeuta, psichiatra).

È stato progettato un focus group consistente in una strategia di domande atte a far nascere in un gruppo una discussione su un determinato tema emergere di associazioni di idee, nuovi temi ed espressioni simboliche e personali di significati.


2.1 Obiettivi della ricerca


Aree di interesse discusse:

Cosa il medico di base pensa della terapia psicofarmacologica e della terapia psicologica;

Che tipo di pazienti il medico di base invia più facilmente ad una psicoterapia;

Con quali modalità conversazionali invia il paziente;

A chi si rivolgerebbe lui stesso per avere un aiuto di tipo psicologico.


Il campione è costituito per il 68% da uomini e per il 32% da donne, età media 45,7 anni.


2.2 Analisi dei protocolli restituiti


La terapia psicologica è considerata utile e profonda, che riesce a modificare con successo le cause del malessere psicologico potere di favorire il cambiamento nella qualità della vita in modo durevole.

Non emerge alcuna differenza significativa tra l'opinione che i medici hanno degli psichiatri e degli psicologi considerate positivamente in termini di equilibrio, competenza ed onestà.

L'utilizzo dei farmaci è considerato più utile nella fase acuta; è riconosciuta l'efficacia dell'azione prevalentemente sui sintomi.

L'ipotesi di un'eventuale modalità di intervento indifferenziata del medico di famiglia nei confronti del disagio psicologica viene meno.


Modalità verbali maggiormente usate dal medico per mandare un paziente in cura psicoterapica:

Molte persone con il suo problema si sono trovate bene;

Potrà essere seguito in maniera seria;

La affido a persona di mia fiducia;

Il problema non è di mia competenza;

Il suo è un problema serio;

Lei ha risorse personali.


Data l'appartenenza allo stesso ordine professionale, e alle convinzioni legate all'efficacia della terapia farmacologica, la maggior parte del campione si rivolgerebbe ad uno psichiatra per problemi personali. Solo il 3% si rivolgerebbe ad uno psicologo o uno psicoterapeuta.

Necessità di una maggiore collaborazione e conoscenza professionale tra i diversi professionisti.



3. Conclusioni


Da entrambe le parti possono emergere posizioni sbilanciate e parziali che ostacolano la comunicazione rischio di trattare i pazienti in un'ottica esclusivamente medica o in un'ottica esclusivamente psicologica, anche quando sarebbe necessaria un'integrazione tra i compiti e le competenze.


14. Programmi terapeutici e riabilitativi nella tossicodipendenza



1. La tossicodipendenza come devianza: l'abuso di sostanze e la reazione sociale


La ricerca delle origini degli atti devianti (in cui si inserisce anche la tossicodipendenza) nella psicologia individuale risulta inadeguata includere la reazione sociale il concetto di devianza non ha alcuna verità oggettiva.

De Leo: è indesiderabile modificare il proprio stato mentale e fisico per mezzo di sostanze.

L'uso di droghe causerebbe la violazione di alcuni principi:

a. Controllo sociale del dolore e del piacere: ogni società elabora una serie di norme e regole che stabiliscono dei modi normali e devianti per l'elaborazione della sofferenza, dell'ansia, del dolore e del piacere.

b. Principio di autorità e divieto di decidere autonomamente in merito a certe droghe: il medico e lo psicologo sono le figure che possono consentire o impedire l'assunzione di droghe.

c.  Controllo sociale della dipendenza: in relazione al principio di autorità. La dipendenza dal metadone al posto dell'eroina è tollerata.

d. Principio della costanza, della coerenza e della convenzionalità del senso di realtà: l'uso di sostanze che, anche temporaneamente, alterano la percezione della realtà è indesiderabile.

Perché si produca devianza, è necessario che alla violazione seguano delle interazioni sociali di risposta. Esistono dei sottili processi per cui le aspettative rispetto alle caratteristiche tipiche di una certa categoria di devianti finiscono per diventare reali, influendo sulla rappresentazione di sé e sul comportamento.



2. Gli stereotipi, il processo di attribuzione, la formazione delle impressioni


I processi di formazione delle impressioni e i processi di attribuzione sociale sono soggetti a distorsioni.

Spesso ci si approccia alla conoscenza delle persone basandosi su teorie implicite un tratto di personalità reso saliente da un atto deviante porta a supporre l'esistenza di insolite caratteristiche di personalità errore fondamentale: sovrastima di fattori disposizionali stabili di personalità nello spiegare il comportamento altrui.

Le attribuzioni tendono all'autoconferma coinvolgono pervasivamente l'intera personalità del deviante.

Lemert: a. Deviazione primaria: implicazioni marginali per il sé;

b. Deviazione secondaria: coinvolge la persona in sistemi di interazioni istituzionali deterioramento del proprio ruolo e status sociale e degli atteggiamenti nei confronti del sé. I soggetti definiti "devianti secondari" è presente una quasi totale identificazione con le categorie d'esperienza, di ruolo e di condotta dei drogati accettazione di un'immagine degradata di sé.

Paradosso dell'intervento correzionale-terapeutico: inserendo nella coscienza di sé del tossicodipendente l'immagine di malato, causato da eventi sociopsicologici, familiari o biologici, accentua caratteristiche di vittimismo bloccato lo sviluppo di aspetti di sé per gestire e riconoscere le condotte come proprie.

I tossicodipendenti primari, invece, danno un significato e un valore alle loro condotte devianti no senso di colpa più sicuri di sé e meno bisognosi di adeguamento.



3. Intenzionalità e identità


È necessario considerare gli individui devianti non più governati da meccanismi psicologici impersonali, vittime impotenti del contesto sociale, ma soggetti attivi strategicamente capaci di mettere in gioco le parti di sé disponibili più idonee a seconda della situazione.

Sé operante: sottoinsieme di rappresentazioni di sé temporaneamente e pragmaticamente attivo.



4. La normalità, la devianza e i modelli di intervento riabilitativo


Devianza: punto di rottura di un'interazione problematica tra esigenze individuali e norme sociali.

Le differenti modalità di intendere il recupero sociale dei devianti possono influenzare i sistemi interattivi e simbolici delle rappresentazioni di sé.

Kaneklin

a. Comunità "Dare una nuova forma" - Modello correzionale: l'evento sociale "trasgressione di una norma" è indice di patologia individuale. Il modello si propone un rimodellamento dell'identità dei devianti per un adattamento alle norme vigenti, considerate punto di partenza indiscutibile.

Suddivisione in fasi di: * Accoglienza: invertire la prospettiva di "vittimismo e giustificazione" spietata analisi di sé. La precondizione per l'accesso è l'accettazione di un'immagine negativa di sé e la consapevolezza del non poter farcela da soli.

* Comunità: organizzazione gerarchica; utilizzo di strumenti terapeutici di stampo comportamentista; impiego di ex tossicodipendenti come fattore di influenzamento sui nuovi arrivati.

* Reinserimento: proseguimento del percorso in condizioni di minor protezione.

L'utente fa propria la teoria del tossicodipendente posseduta dagli operatori si cristallizza sull'identità del deviante o ex-deviante.

b. Comunità "Sbloccare-nutrire": impiegati concetti interazionisti e costruttivista. Si propone di analizzare i fenomeni devianti nei contesti in cui emergono. L'intervento è focalizzato sulla vita quotidiani, per far acquistare ai soggetti delle competenze sociali utili, anziché adattarsi alle norme o subirle. Lo scopo non è ricondurre i devianti ad un modello di normalità definito a priori, ma fornire una serie di esperienze, conoscenze e valori che consentano di riprendere autonomamente il proprio percorso di vita. L'organizzazione interna è volta a pianificare e gestire gli spazi e i tempi con un costante riferimento al territorio e ai servizi disponibili.
Avviene una progressiva acquisizione di uno status positivo che deriva dall'assunzione e dall'identificazione con il sistema normativo e valoriale.



5. Considerazioni conclusive


Passare dalla concezione personalistica e patologistica predominante ad una comprensione del fenomeno considerandolo complesso.

Il focus d'analisi è l'interazione tra comportamento, norma e reazione sociale identità deviante = realtà costruita in un processo di interazione e negoziazione.

Lo scenario delle droghe sta cambiando in fretta: si modificano le forme di consumo perdita di pregnanza realistica e utilità pragmatica della categoria concettuale di tossicodipendenza. È importante per i servizi saper personalizzare gli interventi e adattarsi a consumatori con diverse esigenza, obiettivi e modalità interattive.

Nessun servizio può affermare la propria superiorità o porsi come unica soluzione al problema della tossicodipendenza.

15. Gli interventi psicologici e la qualità della vita del paziente oncologico



1. Psico-oncologia: panorama e sviluppo storico


Le aree di intervento della psico-oncologia sono:

a. Prevenzione, diagnosi precoce, compliance: studio delle variabili psicologiche e sociali implicate nella predisposizione allo sviluppo di tumori che interferiscono sulla prevenzione e sulla diagnosi. campagne educative anti-cancro.

b. Valutazione della morbilità psichiatrica in oncologia e sua prevenzione: sintomi di sofferenza psicologica in pazienti con tumori. Approfonditi gli aspetti psicologici del cancro. Svolte indagini controllate sull'efficacia degli interventi psicoterapeutici, farmacologici, chirurgici e radianti.

c.  Psicobiologia e psiconeuroimmunologia: valutazione di quanto le variabili psicosociale si esprimano a livello neuroendocrino e immunitario.

d. Qualità della vita del paziente e qualità degli interventi psicologici

e. Formazione: esigenza di sviluppare competenze coinvolgenti a vari livelli le figure professionali impegnate in questo ambito.

Gli obiettivi di ricerca e applicazione clinica sono volti all'osservazione delle potenzialità del paziente di intervenire in modo finalizzato. La psico-oncologia non può guarire, ma aumentare la rigorosità del lavoro, fare in modo che la scienza accetti l'ansia e l'angoscia, che non le falsifichi o le neghi.



2. Psicologia e cancro


a. Alcuni aspetti della personalità posseggono correlati biologici a maggior rischio per lo sviluppo del cancro;

b. Particolari eventi stressanti incrementano il rischio di cancro o ne influenzano il decorso.

L'interventismo medico opera una repressione aggressiva di ciò che è considerato un fenomeno alieno e distruttivo per l'individuo.

Partendo dal presupposto che sia impossibile comprendere un fenomeno isolandolo dal contesto, sarebbe più opportuno affrontare l'oggetto di studio nella usa complessità non separare i livelli di realtà corpo/mente comprensione su più dimensioni.

Gli studi danno risultati controversi nel rapporto tra depressione e cancro: alcuni trovano una netta correlazione, altri la negano.

L'attività mentale e le emozioni modificano gli stati biologici facilitano o ostacolano la cancerogenesi.

Nell'organismo può esistere un rischio da oncogeni, che può aumentare in seguito all'esposizione ad agenti cancerogeni nell'ambiente. Uno stress emozionale potrebbe avere un ruolo importante nella modulazione della crescita del tumore primitivo minori ostacoli alla diffusione del tumore per persone maggiormente represse dal punto di vista emozionale, a causa di una risposta non efficiente allo stress.

Simonton: teoria della sorveglianza: ogni organismo produce occasionalmente cellule anormali. Se l'organismo è sano il sistema immunitario le riconosce e elimina. Per questa teoria, il cancro è un attacco dall'interno. Quindi, cosa impedisce al sistema immunitario di riconoscere cellule anormali?

Lo stress emotivo:  a. Indebolisce il sistema immunitario;

b. Conduce a squilibri ormonali maggior produzione di cellule anormali.

Esiste un dialogo continuo tra sistema nervoso, sistema endocrino e sistema immunitario: stress emozionale attivazione del sistema neuro-endocrino informazioni al sistema immunitario.

In condizioni di stress emozionale riduzione dell'attività di cellule natural killer compromissione dell'immunosorveglianza.



3. La rappresentazione sociale della patologia tumorale


I significati socialmente attribuiti al cancro influenzano l'atteggiamento, le credenze e le autorappresentazioni degli ammalati. La rappresentazione sociale del cancro è spesso associata allo stigma sociale.

Reazioni del paziente ai fattori di: a. Significato di minaccia esistenziale della malattia;

b. Conseguenze psicosociale (perdita del lavoro e dello status);

c. Conseguenze fisiche (dolore);

d. Conseguenze del trattamento (nausea, perdita di capelli.).

In particolare la minaccia all'esistenza fisica provoca una frattura nel senso di continuità dell'esperienza di sé.

Le reazioni alla malattia possono essere adattate o patologiche, ed influenzare l'ambiente famigliare, la relazione con i terapeuti e con la società. Spazio di intervento per la psico-oncologia approcci:

a.  Sottolineare l'importanza dei modi di far fronte alla minaccia della malattia;

b.  Possibilità individuale di dare un senso ai cambiamenti imposti dalla malattia integrazione con la propria storia biografica.



4. I trattamenti psicologici e la qualità della vita


La psico-oncologia come disciplina in grado di favorire un atteggiamento mentale più attivo e di riorganizzazione, la mobilitazione di aspettative realistiche positive e di capacità di autocontrollo psicofisiologico della propria esperienza sembra avere effetti positivi sulla sintomatologia riduzione della sofferenza psicologica e miglioramento della qualità della vita.

Esiste la possibilità concreta che suscitare emozioni positive con tecniche di rilassamento e visualizzazione di immagini mentali, migliori la reattività e la resistenza dell'organismo alla malattia componente fondamentale del trattamento medico standard ci si occupa dell'essere umano nella sua totalità.

Gli obiettivi sono:    a. Migliorare la qualità della vita del paziente;

b. Sviluppare modalità più funzionali di affrontare la malattia;

c. Restituire un senso di controllo personale sulla propria vita;

d. Favorire la risoluzione di problemi pratici derivanti dalla malattia;

e. Aiutare la persona e la famiglia ad integrare la malattia nella propria vita.

Gli interventi di psico-oncologia devono essere mirati e personalizzati.



5. Conclusioni


Nasce l'esigenza di analizzare gli aspetti psicologici del malato oncologico sia in una prospettiva di prevenzione, sia in relazione al sostegno psicosociale necessario ai malati. Gli interventi dovrebbero riuscire a riattivare le energie vitali, ad autonomizzare il paziente, a reinserirlo socialmente, a restituire un senso del dramma esistenziale e a sostenere i famigliari, anche e soprattutto nel caso di un esito infausto.

Il lavoro in ambito oncologico è psicologicamente pesante per tutti: c'è bisogno di ricercatori senza pregiudizi e oncologi disponibili ad una visione più interdisciplinare.

Si comincia col sostituire ad un corpo oggetto (tipico della visione cartesiana della medicina) un corpo vivente e abitato, capace di dare senso a ciò che prova.

16. Modelli e pratiche nella cura della malattia



1. Premessa


La concezione dell'uomo come oggetto passivo determinato da eventi esterni è stata parzialmente abbandonata in favore di una concezione di uomo come soggetto attivo, capace di autoregolarsi. Riconoscimento della valenza costruttiva dell'intervento e del linguaggio descrittivo.

Anche se il mondo istituzionale appare come realtà oggettiva, la sua oggettività è prodotta e costruita dalle persone l'organizzazione del SSN si basa su presupposti socialmente prodotti di costruire la realtà, inscindibili dal contesto storico-culturale.

Tendenza alla psichiatrizzazione e alla criminalizzazione di comportamenti devianti: tentativo riuscito di mascherare delle infrazioni di norme sociali facendole passare per violazioni di norme naturali.

Tendenza alla medicalizzazione dell'intervento: adottando la medicina come modello per curare, prevenire e riabilitare le persone, sono state favorite logiche di intervento fortemente connotate in senso medicalizzante.

Negando la diversità tra norme biologiche e norme sociali e riducendo le esigenze dell'utente alla semplice componente sanitaria reificazione.



2. Dallo Stato assistenziale alla Legge di Riforma Sanitaria 833/78: alcuni scenari di salute


Ingrosso, Scenari di salute: salute come insieme di segni e processi del corpo, degli stili di relazione che definiscono una qualità dell'esperienza che si viene a costruire come trasformata da processi interpersonali e collettivi.

Scenario tradizionale: approccio ai problemi di salute e malattia prevalentemente di tipo riparativo trattamento e cura (ospedale psichiatrico). Il disagio individuale è etichettato come malattia mentale curabile con programmi terapeutici di esclusione sociale. Il soggetto è inevitabilmente inserito in un processo stigmatizzante moltiplicate le situazioni di dipendenza psicologica.

Scenario tecnologico: uso diffuso della tecnologia medica per la gestione dei problemi di salute e benessere. Legittimato il rafforzamento della professionalità di tipo medico.

Scenario post-medicale: consapevolezza che il miglioramento della salute della popolazione generale non è perseguibile con un incremento dell'intervento medico socialmente diffuso. Molti degli effetti negativi sulla salute dipendono anche da fattori sociali ed economici.



3. Problemi e difficoltà nella gestione dei servizi socio-sanitari


Dopo l'implementazione del SSN si sono evidenziati alcuni limiti, come la mancata realizzazione di alcuni principi programmatici.


3.1 LIVELLO ISTITUZIONALE


a.  Contesto istituzionale e legislativo: limiti e difficoltà di applicazione e attuazione di innovazioni legislative. Alle linee programmatiche corrisponde mancanza di iniziative a livello amministrativo finalizzate alla creazione di adeguate strutture intermedie per rispondere ai nuovi bisogni. È difficile dare risposte non tradizionali alle situazioni di disagio. 
In ambito sanitario, alle modifiche nella programmazione del contesto organizzativo dei servizi non è stato corrisposto un appropriato cambiamento del saper. Richiedendo agli operatori competenze nel loro nuovo ruolo, ma escludendoli dalla partecipazione attiva alla riorganizzazione del contesto, non è mai stata raggiunta una completa attuazione normativa della legge di riforma sanitaria.

b.  Contesto organizzativo all'interno dei servizi: differenti problematiche organizzative interne ai servizi.
Composizione dell'equipe con modelli teorici ed operativi diversi e diversi linguaggi e progettualità da un lato favorisce il confronto, dall'altro rischia di generare una confusione di linguaggi e vissuti. Spesso nei servizi sanitari pubblici non sono predisposti momenti di verifica
incomprensioni ripercussioni a livello operativo rischio burn-out.
Il cambiamento legislativo sembra una ridefinizione nominale dell'esistente, senza però la sostituzione di nuovi modi di pensare e agire.
Lo spostamento degli interventi dalle strutture ospedaliere a quelle territoriali non ha modificato le convinzioni degli operatori
rigidità dei ruoli operatore-utente trasportati nei servizi territoriali.


3.2 LIVELLO OPERATIVO


Analisi delle prassi operative nella programmazione e attuazione dell'intervento socio-sanitario.

È importante costruire un'adeguata consapevolezza epistemologica rispetto agli strumenti conoscitivi e ai costrutti linguistico-concettuali in base ai quali l'operatore forma le proprie convinzioni e opinioni.

I presupposti teorici contribuiscono a definire il tipo di intervento.

Errore fondamentale di attribuzione: esiste la tendenza dell'osservatore a spiegare e giudicare il comportamento delle persone sulla base delle caratteristiche personali, lasciando in disparte le osservazioni sull'agire interattivo contestuale e intenzionale.

Chi lavora in un servizio socio-sanitario finisce implicitamente per partecipare al processo di stigmatizzazione e stabilizzazione del disagio devianza secondaria.

Rischio di un uso acritico del linguaggio uso di categorie diagnostiche con la convinzione di descrivere realtà esistenti oggettivamente processo di reificazione del disagio.


3.3 LIVELLO DELLA DOMANDA DEI SERVIZI


Rappresentazioni delle persone "profane". Gli errori storici della psichiatrizzazione e della medicalizzazione di molte forme di disagio sono stati ampiamente assimilati dal senso comune. Le domande sono strutturate in riferimento ad un'ottica prevalentemente psichiatrica.



4. Verso nuovi scenari della salute: alcune considerazioni sui nuovi assetti dei servizi


Ingrosso, Scenario ecologico: cornice alternativa per predisporre risposte nuove da parte dei servizi alle forme di disagio. Necessario un cambiamento radicale con una più adeguata epistemologia della salute. Il compito collettivo è favorire un ambiente di promozione del benessere obiettivo di corretta assunzione di responsabilità anche da parte degli esperti.

L'innovazione legislativa pone i presupposti per adottare una concezione dell'9individuo più attiva.

Il modello antropomorfico si rapporta alla complessità degli eventi sociali, che consente di abbandonare le spiegazioni di tipo causalistico incentrate sul sintomo. Molti degli eventi che gli operatori affrontano sono eventi sociali connessi ad una dimensione storico-culturale e una dimensione soggettiva.

Il concetto di persona derivante è quello di una persona attiva e consapevole, capace di un agire pianificato e diretto ad uno scopo.

Le problematiche di competenza degli operatori dovrebbero essere affrontate privilegiando spiegazioni in termini di ragioni che consentano di accedere al significato implicito nell'agire umano che l'enfasi sulle cause finisce inevitabilmente per sacrificare.

Il rischio è che gli elementi innovatori introdotti dalla nuova legislazione vengano messi in secondo piano rispetto alle logiche di tipo aziendale.






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