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IDENTITA', POLITICA E CULTURA NELLA DEFINIZIONE DELLA 'QUESTIONE SETTENTRIONALE'

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IDENTITA', POLITICA E CULTURA
NELLA DEFINIZIONE DELLA
"QUESTIONE SETTENTRIONALE"

Roberto Biorcio*

Abstract

Le rivendicazioni autonomistiche italiane hanno fondamento nelle trasformazioni epocali che stiamo vivendo / Guerra fredda e grandi organizzazioni internazionali hanno indebolito gli stati nazionali / Rapporto ambivalente e contraddittorio degli Italiani con la loro identità nazionale / Per tutti gli anni Ottanta, le rivendicazioni localiste non hanno avuto rilevanti consensi / La Lega ha dato voce ai pregiudizi antimeridionalisti diffusi nel Nord / Efficacia del linguaggio antimeridionale della Lega / Dalla "questione meridionale" alla "questione settentrionale" / Dalla crisi del  modello fordista alla reindustrializzazione basata sulla piccola impresa a base famigliare, cui la Lega ha offerto rappresentanza politica / La protesta fiscale, cavallo di battaglia / La Lega ha coniugato l'etnonazionalismo con il populismo / Doppia polarizzazione: orizzontale (Nord -Sud) e verticale (piccola impresa - grande industria) / Crescita dei sentimenti di appartenenza padana: rituali di massa e iniziative simboliche 

SOMMARIO 1. Globalizzazione e localismo   2.Nord e sud     3.Classi sociali e territorio
4. Nordismo e populismo 5. Patriottismo padano e iniziativa politica

La "questione settentrionale" - che qualcuno riduce sbrigativamente alla "questione del Nord Est" - ha assunto un peso crescente nel dibattito politico e nell'immaginario collettivo. Spesso i giornalisti e i commentatori richiamano questo tema per evocare una costellazione di problemi e interessi, i soli dotati di 727e44h spessore e concretezza per molti attori di politiche sociali. La "questione settentrionale" ha assunto però rilevanza propria, e una irriducibile specificità, perché è nato e ha avuto successo un movimento - la Lega Nord- che rivendica l'indipendenza delle regioni dell'Italia del Nord. Il movimento ha lavorato per fare emergere una identità collettiva per i popoli delle regioni settentrionali ("noi"), per denunciare i responsabili della situazione di deprivazione e di oppressione da essi subita e per definire la posta in gioco del possibile conflitto.

Il processo di mobilitazione politica che si è sviluppato negli anni novanta nelle più importanti regioni dell'Italia settentrionale non è la conseguenza inevitabile delle condizioni di crisi, di disagio sociale e di deprivazione esistenti. La necessità della battaglia per l'indipendenza è stata fondata sull'assunto della riduzione allo stato di colonie delle regioni settentrionali: solo l'indipendenza potrebbe porre fine alla rapina delle risorse economiche delle regioni del Nord, alla "giustizia coloniale" e alla "scuola coloniale". L'idea della "Padania" è stata costruita con una serie di iniziative politiche e simboliche, che hanno ottenuto risonanza e adesioni in molte provincie del Nord.

1. Globalizzazione e localismo

Le rivendicazioni di autonomia e indipendenza delle regioni dell'Italia settentrionale trovano un fondamento non episodico nelle trasformazioni epocali che segnano questo fine secolo. La fine della guerra fredda, la globalizzazione dell'economia e delle comunicazioni, la crisi dei sistemi di Welfare State hanno profondamente trasformato i riferimenti per la vita politica e sociale. Le dimensioni degli stati tradizionali appaiono in molti casi inadeguate per rapportarsi al sistema economico ormai a livello mondiale. Unità territoriali più limitate, non impegnate in compiti solidaristici verso più vaste aree territoriali, sembrano più adatte a reggere le sfide competitive: "Oggi, nel mondo industrializzato così come in quello in via di sviluppo, l'unità di business naturale per attingere all'economia globale e produrre ricchezza è la regione, non la nazione" (1). La crescita del numero degli stati esistenti che si è verificata negli ultimi anni sembra assecondare questa tendenza: "più cresce l'economia globale più piccoli diventano i singoli attori nazionali"(2).

Dagli anni sessanta, diversi movimenti e partiti hanno messo in discussione sia i processi di integrazione culturale che la tendenza all'integrazione politica (centralizzazione) in molti paesi europei. I movimenti e le formazioni politiche etnonazionaliste, molto diversi per la storia e contesto della mobilitazione hanno seguito, nella loro azione e comunicazione politica, un modello di base che si può compendiare in tre punti fondamentali: a) la valorizzazione della componente etnica della vita sociale, gestita in chiave polemica come referente per l'identità politica; b) la denuncia della condizione di colonia - politica, economica, culturale - a cui sono state ridotte le popolazioni che si vogliono mobilitare; c) il tentativo di far coincidere la comunità etnica con un'entità politica dotata dei diritti di autodeterminazione e di autogoverno. La fine della guerra fredda e il ruolo crescente delle organizzazioni sovranazionali (Unione Europea e il Nafta), hanno indebolito i singoli stati nazionali e offerto nuove opportunità all'iniziativa di forze politiche autonomiste e indipendentiste. La globalizzazione delle comunicazioni e i flussi migratori rendono più visibili le diversità etnoculturali, e favoriscono il riconoscimento delle appartenenza etno-territoriale. Non sono tanto le differenze etniche o culturali a innescare la mobilitazione, quanto l'iniziativa degli attori politici interessati: "in generale il conflitto esplode non a seguito di uno scontro fra 'civiltà' diverse, bensì quando leader politici e/o militari ingigantiscono artificiosamente le sottili differenze che separano i singoli gruppi per eccitarne l'odio latente"(3). Nell'ex-blocco comunista si sono disintegrate l'Unione Sovietica, la Jugoslava e la Cecoslovacchia. Anche nei paesi dell'Europa occidentale, gli assetti statuali tradizionali sono stati posti in discussione, a partire dalla fine degli anni ottanta, da proposte di federalismo centrifugo, o di secessione.

La contestazione dei poteri e dei confini degli stati tradizionali non nascono di regola dalla regioni economicamente poco sviluppate. Le rivendicazioni di autonomia o indipendenza esprimono spesso una sorta di "sciovinismo del benessere" (4), la volontà delle regioni più ricche di non fare fronte a esigenze di solidarietà nazionale rispetto alle aree meno sviluppate. Le proposte di autonomia delle regioni del Nord e l'indipendentismo padano possono apparire plausibili in questo contesto. L'idea di una macroregione denominata "Padania", prima che nella propaganda leghista ha trovato spazione nelle riflessioni della Fondazione Agnelli (5). Il potenziale produttivo delle otto regioni dell'Italia settentrionale era infatti considerato adeguato a reggere senza difficoltà la sfida delle più importanti aree europee, a condizione di essere sorretto da istituzioni autonome e appropriate, "diverse dallo stato centralista" (6).

Quali possibilità esistono per una radicale trasformazione del tradizionale asetto dello stato italiano? La costruzione del nostro stato unitario si è realizzato in ritardo rispetto ai principali paesi europei. L'unificazione nazionale ha assunto una forma "contemporaneamente cosÏ debole da risultare in gran parte inefficace e cosÏ energica da moltiplicare l'avversa reazione del paese e da rafforzare i secolari sentimenti particolaristici" (7). Nel nostro paese hanno perciò avuto sempre un ruolo importante il municipalismo e il localismo. Il particolarismo ha favorito lo sviluppo di lealtà essenzialmente rivolta ad ambiti ristretti (la famiglia, il clan, il villaggio) e ha impedito la crescita di una forte identità nazionale. Il rapporto degli italiani con l'identità nazionale è ambivalente e contraddittorio, a causa dell'ostentazione dei simboli nazionali praticata dallo sconfitto regime fascista e del discredito in cui è caduta negli anni ottanta la classe politica che ha guidato l'Italia dopo la seconda guerra mondiale. Pochi italiano disconoscono l'appartenenza nazionale, ma questa identificazione viene spesso ritenuta meno importante di altri sentimenti di appartenenza che fanno riferimento alla posizione sociale, a caratteristiche demografiche, alla religione oppure ad altre comunità a base territoriale.Il particolarismo e la presenza diffusa di orientamenti localisti, e la diversità delle subculture locali non sono stati per molti anni conduzioni sufficienti per innescare conflitti politici orientati a mettere in discussione l'unità nazionale. I localisti non sono caratterizzati da opposizione alla dimensione statale-nazionale, ma da estraneità e mancanza di interesse per il mondo lontano dalla propria comunità. La distribuzione delle risorse economiche fra le diverse aree territoriali non ha suscitato significative contestazioni nelle regioni dell'Italia settentrionale fino agli anni ottanta. Fino al decennio scorso, i movimenti e le formazioni politiche autonomiste hanno avuto perciò un ruolo marginale. Solo in alcune regioni relativamente periferiche, e fortemente caratterizzate da autonomia linguistica e culturale (Valle d'Aosta, Sud Tirolo, Sardegna) si sono formati partiti e movimenti autonomisti in grado di conquistare uno stabile consenso elettorale.

L'istituzione delle regioni a statuto ordinario nel 1970 non ha favorito movimenti di tipo autonomista. Fino agli anni ottanta appariva prevalente la tendenza alla omogeneizzazione culturale nell'ambito dello stato moderni nazionale. In opposizione a questa tendenza si sono impegnate le leghe fondate negli anni ottanta in Piemonte, Lombardia e Veneto. La propaganda leghista si è orientato su tre piani: a) recuperare e valorizzare tutti gli elementi utili a rafforzare l'identità etnoculturale delle singole regioni; b) mettere in luce una sorta di "carattere nazionale" delle loro popolazioni evidenziando una serie di tratti distintivi fondati su luoghi comuni e stereotipo molto diffusi; c) denunciare la condizione di "colonie interne" delle regioni settentrionali costrette a subire rapporti economici svantaggiosi imposti dal governo nazionale.Per tutti gli anni ottanta questo tipi di proposta ha avuto solo consensi marginali e fluttuanti nelle prinicpali regioi dell'Italia settentrionale. Solo a partire dal 1989, la Lega Nord è riuscita a conquistare consensi di massa per la sua proposta, diventando il primo partito dell'Italia settentrionale nel 1996. Il nuovo partito ha sostituito progressivamente l'idea delle regioni/nazioni con quelle della Padania.



2. Nord e sud

I successi della Lega Nord partito hanno fatto assumere visibilità e rilevanza alla questione settentrionale, rovesciando il tradizionali modo di concepire la questione meridionale.Dopo la formazione dello stato nazionale la frattura Nord-Sud era profonda sul piano economico e sociale, ma l'assenza di forti differenze etnoculturali aveva permesso al sistema politico di favorire un'alleanza fra gli interessi economici delle due aree, rendendo più difficile la mobilitazione territoriale (8). Nel secondo dopoguerra è stato ridotto il divario economico Nord-Sud, ma non si è sviluppato nelle regioni meridionali un sistema produttivo autonomo. Tutti i principali partiti italiani hanno presentato la questione meridionale come questione nazionale: i problemi di sviluppo economico e di modernizzazione sociale delle regioni meridionali erano assunti come impegni prioritari per tutta la comunità nazionale. Negli anni settanta sono stati soprattutto i sindacati, dopo avere ottenuto l'abolizione delle "gabbie salariali", a promuovere mobilitazioni per lo sviluppo del mezzogiorno. Negli anni ottanta il meridionalismo si è impoverito, riducendosi a problema di semplice redistribuzione di risorse, spesso il chiave assistenziale. Questo modello si è incrinato nella seconda metà degli anni ottanta quando la pressione fiscale crescente e gli alti costi di finanziamento del debito pubblico hanno creato problemi crescenti per il benessere e le possibilità di sviluppo delle popolazione dell'Italia settentrionale. Si è così fortemente indebolita la capacità di mediazione territoriale degli interessi da parte dei principali partiti.La Lega ha rovesciato gli assunti tradizionali sulla questione meridionale, dando voce ai pregiudizi e agli atteggiamenti antimeridionalisti diffusi nelle regioni dell'Italia settentrionale. Questa scelta è nata dalle difficoltà di fare emergere l'identità regionalista prima, e quella padana poi. L'identità regionalista, e la distinta etnicità attribuita ai popoli della Padania hanno acquistato rilievo perché ricollegate a un conflittualità già esistente a livello sociale: l'ostilità latente e i pregiudizi diffusi nei confronti dei meridionali. Lega ha seguito la classica strategia comunicativa dei movimenti populisti, dedicando più impegno all'elaborazione della figura del nemico che all'individuazione degli attributi che definiscono i popoli della Padania (9). L'antimeridionalismo è stato spesso una via semplice ma efficace per sollecitare un forte senso di identificazione con il linguaggio, il messaggio e il modo di fare politica della Lega. Il movimento ha cercato di reinterpretare in chiave antimeridionale l'antipatia di molti cittadini verso i pubblici dipendenti: gli insegnanti, i funzionari dell'amministrazione, i giudici. La Lega ha rivendicato il diritto prioritario dei Lombardi, dei Veneti e dei Piemontesi a coprire, nei rispettivi ambiti regionali, i ruoli nella pubblica amministrazione e nell'insegnamento. Queste rivendicazioni si sono concretizzate in iniziative di mobilitazione e campagne politiche permanenti, contro la "scuola coloniale", contro la "giustizia coloniale", o contro specifici episodi di assenteismo e inefficienza di pubblici dipendenti, sospettati di essere di origine meridionale. Gli stereotipi sugli immigrati meridionali si sono collegati al giudizio sulla loro scarsa operosità e ai sospetti di assunzione clientelare.

Le campagne leghiste sui meridionali non hanno avuto, di regola, di effetti concreti, ma hanno prodotto effetti importanti sul piano simbolico e culturale, perché hanno rafforzato nell'immaginario popolare la connessione del "meridionale" da un lato con la mafia e dall'altra con l'idea del dipendente pubblico assenteista e inefficiente. Nessuna forza politica italiana aveva mai assunto un ruolo di imprenditore nello sviluppare i sentimenti di ostilità nei confronti degli immigrati meridionali .Dopo la prima ondata di successi leghisti, gli atteggiamenti antimeridionalisti hanno ottenuto crescente legittimazione nelle regioni del Nord. La mancanza di fiducia nei meridionali è particolarmente diffuso nei ceti popolari, soprattutto fra i cittadini più anziani, meno istruiti, e fra i commercianti, gli artigiani e gli operai..La polemica antimeridionale è stata parzialmente ridimensionata per favorire i tentativi di penetrazione nelle della Lega nelle regioni del Centro e del Sud. Il fallimento di queste iniziative e la scelta del progetto indipendentista ha indotto la Lega ha riprendere l'agitazione sulla frattura Nord-Sud con maggiore impegno. L'antimeridionalismo delle origini d'altra parte non era mai stato completamente abbandonato dal movimento, e ha acquistato nuovo vigore negli ultimi anni per sostenere la necessità dell'indipendenza della Padania. La stampa leghista contrappone sistematicamente le esigenze immediate e gli interessi delle regioni dell'Italia settentrionali ai privilegi di cui godono le regioni del mezzogiorno.: L'antimeridionalismo è spesso associato alla polemica con Roma, ma mantiene un significato e una funzione specifica perché permette di tracciare confini ideali, fortemente connotati in termini valutativi e affettivi, con una parte dell'Italia. Le Lega ha ricondotto alla frattura Nord-Sud diversi problemi emergenti negli anni novanta: la protesta fiscale, gli interesse e i valori dei sistemi di piccola impresa, le incertezze sul futuro del sistema di Welfare, l'allarme sociale per il crescere della microcriminalità. La Lega, facendo riferimento alle idee di senso comune che erano, su molti temi, molto lontane e talvolta opposte rispetto a quelle accettate nell'ambito del discorso politico pubblico, ha rovesciato in modo radicale lo schema utilizzato dai principali partiti italiani per inquadrare questi temi, riconducendoli alla questione settentrionale. L'agitazione leghista ha avuto un indubbio successo: nessuno parla più della "questione meridionale", mentre si moltiplicano i dibattiti e i convegni sulla "questione settentrionale" e sul "malessere del Nord". E' così cresciuta nell'opinine pubblica il peso del quadro interpretativo costruito dalla Lega: la necessità di difendere gli interessi, i valori e l'identità etnoculturale delle regioni dell'Italia del Nord colonizzate e oppresse da istituzioni dominate da un ceto politico e da un'etnia estranea.

. Classi sociali e territorio

La fine dell'egemonia del modello produttivi fordista ha evidenziato la produttività e la ricchezza di una serie di aree periferiche, sollecitando l'orgoglio dell'autosufficienza e rendendo più forte il senso di appartenenza territoriale. I progetti di autonomia politica delle regioni del Nord avanzati dalla Lega hanno assunto come referenti economici e sociali privilegiati i sistemi di piccola e media impresa che caratterizzano molte aree dell'Italia settentrionale. Lo sviluppo della piccola impresa era stato storicamente sempre dipendente dalle strategie delle grandi aziende e delle grandi concentrazioni industriali. A partire dagli anni settanta le piccole e medie imprese si sono progressivamente emancipate dalla funzione ausiliaria rispetto alla grande industria e hanno sviluppato reti produttive autonome creando veri distretti industriali. Nell'ultimo decennio il dinamismo del settore manifatturiero è stato sempre più dipendente dalla vitalità della piccola e media impresa, in grado di garantire una forte espansione dell'esportazione e un elevato valore aggiunto (10). Il radicamento nella comunità locale ha fornito risorse fondamentali per lo sviluppo delle reti di piccola impresa. Il territorio ha garantito agli operatori economici conoscenze e linguaggi condivisi, possibilità di relazioni con altre imprese, servizi e infrastrutture. La piccola impresa ha cosÏ avviato nelle regioni del Nord un processo di reindustrializzazione che ha garantito localmente elevati livelli di occupazione. L'apertura internazionale dei mercati è stata cos" affrontata efficacemente e sono stati superati i momenti di recessione all'inizio degli anni novanta. Le regioni del Nord Est si sono trasformate da periferia industriale in uno dei riferimenti centrali dell'economia globale, creando un sistema capace di coniugare alta competitività e occupazione, apertura internazionale e radicamento locale, innovazione e tradizione (11). In queste regioni, nonostante gli alti livelli di reddito raggiunti, si soni espresse con più forza l'insoddisfazione e la protesta per le politiche nazionali, e la domanda di un nuovo tipo di rappresentanza politica.

La Lega ha operato per ricondurre al proprio progetto indipendentista la domanda di rappresentanza emergente da tutta l'area del lavoro autonomo e della piccola e media impresa delle regioni del Nord. Il movimento ha proposto una versione comunitaria del principio del libero mercato e della libera impresa, e si è impegnata a difendere l'impresa locale dalle minacce della grande impresa nazionale e multinazionale. Questa scelta ha assunto una grande importanza sul piano simbolico. La piccola impresa, soprattutto a conduzione familiare, bene integrata nella comunità locale, è diventata il sacrario dei valori che caratterizzano i popoli della Padania: laboriosità, indipendenza, intraprendenza, tenacia, schiettezza, capacità di reggere la sfida della mondializzazione dell'economia senza perdere l'attaccamento al territorio e alle sue tradizioni. In contrasto con i meridionali che "tendono a fare il meno possibile", il cittadino delle regioni dell'Italia settentrionale è orgoglioso del proprio lavoro, crede nel radicamento territoriale dell'impresa e fa affidamento sulla impresa locale per lo sviluppo economico della propria zona.

La potenziale conflittualità verticale fra piccola e grande impresa è stata ricondotta dalla Lega alla conflittualità orizzontale fra gli interessi della Padania e quelli delle altre regioni italiane: solo con l'autonomia politica della Padania la piccola e media impresa, i commercianti e gli artigiani possono essere validamente tutelati.Per rendere più esplicito il legame fra la difesa degli interessi economici e il progetto di autonomia delle regioni settentrionali la Lega si è impegnata nella costruzione di associazioni sindacali regionali e nordiste. Nel 1990 è stato fondato il Sindacato Autonomo Lombardo (SAL) e successivamente sono nati sindacati autonomisti in Veneto, Piemonte, Liguria e Emilia Romagna. Queste organizzazioni sono poi confluite nel Sindacato Padano (SINPA). Al sindacato si è affiancata l'Associazione Liberi Imprenditori Autonomisti (ALIA), trasformata successivamente nell'associazione Padani Imprenditori Uniti (PIU).

Il legame fra territorio, piccola impresa e difesa degli interessi dei lavoratori si è espresso in una serie di rivendicazioni specifiche: a) la differenziazione della contrattazione a livello regionale, con differenti contratti per la piccola e la grande industria; b) la differenziazione del salario per aree geografiche; c) la defiscalizzazione del lavoro straordinario. d) l'istituzione di fondi pensionistici regionali.Gli obiettivi del sindacato leghista sono di particolare interesse per la piccola e media impresa inserita nella comunità locale. In questi contesti imprenditori e lavoratori sono coinvolti nell'impegno per l'aumento della redditività delle imprese e per la sopravvivenza dello specifico distretto industriale. Il piccolo imprenditore di successo è spesso un ex-operaio: si diffonde cos" un modello imitativo di comportamento sociale, fondato sulla possibilità di accedere a elevati livelli di reddito. La conflittualità fra lavoratori e imprenditori può cosí essere superata e sostituita dal comune impegno per ridurre il prelievo fiscale e contributivo dello Stato, e limitare il trasferimento delle risorse al Sud.La difesa degli interessi della piccola industria del Nord ha investito la questione fiscale. La protesta antitasse è diventata uno dei terreni principali della protesta contro il governo centrale. Il malessere fiscale era cresciuto nella seconda metà degli anni ottanta in parallelo al logoramento dei rapporti fra elettori e partiti politici tradizionali. L'attivazione della protesta fiscale era sempre stato considerato molto rischiosa dai principali partiti italiani. La Lega ha sviluppato la protesta fiscale come terreno principale per la difesa degli interessi delle regioni dell'Italia settentrionale, nel quadro della battaglia contro Roma, il sistema dei partiti, il meridionalismo assistenzialista . Le proposte di sciopero fiscale sono state seguite solo da una minoranza trascurabile di contribuenti, ma hanno avuto effetti politici importanti. Non solo hanno favorito l'espansione del consenso elettorale ma hanno messo in discussione il diritto di prelievo fiscale dello stato nazionale, secondo la logica d'azione tipica dei movimenti indipendentisti.



Il progetto di rappresentanza leghista ha ricevuto adesioni soprattutto sul piano politico-elettorale: nelle aree in cui prevale il modello produttivo della piccola impresa radicata nella comunità locale e collegata a rete il movimento è riuscito a diventare il principale referente politico della società locale. Ma anche i lavoratori e gli imprenditori che hanno votato per la Lega hanno per ora spesso affidato la rappresentanza dei loro interessi economici ai sindacati e alle associazioni di categoria tradizionali.

4. Nordismo e populismo

La Lega Nord ha creato un movimento che ha combinato le caratteristiche tipiche dei movimenti etnonazionalisti con quelle che caratterizzano le formazioni populiste (12). Le difficoltà a dare vita a un autentico partito a base etnica nelle regioni dell'Italia settentrionale è stata superata da Umberto Bossi con l'utilizzo del modello di comunicazione e di azione politica neo populista. Il riferimento ideale ai movimenti etnonazionalisti è stato sempre una costante del movimento. I giornali della Lega hanno sempre seguito con attenzione e appoggiato l'azione dei movimenti indipendentisti europei e in alcune situazioni extraeuropee. Il movimento ha cercato di stabilire relazioni con una serie di movimenti etnonazionalisti francesi (bretoni, occitani e della Savoia) spagnoli (baschi e catalani), scozzesi e fiamminghi. Il movimento ha sviluppato la battaglia per l'indipendenza della Padania riproponendo la classica associazione fra mitizzazione delle tradizioni culturali, costruzione di una nuova nazione e di un nuovo stato . L'idea della nazione padana è stata fondata non solo sulla difesa degli interessi economici delle regioni settentrionali, ma con i richiami alle tradizioni celtiche, l'istituzione simbolica di una nuovo stato indipendente dotato di parlamento e del governo provvisorio e con le iniziative rituali per la promozione del "patriottismo" della nuova nazione.

Le distinzioni etnoculturali delle regioni dell'Italia settentrionale rispetto alle altre regioni italiane sono però molto limitate, e non sono sufficienti a garantire un consenso paragonabile a quello dei movimenti etnonazionalisti europei. La Lega Nord è riuscita a ottenere sostegno al proprio progetto sfruttando a fondo le possibilità esistenti nel nostro paese per la protesta populista. Erano cresciuti negli anni ottanta settori della popolazione sostanzialmente estranei alle categorie della politica tradizionale, in bilico fra apatia e protesta. La Lega ha offerto una possibile via di espressione a questi atteggiamenti con la battaglia per la "liberazione" delle regioni del Nord da Roma e dai partiti romani. Era rifiutata come fuorviante la tradizionale contrapposizione destra e sinistra, ed erano svuotate o trasformate le fratture di religione e di classe che avevano storicamente definito lo spazio della politica in Italia. Nel quadro interpretativo costruito dalla Lega sono recuperati e sovrapposti diversi tipi di scenari conflittuali: la frattura Nord-Sud, la tensione fra cittadini e ceto politico, fra piccola e grande impresa, fra gli insediati nel territorio e i nuovi immigrati, la tensione fra gente comune e devianti (dalla criminalità alle diverse forme di non integrazione nel tessuto delle norme e dei costumi popolari). La comunicazione leghista ha operato una costante riduzione dicotomica della realtà politica e sociale, mettendo in evidenza lo scontro decisivo fra i popoli della Padania da una parte, e tutti i possibili nemici (Roma, il Sud, i Partiti romani, il fascisti, la grande impresa, ecc.).

Le polarizzazioni create dalla polemica leghista si dislocano in due dimensioni principali: una orizzontale, lungo la linee di potenziale frattura fra i diversi popoli e territori; una verticale che contrappone chi sta in 'alto' e chi sta in 'basso' nelle diverse gerarchie di stratificazione sociale. Nel discorso leghista, la polarizzazione orizzontale contrappone il Nord al Sud, quella verticali, la gente comune a tutti i tipi di élite. La figura 1 presenta la posizione degli elementi più importanti della comunicazione leghista dislocati secondo le due dimensioni.

Fig. 1 POLARITA' CHE CARATTERIZZANO LA COMUNICAZIONE LEGHISTA


NORD

SUD

BASSO

(popolo)

I
Padania
Gente comune
Piccola impresa
Lavoratori della Padania

II
Meridionali
Extracomunitari

Africa

ALTO

(élite)

III
Grande industria
Grande finanza
Grandi giornali
Grande capitale

IV
Partiti romani
Movimento sociale
Roma Polo - Roma Ulivo

Mafia

Per caratterizzare la polarizzazione orizzontale viene evocato uno scenario carico di forti valenze emotive, che contrappone Europa e Africa. Le regioni dell'Italia settentrionale e la Padania si integrano fra gli altri stati dell'Europa, e contemporaneamente si separano da tutto ciò che nell'immaginario collettivo può essere assimilato all'Africa. Gli immigrati meridionali e extracomunitari sono associati nella comunicazione leghista a potenziali minacce per le popolazioni delle regioni settentrionali. Le élite il Sud sono identificate con i partiti e i centri di potere romani, presentati di regola in connessione con la Mafia.

La polarizzazione verticale divide d'altra parte anche il Nord, ove si contrappongono da una parte la gente comune, i popoli della Padania, la piccola impresa e i suoi lavoratori, dall'altro la grande industria, la grande finanza, i grandi mezzi di comunicazione di massa, che sono sempre presentati nel discorso leghista come alleati con il potere politico romano: " I veri padroni del vapore sono le grandi famiglie del Nord, la mafia del Sud, il Vaticano "(13)La polarizzazione verticale assume così le tipiche forme del populismo. I popoli della Padania sono presentati come entità omogenee che generano un'appartenenza forte e pressoché esclusiva: la potenziale ostilità è rivolta alle oligarchie economiche, politiche e intellettuali. Si è così delineata una fondamentale polarizzazione fra una società civile sana, in cui sono esaltati i valori della laboriosità e della efficienza della iniziativa privata, che si contrappone al ceto politico e alle carenza della amministrazione pubblica.Il modello leghista ignora la frattura religiosa e cerca di recuperare in chiave populista la frattura di classe: gli operai, i piccoli imprenditori, gli artigiani e i commercianti possono ritrovare l'unità contro il grande capitale e contro lo stato coloniale, che dissipa le risorse delle regioni settentrionale a favore del mezzogiorno. La iniziativa della Lega si ricollegano a una tendenza generale al mutamento della configurazione dei conflitti politici e sociali che si manifeta in molto paesi industrializzati: " se fino a ieri il conflitto sembrava seguire la direzione alto-basso, sfruttatori-sfruttati, classe dominante-classi subalterne, ora nell'epoca della centralità del territorio, nella fase in cui i processi organizzativi vitali si strutturano in ambito territoriale e si confrontano in ambito globale, il conflitto assume carattere prevalentemente orizzontale: competono territori contigui, nord contro sud"(14).

L'indipendentismo leghista si distingue per due elementi essenziali dai movimenti etnonazionalisti. Questi movimenti si affermano a partire da una chiara forme di differenziazione etnoculturale (linguistica o religiosa), e coinvolgono almeno una parte delle élite nazionali. La Lega non ha potuto contare su queste risorse. Il progetto della indipendenza della Padania non ha coinvolto le élite economiche, finanziarie, industriali, e intellettuali del Nord. La Lega ha anzi sempre condotto una esplicita polemica contro le élite del Nord, accentuando e ostentando il proprio carattere populista (o "popolano"). Negli ultimi anni sono poi quasi scomparsi i pochi quadri intellettuali che avevano aderito al movimento nella prima fase di crescita, mentre l'elettorato leghista è diventava sempre più popolare. Il principio di rappresentanza proposta dalla Lega Nord è riuscito ad affermarsi e a radicarsi perché l'idea della Padania è sta collegata sapientemente ai temi e agli stili di comunicazione tipici dei movimenti populisti.



5. Patriottismo padano e iniziativa politica

L'idea della nazione padana, da molti ritenuta priva di qualsiasi fondamento è progressivamente penetrata nell'elettorato leghista, e in generale, nell'opinione pubblica a delle regioni dell'Italia settentrionale. La crescita dei sentimenti di appartenenza alla Padania si traduce nella crescente adesione alle proposte di ampliamento dell'autonomia delle regioni del Nord. L'idea della Padania è stato propagandato, diffuso e fatta assimilare ai militanti, simpatizzanti con iniziative rituali di vasta risonanza. E' stato seguito il classico percorso di invenzione di una tradizione: "L'invenzione di una tradizione è essenzialmente un processo di ritualizzazione e di formalizzazione caratterizzato da un riferimento al passato" (15).La storia della Lega è scandita da rituali di massa e iniziative simboliche, a partire dall' "Atto di fondazione della Repubblica del Nord" celebrato a Pontida il 16 giugno 1991, alle manifestazioni indipendentiste lungo il Po, al referendum per la secessione. Sono stati poi riprodotti i rituali e le istituzioni di un vero e proprio Stato, con l'istituzione del Governo Provvisorio della Padania e la legittimazione con il voto popolare di un Parlamento destinato a elaborare la Costituzione da sottoporre a referendum . A partire dell'esistenza simbolica della Repubblica Federale della Padania, si cerca di attivare nell'immaginario popolare l'idea di un popolo e di una nazione corrispondente.

Il separatismo nordista della Lega raccoglie consenso per due ordini di motivi, in apparenza opposti. Da un lato il progetto della Padania può apparire coerente con le tendenze emergenti nell'economia mondiale, dall'altro può diventare la migliore protezione contro gli effetti indesiderati delle stesse tendenze. La retorica della mondializzazione, adottata dagli stessi leghisti, valorizza soprattutto il primo aspetto. Il progetto Padania appare plausibile non solo come via più sicura per entrare in Europa, ma come l'assetto migliore per sfruttare i benefici della mondializzazione dell'economia. Il separatismo nordista e i progetti leghisti si propongono d'altra parte come le migliori protezioni contro le ripercussioni locali della de-localizazone della produzione, dell'internazionalizzazione dei mercati, della finanza e della circolazione della forza lavoro. Le parole d'ordine etnocentriche e la priorità di accesso al lavoro e ai benefici dello stato sociale per i cittadini padani possono apparire più rassicuranti delle garanzie fornite dallo stato italiano. Il progetto della Padania si alimenta così di atteggiamenti apparentemente opposti che convivono spesso nelle stesse zone: la fiducia nella propria capacità competitiva presente nei settori dinamici della piccola impresa e in particolari distretti industriali, i timori diffusi a livello popolare di fronte dagli effetti della mondializzazione che lo stato nazionale ha difficoltà a fronteggiare. La promessa della Padania può apparire allettante sia a chi si sente vincitore, sia a chi teme di essere perdente nell'era della globalizzazione dell'economia e della comunicazione. Di fronte a problemi complessi e di difficile soluzione posti dalla mondializzazione può apparire particolarmente efficace le semplificazione operata dalla retorica populista della Lega.La Lega alterna con abilità termini chiave come autodeterminazione, indipendenza e secessione. L'autodeterminazione si presenta come la versione più accettabile del progetto leghista perché ripropone un diritto accettato universalmente, anche se difficile da specificare operativamente. Il concetto di indipendenza permette alla Lega di rapportarsi alla estesa famiglia dei movimenti etnonazionalisti che rivendicano riconoscimento della loro identità culturale e il diritto all'autogoverno, senza richiedere necessariamente la costituzione dei uno stato indipendente. Il concetto di secessione esprime la versione più radicale del progetto leghista. Il termine ha il massimo impatto comunicativo perché evoca implicitamente la possibile violenza e drammaticità della rottura della comunità politica nazionale. L'idea di secessione ha però un significato soprattutto simbolico, secondo lo stile tipico del Carroccio: sollecita forti risonanze emotive ed esprime in termini concreti i concetti più astratti di autodeterminazione e di indipendenza.

Il tema della secessione si è ormai affermato con forza come uno dei termini di riferimento del dibattito politico, e sollecita valutazioni sui possibili vantaggi. I sondaggi di opinione rivelano che quasi un terzo della popolazione delle regioni del Nord giudica vantaggiosa questa prospettiva, anche se spesso non la ritiene desiderabile (16). Le idee separatiste non coinvolgono solo gli elettori leghisti, ma ottengono attenzione e, in diversi casi anche sostegno, in diversi settori della popolazione, soprattutto nell'area elettorale del Polo per le libertà che appare soggetto a pressioni contrastanti, e si mostra sensibile ai diversi richiami del nazionalismo padano, del nazionalismo italiano di Alleanza Nazionale e dell'incerto liberismo proposto da Forza Italia. La Lega cerca in tutti i modi di impedire un riassetto bipolare del sitema politico Italiano "Il bipolarismo non esiste, se c'è un bipartitismo, è quello delle differenze reali fra Nord e Sud " (17).L'indipendentismo leghista si è mantenuto per ora su un piano simbolico, cercando di non varcare mai la soglia che può innescare lo scontro frontale con le istituzioni statali. Il passaggio dal simbolismo della Repubblica Federale Padana all'azione politica ha sollevato però diversi problemi. La costituzione della organizzazione delle Camicie Verdi, la formazione di una Guardia Nazionale Padana, le azioni delle Ronde Padane hanno provocato l'intervento della magistratura e creato molti problemi al movimento.Per uscire dal relativo isolamento a cui può condurla la prospettiva secessionista la Lega cercati di prefigurare, nel recente congresso staordinario (18), un percorso graduale per realizzare i propri obiettivi strategici. Mantenendo ferma la prospettiva indipendentista, la Lega ha fatto con insitenza riferimento all'esperienza della Scozia, che ha visto riconosciuto recentemente il diritto all'elezione di un parlamento autonomo, e che potrà gestire una serie di poteri delegati dal parlamento britannico (devolutin). Una nuova alleanza con il Centro-destra sarà condizionata dall'apertura di un processo nel quale il Nord possa cominciare, in qualche forma istituzionale, ad autogovernarsi, e la Lega venga riconosciuta come portavoce degli interessi dell'Italia settentrionale.

Note

) K. Omahe The End of Nation State. The Rise of Regional Economies, New York , The Free Press, 1995, trad. it. La fine dello Stato-nazione. L'emergere delle economie regionali, Milano , Baldini e Castoldi, p. 224

2. ) J. Naisbitt Global Paradox. The Bigger the World Economy, the More Powerful Its Smallest Palyers, W. Morrow & C. New York 1994 (trad. it. Il paradosso globale. Pi cresce l'economia mondiale, pi i 'piccoli' dievntano protagonisti, Angeli, Milano, 1996)

3) Cfr. K. Omahe, cit. p. 28.

4 ) J. Habermas, Morale, diritto e politica, Einaudi, Torino, 1992.

5) Cfr. AA.VV La Padania: una regione italiana in Europa, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 1992.

6) M. Pacini, Introduzone a La padania, cit.

7) Cfr. R. Romanelli, Le radici storiche del localismo italiano, in "Il Mulino", 1991, n. 4, p. 714

8) Cfr. C. Trigilia, Nord e Sud: Se il Belpaese si spezza, in "Limes" 1994, n. 4. p. 82.

9) Cfr. M. A. Confalonieri, Identit^, interessi e carisma nei movimenti populisti: la Lega Nord e il Poujadismo, in "Quaderni di Scienza politica", 1996, n. 3, pp. 67-97.

10) Cfr. F. Belussi, (a cura di) Nuovi modelli di impresa, gerarchie organizzative ed imprese a rete, Milano, Angeli, 1992.

11) Cfr. B. Anastasia, G. Cor~, Evoluzione di un'economia regionale. Il Nordes dopo il successo, Portogruaro, Ediciclo, 1996.

12) Cfr. R. Biorcio, La Padania Promessa. La storia, le idee e la logica d'azione della Lega Nord, Il Saggiatore, Milano, 1997, p. 22.

13) U. Bossi, Conclusioni del congresso straordinario della Lega. su La Padania del 31 marzo 1998.

14) M. Revelli La sinistra sociale, Bollati Boringhieri, Torino, 1997, p. 123..

15) E. J. Hobsbawn e T. Ranger, The Invention of Tradition, Cambridge University Press, Cambridge, 1983, trad. It. LÕinvenzione della tradizione, Einaudi, Torino, 1987, p. 3-4.

16) Cfr. I . Diamanti, Il Nord senza lÕItalia. LÕindipendenza diventa ÒnormaleÓ, in ÒLimesÓ, 1977, n. 1. pp. 297-314.

17) Dichiarazone di Domenico Comino, capoguppo della Lega alla Camera, a La Repubblica del 7 marzo 1998

18) Milano, 27-29 marzo 1998.

*Roberto Biorcio insegna Sociologia a  Milano e Siena. E' autore di numerosi studi sul comportamento elettorale degli italiani e sul fenomeno dei movimenti autonomistici e della Lega Nord in particolare. L'ultimo suo lavoro su questo tema è La Padania promessa (Il Saggiatore, 1997)

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