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I SOCIALISTI PREMARXISTI

politica



I SOCIALISTI PREMARXISTI


Il pensiero socialista ha varie facce e prende forma davanti all'incalzare delle trasformazioni sociali e delle necessità incombenti degli strati più poveri, partendo da radici teoriche diverse.

Se concentriamo la nostra attenzione sul socialismo francese, che si dimostra il più ricco di voci e di sfumature, la prima ascendenza da considerare è quella che fa capo a Gracco Babeuf e alla congiura degli eguali: nelle ultime battute della Rivoluzione Francese la democrazia è pensata possibile solo nell'ambito di una società comunista, predisposta da una dittatura rivoluzionaria, che si impadronisce del potere con un'azione insurrezionale. Questa visione egualitaria, sospesa tra utopia e programma politico, rispunta attorno al 1830, grazie alla figura di Filippo Buonarroti, e, oltre che esercitare la sua influenza su Auguste Blanqui, ispira un gruppo di rivoluzionari, i neobabuvisti, presente soprattutto attorno al 1840.



Un'ascendenza parziale è quella fornita dalle idee democratiche: l'eguaglianza e la fraternità rivoluzionaria predispongono un terreno fertile per prendere in seria considerazione i problemi sociali emergenti; l'idea dello stato unitario e razionalizzatore imparziale, poi, indica lo strumento, che per eccellenza sembra votato alla risoluzione di tali problemi, una volta che possa agire col supporto politico del voto di tutti i cittadini e quindi dei rappresentanti dei diretti interessati. Vari personaggi, appartenenti agli ambienti democratici francesi, negli anni trenta e quaranta trasformano le loro convinzioni in senso socialista o comunista: tra questi i più noti sono Louis Blanc ed Etienne Cabet.

Nello stesso periodo le idee di Saint-Simon, da una parte si diffondono e circolano ampiamente nella cultura politica francese, al punto di intrecciarsi più o meno intimamente con le altre tradizioni di pensiero, dall'altra sono coltivate da una vera e propria scuola, che attraversa diverse fasi e che sviluppa così parti diverse del pensiero del maestro. Se non sono particolarmente interessanti, agli effetti del presente discorso, la fase religiosa e quella dei grandi progetti tecnologici, non può mancare un cenno al suo periodo socialista, assieme alla consapevolezza che nel socialismo premarxista, sansimoniano e non, circolano spesso concetti e termini, che derivano dal teorico francese della società industriale.



I SANSIMONIANI


La fase socialista della scuola sansimoniana si delinea subito dopo la morte del maestro, nella seconda metà degli anni venti, quando il gruppo non è ancora egemonizzato dalla figura di Enfantin (che pilota la fase religiosa), alla sua guida c'è Saint-Armand Bazard, che è stato nella carboneria francese e ha coltivato idee repubblicane, e Olinde Rodrigues, particolarmente vicino a Saint-Simon e destinato ad assumere la leadership, conserva una certa influenza.

I primi sforzi sono rivolti   alla diffusione delle idee sansimoniane tramite un giornale. Così dall'ottobre del 1825 al dicembre del '26 viene pubblicato «Le Producteur», prima in forma di settimanale poi di mensile, che sviluppa e diffonde i temi della nascente società industriale, della produzione, della scienza, contro la società feudaleggiante dei nobili oziosi e contro i suoi rigurgiti veicolati dalla restaurazione.

Nel quadro della cultura politica della seconda metà degli anni venti, intriso di delusioni e alla ricerca di nuove idee, il sansimonismo inizialmente ha buon gioco e attrae numerosi giovani, perché, accanto agli attacchi di matrice illuministica all'ignoranza del clero e alla violenza dei militari, svolge la critica all'aristocrazia, facendo leva sulla passività dei ceti aristocratici, e fonda la contrapposizione tra oziosi e produttori sulla visione positiva, costrutt 929f53j iva, del futuro, incentrato sulle promesse della società industriale, delle scoperte scientifiche e delle applicazioni tecnologiche. L'industrialismo del «Producteur» ben presto diviene oggetto di numerosi attacchi: le critiche provenienti dagli ambienti della Restaurazione sono ovvie, ma quelle che partono dai liberali sono meno attese e portano i redattori a degli approfondimenti e a delle messe a punto.

In effetti l'importanza assegnata alla società dei produttori non manca di una carica antiliberale, che sul piano teorico dipende dalla visione unitaria del sociale, coltivata da Saint-Simon, e che in campo economico si precisa ben presto nel rifiuto del libero mercato e della fiducia ottimistica nella mano invisibile di Smith. Il laissez faire, infatti, viene interpretato come una condizione anarchica, che economicamente dà luogo ad un enorme spreco di risorse materiali ed umane e che sul piano dei rapporti sociali produce lo sfruttamento. Se i liberali nelle loro polemiche accusano i sansimoniani di vanificare il concetto di libertà, ricalcando le critiche degli autori controrivoluzionari all'idea dell'uomo come individuo e riprendendo il tema dell'unità e del legame morale che unisce tutti i membri di una società, in realtà, così facendo nascondono le crescenti difficoltà di conciliare l'elevatezza dei valori politici e antropologici professati con la pratica economica del liberismo e di un industrialismo, che sembra per molti versi la tomba di quegli stessi valori.

D'altra parte la visione coesa del sociale, il valore primario assegnato alla produzione, l'attenzione rivolta alla classe dei lavoratori, come la più numerosa e la più povera, favoriscono, negli anni immediatamente successivi degli sviluppi in direzione più nettamente socialista, che si manifestano in un ciclo di conferenze, tenute dal 1828 al '30 e nello scritto che ne vien tratto, La doctrine saint-simonienne. Qui l'idea della società industriale, gestita dall'alto da imprenditori e finanzieri, viene precisata in termini economici, ma viene anche finalizzata all'abolizione delle rendite e al pieno impiego. Da una parte, infatti, è sviluppata la richiesta di una banca centrale, controllata dai grandi industriali, e articolata a diversi livelli e in speciali istituti di credito per il finanziamento delle aziende più produttive; dall'altra si auspica "l'organizzazione dell'industria in grandi società, finanziate dalle banche, aventi il compito di attuare i piani economici che un Consiglio formato dai principali esponenti delle tecniche industriali e direttive avrebbe fissato" ( ); dall'altra ancora si prospetta l'abolizione del diritto di sucessione ereditaria, perché contrario al valore assegnato alla produzione e alla partecipazione col proprio lavoro all'opera collettiva della società, e una pianificazione complessiva (si tratta sempre di una pianificazione più tecnico-economica, che politica) rivolta anche a migliorare le condizioni degli strati più poveri dei lavoratori. Le divergenze d'interessi tra datori di lavoro e lavoratori, che Saint-Simon giunge appena a percepire prima della morte, appaiono ormai chiare ai sansimoniani, che hanno modo di vedere certi effetti dell'industrializzazione francese, che assistono alle crisi cicliche e che rifiutano il principio del libero mercato. Le idee dell'organizzazione sociale, della contrapposizione tra produttori e oziosi (che diventano i borghesi), dello sfruttamento del lavoro, del progresso sotto la guida delle scienze, del rapporto fondamentale tra società e religione, sono pronte per entrare nell'arsenale concettuale della sinistra del tempo.



10.2. CHARLES FOURIER (1772 - 1837) E L'UTOPIA DEI FALANSTERI


Giovane di bottega, commesso viaggiatore, mediatore, contabile, François- Marie-Charles Fourier a differenza dei socialisti di matrice democratica, non parte dagli ideali rivoluzionari e dall'eguaglianza politica e giuridica, e a differenza di Saint-Simon e dei suoi discepoli non punta sull'avvento della società industriale. Il suo socialismo si presenta in forme marcatamente utopiche ( ), scaturisce in gran parte dalle sue conoscenze dirette del mondo del lavoro e, se culturalmente si aggancia alle idee chiave dell' illuminismo, ha il pregio, da un lato, di proiettarsi verso le tematiche novecentesche della liberazione delle inclinazioni e, dall'altro, di lanciare nel pensiero politico-sociale del suo tempo il fortunato concetto di associazione.

Coinvolto ancora molto giovane nelle vicende della Rivoluzione, deluso dagli esiti, che avevano finito per sacrificare le speranze in un ordine nuovo degli strati più popolari, Fourier pubblica i suoi primi scritti agli inizi dell'Ottocento e svolge un pesante bilancio critico.

Egli denuncia la vanità delle grandi affermazioni rivoluzionarie e non risparmia le ironie e i sarcasmi: i diritti inalienabili del cittadino, la libertà dell'uomo, l'eguaglianza, le garanzie costituzionali, gli studiati meccanismi costituzionali, si sono rivelati del tutto inconsistenti, se valutati a partire dalla condizione di coloro che non hanno lavoro e non hanno di che mangiare. La sovranità popolare, egli scrive, è "una chimera, che alcuni politici proclamano senza ridere, benché sia difficile comprendere cos'è un sovrano senza pane, senza vestiti, in un paese dove tutto abbonda" ( ). Ugualmente la fraternità e l'eguaglianza si sono ridotte a ben poco per il popolo, che "non ha né lavoro, né pane, vende la sua vita per cinque soldi al giorno, è trascinato al macello con la catena al collo" (

Tutto il rilievo assegnato dai liberali e dai democratici alla dimensione giuridico-istituzionale è, dunque, ridotto a zero dal riferimento forte alle condizioni "materiali" della vita e anche gli strumenti concettuali del giusnaturalismo subiscono una profonda torsione quando i diritti di natura sono invocati, ma per essere ricondotti all'elementare "diritto di mangiare". Più in generale, in questa prospettiva, viene criticato un altro caposaldo dell'età rivoluzionaria, l'idea del progresso: l'accumularsi delle conoscenze e i passi avanti della ragione sono ben lontani dall'aver assicurato un aumento della felicità e del benessere.

Riproducendo critiche sociali già circolanti nel Settecento, Fourier vede i popoli sottoposti alle vessazioni di una minoranza di ricchi, che si avvalgono della legge, dei tribunali e dei gendarmi per perpetuare il loro potere e che in quest'opera di sopraffazione trovano la copertura ideologica della morale tradizionale, della religione e della stessa filosofia. In più, utilizzando le proprie conoscenze della vita economica e con frequenti riferimenti alla realtà inglese, egli denuncia l'anarchia della produzione, il decrescere dei salari sotto la spinta della concorrenza, i disumani orari di lavoro che devono rispettare gli operai, l'arricchimento del mondo finanziario e dei settori commerciali più elevati, il trionfo dell'inganno nello scambio delle merci e nell'attività economica in generale. Come Saint-Simon egli non coglie a pieno il crescente contrasto tra i salariati e chi detiene i mezzi di produzione. La sua critica si appunta piuttosto sul commercio, che viene pensato, come dai Fisiocratici, come una funzione sterile e parassitaria, che alimenta la menzogna (vendita di merci di pessima qualità a prezzi del tutto sproporzionati) ed è in preda alla peggiore avidità: davanti a queste falsificazioni, secondo il nostro autore, operai e imprenditori si trovano sulla stessa sponda. Resta comunque la denuncia dettagliata del sistema liberale del laissez faire e la condanna complessiva di quella che viene chiamata l'età della civilisation, e in cui Fourier non riesce a vedere che sofferenza, disarmonia e alienazione.

Dalla fase infelice della civiltà l'uomo deve passare, dunque, a quello che egli chiama il sistema "societario", una sorta di società ideale, basata sulle "Falangi", che consente a ciascuno di realizzare le proprie inclinazioni e produce i più vantaggiosi effetti economici e sociali (

Le falangi sono unità economiche e sociali di circa 1600 persone, in cui la produzione fa leva sulle "serie passionali", ovvero sull'associazione delle vocazioni attitudinali degli individui, e sulla rotazione delle attività. Dal punto di vista economico è garantito il massimo del risparmio, perché nel falansterio sono previsti servizi comuni, che consentono di evitare gli sprechi di energia di tanti lavori individuali o familiari (come il lavare o il cucinare); ma soprattutto è assicurata la produzione più elevata, perché tutti lavorano, sono proprietari cointeressati dei beni della falange, ricevono un'equa retribuzione, e lavorano in base a libere scelte, seguendo le proprie inclinazioni e variando le attività per evitare la noia. Questo tipo di prospettiva è tale da invogliare l'investimento redditizio di capitali. Accanto ai capitali vi sarà il lavoro e vi saranno i talenti, tre forme di partecipazione, che saranno diversamente remunerate, senza che le tre "classi", che ne discendono, entrino in conflitto tra loro. Dal punto di vista dei rapporti sociali, infatti, l'abbondanza, che discende da una produzione del genere, e la compartecipazione, assicurata anche ai meno abbienti, evitano falsità e tensioni, perché, se l'eguaglianza assoluta è considerata del tutto innaturale, la tendenza complessiva è, comunque, quella dell'attenuazione delle differenze economiche (i redditi sono ripartiti con i 5/12 alla manodopera, i 4/12 al capitale e i 3/12 ai talenti particolari).

Al di là degli aspetti socio-economici il falansterio possiede una dimensione antropologica fondamentale: è il luogo di realizzazione effettiva, completa degli individui. Riprendendo le analisi psicologiche settecentesche e la convinzione circa la Natura "buona", da assecondare, Fourier ritiene che le passioni, poste in noi da Dio siano fondamentalmente positive: sono le condizioni esterne della cosiddetta Civiltà e delle fasi precedenti, che le hanno travisate e ne hanno fatto qualcosa di pericoloso, portando a tutto il complesso delle sanzioni e delle pene. Il falansterio, invece, è l'ambito perfetto per l'estrinsecazione delle passioni di tutti gli individui che ne fanno parte: esse non produrranno disordini o alterazioni, perché, non più represse, si combineranno tra loro e troveranno armonica soddisfazione, assicurando la felicità individuale e il benessere collettivo. Fourier è un attento e fantasioso indagatore della psiche umana; elenca e classifica una grande quantità di passioni e di combinazioni di queste; dedica non poca attenzione al senso del gusto e alle inclinazioni erotico-sessuali; calcola con esattezza il numero dei membri del falansterio, in funzione dell'intreccio delle loro inclinazioni passionali ( ). Accanto al postulato della Natura "buona", sta l'idea dell'attrazione passionale con cui Dio muove l'uomo, trasformando in godimenti anche le funzioni più ripugnanti ( ): è così che anche i lavori umili o disgustosi rientrano nel coro di questa visione armonica.

Secondo una modalità tipica delle utopie Fourier descrive anche visivamente e in dettaglio l'ambientazione della falange: il complesso degli edifici con la parte centrale adibita alle attività tranquille (sale da pranzo e da studio, la Borsa, la biblioteca ...), l'ala per gli ateliers, per i lavori artigianali e per le attività rumorose dei ragazzi, l'ala per il "caravanserraglio" con le sale da ballo per intrattenere gli stranieri; il tutto dislocato su piani diversi, con grandi gallerie coperte di comunicazione, con piazze, cortili e giardini ( ). Ma vi sono tanti altri aspetti dal netto sapore di utopia: dalle descrizioni dei contadini, che all'alba si recano al lavoro cantando, accompagnati dalle note esultanti della banda, a quelle dei bambini, che, raccolti in bande, si occupano dell'immondizia, per la loro naturale inclinazione a sporcarsi. Per non parlare delle fantasie, tipo i mari di limonata e gli anti-leoni, che i discepoli fecero scomparire nelle opere di divulgazione.

Questi aspetti non devono indurre a delle facili sottovalutazioni. Nell' immaginazione potente ed audace di Fourier (come nel suo gusto per le classificazioni e per il numero) c'è una capacità di trasgressione molto forte, che risulta con chiarezza, ad esempio, nella sua radicale affermazione del piacere ( ) e che ha contribuito a proiettarlo verso il Novecento.

Limitandoci ai suoi contributi al pensiero socialista sono queste le osservazioni più importanti. La comunità di Fourier si distacca notevolmente da quella di Owen: in chiave settecentesca è pensata in funzione degli individui, che la compongono, dotati di una loro natura fissa, non plasmabile dalla società. Questa posizione teorica è ampiamente discussa nell'Ottocento e non si dimostra particolarmente avanzata, ma la stretta connessione tra lavoro e inclinazioni passionali, al contrario, è fortemente innovatrice. All'epoca il lavoro è pensato prevalentemente secondo i termini della condanna biblica, che segue al peccato originale, o, sulla base delle inflessibili leggi economiche, è considerato come compito molto duro per i più, ma insostituibile e necessario; la riconduzione del lavoro al piacere, sostenuta anche dal criterio della rotazione (perché anche ciò che piace, se prolungato finisce per annoiare e per stancare), rompe con le prospettive consolidate e si dimostra particolarmente stimolante e precorritrice.

Anche la pedagogia, nell'armonia dei piaceri della falange, assume tratti interessanti, che la pongono in rapporto con le moderne teorie che insistono sugli aspetti vocazionali: lontani da ogni rigida disciplina scolastica, i bambini del falansterio apprendono osservando gli adulti, aggregandosi liberamente alle loro attività, scoprendo le inclinazioni presenti in loro, svolgendo una sorta di prolungato e "molteplice apprendistato" ( ). In ogni caso, secondo Fourier, non si deve intervenire con la repressione, che spegne il desiderio di apprendere e limita la spontaneità della crescita. Per quanto riguarda gli adulti, invece, un altro esempio dell'anticonformismo di Fourier è dato dal suo modo di valutare il denaro: in molte utopie il denaro, segno di avidità e fautore di comportamenti immorali, non esiste; più in generale nell'Ottocento è ancora molto viva la condanna classica della ricchezza; vari socialisti studiano sistemi per sostituire il denaro, che sembra esaltare i difetti della distribuzione; contro tutti i moralismi ipocriti e contro le filosofie della vita frugale, il nostro autore ritiene invece che il denaro sia desiderabile, perché contribuisce a renderci felici e, al di là del gusto del rovesciamento, probabilmente, come sostiene R. Barthes, la sua immagine della felicità coincide col modo di vita delle persone ricche.

Per finire resta da notare che l'utopia socialista di Fourier si sposta dalla prospettiva della politica e dello stato: la fondazione dei falansteri è pensata sulla base di finanziamenti privati, non mediante interventi pubblici; il passaggio al mondo di Armonia non avviene mediante la diffusione di programmi politici. I mutamenti avvengono per attrazione, sollecitati dall'esempio delle comunità future, sulla base di una interna spinta a superare la disarmonia e l'irrazionalità. Le funzioni dello stato sono riassorbite dalla società, ovvero dall'elastica coordinazione delle falangi, che si sostengono tra loro in una visione ampiamente decentrata.



10.3. PIERRE-JOSEPH PROUDHON (1805 - 1865): DINAMICHE SOCIALI E GIUSTIZIA IMMANENTE


Se il socialismo di Fourier pone la sfera politica in secondo piano senza troppi clamori, nel famoso saggio Qu'est-ce que la propriété ? (1840), con cui debutta presso il grande pubblico, Pierre-Joseph Proudhon assume una posizione nettamente più antistatuale, argomentando con considerazioni teoriche e impostando un socialismo dichiaratamente anarchico. In seguito il suo anarchismo assume un volto più complesso e ricco di elementi innovativi; egli matura un'interessante visione della società e della giustizia, e il suo pensiero assicura un contributo di rilievo al composito filone del socialismo francese, anche se non manca qualche elemento di remissività e di ambiguità.

In Che cos'è la proprietà? la negazione della legittimità di ogni potere sovrano si basa sulla constatazione che nella storia umana cresce la consapevolezza e, in previsione, alle leggi umane si sostituirà la naturale imparzialità e l'incontrovertibile sicurezza delle leggi scientifiche; il riferimento alla scienza assicura la libertà all'uomo, ben più di quanto non possa fare il ricorso alla legge formale: alla volontà di pochi o di molti si sostituisce la ragione e l'oggettività ed è infranta ogni possibilità di governo dell'uomo sull'uomo. Al centro del saggio, tuttavia, sta la critica al diritto di proprietà, che parte da una precisa analisi delle definizioni, che ne sono state date, e si sviluppa in una lunga dimostrazione del perché la proprietà è razionalmente "impossibile"; il carattere individuale della proprietà, secondo Proudhon, è del tutto inaccettabile sul piano razionale, perché tutti concorrono al buon funzionamento e alla prosperità della vita sociale; di qui la sostituzione del possesso alla proprietà ( ) e una netta affermazione dell'eguaglianza delle retribuzioni economiche per tutti i tipi di lavoro, compensata dalla diversità dei riconoscimenti morali e dalla varietà degli aspetti, che la sfera sentimentale può mettere in campo (generosità, riconoscenza, amicizia ...). Con questo si prospetta l'avvento di un'epoca, che combina società e libertà e che farà capo a quattro principi: l'eguaglianza delle condizioni materiali, la legge come prodotto della scienza dei fatti, l'indipendenza reciproca, la proporzionalità.

Nelle opere successive la critica del potere statuale e della proprietà privata si arricchisce di un'interpretazione del sociale, che si rifà almeno in parte a Saint-Simon e che ha il grande merito di superare il dualismo tra individuo e società, mentre le conoscenze di Hegel, acquisite anche grazie ai rapporti con Marx (1844-45), gli suggeriscono la messa a punto di una visione antinomica del reale, che resta come elemento caratterizzante del suo pensiero maturo.

Proudhon prende atto della realtà sociale dei gruppi e di come questa non sia riconducibile alla somma degli individui che li compongono, ma corrisponda ad un vero e proprio salto di qualità. Nelle sue pagine emerge così la nozione di "forza collettiva", propria ai gruppi, alle classi, alle società, irriducibile alle forze individuali e molto più produttiva di queste, in quanto risultato di convergenza, organizzazione e simultaneità (pensiamo, ad esempio alla forza collettiva di una fabbrica, di un'associazione ...). La forza collettiva di un gruppo o di un complesso di gruppi non dipende dalla sola organizzazione, ma dalla forza attiva, che si manifesta in essi. Con questo non è che l'individuo scompaia dal suo orizzonte teorico: si delinea, piuttosto, una visione della realtà sociale multiforme e pluridimensionale, nettamente più articolata e dinamica di quelle che troviamo nei suoi contemporanei. Così all'interno delle varie collettività, che compongono il sociale, stanno gli individui e per loro c'è il problema di tutelare la libertà contro le possibili prevaricazioni del complesso collettivo; mentre tra le collettività si costituiscono a vari livelli rapporti e dinamiche, che portano alla formazione di macrocosmi sociali di grande respiro e che devono salvaguardarsi dai tentativi egemonici soprattutto di matrice politica. Nel suo complesso la società, intesa come grande opera collettiva, dimostra di possedere una sua spontaneità, una sua capacità creativa: essa è in grado di plasmare forme collettive, istituzioni, sistemi di rapporti, secondo ragioni immanenti al proprio essere e alle proprie tendenze e in risposta a bisogni singoli o collettivi. Frutti di questa creatività sono da intendere la proprietà, lo stato, la religione, che non possono più essere intesi autonomamente, ma vanno ricondotti alla società, in cui si collocano.

Proudhon non conosce il tedesco, tuttavia prima attraverso fonti di seconda mano, poi mediante le conversazioni con Marx, esule a Parigi, si accosta alla filosofia hegeliana e alla concezione dialettica. Con tutta probabilità ha ragione Marx quando più tardi lo accuserà di non averla mai capita bene. In ogni caso Proudhon vede nella dialettica uno strumento importante per aver introdotto un'interpretazione dinamica del reale, ma limitato, perché incapace di render conto appieno di tale dinamicità; di qui la sua violenta opposizione, in nome di "una dialettica antinomica, antiteologica, antistatuale, anticonformista, rivoluzionaria" ( ). A suo parere il fatto di ammettere nella triade dialettica una sintesi, che conclude il movimento antitetico che contrappone tesi ed antitesi, significa incapsulare questo movimento, significa irrigidire tutta la ricchezza, che proviene dagli innumerevoli rapporti antitetici del reale.

In questi termini la visione del sociale, considerata prima, acquista una strutturazione filosofica, che esalta il movimento interno, favorisce la ricerca della diversità in tutti i suoi dettagli, sollecita l'attenzione verso la molteplicità dei livelli e delle articolazioni.

Gli sviluppi economico-sociali della dialettica antinomica appaiono con chiarezza, se si torna, ad esempio, sul tema della proprietà: nell'ambito dello sviluppo capitalistico la proprietà, concentrandosi, diventa un fattore di oppressione per coloro che sono sottoposti ai suoi effetti negativi, ma in quanto piccola proprietà contadina o proprietà di tipo artigiano non è strumento di oppressione, ma, al contrario è motivo di autonomia e di libertà. In termini analoghi il lavoro è, da una parte, la liberazione dell'uomo, ma è anche, dall'altra, una continua minaccia di schiavitù: la gioia, che il lavoro può procurare, non è mai senza pericoli, soprattutto quando l'organizzazione del lavoro è imposta dall'alto. A loro volta le forze collettive possono essere centri di attività, luoghi di energia produttrice e creatrice, ma possono anche funzionare come sistemi grigi di oppressione e di soffocamento di ogni slancio vitale.

Lo studio delle antinomie, che percorrono la realtà economica e politica del suo tempo, è svolta con particolare intensità nel Système des contraddictions économiques ou Philosophie de la misère del 1846. Proprietà, lavoro, forze collettive sono considerate in stretto rapporto con gli sviluppi della rivoluzione industriale e sono pensate in prospettiva sulla base delle energie prometeiche del sociale.

Nell'ambito del sistema capitalistico Proudhon mette a fuoco il conflitto di due classi: quella degli imprenditori, capitalisti, banchieri, che detengono "il monopolio di tutti gli strumenti di produzione e di tutti gli oggetti di consumo" e quella "dei salariati o lavoratori, che non possono pagare queste cose se non la metà di ciò che valgono, il che ne rende impossibile ad essi la consumazione". Anche se non manca l'attenzione alla "classe media", composta dagli agricoltori, dai commercianti, dagli artigiani, dagli intellettuali, e se poi gli agricoltori saranno presi in considerazione separatamente, è il proletariato, secondo il nostro autore, che incarna i valori e il tipo di vita, che sono più in linea con il progressivo sviluppo della società, centrato sul lavoro, sul possesso e sul superamento dell'individualismo utilitaristico. La borghesia, a suo parere, ha già esaurito la sua funzione storica e sta al proletariato il compito di assumere la guida del grande movimento di riscatto, che si delinea negli antagonismi delle forze collettive e della ragione collettiva.

Storicamente il capitalismo ha attraversato tre tappe: in un primo momento si è sviluppato nei termini dell'anarchismo industriale, basato sulla concorrenza, sullo spreco delle risorse, sulla logica sfrenata del libero mercato; successivamente alcuni imprenditori sono emersi tra gli altri, creando un sistema di oligopolio, che ha fondato una feudalità industriale; al momento si sta affermando un tipo imperiale di industrialismo, in cui la concentrazione delle finanze e delle aziende si fa sempre più forte e schiacciante. Queste dinamiche hanno evidenziato gli aspetti antinomici del lavoro, della proprietà e della produzione (avanzamento della produzione e regresso dei produttori) e hanno posto in essere le forme più disumane di alienazione e di sfruttamento, ma sono a loro volta inserite in movimenti dialettici di più ampia portata. Le relazioni antagonistiche, che si sono formate, si estraniano sempre più dalle forze collettive, che le hanno poste in essere.

E' a tali movimenti dialettici che si ancora, fondamentalmente, l'attesa di Proudhon. Egli conta da una parte sul diffondersi della piccola proprietà contadina e artigiana, a garanzia dell'autonomia economica degli individui e delle famiglie e della loro libertà, e dall'altra, preso atto della centralità delle fabbriche nella società ottocentesca, sull'associazionismo operaio e sul formarsi di aziende autogestite. L'organizzazione del lavoro deve far leva sull'associazione e sulla mutualità e, attraverso l'attivazione di banche di scambio, la disciplina del commercio, la partecipazione crescente dei lavoratori alla gestione delle imprese, giungerà al superamento dei limiti angusti in cui si muove il liberismo economico, evitando, contemporaneamente, le pericolose ipotesi del comunismo.

I movimenti dialettici di grande portata e le capacità prometeiche del sociale sono raccordabili al superamento pacifico del capitalismo e al graduale attuarsi della piccola proprietà e dell'autogestione, a partire dagli aspetti più teorici della dialettica proudhoniana.

Infatti nel pensiero di Proudhon l'incessante dinamismo delle antinomie non conduce ad effetti dirompenti: i termini in conflitto entrano in rapporto tra di loro, vengono inseriti in un gioco relazionale, che attenua le distanze, smussa gli angoli e avvia il costituirsi di equilibri ed equivalenze ( ). Questo vale anche per i rapporti economico-sociali, quindi la lotta di classe, che contrappone borghesia e proletariato, è destinata a trasformarsi e a ricomporsi, non sfocia in una rivoluzione; o meglio sfocia nella rivoluzione nel senso che veicola profondi cambiamenti, non nel senso di una rottura insurrezionale portata avanti da un preciso soggetto collettivo. Sul piano storico la trasformazione delle antinomie in riconoscimenti reciproci e in equivalenze consente, allora, di argomentare un progresso, fatto di assetti successivi, legati dal filo rosso di una crescente giustizia e di una crescente libertà: una giustizia, immanente nella storia, risultato del gigantesco e impersonale comporsi di tanti contributi, che non è posta dall'alto e non è monopolio né dello stato né di altre forze e che assicura rapporti sempre più egualitari nel rispetto delle differenze ed equivalenze sempre più diffuse; una libertà, che si afferma gradualmente contro ogni forma di gerarchia e contro le incrostazioni di potere che irrigidiscono ogni tipo di rapporto, a partire dai rapporti politici.

Considerando questa sistemazione, che compare in varie opere della maturità e che viene ricapitolata ne La justice dans la Révolution et dans l'Eglise (1858), è molto facile capire i motivi che dividono Marx da Proudhon: profondamente diverso è il modo d'intendere la storia e, in essa, il ruolo del proletariato. Si spiegano anche, d'altro canto, i motivi d'interesse verso Proudhon, dimostrati da certi ambienti conservatori del primo Novecento: gli automatismi delle dinamiche storico-sociali di grande portata sollevano dalle velleità di lotta e da ogni tipo di volontarismo.

Val la pena, comunque, soffermarsi un poco su alcuni altri aspetti. In primo luogo sull'atteggiamento che, con tali premesse, deve assumere il proletariato. Il nostro autore assegna grande rilievo alla presa di coscienza della classe proletaria, al suo pensiero e al suo agire, e indica per essa la strada della separazione: bisogna che il proletariato si separi dalla borghesia per elaborare la sua ideologia, per custodire e dare slancio ai suoi valori, per creare le proprie organizzazioni, per costituire in sintesi un mondo a parte, quel mondo che risulta in sintonia col progresso della giustizia e della libertà; le contaminazioni, l'accoglimento dei modelli della classe borghese, lo allontanano dal suo compito e lo portano fuori dalle vere dinamiche della storia. Di fatto le organizzazioni operaie, che si ispireranno al proudhonismo, faranno proprie queste indicazioni e più che accentuare le azioni di lotta sindacale e gli scontri di classe, punteranno sull'auto-organizzazione, sulla cooperazione e sull'effettivo sottrarsi ai meccanismi del mercato e della produzione capitalistica.

Bisogna poi tornare, in rapporto alle opere della maturità, al tema dell'anarchismo. Nelle pagine di Proudhon le critiche all'autoritarismo e all'organizzazione verticistica e gerarchica, che il potere politico impone in modo più o meno evidente alla società, perdurano a lungo: dalle motivazioni iniziali egli passa agli argomenti, che fanno capo alla ricchezza della realtà sociale e alla sua autonoma capacità organizzativa e creativa, e, con coerenza, critica sistematicamente sia le posizioni dei democratici riformisti, che quelle dei socialisti, come L. Blanc e P. Leroux, fiduciosi in uno stato repubblicano basato sul suffragio universale. Egli si è convinto che il macrocosmo dei fatti sociali sia primario, abbia a suo tempo prodotto l'organizzazione statuale e possa riassorbire progressivamente il potere politico, riducendo le funzioni statuali e trasferendole alla società stessa.

Tuttavia nelle ultime opere, pur continuando la sua battaglia per la libertà e prolungando le sue polemiche contro il verticismo e l' accentramento, Proudhon procede ad un recupero della presenza dello stato. Il potere che si concentra ai vertici dell'economia capitalistica gli appare incredibilmente accresciuto e minaccioso per le autonomie, le differenze, le articolazioni, le libertà dei fatti sociali e degli individui; in nome della dialettica antagonistica un sistema di istituzioni politiche può, allora, controbilanciare il potere economico e rivelare nei confronti della società un volto nuovo: non più quello dell'oppressione, ma quello della complementarietà e della salvaguardia contro il comune avversario.

Queste istituzioni statali, comunque, dovrebbero mantenersi entro limiti precisi e Proudhon pensa a un sistema confederale, tale da garantire la dose minore di potere centrale e, reciprocamente, il massimo dell'autonomia dei gruppi. Al posto della precedente negazione dello stato (visto fondamentalmente come organismo repressivo), viene caldeggiato, quindi, un "federalismo politico" ( ), che riduce al minimo i rapporti di autorità, contribuisce con i suoi elementi giuridici alla reciprocità delle componenti del sociale e fa da contrappeso all'invadenza e alle minacce del potere economico. Nella misura in cui quest'opera di arginamento avrà successo al "federalismo politico" finirà per corrispondere il "federalismo economico", fondato sull'emancipazione del proletariato e sulla sua partecipazione all'attività produttiva, non più in posizione subalterna, ma attraverso la pienezza di rapporti paritari, attraverso il mutualismo, le associazioni, l'autogestione.

Nel panorama del socialismo francese queste idee avranno un seguito considerevole, anche se bisogna aggiungere che il mito dell'autogestione operaia, variamente coltivato anche in tempi recenti, è rimasto tale e non è riuscito a tradursi in una pratica consistente. Più in generale e sul piano teorico, dobbiamo richiamare l'importanza dell'analisi sociale svolta da Proudhon e sottolineare l'interesse del rovesciamento da lui operato nei rapporti tra società e stato: il primato assegnato alle dinamiche sociali è particolarmente stimolante oggigiorno, perché corrisponde più alla nostra realtà che non a quella della metà dell'Ottocento.



10.4. ETIENNE CABET (1788 - 1856): DEMOCRAZIA QUASI DIRETTA E COMUNISMO


Negli anni 40, in Francia, quando si parla di comunismo ci si riferisce principalmente al pensiero di Cabet, che, tra i socialisti che rifiutano la proprietà privata, è il più noto sia per i suoi scritti che per le sue capacità organizzative. Avvocato, di idee democratiche, dopo la rivoluzione del 1830 milita nell'area dell'opposizione, è costretto all'esilio e durante gli anni che trascorre a Londra matura la svolta verso il comunismo. Nel 1840, ritornato a Parigi, pubblica il Viaggio in Icaria, l'opera che in forma di romanzo filosofico espone distesamente le convinzioni raggiunte.

Secondo la più classica tradizione utopica Icaria è un'isola di grandi dimensioni la cui vita e la cui organizzazione sono raccontate da un immaginario viaggiatore inglese. Questi si imbatte, innanzitutto, nell'assenza del commercio e della moneta; i mezzi di trasporto appartengono alla repubblica, come è la repubblica che possiede e sovrintende alla moderna rete ferroviaria, al complesso dei canali navigabili, alle attrezzature portuali, all'apparato industriale e alla produzione agricola. Siamo dunque in presenza di un modello di società in cui tutta la proprietà è nelle mani della collettività ed è a livello comune che si decide come debbano essere gestiti i beni e le risorse, tenendo sempre presente il principio cardine dell'eguaglianza. Tutti lavorano e lavorano per lo stesso numero di ore (in Icaria lavorano anche le donne, ma con un orario ridotto per via delle faccende domestiche che le attendono); il lavoro non è concepito in termini penitenziali e ci si applica per renderlo più leggero e per ridurre gli orari; la repubblica provvede ad alloggiare comodamente i cittadini e a fornire loro, mediante i magazzini pubblici, il vestiario e il cibo. Cabet si diffonde nel descrivere l'architettura funzionale delle città, le soluzioni studiate per garantire le migliori condizioni di vita urbana (strade ampie, giardini pubblici, piazze frequenti), la vita delle campagne anch'essa ben organizzata, la struttura delle abitazioni con arredamento e servizi razionali, il fluire ritmato e sincronico di tutte le attività nell'arco della giornata.

Vale la pena di sottolineare che l'utopia comunista di Cabet è la prima che dà spazio alla produzione industriale e che punta sulle macchine per ridurre la durata del lavoro e per renderlo meno faticoso e più salubre. In questo gioca la sua diretta conoscenza della realtà inglese, ma gioca anche la sua fiducia nel progresso e la sua capacità di intuire gli effetti sociali che discenderanno dalla rivoluzione industriale. D'altra parte bisogna aggiungere che la comunità icariana non ha i tratti della regressione verso rapporti spartani e frugali, che sono tipici delle utopie forti: se i comportamenti sono ispirati da un alto senso morale e se è bandita la vanità delle mode, in Icaria non manca la varietà degli abiti e la vita è rallegrata dagli spettacoli, dalle cavalcate, dalle merende in campagna, dall'ascolto della musica. Il criterio che domina nelle realizzazioni immaginate è quello di perseguire, nell'ordine, il necessario, l'utile, il dilettevole.

L'eguaglianza materiale, assieme all'eguaglianza nella stima sociale che abbraccia tutti i rapporti, è basilare per il funzionamento delle istituzioni democratiche che sono pensate nei termini di una democrazia semidiretta.

Le grandi dimensioni dell'isola e l'alto numero dei cittadini impongono, infatti, la delega di quei poteri che non possono essere esercitati direttamente. Così il potere legislativo è delegato ad un'assemblea rappresentativa centrale, composta di 2.000 deputati (2 per ogni comune) e rinnovata per metà ogni anno. Il potere esecutivo è delegato ad un organo di 16 membri, eletti anch'essi dal popolo e anch'essi rinnovabili annualmente per metà, ed subordinato all'assemblea rappresentativa. Il popolo, invece, esercita direttamente la propria sovranità a livello comunale, dove si riunisce in assemblee che contano circa 10.000 cittadini: in questa sede, oltre che occuparsi degli affari locali e curare l'esecuzione delle leggi o dei decreti centrali, i cittadini si occupano anche, direttamente, di questioni nazionali, approvando le leggi più importanti preparate dall'assemblea sia su richiesta di quest'ultima sia su iniziativa locale. Il popolo inoltre amministra la giustizia e mantiene l'ordine pubblico in quanto organizzato in forma di guardia nazionale. Secondo una geometria tipicamente utopica i comuni, a gruppi di 10, sono riuniti in province di dimensioni circa uguali: in Icaria ci sono 100 province ognuna delle quali ha un'assemblea di 120 deputati eletti per due anni.

Questa macchina istituzionale è pesante e complessa. Cabet la può pensare come capace di funzionare, innanzitutto perché i cittadini di Icaria conoscono la costituzione, sono consapevole dei loro diritti e sono educati alla vita pubblica e alla gestione delle cariche pubbliche; poi perché li immagina animati da un forte spirito pubblico e da un alto senso della moralità civica; infine perché l'eguaglianza materiale e sociale, cancellando la divisione tra ricchi e poveri, azzera divergenze e conflitti primari e spiana la strada alla serenità dell'interesse comune solidalmente perseguito.

Su queste basi la democrazia quasi diretta di Cabet esprime, infatti, un esercizio idilliaco della sovranità popolare, perché la repubblica viene gestita dal basso col massimo di partecipazione e la gestione, una volta fissate le leggi di rilevanza fondamentale, ha un carattere eminentemente realizzatore perché investe soprattutto i vari aspetti della produzione nazionale.

Bisogna aggiungere che i rapporti democratici non appartengono soltanto della sfera delle istituzioni, non regolano soltanto i passaggi che portano dal popolo agli organi decisionali dei vari livelli e alle successive esecuzioni, ma penetrano sia il mondo economico (nelle aziende, nel lavoro rurale e in tutte le attività collettive) che quello sociale: nelle scuole, ad esempio, l'attività educativa si incrocia felicemente con lo spirito democratico. Siamo in presenza di una globale sistemazione democratica, che, tuttavia, non lasciando nulla al caso, prevedendo, organizzando e tutelando il benessere e la felicità di ogni cittadino sembra finire per minacciare ogni sfera privata e per togliere spazio alla libertà. La cura paterna o materna che la repubblica dispiega per far fronte ad ogni bisogno rischia di rovesciare l'iniziativa democratica dei cittadini, che deve essere sempre vigile e attenta, in una condizione di passività cieca e soddisfatta.





10.5. LOUIS BLANC (1811 - 1882): STATO DEMOCRATICO E AUTOGESTIONE OPERAIA


Giornalista, storico, uomo politico, Louis Blanc giunge ad elaborare un progetto di riforma economico-sociale, basato sull'idea dell'organizzazione del lavoro alla fine degli anni 30, dopo aver acquisito una formazione politica democratica e dopo aver allargato i suoi interessi ai temi sociali. Per questo egli è il primo a porre con chiarezza l'idea di saldare la lotta sociale alla lotta politica per la rappresentanza popolare e a vedere la formazione di uno stato repubblicano basato sul suffragio universale come la premessa necessaria per avviare trasformazioni profonde nel sistema economico e nei rapporti sociali.

La concezione dello stato, che egli delinea in una serie di articoli del 1835, rifiuta la monarchia e punta sulla repubblica come su di una compagine dinamica, capace di operare le giuste transazioni tra la volontà di tutti e l'utilità pubblica. Dal punto di vista dell'architettura istituzionale egli ritiene, secondo la tradizione neogiacobina, che la sovranità popolare si debba esprimere in un'unica assemblea legislativa, eletta a suffragio universale, e che il potere esecutivo sia un potere forte ma sottoposto al legislativo; facendo invece riferimento ad istanze liberali, per contrastare i possibili abusi di potere egli conta sulla netta distinzione tra potere costituente e potere legislativo, sui controlli di costituzionalità affidati al potere giudiziario e sull'istituzione di un ampio decentramento amministrativo atto a controbilanciare il centralismo politico.

E' nel saggio su l' Organisation du travail, pubblicato nel 1839, che sono esposte le linee di un socialismo centrato sull'intervento dello stato in campo economico, sulla creazione degli ateliers sociaux e sulla distruzione della concorrenza mediante la concorrenza.

Louis Blanc parte da un'analisi della situazione che insiste sugli effetti perversi della libera concorrenza e della conflittualità economica e sociale dilagante. La trasformazione da porre in essere dovrà partire da una incisiva azione di governo, che provvederà a fornire a tutti i lavoratori che daranno garanzie di moralità i capitali sufficienti per costituire degli ateliers nationaux nei rami più importanti dell'industria nazionale. L'idea del credito statale per finanziare il lavoro associato ha come bersaglio la dipendenza dei lavoratori dai proprietari dei mezzi di produzione e dai rapporti di forza del mercato. D'altra parte egli non vuole che il finanziamento pubblico crei una nuova forma di dipendenza nei confronti dello stato: gli ateliers devono crescere come nuclei produttivi economicamente sani e devono raggiungere l'autogestione. Solo nel primo anno di vita, infatti, il loro staff direttivo sarà nominato dal governo, dopo, "avendo i lavoratori avuto il tempo per apprezzarsi l'un l'altro ed essendo tutti ugualmente interessati al successo dell'associazione, la gerarchia risulterà dal principio elettivo" e le varie cariche saranno ricoperte mediante votazioni interne. La remunerazione dei lavoratori associati avverrà inizialmente con salari differenziati a seconda delle mansioni e comunque sempre sufficienti, mentre, a fine anno, il reddito netto verrà suddiviso in tre parti: una da ripartire tra gli associati, una per i vecchi, i malati e gli infermi, la terza per rinnovare le macchine e per fornire nuovi strumenti di lavoro a nuovi associati.

Una volta avviati questi ateliers, in ogni settore industriale si creerebbe una situazione di concorrenza con le aziende private, destinata in breve tempo a volgere a danno di queste ultime: i vantaggi che il lavoro associativo garantisce agli operai degli ateliers produrrebbero una tale volontà di successo da aumentare la produzione sia in quantità che in qualità e da portare alla rovina le imprese padronali concorrenti. Per evitare effetti sgraditi, come possibili reazioni brutali da parte dei privati in pericolo, questa fase di accesa ma "santa" conflittualità andrebbe gestita sotto il controllo del governo. Si arriverebbe così senza scosse ad una diffusione graduale e pacifica degli ateliers, che, nel quadro di una generale regolamentazione dello stato, potrebbero poi sviluppare autonomamente tutte le loro risorse di coordinazione della produzione, di distribuzione e di scambio, all'insegna del nuovo spirito di solidarietà che li anima. L'organizzazione del lavoro, allora, non sarebbe l'effetto di una pianificazione statale, ma il risultato elastico delle associazioni degli ateliers raggruppati per branca produttiva; le crisi economiche diventerebbero rarissime; il diritto al lavoro di ogni uomo troverebbe le condizioni per essere soddisfatto.

Già in queste previsioni relative al processo innescato dal formarsi degli ateliers non mancano le semplificazioni e gli ottimismi. I corollari che vengono aggiunti accentuano gli elementi utopici. Secondo Blanc la diseguaglianza iniziale dei salari scomparirà gradualmente, una volta superata l'educazione falsa e antisociale che questa generazione ha ricevuto. La costituzione di depositi e di servizi per la vendita e l'acquisto presso ciascun atelier sopprimerà gli intermediari e ridurrà al minimo l'attività commerciale, considerata una vera e propria piaga della società. La ripartizione dei benefici all'interno degli ateliers e la creazione di fondi di compensazione per sostenere le imprese non remunerative porterà alla sparizione delle banche. Sottratte all'ipocrisia delle diplomazie statali, le relazioni internazionali verranno orientate dalle necessità dell'industria rinnovata e dalla convenienza dei lavoratori, secondo uno spirito di fratellanza, che porterà lentamente a un'organizzazione pacifica dell'umanità. Cessando gli antagonismi, le rivalità, i desideri di sopraffazione si avvierà concretamente una grande riforma morale che a partire dagli ateliers investirà tutti gli strati e gli angoli della società.

Ritornando alle premesse democratiche bisogna sottolineare che per Blanc il governo che propone le leggi per il credito statale ai lavoratori associati non può che essere il governo della repubblica in cui la pienezza della sovranità popolare si esprime mediante il suffragio universale. La riforma politica, quindi, è necessaria, è la prima in ordine di tempo; ma è strumentale, è il mezzo in ordine al fine costituito dalla riforma sociale. La riforma sociale, d'altra parte, ha nell'intervento economico dello stato e nella sua legislazione il supporto e la regola, ma si sviluppa poi secondo le proprie dinamiche, che sono quelle della concorrenza contro la concorrenza e della diffusione della socialità di tipo solidale contro quella di tipo conflittuale. E' nell'associazione, infatti, che i valori della solidarietà e della fratellanza trovano condizioni oggettive per esplicarsi e, coltivati in questo ambito, si allargano ai rapporti interassociativi per superare ogni frontiera.

In questo modo si opera uno spostamento: principi e criteri democratici dalla sfera politica passano a quella sociale ed economica. I lavoratori, come cittadini, partecipano alle elezioni politiche dei rappresentanti e contribuiscono alla politica dello stato. Ma alle istituzioni democratiche nazionali si affiancano i microuniversi di rapporti democratici esistenti negli ambienti di lavoro e sono questi che nel pensiero di Blanc possiedono la maggior forza espansiva e sono in grado di proiettare efficacemente pratiche e modelli di cooperazione fino al livello dei rapporti internazionali.

Queste idee socialiste, raccolte nelle parole d'ordine del diritto al lavoro e dell'organizzazione del lavoro, resero molto popolare la figura di Blanc presso i lavoratori parigini negli anni 40. E' nota la sua partecipazione alla rivoluzione del '48, la sua presenza nel governo provvisorio e nella commissione del Lussemburgo incaricata dei problemi del lavoro. Gli ateliers nationaux, che vennero istituiti nei primi mesi per tenere occupati i lavoratori parigini, avevano ben poco a che fare con quelli da lui teorizzati e risultarono un palliativo per tacitare l'ala più estrema della rivoluzione. Blanc comunque rimase fedele alle proprie convinzioni, pagò con un lungo esilio la svolta conservatrice della Seconda Repubblica e l'avventi del Secondo Impero, e negli anni 70, rientrato in Francia ritornò sulla scena pubblica e continuò a propugnare la sintesi di democrazia e socialismo.



) G. D. H. Cole, Storia del pensiero socialista, Bari, Laterza, 1973, vol. I, p. 59.

) E' nota l'"etichetta" di socialismo utopistico, che Marx usa per qualificare negativamente il pensiero dei socialisti, che l'hanno preceduto, e per distinguere la sua concezione "scientifica". Al di là di questa definizione il socialismo di Fourier, come vedremo, contiene molti tratti, che appartengono strettamente alla tradizione della letteratura utopica.

) Ch. Fourier, La fausse industrie morcelée, répugnante, mensongère, in Oeuvres complètes, Paris, 1966, t. VIII, p. 9.

) Ch. Fourier,  Théorie de l'unité universelle, in Oeuvres cit., t. III, p. 160.

) Per l'esattezza nella storia dell'umanità Fourier distingue trentasei fasi con movimenti ascendenti e discendenti (che rivelano un'impostazione organicistica); nella fase della civiltà, accanto a tutto quello che è falsità, astrazione e assurdità, vi sono gli elementi, quali "la perfezione dell'industria e la rapidità delle comunicazioni", che, crescendo, preparano il passaggio all'epoca dell'industria societaria e dell'armonia; questo passaggio è considerato imminente: il periodo è "maturo" e richiede il salto nell'epoca nuova pena il ripiegamento e la decadenza.

) Fourier distingue 5 passioni dei sensi (gusto, tatto, vista, udito, olfatto), 4 passioni affettive (amicizia, ambizione, amore paternità), 3 passioni "distributive" (cabalistica, composita, alternante). Le prime 5 vengono fatte corrispondere ai diesis dell'ottava, le altre 7 alle note musicali. Gli accordi danno 24 combinazioni in maggiore e 24 in minore, per un totale di 48 combinazioni. Moltiplicando il numero delle passioni, 12, per 48, abbiamo 576, che sono i caratteri umani aventi una dominante. A questi sono da aggiungere 96 bitoni, 24 tritoni, 2 pentatoni e 104 toni misti o ambigui. Il totale è 810, che, moltiplicato per 2 (i due sessi), dà il numero preciso di individui necessari perché tutte le passioni si combinino: 1620.  

) "Che c'è di più disgustoso che prendersi cura di un bambino appena nato, sempre urlante, ebete e sporco di feci? Come fa Dio a trasformare in piacere un compito così sgradevole? Egli dona alla madre attrazione passionale per questi lavori immondi, valendosi della sua prerogativa magica: imprimere attrazione" (Ch. Fourier, Théorie de l'unité universelle cit., p. 246).

) "La topografia del falansterio traccia un luogo originale, che all'ingrosso è quello dei palazzi, monasteri, manieri e grandi Errore. L'origine riferimento non è stata trovata., dove si fondono l'organizzazione di un edificio e l'organizzazione di un territorio in maniera che ... l'urbanesimo e l'architettura si disfino reciprocamente a vantaggio di una scienza generale del luogo umano, il cui carattere primario non è più la protezione, ma la circolazione" (R. Barthes, Sade, Fourier, Loyola, Torino, Einaudi, 1977, p. 100).

) Su questi aspetti è fondamentale il saggio di R. Barthes, citato nella nota precedente.

) G. D. H. Cole, Storia del pensiero socialista cit., p.75.

) La proprietà resta attribuita all'intera società, che delega il possesso ai suoi membri per il lavoro e la messa a frutto produttiva.

) G. Gurvitch, Dialectique et sociologie, Paris, Flammarion, 1962, p. 97.

) Rifiutata la sintesi hegeliana, Proudhon ricorre all'idea degli equilibri per sostenere che, anche tra elementi inizialmente antinomici, si formano legami e forme di reciprocità, che prospettano composizioni piuttosto che dissolvimenti e catastrofi. "Il problema dell'organizzazione e della strutturazione della società, scrive A. Zanfarino a proposito di questo punto, non si risolve ... nella ricerca di una sintesi sovraordinata alle parti, ma nella definizione di una logica di equilibrio e di compensazione tra elementi antagonisti irriducibili ed equivalenti" (Ordine sociale e libertà in Proudhon, Napoli, Morano, 1969, pp. 53-54).

) Anche se Proudhon parla di federalismo, dobbiamo ricordare che la forma di potere più decentrata e dai legami meno stringenti tra le comunità locali è quella confederale.




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